
L'
encierro (
*) è una delle forme più popolari della tauromachia, è la sfida ostentata dell'uomo, di un uomo qualsiasi, al toro, alle sue corna, alle sue forze
Per le strade del paese, della città, di fronte agli amici, alla donna, al padre o alla madre.
A Pamplona ogni anno, durante la feria di San Fermin (
*), si corrono gli encierros più conosciuti al mondo, quelli ripresi anche dai media italiani, quelli più popolati e tragici.
Pamplona, Navarra, 10 luglio 1947.
Fà caldo, molto caldo, il pomeriggio sta volgendo al termine, e l'arena è piena.
Il pubblico quel giorno è meno scatenato del solito, meno festaiolo, meno eccitato.
Il pubblico quel giorno è cupo, isterico, teso.
Furioso addirittura, quando nell'arena esce Semillero.
Semillero è un toro della ganaderia di Uruijo, nero, corna sufficientemente limpide e larghe, e adesso è là, orgoglioso e impertinente in mezzo alla plaza, altero.
Il mattino era ancora giovane, gli eccessi della notte da poco abbandonati, e l'encierro percorreva le strette strade del percorso solito, dai corrales all'arena, che ogni anno da sempre e per sempre a Pamplona segna le albe della feria.
Le strade strette, umide, scivolose.
Semillero correva insieme ai suoi fratelli, altri tori di Urujio destinati alla corrida del pomeriggio, e uomini vestiti di bianco e rosso davanti, uomini vestiti di bianco e rosso ai lati, stesso panorama di dietro.
Semillero, improvvisamente e per meccanica o necessità, perde il contatto con il convoglio, con la corsa obbligata e ordinata, con la linea retta.
E in calle Estafeta è solo, spaventato, elettrico, i reni e le corna l'unica forma di riparo e primitiva difesa.
Casimiro Heredia, pamplonese, in calle Estafeta era nato.
Casimiro Heredia, pamplonese, in calle Estafeta quel 10 luglio del 47 va a morire, il polmone perforato dal corno di Semillero.
Che prosegue, istinto animale, la sua corsa.
Arriva all'arena, entra, di fronte centinaia di corridori esausti ma ancora adrenalinici, entra in quell'arena dove qualche ora più tardi sarà destinato a combattere e morire.
Julian Zabalza, navarrese, incrocerà in quel formicaio, in quell'incredibile e schizofrenico movimento di corpi, le corna di Semillero.
A niente valgono gli aiuti dei compagni di sempre, anche per lui la morte.
Arriva l'ora della corrida, implacabile e giusta.
Il sorteo attribuisce Semillero a Manolete, Manolete il mostro, Manolete la star, Manolete l'idolo di Spagna.
Ma quel giorno, nel cartel, c'è anche un torero navarrese.
Anonimo, inspido forse, mai più famoso.
Ma navarrese.
Julian Marin fa un gesto tanto banale quanto eccezionale, si avvicina a Manolete il mostro e gli chiede un cambio: a me Semillero, a te uno dei miei.
Per vendetta.
Per giustizia.
Per quel silenzio insostenibile dai gradini dell'arena.
Perchè due ragazzi di Navarra sono morti stamattina.
Manolete acconsente, Semillero va a Marin.
E il pubblico, commosso e svuotato, capisce, il pubblico tace davvero, il pubblico segue ogni passo, ogni figura, ogni momento di quel confronto.
Non passerà alla storia nulla di quella faena, di quel combattimento, nulla di artistico, nulla di eccezionale, nulla di indimenticabile, se non che Julian Marin, navarrese, aveva fatto giustizia.
Un torero navarrese di Tudela aveva voluto combattere e uccidere, lui, Semillero.
Ogni altra cosa sarebbe stata sbagliata.
E nella notte che imperiosa si faceva largo, con la festa incrontrollabile nelle strade, Pamplona si sentiva finalmente consolata.
(immagine: Encierro, quadro di Alain Lagorce, pittore e aficionado parigino, amico)