
Provate a cercare su youtube, o nei siti specializzati, la faena di Manzanares a Arrojado di Nunez del Cuvillo. Arrojado che è il primo toro mai graziato nel tempio del
toreo, nella più incantevole cattedrale della tauromachia, in quella Maestranza che è il cuore pulsante di Siviglia, la sua sistole, il suo totem.
Guardatevi quel video e abbandonatevi al polso ispirato di Manzanares: il
toreo così è un sogno, è la più alta forma d'arte, è l'eterna bellezza.
Chiunque, là, avrebbe avuto la schiena solcata da brividi.
Chi c'era parla di un clima magico ed estatico all'arena, e di una nottata a Siviglia lunga e indescrivibile, di festa, emozioni, trasporto.
Ora, ancora estasiati, provate a cercare in rete qualche immagine di Arrojado alla picca. Arrojado, il primo toro mai graziato sulla sabbia ocra lambita dal Guadalquivir, non può che essere stato grandioso nei suoi attacchi al cavallo, non può che essersi lanciato due, tre, dieci volte a morire sotto il ferro, deve aver rovesciato la fortezza, scoperchiato il palco, demolito la Maestranza.
Non si trova. Non c'è in giro un video, un solo video di quel toro alla prova delle picche.
Non uno.
C'è qualcosa che non torna.
Un paio di settimane fa abbiamo visto El Juli graziare Pasion, di Domingo Hernandez, al termine di una
faena straordinaria, plastica e dominatrice, onirica e maschia.
Pasion era un buon toro, che pure al cavallo si è comportato da toro
bravo, e che nella muleta ha messo i muscoli, le corna e il cuore. Ma Pasion non era un toro eccezionale - poteva meritare magari un giro d'onore - eccezionale è stato il torero e l'opera d'arte che è riuscito a scolpire in quella materia. Eppure, fazzoletto arancione.
Ancora, c'è qualcosa che non torna.
Lungi da me voler replicare l'annosa e manichea polemica toristi/toreristi, non è questo il punto. E' che quando l'indultite, questa preoccupante malattia della tauromachia di oggi, fa il salto di qualità e abbandona le arene balneari e festive di terza categoria per andare a inoculare il suo virus nell'
aficion delle arene principali di Spagna e Francia, qualche riflessione si impone, anche su queste pagine: qualche pensiero in ordine sparso, senza troppo costrutto, un pò col cuore e un pò con la testa insomma.
Con il desiderio che queste righe possano suscitare dibattito anche qui, come già è sui forum e sui blog di là dalle Alpi e sotto ai Pirenei.
Lasciamo perdere, dicevamo, l'orizzonte della polemica e proviamo a capire cosa sta succedendo.
Diciamo subito che l'indulto di Arrojado, tanto quanto quello di Pasion, sono immeritati e ingiustificati: lo dicono il regolamento, il buon senso e il buon gusto.
Arrojado e Pasion non erano due tori straordinari, e su questo siamo tutti d'accordo.
O forse no, ecco il primo tema, non siamo tutti d'accordo. Stanno forse cambiando a tal punto i gusti e i canoni dell'
aficion che oggi un toro straordinario è quello che ripete instancabilmente e meccanicamente nell'ultimo
tercio, e poco importa se il cavallo l'abbia rifiutato e delle banderiglie si sia lamentato? Se la risposta è sì, come lo è con ogni probabiità, il problema è serio e reale.
Perché significa che la tauromachia, sotto l'impulso interessato di attori diversi (impresari, toreri, allevatori, professionisti vari), sta negando e lasciando il suo carattere fondativo e necessario di
fiesta selvaggia per diventare qualcosa di inevitabilmente diverso, più moderno e
light.
Come voler fare la polenta con il gorgonzola usando il philadelphia.
E il rischio è quello di andare alla selezione di animali il cui confine tra residua
bravura e genetica predisposizinoe all'ammaestramento rapido sarà sempre più labile, e non si potrà capire se un
cuvillino inseguirà la muleta per furia cieca o spensierata abitudine o addiruttura piacevole divertimento.
Chiariamolo subito, nessuno qua è pregiudizialmente contrario alla grazia del toro.
Che è un momento altissimo davvero, ma solo quando l'indulto è giustificato dalle straordinarie doti dell'animale: altrimenti, diventa farsa e soprattutto mancanza di rispetto.
La corrida è eticamente giustificabile, anche oggi nel ventunesimo secolo, solo se di fronte agli uomini vengono fatti correre tori integri e selvaggi e forti. Solo se l'uomo per combatterli e vincerli mette a rischio la propria vita, e solo se la morte di quelli è la celebrazione del coraggio e delle virtù del torero, è la celebrazione della vita.
Ma quando la grazia è accordata ad un toro perché questi permette al torero, con la sua carica composta e dritta, di esprimersi senza preoccupazioni disegnando la faena che in quel momento la sua ispirazione gli detta, allora lo scenario cambia. Si premia un toro perché si fa collaboratore e strumento, dismettendo i panni dell'avversario.
E' la perversione dell'idea di corrida, questa.
A cosa serve graziare un toro? A conservare le qualità eccezionali di quell'animale perché questi possa trasmetterle alle future generazioni, passando il resto della sua vita a riprodursi.
A cosa serve graziare un toro come Pasion? A niente, giacché il suo propietario - il ganadero di Domingo Hernandez - si affannava nei giorni successivi a proporre agli allevatori della zona di Arles di acquistare lo stesso Pasion, che tanto a casa non sarebbe mai stato messo sulle vacche. Per risparmiare i costi di trasporto, anche.
A cosa serve graziare un toro come Arrojado, che contrariamente a Pasion ha fatto il viaggio di ritorno e fra poche settimana potrà debuttare nella sua nuova carriera di stallone? A confortare l'allevatore nella sua ricerca del toreo ideale, ovvero del toro meccanico, a dare una discendenza a questo animale mettendolo nelle condizioni di infondere la vita in tanti Arrojado junior che disdegneranno cavallo, cavaliere e picca e invece galopperanno senza sosta a rincorrere quella seta rossa.
I costumi sono cambiati, si dirà. Certo, i costumi cambiano e sarebbe sciocco negarlo: dopodiché in tauromachia, come in ogni altro dominio, ci sono confini che se superati trasformano inevitabilmente in qualcosa di diverso e anche opposto. Un toro geneticamente selezionato solo per arrivare nobile e ordinato nella muleta, senza più gocce di
bravura e senza interesse per il cavallo o indole al combattimento, incontrerà forse i gusti dell'
aficion del futuro, ma quello non è più un toro selvaggio. Chiuderlo in un'arena, mettergli di fronte un uomo vestito d'oro e farlo correre dietro a un panno rosso non è più corrida ma
gioco. E con i tori non si gioca, con il gattino il pappagallino e il cagnolino magari sì, ma con i tori non si gioca.
Velador era di un'altra epoca si dirà ancora. No. Velador era un toro
bravo, come lo era Clavel Blanco che la grazia invece non l'ha avuta, come lo erano i tanti che pure mettono gli zoccoli ogni anno sulla sabbia delle arene, e che su quella stessa sabbia finiscono la vita. Continueranno a morire i tori a Ceret, ma non perchè non meritino una misericordia sivigliana.
Quello che è successo ad Arles con Pasion, che è quello che è successo a Siviglia, è che il pubblico ha chiesto la grazia del toro per premiare il torero, quasi non ci fosse riconoscimento più grande.
Due grandi
faenas sono rimaste dunque due opere incompiute, ché solo la spada può dare valore ed eternità al lavoro del torero.
Risparmiare la vita al toro diventa così il grado maggiore di ricompensa per l'uomo, in una schizofrenica identificazione tra qualità del toro, prestazione del torero, trionfo, festa, vita, morte.
Che Arles e Siviglia,
plazas con una tradizione seria e consapevole, cadano in questo clamoroso equivoco è un brutto segno.
Infine, ciò che preoccupa maggiormente.
L'indultite dilagante e senza freni, capace di penetrare anche tra le aficion più mature, ci dice che inevitabilmente la mutazione dei costumi della nostra società sta lentamente intaccando anche le sensibilità degli
aficionados a los toros. I quali oggi credono di poter espiare quel latente senso di colpa che spesso (non sempre) li pervade, chiedendo ed ottenendo che la vita di un toro sia risparmiata: è l'animalismo spicciolo e metropolitano e stupido del ventunesimo secolo che pian piano arriva anche all'arena, è la certificazione che anche gli appassionati ai tori non sono immuni da questa trasformazione della sensibilità comune per cui gli animali sono al pari degli uomini, hanno sentimenti e diritti e volontà, sono i nostri amici a quattro zampe, parlano e soffrono come noi. E dunque si chiede l'amnistia, l'indulto, la vita.
Non si potrebbe cadere in equivoco maggiore. Per ragioni tecniche, innanzitutto: un toro graziato soffre molto di più di un toro ucciso all'arena, al termine di quei venti minuti di combattimento, e soffre per le cure, la riabilitazione, il trasporto, il reinserimento al campo.
Ma soprattutto, per ragioni etiche. Si selezionano generazioni di tori capaci di lasciarsi toreare, di non dare problemi, di non disturbare la digestione dei sivigliani, arrivati all'arena dritti dritti dalla feria dove fino e
gambas hanno riempito la pancia; si prendono sei di questi tori e li si porta alla plaza de toros, dove vengono piccati e banderigliati e poi fatti correre dietro alla muleta per venti minuti. E poi si decide di graziarli, che tornino all'allevamento, che ci pensi il ganadero.
Ci ha fatto divertire, ci siamo emozionati, la faena è stata artistica, grazie e arrivederci se ne torni pure a casa. E ci scusi se per i nostri olé l'abbiamo dovuta ferire.
Questo è maltrattamento animale. Uccidere un toro in un'arena, esponendosi a rischio della propria vita, al termine di un combattimento è la forma obbligata di rispetto, è l'essenza e la ragione della corrida, è amore per il toro.
Giocare con un toro è l'esatto contrario.
Certo, la notte sivigliana di chi era alla Maestranza sarà stata lunga e magica, e la sera nelle bodegas ad Arles gli
aficionados toreavano mimando i passi del Juli.
Chissà quanti si ricordeanno, fra un anno, il nome di quei due tori.
(nell'immagine, Indulto di Stéphanie Medieux)