mercoledì 31 marzo 2010

Feria!




Da domani, fine del letargo.

Arles.

Tori, toreri.

Feria, corride, pastis, arene.

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Feria, corride, pastis, arene.

Tori, toreri.

Arles.

martedì 30 marzo 2010

Toro de bandera




E il terzo?


Ah! Questo è il signor toro, il toro di cui tutti noi sogniamo. E' chiamato toro de bandera, cioè vessillo, insegna, bandiera, insomma quello che onora la ganaderia da cui proviene.
E' il toro ideale per l'aficionado, che Paco Tolosa definisce così nella sua Enciclopedia della Corrida: "Il toro bravo appare generalmente tale sin dal suo ingresso nell'arena. Accetta ogni invito a battersi e risponde istantaneamente. Carica da lontano e subito i picadores, spinge sotto la punta d'acciaio della picca che penetra nella sua carne, non presta attenzione al dolore, e prova, inarcato, di rovesciare il gruppo equestre, e lotta fino alla morte con lo stesso accanimento".
Quando un toro è bravo a questo livello, è un toro de bandera.

Fatemelo vedere...

Quasi sempre la sua irruzione nell'arena provoca tra il pubblico quasi un'onda, un fremito inusitato. L'animale è letteralmente balzato sulla pista e si precipita in un attimo fino alla barriera del circo, là in fondo, all'esatto opposto del toril.
A volte, urta violentemente contro le assi.
Il più delle volte, vedrete il toro percorrere a grandi falcate tutta la circonferenza della pista poi piantarsi con fierezza al centro dell'arena, muscoli e nervi a fior di pelle, corna dritte, come a dire: sono qua.
Contro un burladero, intanto, un peone ha scosso una capa: il toro attacca a cento all'ora, non vede più né uomo né capa, ormai al riparo del burladero, e contro questo burladero va a sbattere. Assi che volano, o buco nel legno.

Poi il toro si volta e si accorge di un uomo con la sua capa. Gli vola addosso una, due, tre, sei volte di seguito, con scioltezza. E' meraviglioso vedere un toro rispondere così alla minima sollecitazione. E' una delle cose più belle che si possano applaudire. A tutte le provocazioni, il toro risponde con una pugnacità vera e decisa.
Condotto al cavallo, a meno che addirittura non sia lui a prendere l'iniziativa, il coraggioso animale si lancia con impegno, spinge sotto i morsi del ferro con le reni e le zampe posteriori, ben inarcato, fino alla caduta della massa avversaria, o fino a quando un richiamo della capa non lo distoglie.
Vedrete un tale toro, rispondendo al movimento della capa, rigirare la testa verso il cavallo e spesso dimenticare il panno per precipitarsi di nuovo verso il picador. Così più e più volte, dimenticando fatica e ferite.

Lo vedrete poi lanciarsi verso i banderilleros con lo stesso slancio, la stess alegria.
E quando il matador lo chiamerà per il duello finale è ancora con la stessa disposizione che il toro risponderà presente, coniugando ardore e docilità, bravura e nobiltà, impetuosità e soavità nell'attacco.
Lo vedrete, tra due serie di passi, immobile e attento, lo sguardo incollato alla muleta.
Un gesto e riparte, viene, va, torna, bocca chiusa, abbassando bene la testa al passare davanti all'uomo, inseguendo instancabilmente il panno inafferrabile, compagno ideale di questo duo d'amore che fece piangere Belmonte di felicità...
Converrete con me che un simile toro meriterà bene il giro d'onore lento che si darà alle sue spoglie...

Che gioia per un torero capitare su un toro così!

Uhm, non ne sono così convinto... Il toro de bandera ha tutto, compresa l'intelligenza.
Io penso che il toro da combattimento sia l'animale più intelligente del creato. E altrimenti ditemi voi qualche altro animale, vergine e innocente all'inizio, nello spazio di un quarto d'ora capisce che lo si sta ingannando, come lo si sta ingannando e trova infine la risposta...
E allora delle due l'una: o questo toro subisce la dominazione dell'uomo, che dovrà essere un grande torero, o altrimenti a condurre il gioco sarà il toro stesso, e tutta la gente starà in pena.
Credetemi, un toro de bandera non può essere dominato che a condizione di essere severamente dominato da un vero maestro.
Per non essere rapidamente vinto dall'ardore di questo magnifico lottatore, e presto ridotto sulle difensive, l'uomo dovrà subito imporre al toro il peso della propria autorità.
Basterebbe un solo dubbio, una sola esitazione, per far sì che il toro se ne avvantaggi e opponga all'uomo lo sfavillio della sua casta.
E non c'è cosa che più sogniamo di questa unione perfetta tra un toro de bandera e un maestro autoritario, che è un fatto straordinario.

- da Aficion, de El Tio Pepe -

(foto di François Bruschet per CyR_ il Prieto de la Cal in concorso sabato ad Arles; qui una galleria)

sabato 27 marzo 2010

Manso con casta




Adesso fate uno sforzo di immaginazione. Pensate a un toro che esce al galoppo dal toril.
Scorge una capa agitata da un peone: la carica. Sconcertato dalla sua scomparsa dietro le assi del burladero, si gira, e vede in lontananza un altro uomo che lo chiama; reagisce immediatamente.
E' il matador che l'ha provocato. Il toro accorre con brio verso la capa aperta, la segue nei suoi movimenti, la perde di vista, si volta, la vede dei nuovo, e riparte...
Così quattro, cinque, sei volte di seguito.
Ma magari, nel frattempo, abbiamo visto il torero rinculare per due o tre passi, e gli ultimi passaggi sembrano meno brillanti, meno sicuri dei primi.
Si avete notato questo dettaglio, concentrate ora più che mai la vostra attenzione sul toro: le cose stanno per farsi interessanti.

Condotto al cavallo a colpi di capotazos, il toro attacca la fortezza equestre non appena la vede alla sua portata. Entra con franchezza sotto la picca e comincia a spingere. Ma bruscamente frena, dà un violento colpo di testa in aria e scappa saltando; si può anche vederlo scalciare.
Ciononostante si volta da solo, riparte verso il picador e rinnova l'attacco con violenza, tanto da riuscire a scaraventare a terra cavallo e uomo contro il quali si accanisce.
Forse la prima picca era stata efficace, ma di troppo corta durata perché la lancia del picador abbia prodotto un vero castigo. E la seconda non conta:il picador non avuto il tempo di assestare il suo colpo. Ci vorrebbe insomma una vera picca.
Ora, malgrado tutti i loro sforzi i toreri sono impotenti e non riesco a riportare il toro di fronte al cavallo. Vedrete il toro abbassare la testa e fare uno scatto in avanti in risposta ad ogni richiamo con la capa ma, nello stesso tempo, frena puntando a terra le due zampe anteriori, contemporaneamente.
La capa, altroché se la cerca: non fa male; il cavallo, non c'è più verso.
Il picador fa avanzare il suo cavallo. Forse un pò più lontano, in un altro terreno della pista, il toro sarà più docile. Ci si prova, perlomeno. A volte riesce, altre volte no.

Suonano i clarines per le banderiglie.
Si cambia scenario. Là in fondo un uomo disarmato, sembra, chiama il toro. Dietro di lui un altro torero agita una capa. Il toro accorre senza esitazione. Il banderigliero inchioda i bastoni sulla schiena della bestia e scarta. Toh, anche queste pungono.
Un altro uomo si fa avanti, nella stessa situazione: il toro carica verso di lui, cerca di afferrarlo, lo manca, ma uno o due bastoni in più pendono dal suo fianco.
Quello che aveva posato le prime banderiglie si presenta di nuovo. I due avversari si osservano. Al grido dell'uomo che agita le braccia, il toro risponde semplicemente scuotendo la testa: ha appena scoperto una relazione di causa-effetto tra quest'uomo solo e la sensazione fastidiosa, che è conseguenza del loro incontro.
Nuovo richiamo dell'uomo. Il toro lo guarda fissamente, abbassaun pò la testa, rincula di due o tre passi, gratta la sabbia con lo zoccolo, poi si lancia.
Ma, oh! la canaglia! Al posto di abbassare la testa per incornare l'uomo alla sua portata, l'ha invece alzata, così che appena si vede l'uomo scappare a gambe levate, le banderiglie rimangono per terra!

Suonano ancora le trombe, ultimo tercio.
Là, un pò lontano, il toro vede un uomo solo, armato della sua muleta.
L'uomo si avvicina...ancora un pò...si fa immobile, muleta ben tesa. "Eh! Toro!"
Wow, il toro balza in avanti. Come entra bene nella muleta!, si dice il matador.
Solo, vecchio mio, aggiunge per sé stesso, ti ho guardato bene, prima.
Ti ho osservato nei due primi tercios, ho visto come hai preso male le picche, e come hai capito le banderiglie.
Vediamo come prendi questi doblones. Bene; molto bene. Andiamo!

Se il torero si chiama Paco Camino, una serie di passi in tondo, con la mano destra, mantenendo il panno a distanza prudente: dopodiché verranno dei naturales, prima di profilo, poi di tre quarti.
Ritorno sulla mano destra. Ehi! Stai chiudendomi addosso! E questo vizio di provare a strapparmi la muleta, con questi villani colpi di testa, disordinati...
Aspetta, caro mio. Tre o quattro passi di castigo in basso, un molinete, qualche passo di fantasia, senza pericolo, per i turisti...il toro diventa pericoloso. Stoccata, e applausi senza trasporto.

Curro Romero, dopo i doblones piegando il ginocchio, impone la bellezza plastica del suo toreo in quattro passi con la destra di grande fascino. Ma su un colpo di corna appena accennato, paga lo scoto di un momento di esitazione, poi rincula, cerca di allontanare il toro con la muleta, cambia terreno. Curro Romero ha perso sicurezza, e non ne verrà a capo.

E se fosse El Viti a torearlo?
I suoi sei doblones in ginocchio, autoritari e dominatori, hanno provocato l'ovazione del pubblico.
Ma questo toro mi viene addosso...Ricominciamo.
Un passo, buono. Il secondo, già più complicato. Questo toro arriva troppo forte nella muleta, non mi piace. Diamogli della distanza. Un tentativo a sinistra, per vedere. Ehi, va male, finirà per prendermi.
E allora vedremmo El Viti, che non ama per niente questo genere di tori, prendersela comoda, allontanarsi un pò, sferrare una serie di passi secchi al toro, intanto che un pò dappertutto sui gradini schiocchiano i fischi del pubblico.
Questo toro, ucciso con molta prudenza, varrà al torero una bordata di improperi e fischi.

Antonio José Galan invece risolverà il problema a modo suo.
Il toro entra bene nella muleta. Prendine vecchio mio, prendine... Funziona. Proviamo ancora una volta? Funziona ancora, poi un pò meno bene. Proviamo due o tre passi per l'alto. Bene. Qualche natural? Uno, qualsiasi, poi due buoni. E' sufficiente! Pase de pecho, ed ecco la musica! Molinetes a destra, a sinistra e hop! Il torero per aria, si era fidato troppo. Niente di grave, ma la terra è dura, ricadendo. Riprendiamo. Un passo in alto, e un molinete. Ah! il toro tirva verso le assi.
Tre passi in cerchio, prudenti. Non mettersi mai sul tragitto verso la querencia...
Tre pase de pecho con la destra, ginocchio a terra, poi qualche fioritura.
Dai! Bum, fino in fondo. Un pò laterale, la spada, ma non malaccio. Descabello. Orecchia.
Ma certo! E grazie mille.

Cos'era questo toro?
Un manso con casta, cioè un toro di razza spoglio di bravura limpida ed innocente, ma non della bravura fondalmentale.
Un toro combattuto tra due tendenze contradditorie, dotato di genio, di picante, metà pregi e metà difetti, e che dunque impara alla svelta come lo si inganna ma comunque non resiste al richiamo di capa o muleta. Un toro appassionante per l'aficionado che lo osserva e che per dominarlo pretende un maestro come Camino e per confonderlo un ragazzo coraggioso come Galan.

- da Aficion, de El Tio Pepe -

(foto Ronda - Escolar Gil a Istres, 2009)

mercoledì 24 marzo 2010

Manso

CORRALES


Non dimenticate che il toro è un essere vivente animato, che possiede non solo il suo istinto, ma senza dubbio una propria volontà. In altre parole ogni toro ha la propria personalità.
Ciononostante si può, a spanne, classificarli in alcune categorie: diciamo quattro, per semplificare.

Vi ascolto.

Ecco un primo caso: si apre la porta del toril; passano alcuni secondi; non si vede niente.
Si aspetta un pò...ancora un pò... ed ecco che appare lentamente, avanzando a passi prudenti, esitanti, un toro.
Un richiamo di cappa. Ecco il nostro toro che si mette a trottare qui e là, fermandosi, ripartendo...
Altro richiamo di cappa... l'animale scappa! Gli si corre dietro, certo!
Spazientito il matador avanza, cappa spiegata.
Il toro gira la testa, fugge di nuovo, scorge la barriera, salta.
Ed ecco che i toreri cominciano a innervosirsi. Questo toro bisogna innanzitutto piccarlo.
Matador e peones si applicano a condurlo verso il cavallo, dopo fughe e fughe.
Lo vediamo quasi incollato alla montatura. Il picador era pronto: pianta la sua picca. Ahi!
Sotto la morsa del ferro, l'animale si scuote, agita la testa, e fugge scalciando!
Piccato non lo è praticamente stato e, in ogni caso il castigo non è stato sufficiente.
Nuovi e vani sforzi per ricondurlo al cavallo.
Istruito dall'esperienza, il toro non smette di fuggire. Non c'è verso di fissarlo. Gli fa paura tutto. O invece carica tutto d'un colpo, all'improvviso, sorprendendo i toreri, travolgendoli o agganciando le cappe.
E che lavoro per mettere le banderiglie, a tutta velocità e alla buona, sulla schiena dell'animale.
Suona l'ultimo tercio.
Dove credete che vada il toro? Alla querencia del toril.

Perchè questo toro si è rifugiato vicino alla porta del toril?

Perchè non ha dimenticato che è da lì che è entrato nell'arena. E che prima di attraversare questa porta, si trovava nei recinti con i suoi fratelli, poi in un locale scuro e silenzioso, il chiquero, dove sonnecchiava tranquillo.

E allora cosa fa il matador?

Immaginate innanzitutto la situazione del toro: vicino alla porta del toril, e a poca distanza dalla barriera, che è un rifugio e una protezione, capite?
Il torero?
Lo raggiunge e tenta, con dei richiami di muleta, di attirarlo verso il centro...
Ma, vigliacco! Il toro non ne vuol sapere di allontanarsi dalle assi...
E questo diventa spesso un girare a vuoto finchè il toro decide che ne ha abbastanza.
Lo vedrete allora incollarsi contro la barriera, accontentandosi di agitare la testa agli inviti della muleta... E bisogna che il torero se la sbrighi come può per piazzargli la spada in corpo.

E come chiamate questo toro?

E' il manso totale, il bue da tiro, che non avrebbe mai dovuto arrivare in un'arena; ma d'altronde non ce l'aveva scritto in fronte!
Un toro pieno di difetti...Capita. Buono solo per la carne.

Dite, non dev'essere dunque facile toreare una carcassa simile...

Certo che no! Ed è qui anche che si riconosce il buon aficionado.

In cosa?

Nella sua calma, nella sua indifferenza.
Indignarsi? E di cosa, che il toro è manso. Nessuno ci può far niente. I toreri hanno fatto quello che hanno potuto per tentare di risvegliare una bravura inesistente. Non ci sono riusciti. Non resta altro da fare che tacere e non vedo ragioni di protestare se le cose vanno per le lunghe, se il matador è obbligato a impiegarsi più volte per portare la steccata al toro recalcitrante.
Nessuno potrebbe invidiargli ciò che gli tocca in quel momento, statene certi.
Silenzio e dignità, non c'è miglior modo di testimoniare ai toreri la giusta comprensione, rinforzata dai vigorosi sonori fischi che dovranno inevitabilmente accompagnare l'uscita del cadavere del toro dall'arena.

- da Aficion, de El Tio Pepe -

(foto Ronda - un Domingo Hernandez nei corrales di Arles, 2009)

lunedì 22 marzo 2010

Campagna elettorale



Lo staff creativo di Alle Cinque della Sera, composto dal sottoscritto e da quel Lettore Gigliato già autore di alcuni gadget a tema, ha deciso di partecipare al concorso per il manifesto della feria di Orthez: tema della gara, la picca.

La galleria dei lavori in concorso evidenzia che il nostro progetto, come era prevedibile, non solo non è neanche lontamente da podio, ma a fatica potrebbe entrare nella top ten.
Altre proposte sono francamente e decisamente migliori, e dunque bravi gli autori.

Certo però che per dare una spintarella alla nostra affiche, gli affezionati e cari lettori del blog potrebbero partecipare alla votazione indicando proprio quella: le istruzioni per il voto e l'indirizzo mail al quale inviare la propria preferenza sono a questa pagina.

Ma in effetti, qual'è la nostra?
Alle Cinque della Sera partecipa con l'affiche numero 22, per vederla e votarla è sufficiente andare alla pagina della galleria e aprire quella.

22, come il numero di maglia di Kakà quand'era ancora con noi.
Altri tempi, bei tempi.
22.

venerdì 19 marzo 2010

Les Andalouses, quest'anno


A due settimane dalla prima Salve Rociera.

giovedì 18 marzo 2010

Così parlò Luis Francisco Esplà


E' ripresa a Barcellona la discussione parlamentare dedicata alla proposta abolizionista: ieri era il turno di alcune audizioni, con interventi di testimonial di diversa sensibilità e prospettiva.

Per lucidità e fermezza si sono distinte le parole di Luis Francisco Esplà, signore nell'arena e signore fuori:

"La selezione ha provvisto il toro di qualità che lo rendono differente da tutti gli altri animali. Negare la sofferenza del toro è assurdo, però il rito la giustifica (...). Il suo atteggiamento di fronte alla morte è diverso, il toro muore con supponenza, convinto di essere colui che impone le regole del gioco. Il torero fa parte degli strumenti che l'uomo ha creato per vincere la morte."

"Non sono qui per giustificare il toreo, quanto invece per oppormi a che venga negato il nostro diritto di sentire in modo differente. Nella proibizione non c'è mai il seme per prosperare."

"Perché vogliamo obbligare chiunque a intendere i tori solo nella prospettiva di chi ci vede esclusivamente orrore o tortura? (...). Mi sembra assurda un'imposizione. E' necessario il ricorso ad un equilibrio, ad un'etica coerente con il fine (...). Chi può definire la frontiera tra il bene e il male?".

"Noi toreri siamo creatori, artisti che usano il toro come materiale: non gratuitamente, riconosciamo l'identità del toro, abbisogniamo della sua volontà. Abbiamo bisogno che voglia assalirci, senza il toro niente avrebbe senso. La finaltà non è giocarsi la vita, è invece creare con un elemento che rappresenta la forza della natura (...). La cornata non è un tradimento, è il materiale di cui dispongo. L'istinto del toro è uccidermi".

"Il toro nasce per questo spettacolo. La genetica lo ha fatto differente. Ho visto morire persone e animali, ed è terribile come all'avvicinarsi della morte sempre si ha la stessa domanda, cosa stai facendo di me? Nello sguardo del toro mai ho visto questo terrore, e non ho mai sentito compassione per un animale che muore con questa sua arroganza".

Parole chiare.

Ora, ammetto di non essere un osservatore del tutto obiettivo, ma è pur vero che agli interventi (anche non condivisibili, per carità) argomentati, pacati, documentati e profondi di Esplà ieri, o prima di Wolff, di Schiavetti, di Joselito, gli abolizionisti hanno spesso ribattuto con sciocche provocazioni quando andava bene, con fantasiose ricostruzioni o profluvio di luoghi comuni più spesso, con volgarità inaccettabili in alcuni casi.
Ultima in ordine di tempo, la ex europarlamentare italiana Monica Frassoni (*), che intervenuta ieri al Parlamento Catalano è arrivata a identificare la tauromachia con la violenza e gli abusi sulle donne.
Delle due l'una: o non conosce la corrida, e allora è legittimo dubitare sul valore e sul senso del suo intervento, o non conosce l'orrore e la tragedia delle violenze sulle donne, e allora è legittimo dubitare di molto altro.

Rimane sul tavolo, comunque, il vero cuore della discussione, il senso più profondo di questo dibattito che proprio per questo trascende i limitati confini dell'amore o dell'avversione per la corrida: l'ILP ha per fine l'abolizione di una cosa che i suoi promotori evidentemente non amano, giudicano immorale, forse non consona con la loro idea di etica contemporanea.
Idee e sensibilità del tutto legittime, se non fosse che il dispositivo di questa iniziativa di legge è l'abolizione tout court di quel qualcosa che non si ama, che per ragioni che attengono alle singole coscienze non si tollera, che non si condivide.
Si intende dunque imporre per legge una sensibilità ed un'etica precise ed inevitabilmente parziali, e quindi obbligare chiunque a riconoscersi in esse, negando e impedendo l'esercizio di altri sentimenti.
Il cuore vero della discussione è questo, ed è molto più allarmante di un semplice dibattito corrida sì corrida no.

Per chi volesse approfondire: Burladero, El Pais 1, El Pais 2, video di Esplà e Frassoni.

(nell'immagine, l'opera di Enrique Pastor che si è aggiudicata la vittoria nel concorso per carteles taurinos di Las Ventas - finalmente vedremo una bella affiche)

martedì 16 marzo 2010

Una foto (4)

PLACITA

(foto Ronda - visita alla ganaderia di Vincent Fare, giugno 2009)

domenica 14 marzo 2010

Juan Luis Rivas


E' morto qualche giorno fa, in incidente d'auto, Juan Luis Rivas, giovane picador.

Confesso serenamente di non essere né particolarmente scioccato né particolarmente scosso dalla notizia, perlomeno non più di quanto sia normale dispiacersi quando manca qualcuno che non si conosce di persona.
A chi gli chiedeva se fosse affranto dalla scomparsa di Giovanni Paolo II, il grande Diego Armando Maradona rispose che gli dispiaceva perché era morto un essere umano, nulla più.
Ecco, mi spiace che sia morto un essere umano.

Ma ricordo di aver provato, per quel ragazzo ventenne, un abbondante quarto d'ora di sincero e caloroso affetto.
Un sentimento vero, di autentica vicinanza e imprevisto legame, mi ha stretto a Juan Luis Rivas per quegli istanti magici di un caldo pomeriggio di settembre, a un mezzo migliaio di chilometri da qua.

C'era lui sul cavallo bardato quando Clavel Blanco ripeteva i suoi cinque indimenticabili assalti e, bastone della pica in mano, era lui a contenerli, a respingerli, c'era lui ad accogliere il toro storico di Maria Luisa, ad aspettarlo sulla porta della storia, per varcarla insieme.

Ecco, mi da tristezza sapere che Juan Luis Rivas non incrocerà più un Garofano Bianco.
Perlomeno non su questa terra.

(foto Ronda: Juan Luis Rivas e Clavel Blanco, una bella coppia)

mercoledì 10 marzo 2010

Visita a Prieto de la Cal

Nonostante le intemperie e le tonnellate d'acqua cadute sull'Andalusia proprio in queste ultime settimane, il coraggioso Marco Coscia non ha esitato e ha preso l'aereo direzione Siviglia, in valigia impermeabile e stivali: la visita alla mitica ganaderia di Prieto de la Cal è cosa da non depennare dall'agenda per nessuna ragione.
Ecco il suo racconto


PRIETO DE LA CAL: ECOLOGIA DELLA FIESTA

Piove su La Ruiza, la tenuta della provincia di Huelva dove pascolano i veragua di Prieto de la Cal.
Dall’inizio dell’anno piove quasi tutti i giorni, in tutta l’Andalusia, come non succedeva da anni. Molti terreni della finca posti fra il Rio Tinto ed un altro torrente, quando il temporale imperversa, si inondano. Da gennaio sono morti due tori annegati, ed una ventina di vitelli appena nati. Le madri più giovani ed inesperte, quando l’acqua sommerge i campi, li abbandonano appena partoriti.
Quando il ganadero e i vaqueros li trovano ancora vivi, li rianimano, li portano al coperto a scaldarsi e li rifocillano con il biberon. Se si riprendono, una volta rimessi nel campo accanto alla madre muoiono ugualmente di fame perché la vacca non riconosce il figlio che non ha succhiato il suo primo latte.
Gennaio e febbraio sono epoca di parto in questo allevamento ed il problema si fa serio.
Inoltre, i vari gruppi di animali non possono stare nei terreni abituali, a rischio di inondazione, e sono stati spostati in zone più sicure, ma che gli animali non riconoscono come loro.
Cercano di tornare alla loro querencia sono nervosi e di mal umore. L’umidità del terreno non gli piace, non trovano gradevole accovacciarsi su un suolo fangoso, ed anche loro patiscono i reumatismi.
La vita del campo è dura, soprattutto in questi momenti, ma Tomas Prieto de la Cal non perde l’ottimismo. Prima o poi il maltempo passerà, e La Ruiza tornerà ad essere quel paradiso incontaminato dove si allevano gli ultimi discendenti in Spagna dei mitici tori del Duca di Veragua.
Tomas ha superato altri brutti momenti, come l’incendio che due anni fa ha devastato parte della tenuta, o una tremenda cornata che gli ha inflitto una delle sue vacche, ma non per questo deflette dai suoi principi, e per esempio le femmine dell’allevamento continuano ad ostentare le loro lunghe corna intatte, e non vengono mutilate come in altri allevamenti.
Delle controverse fundas per i tori non vuole nemmeno sentirne parlare.
Per lui sono una manipolazione fraudolenta del toro bravo, che nessuna ragione economica può giustificare, i tori si sono sempre allevati così, con il minimo contatto con l’uomo, e le perdite sono fisiologiche ed inevitabili.

A La Ruiza si respira tradizione ed orgoglio di ganadero antico.
Tutto si fa secondo le antiche usanze, per conservare gelosamente le caratteristiche di un encaste unico, ultimo rappresentante della mitica Casta Vazqueña.
Tomas ha dovuto farsi carico in età giovanissima del legato paterno.
Nel 1975, quando l’attuale ganadero aveva solo 9 anni, suo padre, che aveva fondato la ganaderia (ed era riuscito ad acquistare gli ultimi esemplari di Veragua di cui si era disfatta la famiglia Domecq per dedicarsi a fabbricare i cosidetti tori artisti) morì prematuramente, lasciandola al figlio sotto la saggia e ferrea reggenza della madre, D.ña Mercedes, conosciutissima nel mondo taurino come la Marchesa.
Ancora adesso la Marchesa segue il figlio nella conduzione dell’impresa familiare, e lo accompagna dovunque per vedere combattere i tori della casa.
Ma lei dice sempre: il ganadero è lui, come per schernirsi, anche se il figlio, con un po’ di ironia, la chiama Jefa (Capa).

La prima tienta ( la prova della vacche per selezionare le future madri) per il ganadero-bambino la fece nientemeno che il Maestro Antonio Bienvenida.
Quando si dice un buon inizio.
Ed alla Ruiza le vacche si provano quando hanno tre anni, così sono più forti e possono dimostrare meglio la bravura al cavallo.
Tomas ci racconta orgoglioso che il maggiore dei suoi vari figli, che ora ha 9 anni e si chiama anche lui Tomas, già lo accompagna nelle tientas e prende correttamente nota del comportamento degli animali. Con buon criterio: quando una vacca prende sei picche scrive "promossa", quando ne prende solo quattro scrive "bocciata".
Questo dà l’idea del metodo di selezione che si pratica in questa ganaderia, e che ha prodotto meraviglie come Farolero, vincitore della corrida concorso di Zaragoza, che andò al cavallo 6 volte partendo dagli antipodi della plaza, o Aguardentero che ad Arles, sempre nella concorso, caricò il cavallo sempre da lontano, con violenza ed anche con più classe, per 4 volte, facendo ruzzolare a terra l’unità equestre per due volte, e se non ci andò di più non fu per colpa sua, ma del presidente della corrida che volle cambiare il tercio.
Una dura selezione al cavallo, dunque, esattamente il contrario di quello che fanno gli allevatori del mezzo-toro commerciale, perché è lì che si vede la bravura.
Inoltre, avendo solo 187 vacche di un encaste unico, e non potendo ricorrere ad apporti esterni per rinfrescare il sangue occorre praticare una studiata ed accorta rotazione dei maschi per evitare problemi di consanguineità che portano a degenerazioni e tare ereditarie.
Infatti, sebbene abitualmente ogni anni formi quattro lotti di meno di 50 vacche (quest’anno, per i problemi di spazio legati alle inondazioni, ne ha fatti solo tre) e pertanto i maschi riproduttori che lavorano (diciamo così...) sono solo 3 o 4 per stagione, ha a disposizione comunque ben 11 riproduttori.
Nessuno di essi è un toro graziato.
Tempo fa ce n’era uno, ci dice Tomas, ma durò poco, perché non si era mai completamente ripreso dalle ferite del combattimento, non ostante le costose cure. E come risultati, non fu né meglio né peggio degli altri.
Il ganadero ci fa capire che non crede alle virtù miracolose dell’indulto come viene attualmente praticato, più per motivi propagandistici che per reale merito. E poi i suoi tori normalmente vanno in piazze esigenti, dove l’indultite non è di casa, e raramente consentono ai toreri un atteggiamento facilmente trionfalista che propizia questo tipo di manifestazioni.
Insomma, serietà e buone pratiche, conservando e non degenerando quell’importante pezzo di storia della tauromachia che sono i tori di Veragua.
Un altro segreto dell'allevamento dei magnifici jaboneros ( tori color sapone di marsiglia, ma non mancano i neri, i pezzati, i color pesca) è l’alimentazione, al cento per cento naturale e sanissima. In tutta La Ruiza non vedrete nemmeno un sacco di mangime industriale, che ormai è normale trovare in tutti, e dico tutti, gli allevamenti di tori da corrida. I tori di Prieto de la Cal mangiano l’erba del campo, ed i mangimi naturali preparati in casa, nel mulino della finca dallo stesso ganadero con i prodotti della sua tenuta, principalmente fave ed avena, oltre l’erba. La dieta è integrata dai rami d’olivo carichi di foglie e drupe, potati e lasciati sul terreno, di cui i tori sono ghiotti. Il tronco degli olivi, dalla base fino ad una altezza di un metro e mezzo circa , mostra una corteccia curiosamente lucida e levigata: i tori li leccano per mangiare i germogli. Un regime alimentare naturale, equilibrato e sano, per cui gli animali raggiungono uno sviluppo armonico, non hanno eccessi di peso, ma hanno trapio, non cadono e non aprono la bocca dopo pochi minuti di combattimento. Per il ganadero un toro che apre la bocca durante il combattimento è un peccato mortale.

Il giro di visita fra i vari recinti è condizionato dallo stato del terreno, non si può andare ovunque si vuole perché l’acqua ed il fango non consentono nemmeno al fuoristrada di avventurarsi in certi tratti. Comunque, riusciamo a vedere da vicino ed apprezzare il toro previsto per la corrida concordo di Arles, il n. 12 Limpia Botas, nonché la corrida selezionata per S. Martin de Crau, nella quale c’è un toro nero per il quale Tomas nutre grandi aspettative.
Ci sono poi le novilladas teoricamente previste per Saragoza e Madrid, ma con l’incognita della mancanza di serietà nel rispetto della parola data da parte dell’impresa Taurodelta, che gestisce entrambe le piazze. Insomma fino all’ultimo, non si sa se andranno, e non ci sono accordi precisi in merito. Vediamo anche la novillada che come ogni anno manderà in Agosto nel vicino paese di Valverde del Camino, dove si celebra credo l’unica Feria torista di tutta l'Andalusia e dove Prieto de la Cal e Cuadri sempre fanno bella figura.
E poi vediamo i lotti della vacche, molte delle quali, e malgrado la strage degli innocenti di questi ultimi piovosi mesi, hanno a fianco il vitellino, e lo sorvegliano da vicino mentre gioca con i coetanei. Impressiona la varietà di colori: vitellino bianco e madre nera, che gioca con un altro vitellino pezzato figlio di un’altra nera, e con un nero figlio di una jabonera.
Chi lo direbbe che fra quattro anni questi piccoli e teneri batuffoli saranno dei temibili tori di mezza tonnellata capaci di seminare il panico nelle cuadrillas?
Sarannno tori generalmente duri e complicati da toreare, che daranno molto nel tercio de varas e richiederanno una lidia con molta tecnica, con molta intelligenza e con molto valore.
Questo il motivo per cui gli attuali big, che tali solo per i loro interessati propagandisti e per un pubblico mal informato (tra cui alcuni che credono pure di essere aficionados) raramente , per non dire mai, accettano di affrontarli.
Eppure, i tori di Veragua sono stati il massimo a cui potevano ambire i grandi toreri, nelle epoche d’oro della tauromachia.
Ancora negli anni ’10 del secolo XX, una corrida di Pasqua a Siviglia era “Joselito e Belmonte con Tori di Veragua” ( il paragone con i carteles attuali di mezzi tori per mezzi toreri, è desolante).

Terminata la visita al campo, ed alle antiche scuderie, entriamo nella antica casa del cortijo dove vive la famiglia, e che è uno stupendo museo taurino, con cimeli, foto ingiallite, ricordi, premi ottenuti, e sulle pareti le teste imbalsamate dei tori celebri nella storia della ganaderia.
Ultimo arrivato, ed al posto d’onore, Farolero, mentre già si sta cercando lo spazio per la testa di Aguardentero, che è ancora in lavorazione dal tassidermista.

La Marchesa madre ci mostra con orgoglio carteles incorniciati, risalenti agli anni ’50, in cui con i suoi tori si annunciavano Dominguin ed Ordoñez, che evidentemente facevano onore alla loro condizione di grandi toreri, affrontando animali di ogni ganaderia prestigiosa e di ogni encaste. Uno dei cartelloni con i due cognati della saga narrata da Hemingway ci racconta dell’unica corrida di Prieto de la Cal che passò l’Atlantico (con un lungo viaggio in nave) per essere combattuta da Luis Miguel ed Antonio nientemeno che nella secolare Plaza di Acho, in Lima, capitale del Perù. Era il 1952.
Una foto più recente, ma ancora in bianco e nero, testimonia che un giovane Ponce, agli inizi della sua carriera, ebbe l’onore di affrontare novillos usciti da La Ruiza.
Ma non volle ripetere mai più l’esperienza.
I tempi sono quelli che sono, e Tomas Prieto de la Cal ha da tempo preso atto del divorzio fra il toreo moderno ed il toro bravo, non per questo ha pensato di adattarsi ad un modo di concepire la Fiesta che non condivide. Non ha modificato i criteri di selezione dei suoi tori per compiacere alle nuove mode.
Non permette che siano gli osservatori dei toreri a scegliere i tori per una corrida.
Non usa le fundas né altri metodi ignobili di manipolazione delle aste.
Sa che comunque restano sparsi per il mondo, tra Francia e Spagna, nuclei di aficion autentica, arene che comprano i suoi tori, e toreri valorosi, anche se non famosi, che accettano di combatterli.
Come allevatore di tori di un encaste che ha fatto la Storia della Tauromachia, apporta meritoriamente il suo contributo per una Fiesta autentica, integra e giusta.
Per una ecologia della tauromachia.

Testo e foto di Marco Coscia: a questa pagina è possibile vedere un montaggio delle immagini scattate il giorno della visita a La Ruiza


* Qua la scheda su Terres de Toros.
* Prieto de la Cal ad Arles per la concorso e a Saint Martin de Crau in corrida

lunedì 8 marzo 2010

Prepararsi all'acquisto


Esce fra un paio di settimane, in tempo per presentarlo alla Feria di Arles, il primo libro dei ragazzi di Campos y Ruedos: foto, reportage dal campo, scritti, cronache, e altro ancora.

A breve altre notizie, in ogni caso acquisto obbligato.

sabato 6 marzo 2010

Appunti sul dibattito


Prevedibile la dinamica pure della seconda giornata di discussione al Parlamento Catalano: posizioni inconciliabili e scarsi tentativi di vero confronto.
Certo per onestà va registrata non solo l'apparente imperbeabilità delle due tesi, quella pro e quella anti, ma un accanmento e un livore nelle parole degli abolizionisti che non solo rendono impossibile qualsiasi tentativo di dialettica, ma pure toccano eccessi di volgarità non accettabili.
Così, i difensori della proposta di legge sull'abolizione delle corride hanno ora paragonato la tauromachia all'infibulazione, alla violenza sulle donne ed arrivando fino a compararla con l'olocausto. Segno forse di una povertà di argomenti, sicuramente di un fanatismo
Impossibile il dialogo, a questo punto, ma pure un dialogo evidentemente non può darsi: difficile credere di poter serenamente discutere ed arrivare ad una sintesi condivisa con chi parte da posizioni tenacemente fanatiche e incrediblimente abolizioniste. Incredibilmente perché, di fatto, chi è contrario alle corride (per ragioni etiche, personali, culturali, tutte assolutamente legittime s'intenda) non si limita ad esprimere il proprio dissenso, no, vuole abolirle tout court.
Davvero la questione, posta così, trascende nel campo ben più vasto della fisionomia democratica di un paese.
Dialogo impossibile dunque, e naturalmente non può essere che così: ma perché non ci siano errate interpretazioni, è giusto dire che se ognuno degli intervenuti a favore della corrida ha ribadito di riuscire a capire chi non ama la corrida e di rispettarne assolutamente la sensibilità e le idee, così al contrario gli abolizionisti semplicemente vogliono farla finita, la corrida è un'esperienza umana che questi non ritengono accettabile sul piano etico e questo è sufficiente per negarne un'identità e un futuro.

Molto apprezzati, giovedì, gli interventi di due francesi: Hervé Schiavetti, sindaco comunista della taurinissima Arles, e Francis Wolff, cattedratico della Sorbona.
Schiavetti ha ricordato lo straordinario patrimonio culturale ed ambientale che la corrida e la tauromachia hanno permesso al sud della Francia di accrescere e conservare.
Nella scia delle parole di Schiavetti, Wolff ha esordito affermando che la corrida è la fiesta del sud dell'Europa, dando così alla tauromachia una dimensione mediterranea che è in effetti quella che più le compete (ah, se in Italia non ci fossimo ancora una volta smarcati...).
Con il ricorso ad argomenti solidi e lucidi circa il rapporto che l'uomo deve instaurare con le differenti categorie di animali con le quali ha a che fare (animali da compagnia, domestici o selvatici), Wolff ha chiosato affermando che la corrida non è una tortura, anzi è l'occasione che l'uomo da al toro per combattere ed esprimere la sua più ancestrale natura.
E pure che se del tutto legittime sono le sensibilità di chi non ama le corse dei tori, arrivare all'idea di imporre il pensiero di una parte abolendo quindi le corride significa attraversare il confine che divide libera espressione delle proprie idee e negazione di quelle altrui, da una parte c'è la democrazia, dall'altra non più.

Chi ha voglia può andarsi a leggere il resoconto di quella giornata.
Che ha suscitato naturalmente reazioni diverse, politiche anche, ed inverventi spesso qualificati sulla stampa nazionale.
Lo stesso Wolff ad esempio, in un mano a mano con il collega filosofo Victor Gomez Pin, approfondisce in questo articolo la prospettiva e le giustificazioni dell'abolizione.
Lucido e impeccabile Antonio Lorca sempre sul Pais: la fiesta deve trovare in sé la forza di giustificarsi e difendersi, e quindi i ganaderos tornino ad allevare toros bravos e non animalucci collaboratori, gli impresari devono creare aficion e non annichilirla, i toreri devono pensare meno agli interessi personali accettando ed anzi imponendo corride vuote e ingiustificabili.

Puer le risposte politiche non sono mancate: di immediato e non casuale contrappunto a Barcellona, Madrid si è affrettata a dichiarare la fiesta Bene di Interesse Culturale, di fatto blindandola da ipotetici futuri attacchi abolizionisti. Valencia e Murcia seguiranno a ruota, e se questo è l'esito del dibattito catalano beh quello degli abolizionisti sarà un capolavoro da ricordare.

Nel bel mezzo di questo lacerante e critico dibattito, sia nella società che nelle istituzioni, un portale specializzato lancia a nove colonne: Temporadon en la Monumental.
Buona notizia, nonostante il clima pesante l'imrpesa di Barcellona ha deciso di tenere la testa alta e di programmare la sua stagione.
Perfetto.
Poi vai a vedere meglio, e leggi che la stagione alla Monumental inizierà con una corrida di Jesulin, El Cordobes e El Fandi.
Roba da Novella 2000.

Ma allora vi meritate di non vederne davvero più di corride a Barcellona.

(foto Ronda - Ceret, francese e catalana)

venerdì 5 marzo 2010

Barcellona sul Corriere di oggi




L'affaire catalano finisce sul Corriere della Sera di oggi: a voi di giudicare il taglio dell'articolo, che sembra stato confezionato dal giornalista sulla sola base dei comunicati della Peta o di qualche alleanza anticorrida recapitatigli sulla scrivania.
La signora Rosaspina si confonde: a me personalmente, e sarei pronto a giurare che sia così anche per parecchi altri aficionados se non addirittura tutti, "l'apparizione delle armi" del torero non provoca nessuna forma di eccitazione.

Domani daremo conto della seconda sessione di dibattito andata in scena ieri a Barcellona, durante la quale Francis Wolff e il sindaco di Arles Schiavetti hanno argomentato con serietà in favore della difesa della corrida.

(si clicca per leggere meglio - grazie a Michele di Cremona per la segnalazione)

mercoledì 3 marzo 2010

Ripreso il dibattito


A Barcellona riprende l'iter parlamentare della ILP, la proposta di legge che ha per fine l'abolizione delle corride in Catalogna.
Notizie sullo svolgimento del dibattito, al quale hanno preso parte personalità diverse, arrivano da El Pais, El Mundo e ABC.

(disegno di Eddie Pons)

martedì 2 marzo 2010

Comunicazione interna




A Saint Martin de Crau: sabato 24 aprile novillada di Tardieu, Gallon e Yonnet, domenica 25 corrida di Prieto de la Cal.

Sabato 24 al mattino è in programma una tienta da Alain Tardieu.