(che non è una dichiarazione, beh insomma per certi versi anche sì e comunque lei capirà, e anche qualcun altro che era là in settembre)
martedì 24 maggio 2011
Per Marzia
(che non è una dichiarazione, beh insomma per certi versi anche sì e comunque lei capirà, e anche qualcun altro che era là in settembre)
sabato 8 gennaio 2011
Tomasito e Aranjuez
Domenica 12 settembre Tomasito ha dedicato il secondo noviglio della mattinata all'orchestra dell'arena.
L'orchestra dell'arena, poco dopo, ha attaccato il Concierto de Aranjuez (1).
Io c'ero.
E quindi non fatemi più sentire quella musica, venite a prendere i miei dischi e portateli via.
Non fatemela più ascoltare.
Suonatela al mio funerale.
Non fatemi vedere il filmato di quel concerto, cosa volete che mi interessi oggi.
Quel concerto in quell'anfiteatro.
Quel concerto in quell'anfiteatro, con la luce di quel sole di settembre.
Quel concerto in quell'anfiteatro, con la luce di quel sole di settembre, e con quel giovane uomo là al centro, a combattere un toro.
Ispirato da quelle note, fuso a quelle note, il suo braccio ad aspirare la cariche del toro ed insieme a farsi guida e metro per la musica.
Non ricordatemi quella musica.
Una melodia straordinaria, un crescendo drammatico ed epico, uno spartito inadatto ad una plaza de toros eppure così giusto per Tomasito, quella mattina.
Quella musica che ti scatena i brividi giù per la schiena e ti bagna di lacrime gli occhi.
Non parlatemene più.
Non parlatemi più di come toreava per sé Tomasito, solo per sé, ipnotizzato lui anche da quegli istanti di sublime perfezione.
Non riesci a descrivere il mistero di un uomo che torea per sé, in mezzo a migliaia di altri uomini.
C'è dentro tutto il segreto della corrida.
Toreava per sé, Tomasito.
E forse non si è accorto che sui gradini dell'arena il tempo intanto si era fermato, eravamo fuori dal tempo, da qualsiasi tempo.
Contava solo il pulsare sinuoso degli ottoni là in alto, e quel ragazzo dritto, là al centro, sempre dritto, dritto a ritmare e imporre dei naturales a quel toro.
Non evocate più il ricordo di Tomasito e il Concierto de Aranjuez.
Quel suo toreo ieratico, quel suo volto eternamente triste e preparato alla ineluttabile tragedia.
L'orchestra dell'arena suonava il Concierto de Aranjuez e Tomasito lo reinterpretava, gli dava una nuova dimensione drammatica e lo trasformava una volta per sempre, offrendo la muleta a quel toro, lasciandosi guidare da quelle note, respirando al ritmo dello sfiato delle trombe.
Domenica 12 settembre ad Arles l'uomo è stato grande.
Domenica 12 settembre il Concierto de Aranjuez è diventato qualcos'altro, qualcosa di più.
Perché la corrida è arte.
Perché la corrida è una cosa grande.
L'ho visto con i miei occhi, l'ho sentito sulla pelle e nelle vene un giorno, una mattina di settembre.
L'ho visto una volta, e basta a valere per tutta una vita.
Non parlatemene più, il solo ricordo già mi riempie e strugge.
(foto Ronda, Tomasito quella mattina)
(1) Il Concierto de Aranjuez, dice Wikipedia, "è probabilmente l'opera più nota di Joaquín Rodrigo, uno dei compositori spagnoli più famosi del primo dopoguerra. Scritto all'inizio del 1939Parigi, in un'atmosfera tesa per le ultime vicissitudini della guerra civile spagnola e per l'imminente seconda guerra mondiale, costituisce la prima opera scritta da Rodrigo per chitarra e orchestra. La strumentazione è unica, dal momento che è raro trovare una chitarra solista che si confronta con il suono prodotto da un'intera orchestra. Ciò nonostante, la chitarra non viene mai coperta, pur rimanendo l'unico strumento solista per l'intera esecuzione".
Al di là di quello che dice Wikipedia, il Concierto de Aranjuez è un'opera d'arte altissima: con essa si sono misurati Paco de Lucia, Miles Davis e Fabrizio de André, le migliori orchestre, i migliori tenori, le migliori chitarre.
giovedì 8 aprile 2010
Tomasito
Diciamo la verità, Tomasito è francamente brutto.
A vederlo girare per le strade di Arles nei giorni della feria, indugiare sulla scalinata dell'arena facendo sfuggenti cenni di saluto con il capo, passeggiare da solo (l'ho sempre incrociato da solo, per quattro giorni) tra le due piazze con le spalle sempre un pò depresse, ecco, sinceramente, il primo pensiero non è esattamente quello di aver incrociato un divo di Hollywood.
C'è qualcosa di triste nella linea degli occhi, qualcosa di triste e dimesso, una piega dello sguardo che tira verso il malinconico.
Ha la faccia di un ciclista d'altri tempi, un pò allampanato e disorientato, aduso a fatiche e ingratitudini.
Sarebbe stato bene in qualche tavola delle Triplettes de Belleville.
Non avevamo mai visto Tomasito, al secolo Thomas Joubert, in abito di luci.
Bene, tanto il cappotto grigio e le scarpe di vernice che sfoggiava, in civile nei giorni di feria, non gli si addicono e ne guastano la già mesta figura, tanto il vestito d'oro gli calza a pennello, ne trasforma il portamento, ne irrigidisce la mascella, e fa profondo e sicuro lo sguardo.
Novillada di Blohorn per Patrick Oliver, Thomas Joubert e Juan del Alamo, sabato mattina.
Nuvoloni, freddo, e poca gente sui gradini.
I novigli, fatta eccezione per un primo troppo debole, hanno fatto onore alla divisa: seri nella presentazione, di gioco ineguale ma dal carattere pronunciato ed anche aspro, il terzo e soprattutto il secondo (vuelta) i migliori del lotto.
Una buona corsa nel complesso, con un sestesso che ha portato in pista personalità ed emozione.
Ammirevole la disposizione dei tre ragazzi, che hanno brillato alla capa, non si sono risparmiati nei quites e alla muleta hanno cercato la sintesi tra fantasia ed efficacia: non del tutto convincente però l'esibizione di Del Alamo, probabilmente il più atteso dopo i successi in questa stessa arena dell'anno scorso. Il ragazzo ha una faccia da torero, gesti da torero, condotta da torero, come raramente se ne vedono. Ma non sempre è sufficiente: e con il terzo (orecchia protestata), dopo un paio di serie buone a destra e una ottima a sinistra, si è afflosciato come gli fossero mancati improvvisamente polsi e pensieri.
Ecco, poi Tomasito.
Che riceve Ono, il secondo della mattinata, con le spalle al toril.
La capa vola, si alza, si piega, diventa chicuelina, poi ritorna veronica, si avviluppa, si attorciglia, e Ono sempre dentro, dentro senza strapparne un solo lembo, e appena si trova fuori, uno scatto ed è ancora dentro.
Ha stile, Tomasito.
E con la muleta in mano è tutto quello che non è nelle stradine della sua città: dritto, verticale, piedi piantati per terra, suadente e fermo, sguardo risoluto.
Elegante.
La tristezza nello sguardo si trasforma in impressione di gracilità, ma i movimenti sono di grazia e rotondi, di grazia e plastici, di grazia e sicuri.
Elegante e fragile.
Ono è dedicato alla memoria di Francis Espejo, figura dell'aficion arlesiana che aveva fatto molto per tutti i giovani allievi della scuola taurina, e recentemente scomparsa.
E Ono è toreato tenendo insieme i crisantemi del brindis e le primule di stagione, un bouquet di drammaticità e ispirazione offerto al toro, al pubblico, al cielo.
E poi di nuovo la muleta in cui metterà le corna Dabou (lopecina per lui dopo due buoni assalti al cavallo), per un'altra faena ricercata e fiorita.
Ha stile, Tomasito.
La tenacia di un vecchio passista e il coraggio di un esuberante scalatore.
Lo stile di un annoiato e malinconico flaneur per le strade, di uno ieratico e ispirato torero nell'arena.
Che si mantenga così.
(foto Ronda - Tomasito ad Arles, il sabato mattina)