Alla Feria di San Miguel 2009, due corride che sono la prima un viaggio negli abissi in cui rischia di finire la tauromachia, la seconda una ostinata e orgogliosa risalita fino a ritrovare la luce.
Sabato corrida devastante di Parladé: sei tori su sei fischiati all'uscita è un bel record al quale francamente non mi ricordavo di aver mai assistito.
Sei tori fatti con lo stampino: piccoli, appena sufficientemente armati, difficilmente dando l'impressione di forza e brutalità, anche agli appassionati meglio disposti.
Al morale, ancora un altro calco: a piccoli passi nel cavallo, ne uscivano presto subito infastiditi dal ferro, passeggiando disorientati per la pista a cercare alternative al combattimento.
L'ultimo atto, infine, di una vuotezza deprimente: non hanno preso delle gran picche, ci dicevamo, almeno che alla muleta abbiano un pò di motore.
Niente, vuoti, incapaci di attaccare. Fermi. Tra i due o tre peggiori sestetti mai visti.
Bel colpo.
Morante e Castella in una sfida a due (El Cid, previsto all'appuntamento, indisponibile causa precedente cornata) hanno con questo materiale potuto poco (la formula di rito per una volta ha qualche senso), ma è pur vero che soprattutto il primo non era, per usare un delicato eufemismo, in giornata.
Oggetto di un culto tutto pagano alla Maestranza, un Morante gonfio, col viso tirato e i movimenti rallentati, sabato scorso è parso disorientato, svuotato di iniziativa, ansioso di tornare a casa presto e sistemarsi in poltrona, sigaro e cognac.
I tentativi di veroniche al quinto toro, culo fuori, ginocchia semipiegate, toro a 3 metri, imbarazzanti. Qualche bel dettaglio, qua e là, ma come dire che perdere 4-0 un derby è comunquee cosa buona se un paio di colpi di tacco li hai fatti.
Castella ha avuto il merito di andare a vedere se dentro quelle carcasse con le corna ci fosse almeno un'ombra di sostanza, al quarto ha ascoltato brevemente la musica provocando un paio di cariche da lontano, al sesto ha instrumentato un buon lavoro con la capa e all'ultima faena del pomeriggio ha finalmente scaldato le gradinate: passo cambiato (alla moviola, che altro non si poteva fare), poi alcune serie di gusto cesellate al centro dell'arena, sempre attento a non abbassare troppo la muleta.
Un'orecchia probabilmente eccessiva, ma che interpretiamo come gesto di cortesia del presidente a premiare la resistenza e la tenacia dei 12.000 presenti.
Una corrida buona per la parodia di Las Vegas, un insulto alla storia e al prestigio della Real Maestranza, indegna di correre su quella sabbia.
Cosa che ci ha colpito e davvero rattristato, il lavoro dei picadores una fastidiosa formalità da sbrigare velocemente, di cui liberarsi presto, una incomprensibile eredità di un passato arcaico.
La Maestranza vestita a festa, sublime ed unica, finita in una grottesca mascherata.
Cose che fanno male, anche.
Domenica, che grande soddisfazione, che grande sollievo, il repentino viaggio di ritorno dal Nevada alla Spagna dei tori, all'Andalusia della tradizione secolare, alla corrida.
La Real Maestranza di Siviglia ha (ri)visto la luce, e quel giorno il suo abito rifinito d'oro ha potuto tornare a brillare, lucente e seducente.
Hanno corso gli Alcurrucen: non quelli di Cenicientos, certamente, ma comunque una dignitosa e interessante corrida di tori, alcuni esemplari sfoggiando una casta non scontata in corride per figuras ed altri una nobleza di quella buona.
Il quarto ha lasciato un'orecchia a Ferrera, se fosse per me le avrei tagliate tutte e due ma al torero: che lasciarsi scappare un toro così, con un corno destro da sogno e di una nobiltà per una volta piena e vera, dedicandosi ad una faena meccanica e isterica, è crimine da punire severamente.
Applausi convinti anche al terzo, Barberito, che arrivato alla muleta con carica e benzina ha dato vita insieme ad un ispirato Daniel Luque ad una faena vibrante, completa, rotonda.
Diciannove anni e non sentirli: Luque in dieci minuti di autorevolezza e sentimento ha regalato ai presenti brividi ed eccitazione; passaggi statuari, serie profonde, fioriture di gusto sivigliano e un paio di trincherazos sontuosi ad imporre la propria legge.
Le gradinate eccitate, elettriche, gente in piedi: due orecchie, niente da dire.
Talavante non pervenuto.
Da applausi tre Alcurrucen, non dei carroarmati nel cavallo ma comunque con forza e sfumature di bravura negli assalti, con una carrozzeria degna di una piazza come Siviglia, e con qualità (e difetti) di una buona corrida di tori.
Peccato per quel sesto, un manso folle e impossibile, che ha guastato la chiusura della corsa e troncato sul nascere le velleità di successo del giovane Luque.
Il vestito della domenica, questa volta, si addiceva al pomeriggio vissuto dalla Maestranza.
Che, già sola, è uno spettacolo enorme e che, con tori e toreri degni di portare questi nomi a sfidarsi sulla sua sabbia ocra, è luogo atemporale e magico.
Di indescrivibile bellezza e fascino.
(foto Ronda - Luque con Alcala, il sesto; giochino idiota con lo zoom e un tempo lungo, ma da riprovare qualche altra volta)
mercoledì 30 settembre 2009
Siviglia - Las Vegas e ritorno
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1 commento:
Ya lo dijo Pepe Moros
uno que trafica en cueros
si hay toros no hay toreros
y si hay toreros no hay toros
Saluti
Marco
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