C'è un pò di Civilon in questa storia, e chi si ricorda di Civilon sa cosa intendo, in questa che è una di quelle storie che solo la Spagna sa creare e vivere e celebrare, la Spagna che ancora resiste nella terra dei pueblos, delle feste pagane con le mille lucine, delle strade polverose, delle tapitas e delle madonne vergini.
Del toro, la Spagna del toro.
Capitan è appunto un toro, allevamento Santos Zapateria nel nord del paese, che a due anni e rotti pasce l'erba fresca dei campi e riposa negli stalli in attesa di andare a esibirsi nei paesi della zona il giorno del patrono, quando i tori vengono liberati per le strade e i giovani li sfidano sotto gli occhi delle ragazze, i giovani in calore che scartano, fintano, mimano passi con la capa, spesso scappano, tutto per conquistare la bionda che è lì ad ammirarli e emette gridolini ormonali e di eccitata paura.
José Luis Pejenaute è invece un canuto signore, abita vicino a Santos Zapateria, è aficionado e soprattutto ha una venerazione per il campo: appena può si reca in quell'allevamento, dove passa ore ed ore a studiare i tori, immaginarseli, ammirarli.
I due si incontrano lì.
L'uomo sta offrendo un giorno qualche mela a un paio di vacche e l'animale lo vede e gli molla un colpo.
José Luis cade e il sangue si gela, d'altronde ha di fronte un toro bravo, eppure non fugge: tasta con la mano per terra e trova una mela, che porge alla bestia.
Capitan la addenta, la mastica, se ne va.
I due si rivedono, spesso, sempre più spesso, e José Luis raggiunge Capitan e si ferma lì con lui, gli parla mentre si riempe gli occhi del verde del campo e le narici dei profumi del campo, di quel campo che per José Luis è paradiso.
José Luis parla a Capitan e Capitan è lì vicino a lui.
Viene la stagione delle feste di paese e Capitan parte sul camion per andare a correre dietro ai ragazzi, sfiorarli con le corna, seguirli fino alle transenne qualche volta mandandoli all'ospedale, e poi ancora e ancora.
José Luis decide un giorno di andare anche lui, di andare a vedere quel toro che gli ha fatto compagnia là nella pace della campagna.
Liberano Capitan, e le stradine del villaggio si svuotano dei pavidi e si riempiono dei coraggiosi: stuzzicano il toro, lo sfidano, gli corrono attorno sempre più vicino, poi subito si spostano, devìano, scappano. Le recinzioni tremano quando i ragazzotti arrivano di corsa e si appoggiano e le scavalcano, si riparano, si appendono ai balconi per poi uscire di nuovo a sfidare il toro. Capitan attacca, testa bassa, ogni cosa che entri nel suo raggio. Qualcuno ne fa le spese, il toro distribuisce brividi e cornate.
Una scena come se ne vedono migliaia ogni anno nei paesini della Spagna del toro.
Finché José Luis non decide di fermare Capitan.
Come se non fossero lì, dove la banda suona e le donne agitano ventagli e i bambini succhiano limonate, dove le ragazzine ammiccano e i ragazzotti sbevazzano, dove gli uomini fumano il sigaro del giorno di festa.
Come se non fossero lì ma all'ombra di una quercia, con l'erba fresca sotto ai piedi e la linea dell'orizzonte lontana, là, dove le colline toccano il cielo e il cielo scende a toccare le colline.
José Luis attraversa le transenne e arriva in mezzo con il passo lento dell'asceta, mentre attorno la gente schizza via come birilli.
Capitan, Capitan, oye Capitan. Quieto, Capitan. Venga.
E il toro sente quella voce, si ferma e va incontro all'uomo.
I due si riconoscono, il toro vicino all'uomo si placa, ma poi subito si lancia e attacca un ragazzetto che si era avvicinato, incredulo.
Venga, Capitan, quieto, Capitan.
Di nuovo quella voce e di nuovo quei muscoli e quelle corna si fermano, Capitan ricorda quei pomeriggi e quel sole caldo, là tra i recinti dell'allevamento, e José Luis lo sfiora, gli sussurra altre parole all'orecchio, lo tiene vicino a sé.
L'uomo torna dietro le protezioni, si ritira, e il toro riprende a menare fendenti, a caricare testa bassa, a inseguire chiunque entri nel suo campo visivo.
José Luis accompagna Capitan una volta ancora, e poi un'altra, e poi sempre, e ormai tutti li aspettano, per gridare prima di paura alle cariche del toro e sospirare poi di incredulità quando i due si ricongiungono.
Un giorno in un paesino sperduto chissà dove la gente che si stipava contro le recinzioni era particolarmente euforica, chissà forse l'alcool, forse il sole, forse una religiosità straripante.
La gente era tutta lì attorno e rideva, gridava, cantava, eccitata. José Luis ha parlato al toro, ma c'era troppa confusione, e José Luis si è distratto e Capitan anche, non si è ricordato o invece sì si è ricordato di tutto quello che ha nelle vene da secoli e millenni, e ha attaccato José Luis, lo ha spinto a terra e poi esploso in aria, e poi ancora e ancora.
Adesso sì che tutti si sono taciuti, lì attorno. José Luis era a terra e poi sollevato da quattro braccia amiche è stato portato di corsa in infermeria, e intanto Capitan là fuori ricordava a sé e a tutti che era lì per la sua bravura, e tutti inseguiva e costringeva a ripararsi dietro alle sbarre di ferro, e quando è stato il momento di rientrarlo, Capitan non ne voleva sapere e continuava ad attaccare tutto.
Finché José Luis si è ripreso e allora ha sentito cosa succedeva là fuori, e ha capito.
E' uscito dall'infermeria, malconcio e claudicante, e si è avvicinato al toro.
Ora non fiatava più nessuno.
Il toro era lì fermo, in mezzo alla piazzetta, gli occhi duri, i muscoli tesi.
José Luis si è avvicinato e gli ha detto, calmo, vamos a casa.
I due si sono affiancati e hanno cominciato a camminare così, l'uno accanto all'altro, sereni, e sono tornati a casa.
(questa foto fa parte della straordinaria collezione di Albert de Juan, che potete trovare a questa pagina di Flickr)
mercoledì 9 marzo 2011
Capitan e José Luis
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