Devono aver cambiato innaffiatoio, nel giardino di Maria Luisa: o forse non c'è stata l'aria giusta, il concime non era quello buono, o anzi no, nel deserto non crescono fiori.
Il garofano rosa era spuntato, sì, e avederlo così era pure armonioso ed elegante: ma sotto ai petali non aveva più niente in comune con quell'altro suo cugino, che in settembre venne a fiorire da queste parti.
Un garofano rosa senza profumo, senza luce, senza bellezza.
Clavel Blanco rimane ancora il più grande, l'unico, il migliore.
La corrida concorso di Arles è stato un triste deserto, un sahara di poche e rare emozioni: nelle lunghe e buie sere di inverno avevamo sognato di fiumi di casta, di praterie che quei tori avrebbero bruciato correndo al cavallo, di combattimenti elettrici e in apnea.
Sotto le luci dei riflettori, con un cielo plumbeo e basso a fare da orizzonte, lo scenario è stato invece quello di una landa desolata e arida, prosciugata dalla siccità, solcata da crepe nella terra incolta, silenziosa e spopolata.
La Quinta, Prieto de la Cal, Samuel Flores, Perez de Vargas, Dolores Aguirre, Flor de Jara: a leggerla così, sembrava la formazione dei globetrotter della bravura, le all-star della corrida, la nazionale delle ganaderias.
A fine corrida quei sei sembrano invece i nomi di altrettante città fantasma, a punteggiare la cartina di una qualche regione abbandonata dagli uomini e da dio, da qualche parte tra l'Arizona e il Messico.
E pure non era iniziata male.
Botella, La Quinta di bella presentazione, al primo assalto aveva rovesciato a terra cavallo e cavaliere. Gliela faranno pagare.
Dopo di lui Limpia Botas, il magnifico jabonero sucio di Prieto de la Cal, entrava come una cannonata, un'esplosione di bravura e fierezza animale, una potenza della natura in grado di entusiasmare gli aficionados presenti che gli tributavano una lunga e roboante ovazione all'ingresso. Fatto questo sufficiente a convincere Valverde e la sua squadra a fare di tutto per sprecare e annichilire quella foga, mortificare quella carica, distruggere quelle scintille di casta e bravura.
Che pena.
Un Samuel Flores con una tendenza marcata e smaccata a ritornare al toril da buon manso querencioso, e che pure al cavallo dopo mille esitazioni dimostrerà forza e barlumi di casta, spingendo il cavallo fino alla barrera per tre volte; un Maria Luisa deprimente per mancanza di tutto quello che dovrebbe essere un toro da corrida, corna e muscoli a parte; e un Dolores Aguirre massacrato alla picca, inevitabilmente stravolto e stremato dal secondo atto in poi.
Per ultimo Matorrito di Flor de Jara, come recitava il sorteo un meraviglioso "cardeno claro coletero": probabilmente il migliore della serata anche perché capitato nelle mani meno sciagurate.
Tre entrate al cavallo con slancio e ostinazione, bene, e un corno destro affilato e preciso. Domingo Navarro, vestito d'argento, rimarrà appeso a quel corno per pochi ma interminabili secondi, e Luis Bolivar, vestito d'oro, si prenderà quel corno su una spalla, entrambi senza conseguenze.
Matorrito alle banderiglie, con ancora motore e convinzione nei propri mezzi, metterà a dura prova la cuadrilla di Bolivar, costretta a rifugiarsi in una pessima conduzione degli affari. E lo stesso Bolivar se lo terrà ben lontano con la muleta, costruendo una faena tutta a sinistra (con anche qualche bel passo, profondo e intenso) dopo essere stato colpito a destra.
Sei tori magnifici di presentazione, sei intepretazioni diverse della bellezza e maestosità del toro da corrida.
Ma alla prova del combattimento, nessuno aveva nemmeno l'ombra della classe altezzosa o della deflagrante potenza dei due protagonisti della concorso di settembre, o perlomeno è così per quanto ci è stato concesso di vedere.
Infatti non sono mancati solo i tori.
Anzi.
Gli uomini soprattutto avevano il diapason sbagliato per una corrida di questo tipo, e il solo Bolivar ha provato a tratti ad accordare gli strumenti alla partitura.
Uceda Leal si è sbarazzato presto dei suoi due opponenti, ma invero non è sembrato applicarsi molto per comprenderli.
Di Bolivar, pur se il colombiano è stato piuttosto volgare con Garceto di Samuel Flores, i migliori gesti del pomeriggio: e in particolare la messa in suerte del Prieto de la Cal alla terza entrata, finalmente una picca presa da lontano come Limpia Botas chiedeva.
Javier Valverde bocciato. Imperdonabile con il Prieto de la Cal, soffocato in tre picche prese da poca distanza, e poi depresso in una faena condotta con nessuna scienza, nessuna applicazione, nessuna sintonia.
Deserto il premio al miglior toro, deserto il premio al miglior picador nonostante Luis Maria Leiro che si era occupato di Garceto di Samuel Flores fosse uscito tra gli applausi.
Deserto.
(foto Ronda - Botella di La Quinta e Uceda Leal)
mercoledì 14 aprile 2010
Deserto
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