Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo contributo, il cui autore risponde al nome di Amadeo Riva Castaneda, aficionado di Milano.
Facciamo nostre le sollecitazioni contenute nel testo e l'invito alla difesa della nostra amata fiesta brava.
ALCUNE RAGIONI PER DIFENDERE LA NOSTRA AFICION ALLE CORRIDE DI TORI
Di anno in anno aumenta il numero di stranieri provenienti da paesi senza tradizione taurina che,visitando la Spagna, si interessano alla corrida: e fra questi tanti italiani. Chi li osserva dall’esterno, può giustamente domandarsi: come è possibile che in Italia persone di buon livello culturale accettino senza incertezze la messa a morte di un animale e che spendano fior di denari per presenziare a uno spettacolo così sanguinario? Ciò è moralmente accettabile? E poi,dal punto di vista etico, è difendibile l’idea che il matador, per concludere il suo lavoro, metta a repentaglio la propria vita?
I moralisti, nei secoli scorsi, hanno sempre condannato lo spettacolo taurino perché l’uomo non deve abbassarsi al livello della bestia.”Oggi” , scrive il filosofo francese Francis Wolff, “la critica si è invertita: il combattimento dell’uomo, degrada l’animale. Le condanne della corrida si fanno in nome del rispetto dovuto agli animali, non agli esseri umani”. Gli animalisti aumentano, di giorno in giorno, la loro influenza sull’opinione pubblica occidentale. Costoro, invero, non hanno bisogno di sforzarsi più di tanto: tutti siamo testimoni di come gli animali siano maltrattati e mercificati: basta vedere in quali condizioni vengono allevati polli e maiali per il consumo umano.
Ma in omaggio al nuovo principio, secondo il quale gli animali sono portatori di diritti, gli animalisti fanno di ogni erba un fascio: nei loro discorsi mettono insieme la caccia, la vivisezione, gli allevamenti industriali e la corrida, non distinguendo, per esempio, fra le condizioni di vita dei maiali (terribili) con quelle dei tori da lidia (le migliori possibili), fra la morte dei tori nell’arena e quella anonima e toccante dei vitelli nei macelli e dimenticando che sebbene un animale non sia una cosa non è nemmeno l’Animale totemico con la A maiuscola, e che non può essere paragonato all’ uomo.
Il toro da combattimento non è una cosa, non è simile all’Uomo e non è, neppure, la vittima passiva degli uomini: il toro è un essere dotato di una singolare personalità, che deve essere affrontato dall’uomo con il rispetto dovuto alle sue peculiari caratteristiche.
Per giudicare serenamente la corrida di tori basterebbe sottoporla al vaglio di due semplici norme morali: subordinare il rispetto dovuto a certi animali (come i tori) a quello dovuto agli uomini e adeguare la nostra condotta alla considerazione che dobbiamo alla loro natura intrinseca .
“La corrida”, sottolinea il professore Wolff, “non solo rispetta questi principi, li concentra”.
Chi osserva il fenomeno (in verità anacronistico) della corrida si pone però un’altra domanda: che senso ha, nel ventunesimo secolo, affrontare un toro per ammazzarlo?Perché un giovane decide di dedicarsi professionalmente a questo strano mestiere? La risposta è questa: i giovani, a differenza dei vecchi, tendono a voler affrontare le situazioni di pericolo nonostante la naturale paura cercando di sovrastarla, rassicurando se stessi e ostentando, se possibile, serenità davanti ai loro amici (nonostante i potenziali imprevisti:la cornata, le ferite, la morte…). Fra questi, i ragazzi che decidono di farsi toreri professionali lo fanno non solo per attirare l’ammirazione di tutti ma anche per conquistare la gloria e (giustamente) la ricchezza.
Ma c’è una ragione ancora più profonda per ammazzare, davanti a un pubblico pagante, un animale: il giovane torero, per consolidare il suo carattere, deve vincere in qualche modo le proprie ansie e, per fare ciò, sfida l’animale più bello e potente che ci sia, il toro da combattimento. “Tu che sei così forte, ammazzami, se puoi!…e visto che non puoi (perché io sono più intelligente di te), sono io che ti ammazzo!”.
E dopo la stoccata mortale, il matador, per un istante, si sente un essere onnipotente...
Ma la corrida non è solo lotta mortale o agonismo come lo fu fino ai primissimi anni deNovecento. Con Juan Belmonte, il rivoluzionario, il toreo (inteso come l’azione che intraprende il lidiador per ingannare, con una cappa o una muleta, il toro) cambia radicalmente. Belmonte non si sposta quando arriva la bestia, come erano soliti fare tutti i toreri fino ad allora, ma inchioda le scarpette nella arena e con un gesto elegante delle braccia fa girare il toro intorno a sé due, tre, quattro, cinque volte. Ed è proprio in quei momenti che il toreo diviene in arte, parola che per definizione significa dare forma umana alla materia grezza (nel caso del torero fornire un senso estetico ai propri movimenti nell’affrontare la carica cieca, istintiva, grezza del toro…).
Attenzione però a un particolare sostanziale: quando dico toro, intendo un animale integro, non sottoposto cioè (come purtroppo succede) a particolari manipolazioni di tipo genetico, farmacologico o meccanico, leggasi, in quest’ultimo caso, le operazioni per l’afeitado (taglio o adeguamento) delle corna.
In questi anni lo spettacolo che ci appassiona è minacciato non solo dalla moderna sensibilità sociale e dalle campagne ideologiche promosse da diversi gruppi politici e dagli animalisti, ma lo è soprattutto dalla miope gestione della fiesta brava da parte di impresari vecchi che conducono i loro affari con metodi ormai obsoleti, interessati soltanto al guadagno; da personaggi provenienti da altre attività che con i loro soldi acquistano partite di vacche e sementales da un famoso allevatore dei cosiddetti tori artisti (cioè docili, miti) per diventare , da un giorno all’altro, ganaderos e potersi pavoneggiare davanti ai loro amici e conoscenti, e da apoderados che consigliano i loro toreri di affrontare esclusivamente i tori di garanzia (leggasi tori non particolarmente resistenti né aggressivi).
Ovviamente in queste condizioni le faenas tendono ad assomigliarsi tutte e a produrre negli spettatori un senso di noia, di spettacolo déjà vu. Il torero che non commuove, che non emoziona rischia di tediare il pubblico.
Se, a questo andazzo, aggiungiamo gli effetti della crisi economica che ha colpito particolarmente la Spagna, già lacerata a causa delle polemiche politiche sul divieto di presentare spettacoli taurini in regioni importantissime come la Catalogna, si capisce perché tanta gente abbia voltato le spalle alle arene e perché lo scorso anno sia diminuito il numero di corride in tutto il paese.
In queste (deprimenti) circostanze, è necessario che gli aficionados ( persone che vivono per la corrida pagando il biglietto, come noi) reagiscano e diventino sempre più esigenti con i "taurini" (i professionisti, coloro che vivono della corrida) per costringerli a restituire alla fiesta brava l’emozione che provoca una faena artistica sì, ma realizzata nei confronti di un toro in possesso di tutti i suoi attributi.
Il torero che effettua movimenti sopraffini davanti a un animale debole (o indebolito…) esegue, caso mai, l’arte della Danza non l’arte del Toreo: il futuro della fiesta brava potrebbe, in questo caso, essere a rischio.
Incalzare, quindi, i taurini é l’ impegno che dovrebbero accollarsi, gli appassionati spagnoli, francesi, messicani, peruviani, italiani, in somma tutti gli appassionati in difesa della loro aficiòn (come ci ha suggerito di fare il Premio Nobel 2010 della Letteratura il saggista e romanziere peruviano Mario Vargas Llosa).
Nel nostro piccolo, diamoci da fare per dare il nostro contributo alla sopravvivenza di questo spettacolo di coraggio, di bellezza e (si spera) di verità.
Amadeo Riva Castaneda
(foto Ronda - Ceret)
3 commenti:
Concordo pienamente, gli "aficionados" sono gli unici che hanno interesse ad uno spettacolo integro, e devono esigerlo. Se invece si adagiano nel conformismo perchè "el que se mueve no sale en la foto", diventano dei collaborazionisti di coloro che sfruttano la Fiesta per i loro interessi e contribuiscono alla sua rovina.
Saluti.
Marco
la photo est très belle Ciccio.
il 9
Muchas gracias, Remigio.
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