domenica 22 aprile 2012

E poi ti rompono le palle se vai all'arena



Erano i primi anni 80 e mio papà mi portò a San Siro, per Milan- Pisa. Potete immaginare l'emozione e la magia che, a me ragazzino di provincia, provocava la domenica milanese: l'autostrada fino là, il parcheggio, i tifosi che si agglutinavano nel piazzale, lo stadio enorme, i cori, tutto.
A fine partita siamo scappati in macchina, io nascosto sotto il sedile, nel bel mezzo di una sassaiola terrificante tra le tifoserie. Mi veniva da piangere, mi ricordo, ma più che altro avevo paura.
Una paura vera, come non ne avevo mai conosciute.
Qualche anno dopo eravamo a Genova, per Sampdoria-Milan. Mi ricordo che sulla destra, con il 2 sulla maglia, giocava Gerets: per una qualche strana ragione quell'uomo con la barba e i pantaloncini corti mi affascinava, avevo occhi solo per lui. Dopo una ventina di minuti, pochi ordini di posti sotto di noi, un tifoso fu accoltellato: tafferugli generalizzati, panico e tensione, mio papà mi portò fuori subito.
Quella volta piansi sul serio, avrò avuto una decina d'anni.

Oggi a Genova, come a Bergamo qualche anno fa, come a Roma qualche anno fa, i tifosi hanno fatto interrompere la partita. Questi trogloditi con simpatie nazistoidi tengono in ostaggio gli stadi d'Italia da decenni e tutto è normale, ne mettono in galera tre o quattro all'anno e la cosa finisce lì: al massimo qualche dibattito idiota in televisione, qualche sentimento di indignazione sui giornali, e domenica prossima il circo ricomincerà.
Le famiglie non vanno più allo stadio, le donne con i bambini non vanno più allo stadio, è orribile.
Il calcio è malato, dicono.
Il cazzo.
Il calcio non è malato, il calcio non deve fermarsi e gli stadi non devono chiudere: è sufficiente prendere (quanti saranno? 20.000 in tutta Italia) gli ultras violenti e barbari, che la Questura conosce per nome e cognome, e mandarli a fare in culo in galera.
Gli eserciti nelle curve, ci vogliono, per tre o quattro partite, e poi tutto tornerà normale.
Terribile, davvero terribile sospendere il campionato, interrompere le partite.
Terribile dover andare allo stadio, ancora oggi che sfioro i quarant'anni, con gli occhi vigili, con una punta di tensione a fior di pelle, con il dubbio che ogni volta possa succedere qualche incidente.
Qua a Piacenza una volta, per Piacenza-Reggiana ovvero un match di cui tutto il resto del mondo se ne sarebbe fottuto per l'eternità, i tifosi ospiti lanciarono un razzo che cadde a pochi metri da dove stavo seduto insieme ai miei amici. A pranzo avevo mangiato i tortelli della mamma, due ore dopo ancora un pò prendiamo un razzo in testa.
I tifosi sequestrano il calcio e con il calcio sequestrano anche un immaginario collettivo, le domeniche italiane, una passione che ci tiene insieme, una cultura intera.

E poi ti rompono le palle se vai all'arena.
Che è un luogo di pace, di rispetto, di fraternità.
Che è un luogo in cui gente che non si conosce non va a insultarsi o a menarsi  ma va a incontrarsi e magari conoscersi, va a condividere un'illusione e nei casi fortunati un'emozione o addirittura un'estasi.
Un posto dove le donne vanno da sole, e dove i bambini vanno con i nonni.
Dove si fumano sigari e si dividono salsicce e bottiglie, dove chi siede vicino sempre ti saluta, ti stringe la mano e si finisce a chiacchierare e scambiarsi idee, commenti, sensazioni.
Ti rompono le palle se vai all'arena che è un posto dove si impara a rispettare le virtù del toro e ad ammirare le abilità dell'uomo, un posto in cui riacquistano senso ed esplodono valori ormai dimenticati, relegati a fissazioni nostalgiche e che invece sono da sempre faro e orizzonte per l'uomo: solidarietà e sincerità, coraggio e forza, lealtà e intelligenza.
Dove si impara il rispetto totale che merita la vita e il rispetto totale che impone la morte.

(foto Corriere - stadio Marassi, oggi)



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie
quanta verità

Anonimo ha detto...

Simpatie nazistoidi? Le ideologie con i giochi a palla non c'entrano e il fatto di attribuirle a trogloditi che si scannano per niente mi pare sia come etichettare i sassi. Pacciani fu iscritto e militante del Pci ma non accosterei mai la sua pazzia seriale all'aggettivo "comunista". Non per polemizzare eh solo per una precisazione che mi sentivo di fare. Per il resto rimane uno dei blog che preferisco. Grazie