Il duende non si ripete mai, non più di quanto si ripetono le forme del mare nella burrasca.
Nella corrida si ammanta delle sue espressioni più impressionanti perché deve lottare da una parte con la morte, che può distruggerlo, e dall'altra con la geometria, la misura, elemento fondamentale di questa fiesta.
Il toro ha la sua orbita, il torero la sua, e tra i due c'è un punto di pericolo in cui culmina questo gioco terribile.
Si può tenere la muleta con la propria musa e le banderillas con il proprio angelo e passare per un buon torero, ma per i passi di capa, con un toro ancora vergine da ferite, e al momento di uccidere, si ha bisogno dell'aiuto del duende per arrivare al cuore della verità artistica.
Il torero che stupisce il pubblico con la sua temerarietà non torea, ma si trova nella situazione ridicola, alla mercé del primo arrivato, di giocarsi la vita; al contrario il torero illuminato dal duende ci regala una lezione di musica pitagorica e ci fà dimenticare che mette continuamente il suo cuore davanti alle corna.
Lagartijo con il suo duende latino, Joselito con il suo duende giudeo, Belmonte con il suo duende barocco e Cagancho con il suo duende gitano mostrano, fin dal crepuscolo delle arene, ai poeti, ai pittori e ai musicisti, quattro grandi cammini della tradizione spagnola.
La Spagna è l'unico paese al mondo in cui la morte sia lo spettacolo nazionale.
- brano tratto da Juego y teorìa del duende, di Federico Garcia Lorca -
(foto Ronda - Sebastien Castella a Nimes, 2008)
giovedì 30 aprile 2009
Il duende, il toro e il torero
Categoria
Letteratura
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1 commento:
Great work on the site design
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