domenica 6 dicembre 2009

Hemingway e la corrida




E' curioso constatare come i libri di Hemingway, oggettivamente tra i pochissimi disponibili in italiano su corrida e tori, costituiscano per aficionados o aspiranti tali del nostro paese un passaggio ineludibile nel percorso di avvicinamento e conoscenza della tauromachia.
Anche e spesso, tappe fondamentali per capire da che parte si sta, e verso quale futuro si va: i libri del Papa possono suscitare timida curiosità, confermare che la corrida non è cosa per sè, o magari incuriosire, intrigare, svelare.
Altre volte però Morte nel pomeriggio, con il suo incedere rigoroso e accademico, o Un'estate pericolosa con le sue fascinazioni e le sue romanticherie, sono la scintilla che definitivamente dà fuoco ad una passione esplosiva, che era lì sopita ad aspettare solo che qualcuno la facesse deflagrare.

Al ruolo della corrida negli scritti di Hemingway ha dedicato un breve saggio il nostro Matteo Nucci: lo si trova a questo indirizzo, e il consiglio è quello di scaricarlo e inserirlo nelle cose da leggere durante le imminenti e benedette feste.

"Hemingway scrisse sempre di corride. Dall’inizio alla fine della propria attività di
scrittura, dai tempi in cui ancora era un semplice giornalista inviato a Parigi, fino a
quando, malato, depresso, stanco, deluso, non riusciva più nella sua celebre arte del
tagliare quanto scriveva e invece di buttar giù un breve articolo per Life sulle corride
spagnole dell’estate 1959, si perse in lunghissime analisi della sfida fra due grandi
toreri che aveva seguito con l’ultimo entusiasmo (dalle 10000 parole richieste,
Hemingway arrivò a scriverne 120000 – tagliate poi, soprattutto dai curatori, fino alle
50000 del libro).
Una studiosa italiana, una critica letteraria che a Hemingway
sarebbe molto piaciuta perché leggeva cose complesse con occhi semplici per
scriverne nella maniera più facile possibile, una donna che si è dedicata alla
letteratura russa, Laura Boschian, quando parlava di Hemingway, per spiegare il
motivo per cui non ne fosse proprio completamente sedotta, ripeteva: «troppi tori,
troppi tori».
Effettivamente è incredibile quanto la corrida abbia rappresentato il
luogo par excellence per Hemingway, probabilmente anche più della caccia o della
guerra.
Nei primi articoli del giovane inviato, nel primo indimenticabile, inarrivabile
romanzo Fiesta, in moltissimi degli straordinari racconti (come L’invitto, Storia
banale, La madre di una checca, La capitale del mondo), in Per chi suona la
campana, ovviamente in Morte nel Pomeriggio, fino appunto al postumo Un’estate
pericolosa, pubblicato con tagli operati da sua moglie e dal suo più vicino ultimo
amico Hotchner, l’autore di una delle più belle e più drammatiche biografie di
Hemingway.
Insomma, la corrida, i toreri, i tori, sono ovunque in Hemingway dal
1922 al 1960. Per questo, riflettendo sul grande scrittore, è necessario parlarne. Il
problema più importante però è certamente un altro. Ossia, perché le corride, i
matadores, i tori e l’arena rappresentano per Hemingway il luogo."

- da La tauromachia in Hemingway, di Matteo Nucci -

1 commento:

jackermit ha detto...

“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Tanto negli anni ottanta prima o poi si va in Spagna. Età da scuola media e via coi genitori. Forse Barcellona, non ricordo; ma comunque la corrida perché tanto ormai ci siamo.
Dio mio. La prima fu lacrime e sangue, fu tanta rabbia e speriamo che lo incorni; ché non si capisce perché si debba ammazzare una povera bestia in questo modo. D’altra parte vaglielo a spiegare te ad un pischelletto. Italiano.
E poi ‘sta Spagna: sporco, slot-machine e un toro pisciasangue. Questa la primera vez. Chi l’avrebbe mai detto.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
C’è poi che il tempo passa, lontano, e ti ritrovi col ‘Vecchio e il mare’, uno di quei libri che dopo l’autore lo chiami per nome, mica più per cognome. Mi è sempre rimasto dentro, quel vecchio che sognava i leoni. E allora sì che ti vien voglia d’andare: ‘Fiesta’, ‘Addio alle armi’ e i ‘Quarantanove racconti’. Che poi tanto un giorno arriva ‘Morte nel pomeriggio’, e lì finalmente ci si guarda negli occhi.
Un romanzo-trattato-manuale pesante, tecnico e lungo. E bellissimo, affascinante e sorprendente. Che ti svela e t’innamora. Porcaputtana Ernest, prima o poi ci torno in Spagna.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Quest’anno, dopo tanto, c’ero anch’io alla Maestranza di Siviglia, il 27 di settembre. Terza corrida vista davvero e tre volte in Spagna nel duemilanove. Ma la prima con una faena come quella del Luque. Non capisci, finché non la vedi. Anche i miei amici, tutti profani, a peliritti e boccaperta.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Ogni giorno nei mercati ittici di tutto il mondo si ripete questa frase perché ogni giorno milioni di persone mangiano pesce; che rimane impigliato una nottata nelle reti e poi crepa di lenta asfissia il giorno dopo tra ghiaccio e polistirolo. Ma nessuno si lamenta.
Eppure si mangia anche il toro, e soffre infinitamente di meno.
E allora? O qui qualcosa mi sfugge, oppure siamo tutti spagnoli. Perché io preferirei nascere toro piuttosto che pollo Amadori.
Ho 34 anni, non son vegetariano e non biasimo la caccia. Però non ci vado allo zoo, non faccio la pesca sportiva perché o è ‘pesca’ o è ‘sport’, e un siberian husky non lo comprerei mai, perché abito vicino a Firenze, mica a Capo Nord. Ma mi piace tanto la corrida, perché c’è dentro un senso profondo di vita e di morte, di coraggio e di paura, di uomo e di bestia. E fatela finita di chiamarla ‘spettacolo’, perché non c’è spettacolo dove si muore.
Caro Ronda, mi sono dilettato a scrivere queste righe come primo contributo a questo blog: un po’ per chiedere permesso, un po’ per dire ciò che penso. Spero di essere gradito.
E complimenti perché oltre ad essere oggettivamente insolito (siamo in Italia) è anche ben fatto, nei contenuti e nella grafica.
Suerte.