Francis Wolff, l'autore di quella Filosofia della corrida che è ormai un classico degli scritti sulla tauromachia è che è fra le opere più profonde mai prodotte sul tema, ha pubblicato qualche giorno fa su La Razon La fiesta: ecologia, pasion y muerte, un saggio in forma di articolo che si evidenzia per onestà intelettuale, lucidità, argomentazione.
A vantaggio dei lettori del blog proviamo a farne una traduzione, nei suoi passaggi più significativi: Wolff da qualche anno tenta, con ottimi risultati, di definire una volta per tutte quello statuto morale della corrida che nessuno prima d'ora era riuscito a fissare con tanta efficacia, e che può diventare definitivamente l'argomento principe e più corposo per la difesa del'esistenza stessa della corrida.
Dice Wolff:
"Chi difende la corrida sì che porta avanti una battaglia ecologista. Innanzitutto difende una delle ultime forme di allevamento estensivo che esista in Europa, nella quale ogni animale ha a disposizione dagli uno ai tre ettari di territorio.
Chiudiamo la corrida, e molte di queste terre oggi consacrate al toro da combattimento saranno destinate ad una agricoltura intensiva o industriale.
Difende un ecosistema unico, la dehesa, che è una autentica riserva di fauna e flora, a immagine e somiglianza dei grandi parchi naturali protetti.
Difende anche la biodiversità. Il toro bravo è una varietà unica di toro selvaggio, preservata grazie alle grandi ganaderias, e che sarebbe condannata al mattatoio se si finisse con la Fiesta."
"Non esiste spettacolo o arte più ecologico della Fiesta. Però sta di fatto che molti ecologisti dimenticano i loro valoro per adottare valori animalisti opposti.
Difendere la biodiversità, l'equilibrio delle specie e degli ecosistemi non ha niente a che vedere con il fatto di occuparsi del destino individuale di un dato animale.
Non si può salvare la specie leopardo e preoccuparsi del destino individuale della gazzella. Bisogna scegliere.
Per salvare il toro da combattimento come specie c'è da sacrificare alcuni animali destinati all'arena piuttosto che al macello.
E' paradossale che per salvare alcuni esemplari ci sia da condannare la specie, ormai inutile, al mattatoio.
Ma non possiamo avere compassione per la sorte degli animali?
Naturalmente.
Dobbiamo restituire ai nostri cani e gatti l'affetto che ci danno; una specie di contratto morale ci unisce a questi animali da compagnia, ed è evidente che è crudele picchiare il proprio cane e immorale abbandonarlo in un'area di servizio.
Con gli animali domestici abbiamo un determinato tipo di contratto morale: ci danno la lana, cuoio e pelle, o carne, in cambio della nostra protezione, di un'alimentazione adeguata e di condizioni di vita decenti.
E con i toros bravos?
Un altro tipo di contratto ci unisce a loro: rispettare la loro bravura mentre vivono e fino alla loro morte.
Quindi è morale allevarli in coerenza con la loro natura selvaggia (libera, indomita e ribelle), e sacrificarli in un combattimento che dia senso, importanza, gravità; un faccia a faccia che rispetti la loro natura selvaggia e durante il quale l'uomo si gioca la vita.
Non è forse più morale che la detenzione forzata e il sordido silenzio di un macello?"
"Che non piaccia la corrida per una questione di sensibilità personale, è comprensibile: e tutte le sensibilità sono rispettabili.
Ma a quelli che ignorano tutto sulla corrida, le condizioni di vita o di morte del toro, la etica del combattimento e la sua estetica, e tutti quelli che si immaginano uno spettacolo crudele e sanguinario, c'è solo da consigliare che visitino qualche allevamento o assistano a qualche serata eroica e grandiosa. Vedranno la comunione spirituale che avvolge questo spettacolo lacerante e sublime.
E se preferiscono restare lontani dai tori e mantenere i propri pregiudizi, ne sono liberi, a condizione che la loro ignoranza non li faccia intolleranti verso quelli che non pensano o sentono come loro.
Ma che qualcuno arrivi a qualificare come tortura il pericoloso confronto nell'arena, dove l'uomo rischia la propria vita in ogni istante, questa è una questione di malafede.
E' un insulto a tutti i torturati della terra.
E' voler ribaltare il significato delle parole: torturare è, senza correre alcun pericolo, fare soffrire un avversario che si è reso indifeso e innocuo, mentre combattere un toro consiste nel permettere all'animale che in qualsiasi momento possa attaccare liberamente il suo avversario, che può ferire in ogni istante.
Se nell'arena ci fosse un bue questo non smetterebbe di fuggire, questa sì sarebbe tortura e non ci sarebbe corrida.
Gli aficionados non si divertono con le ferite degli animali!
Ammirano l'intelligenza dell'uomo, la bravura del toro, il valore di coloro che combattono, la trasformazione della forza bruta in opera umana."
"Gli autoproclamatisi difensori degli animali, che si arrogano il monopolio della morale e dei buoni sentimenti come se noi, gli aficionados, fossimo insensibili e immorali, tutti questi animalisti, si commuovono forse per le sofferenze di qualcuno, ma amano davvero gli animali per quello che sono, per quello che fanno e quello che incarnano?
Accettano l'animalità in tutte le sue diversità o quello che vogliono è ridurla al fantasma di amabili animaletti da cartoni animati disneyani? "
"Cosa preferiremmo se ci obbligassero a stare al posto dell'animale?
Una vita da bue incatenato, che si conclude miseramente al macello o una vita da toro in libertà che si prolunga in venti minuti di combattimento valoroso?
Forse qualcuno dubita ancora, chissà.
Ma se dubitate, non denigrate coloro che preferiscono la vita e la lotta del toro bravo, coloro che pesano che il suo destino sia uno dei più invidiabili di tutte le specie animali di cui l'uomo si è appropriato per soddisfare i propri fini e che popolano la sua immaginazione.
Non sentenziate a morte la corrida né i tori da combattimento, rispettate coloro che li amano."
(foto Ronda - Miletto chez François André)
Nessun commento:
Posta un commento