E' un'antologia di delizie, il numero 1936 di Toros: andrebbe distribuito gratuitamente fuori dalle arene e gli abbonamenti si impennerebbero, non c'è dubbio.
La copertina passa a colori, in virtù di una scelta imposta da spietate leggi tipografiche, e questo è l'unico neo di un'edizione altrimenti perfetta: sarà difficile non rimpiangere l'austero bianconero della facciata, screziato solo da quella testata rossa e bianca, altrettanto austera e seriosa. Certo è che il passaggio alla quadricromia regala al lettore una splendida veduta aerea di Ronda (che, non fosse altro per il nome, è evidentemente la città più bella d'Europa), e la malinconia si attenua. La perfetta rotondità della Real Maestranza si affianca al chirurgico taglio del Tajo, e subito tornano alla memoria le serate fresche e felici passate lassù, in quell'estate altrove torrida, e le parole giuste di Hemingway. Ronda è la città dove fuggire con un'amante, diceva papa Ernesto.
La base di questa nuova tiratura della rivista è proprio Ronda e la sua corrida goyesca: Joel Bartolotti e Pierre Dupuy, due pesi massimi dell'aficion francese e mondiale, picchiano duro e confezionano un servizio appassionante e perfettamente documentato sulla scuola rondeña, sulle prime dinastie torere della città, sulla genia degli Ordoñez.
In effetti l'entusiasmo che queste pagine suscitano nell'aficionado si stempera e deprime subito dopo, leggendo l'impietosa cronaca della goyesca di settembre (la 56° edizione), uno spettacolo ormai ridotto al barzelletta mondana: e pensare che un tempo la corsa settembrina di Ronda radunava i migliori toreri e i migliori tori.
Ma poco male, la Vecchia Signora prosegue snocciolando nelle sue pagine grigie e vintage le reseñas complete e didattiche delle corse principali del settembre transalpino: ad Arles la goyesca ("è un'occasione unica per far piacere alla propria suocera, invitandola") e la concorso ("un profondo sentimento di saldi di fine stagione, quando invece una corrida concorso dovrebbe essere il massimo, il nec plus ultra della corsa di tori"); a Dax il successo di Ivan Fandiño grazie al suo toreo sincero ("donando costantemente la priorità al toro, permettendogli di esprimersi nel primo tercio, mettendolo convenevolmente in suerte e non lasciandolo sfiancarsi contro il cavallo, chiamandolo da lontano per mettere in evidenza la sua casta, non proponendogli altro che un toreo fondamentale"; "due orecchie e un successo enorme e meritato") e il leit-motiv delle corride commerciali ("arena piena e delusione"); a Nimes tutta la feria delle Vendemmie, tra un Morante preso a mal partito dal pubblico ("bronca di gala"), parole di rispetto per Lescarret all'ultima corrida della carriera ("per sintetizzare in una sola parola: dignità! Merci, monsieur") e naturalmente la cronaca della storica encerrona di José Tomas, dall'indicativo titolo di Quia nominor leo!; a Ceret, infine, per una corrida "molto seria" di Prieto de la Cal: "tutti pesavano più di 500 chili, muscolosi, ben armati; tre di essi con più di cinque anni di età, sono morti tutti con la bocca chiusa".
Ecco, ce ne sarebbe per leggere e rileggere tutto l'inverno.
Se non che, a rendere davvero antologico e unico questo numero 1936, c'è in seconda copertina l'abituale editoriale di Manolillo.
E in poco più di una cinquantina di righe si arriva all'estasi.
La storia è già un poco conosciuta, ma a leggerla così dettagliatamente raccontata si gode ancora.
Dunque succede che, come ogni anno, il sodalizio degli Amici della Goyesca offra la Chiave d'Oro del parador di Ronda a una personalità legata all'evento: quest'anno l'onore toccava a Rafael de Paula, come omaggio alla carriera e per celebrare il suo debutto nell'arena rondeña, avvenuto 55 anni or sono.
Ma Rafael Soto Moreno non è un personaggio qualunque, era imprevedibile e geniale di fronte ai tori e resta imprevedibile e geniale a 72 anni di età: in dieci minuti di leggendario capolavoro quel vecchio gitanaccio ha dato una lezione di protagonismo e arte unica e commovente nella sua follia, dieci minuti di surrealità perfetta, di toreria d'altri tempi.
C'è un video che circola in rete e che Manolillo sintetizza bene nel suo fondo, quando chiude il pezzo descrivendo l'esibizione del vecchio torero come un atto militante.
Esatto, un atto militante di anticonformismo, di sincerità, di lotta a qualsiasi comoda ipocrisia.
Un fanculo torero al politically correct.
Il sindaco della città, attesa alla cerimonia, è in ritardo? Rafael de Paula dà fuoco alle polveri e dichiara senza imbarazzi ai giornalisti e agli invitati: "il sindaco è il sindaco, ma qui il personaggio principale sono io".
Il sindaco non arriva ancora? "Bene, me ne vado, sono venuto ma adesso vado".
Un inizio straordinario.
E si prosegue meglio: al direttore del parador, tutto occupato a giustificare il ritardo della signora sindaco, Rafael de Paula ricorda invece che "dovrebbe invece preoccuparsi di trovare da sedere per quelle ragazze là in fondo alla sala, costrette a stare in piedi; questo è il suo dovere".
Al sindaco finalmente giunto, dedica allora queste parole: "non so se comanda lei o no in municipio, dipenderà dal numero dei vostri consiglieri; però grazie per la sua presenza" .
Questa è arte, signori.
I giornalisti con ogni probabilità si stavano fregando le mani, qualcuno in sala rideva, ma sul tavolo delle autorità le facce erano tirate e nervose. Ma ancora non era si era alla fine.
Rigirandosi in mano il biglietto di invito alla cerimonia, Rafael il torero si rivolgeva direttamente a Humberto Parra, il pittore che aveva disegnato l'immagine in copertina: "Lei non sa dipingere, vi auguro che Dio vi tenga in vita abbastanza per imparare".
E infine, con i taccuini dei giornalisti ormai in cortocircuito, la stoccata finale.
Il figlio di De Paula, anch'egli presente alla cerimonia, aveva pubblicato poco tempo fa un libro biografico sulla vita e la storia torera del padre: il titolo non essendogli andato a genio, il nostro non esitava e concludeva questo enorme show invitando tutti "a non comprare neanche una copia di questo libro".
Genio.
"Ciò che c'è da avere nella vita è carisma; come sono venuto io me ne vado, perché qua è tutto malo: il libro è mal titolato e falso, il quadro sul biglietto è brutto e la sindachessa non so se comanda o no; e adesso torno a Jerez de la Frontera dove si mangia la patata intera".
Un atto militante di genialità.
Ecco, tutto questo sta nel numero 1936 di Toros.
martedì 16 ottobre 2012
La patata intera
Categoria
Rafael de Paula,
Ronda,
Toros
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4 commenti:
Rafael de Paula un mito. Per chi vuol vedere il video:
http://www.youtube.com/watch?v=byPYJR9x6Jg
Michele
Va bene essere il capoufficio stampa di Alle 5 della Sera, ma il video è già linkato nel testo.
Sei lucido come il figlio di Rafael de Paula.
ho il computer in bianco e nero e non leggo le scritte in verde....
Purtroppo il fino non era di grande qualità. Mi cospargo il capo di cenere e chiedo umilmente venia. Michele
Questo e Arte " Non comprare neanche una copia di questo libro".
De Paula, sempre De paula Genio e Figura!!!!
Javier Carli..
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