venerdì 29 giugno 2012

Un anno

C'è un'immagine che di Ceret mi viene alla mente spesso, chissà perché proprio questa più di altre.

Un sabato sera di feria con la luna già al suo posto ma il sole ancora ostinato, a striare di un timido candore quel cielo che ormai vira deciso verso un blu romantico, per quanto un blu possa davvero essere romantico.
I monti bruni là in fondo, rassicuranti.
Nel cortile dell'arena ancora si attardano gruppetti di aficionados a disputarsi giri di birre al bancone e a discutere della corsa finita da un pò: alcuni hanno già preso la strada per il paese, il clamore della festa arriva fino a qua e ha il potere magnetico del canto di una sirena, i più giovani non hanno potuto resistere.
Intanto che tra una chiara e un pastis ci si accapiglia per stabilire se il terzo toro aveva più casta che vera bravura, intanto che gli amici lontani si abbracciano con gli occhi felici, intanto che qualche bambino sfugge al controllo della mamma e va a sbirciare ancora una volta quei sei cornuti neri e minacciosi che riposano nel cortile, intanto che tutto questo accade, dentro all'arena un centinaio di persone stanno sedute sui gradini, sparpagliate qua e là.
Coppie non più di primo pelo, giovani, uomini e donne sole.
In mezzo all'arena, a passarsi il microfono, il mayoral del giorno, il veterinario e un paio di aficionados stanno animando la tertulia della sera, quella sorta di tauroforum che avrebbe fatto gridare a un Nanni Moretti isterico "no, il dibattito no!", e che qui a Ceret assume la fisionimia di un sommesso rito laico, di un raccoglimento spirituale a cui ci si abbandona prima del sonno.
La gente sugli spalti ascolta con attenzione, qualcuno sbrana panini giganteschi, molti tengono in mano un bicchiere di birra, gli uomini fumano e qualche donna si sistema il maglioncino sulle spalle.
Il microfono sale sulle gradinate, arrivano le domande e gli interventi del pubblico: si respira un'aria di amore per il toro e di passione autentica, è tutto così familiare e intimo che pare di stare nella stalla, come un tempo, quando i nonni a tarda sera raccontavano favole ai nipoti per farli addormentare.
A intervalli regolari un personaggio allampanato e bizzarro, aggrappato alla ringhiera che chiude l'ultima fila di posti là in alto, grida "morillooooooo!". E' un mio amico.
Le bodegas sono in paese, un pò lontano, e il tunz tunz delle loro casse arriva come un delicato battito cardiaco: non disturba, anzi accompagna e ritma questa comunione.
In cielo ci sono le stelle.

Sì, spesso si impone questa immagine, sorge spontaneamente dai ricordi, e insieme ad essa un senso di serenità e di piacere.
Benchè, veramente, la tauromachia che Ceret difende sia tutto tranne che serenità e piacere.
I tori di Ceret sono sofferenza e sudore, angoscia e acciaio, brutalità e verità

E così mi accorgo che un anno è lungo, un anno è proprio un anno e non ci sono santi, e quanto si sente la mancanza di quell'atmosfera unica di vera aficion, di quegli animali mostruosi nei recinti, di quelle birre bevute all'ombra dell'arena,di quelle cene consumate al fresco della sera, di quel campeggio dove tante volte ho riso e altrettante volte mi sono ubriacato insieme agli amici, di tutto.
Un anno è lungo, senza, e pare non finire mai.

Poi arriva quel sabato, la cobla che stà là in alto attacca Els Segadors e tutto inizia di nuovo.

Non c'è niente come Ceret.


 (foto Ronda)

mercoledì 27 giugno 2012

Bilbao, 2012



Senza dubbio il posto migliore (l'unico?) dove vedere le figuras.

Ecco i tori di agosto:

  • Domingo 19: Toros de La Quinta para Antonio Ferrera, Morenito de Aranda y Eduardo Gallo.
  • Lunes 20: Toros de Fuente Ymbro para Diego Urdiales, Leandro y David Mora.
  • Martes 21: Toros de Núñez del Cuvillo para Morante de la Puebla, El Juli y Alejandro Talavante.
  • Miércoles 22: Toros de Jandilla para El Cid, Iván Fandiño y David Mora.
  • Jueves 23: Toros de El Pilar para Juan José Padilla, Manzanares y Alejandro Talavante.
  • Viernes 24: Toros de Juan Pedro Domecq para Enrique Ponce, Manzanares y Jiménez Fortes.
  • Sábado 25: Toros de Alcurrucén para Enrique Ponce, Miguel Ángel Perera e Iván Fandiño.
  • Domingo 26: Toros de Victorino Martín para Diego Urdiales, Javier Castaño y Luis Bolívar.

A questa pagina una cartella stampa con qualche dettaglio in più.



(foto Ronda - Vistalegre, Bilbao)



martedì 26 giugno 2012

Vengo




A proposito di cinema, ecco un film da amare e rivedere sempre.
Di tori neanche l'ombra, sia chiaro da subito: non una carrellata sul campo, non immagini di una sola veronica all'arena, non un mezzo cartel affisso su qualche muro.
Eppure, in Vengo tutto trasuda di vita e morte, tutto è verità e coraggio, tutto è amore e guerra.

Tony Gatlif, il maestro Tony Gatlif ha girato il melodramma definitivo, ambientandolo nell'Andalusia profonda e nascosta agli occhi occidentali: non il sud da cartolina, no, qui ci sono i campi bruciati e le feste clandestine, chitarroni scordati che accompagnano voci abrasive e madonne e ceri, ci sono le risse e le sbornie, gli accampamenti e i denti d'oro, ci sono le donne vestite di nero e gli uomini dalla pelle bruna.
La storia è semplice e a dire il vero nemmeno importante: tutto si risolve in una cavalcata passionale che muove dalla faida anacrostica tra due famiglie di gitani, passa per serate torride in una Siviglia buia e clandestina e finisce con un pianto straziato.
Tutto qua, roba da fotoromanzo, se non fosse che Gatlif è uno zingaraccio vero prima che un regista di film meravigliosi.
Vengo è sangue e passione, è tormenta e morte, è sesso e ancora sangue.
Sangue e magia.
Duende, in Vengo tutto è duende e tutto nasce e muore nel duende.

La Caita, la Paquera de Jerez, Tomatito, la Coneja, Caco Canales: ci sono gli stati generali del flamenco più verace e sanguigno a fare da contorno all'assurda e straziante vicenda di Caco e del suo nipote Diego, in quell'Andalusia che risuona di chitarre e voci..
Sì perché Vengo è essenzialmente canto.
E' canto flamenco, ruvido e abraviso, e poi "grido, canto, inno alla vita, all'amore, al lutto, al patto di sangue". Per usare ancora le parole di Gatlif, "un inno al mediterraneo".
 
Vengo è un film straordinario.




venerdì 22 giugno 2012

Per Serena


Il mio indirizzo mail è qua di fianco: una birra, seppur virtuale, non farà male nemmeno in questo giugno africano.


E' un invito,
a presto



ps: in ogni caso, un grazie doveroso e sincero per non aver voluto scatenare orde di molestatori su queste pagine

(foto Ronda - Ceret)

mercoledì 20 giugno 2012

Lamborghini e tori sul Corriere


Per chi non l'avesse letto, lunedì sul Corriere della Sera Andrea Nicastro ha pubblicato un pezzo sulle macchine di Lamborghini e sui tori andalusi: a voi.



 (si clicca sull'immagine per leggere meglio - grazie a Michele, capoufficio stampa di A5DS)



   

lunedì 18 giugno 2012

Il nobel e il presidente: cose che fanno bene alla fiesta


Che poi sono, rispettivamente, Mario Vargas Llosa e Matias Gonzalez: erano presenti ieri a Vistalegre, uno per passione e uno per dovere, per la corrida di chiusura del ciclo di festeggiamenti per il cinquantesimo dell'arena bilbaina.
Il nobel e il presidente fanno bene alla fiesta, entrambi e per ragioni diverse, e vanno celebrati.

Il mondo della cultura si sta allontanando dai tori, lentamente ma continuamente, e invece c'è ancora bisogno che scrittori e poeti raccontino delle gesta dei toreri e della bravura selvaggia, che pittori ne dipingano e che musicisti ne cantino. C'è una necessità vera e attuale che quel legame indissolubile e naturale che unisce tauromachia e cultura non si affievolisca, perché l'una trova la sua grandezza anche grazie all'altra.
Vargas Llosa ha ritirato il premio Nobel montera in mano, ha scritto di tori e difeso la corrida, ieri ha ricevuto il brindis di Padilla e ha goduto della (dicono straordinaria) faena di Enrique Ponce: un nobel per la letteratura in barrera, olé maestro.

E mai come oggi c'è urgenza di rigore e serietà, per fare argine alla febbre letale di trionfalismo: la corrida è grande quando grandi uomini vincono tori grandi, quando le orecchie tagliate sono una conquista eroica del coraggio o una creazione altissima dell'arte, e non un cartellino da timbrare necessariamente; stappare tavernello ogni giorno a pranzo e a cena facendo credere che sia champagne equivale a banalizzare il secondo e a diffondere viralmente il primo, e non va bene.
Bilbao è un'arena ancora fondamentale e rispettata perché al posto di comando siede un capitano autorevole e ortodosso, che guida la nave facendola rollare sulla rotta della serietà : per quello i trionfi su quella sabbia griga sono veri e importanti e risuonano ai quattro angoli del pianeta taurino, perché attraversare la porta grande di Vistalegre significa aver convinto Matias a sventolare i due fazzoletti bianchi.

Tengano duro allora il nobel e il presidente, continuino ad andare all'arena con la stessa passione e con la stessa coscienza, continuino a difendere la corrida con la penna e con i pañuelos.
Anche grazie a loro, vivrà.


ps: Vargas Llosa e Matias Gonzales sono anche protagonisti, loro malgrado, di un editoriale...come dire...rocambolesco... apparso oggi su Mundotoro: è un pezzo che avrebbero potuto scrivere Feltri o Sallusti, se solo si occupassero di vicende taurine





sabato 16 giugno 2012

Sei per Ivan

Ha carattere e sentimento, Ivan il basco, e per questo ci piace.
In altre parole, magari meno eleganti ma più efficaci, cuore e coglioni.
Cuore e coglioni, e infatti sta fuori dal club vagamente massonico dei g-diecini e va avanti per la strade che si è scelto, quella del toro con casta e del toreo de verdad.
Perché torea bene, Ivan, Ivan con quel nome da ciclista, Ivan abituato a scalare e faticare, Ivan torea bene: la muleta ben messa davanti, piatta e ferma, il polso fermo e forte, gli occhi vivi; il busto dritto, proprio in mezzo ai binari su cui transiterà il convoglio, la gamba fuori, per pesare e comandare, il tocco sicuro.
E il toro là davanti, là in fondo, con tutt l'aria di cui ha bisogno, il toro che è avversario vero, rispettato e combattuto.

Oggi saranno sei, a Bilbao, sei tori di Bilbao: legna sulla testa ne hanno da far fuoco un inverno intero.

Sei tori a Bilbao è roba da coglioni e cuore, El Cid trionfò nel 2007 con i Victorino, El Juli faticò qualche anno dopo: là al nord l'aficion è esigente e i tori duri.
Fandiño si vedrà sfilare davanti i ferri di Partido de Resina, La Quinta, Victorino, Torrestrella, Torrealta e Alcurrucen: è stato il torero a chiedere questa encerrona, a insistere, a pestare i piedi, fino ad avere finalmente sei tori a Bilbao. Sei tori in concorso, a Bilbao.

Suerte, Ivan.


ps: Corrida Tv ha annunciato la diretta streaming della corsa, anche Tele Madrid e Castilla La Mancha Tv trasmetteranno, si tratta di vedere se la corrida andrà anche in streaming internet

martedì 12 giugno 2012

Torero X Factor

Cambiano i tempi, anche in tauromachia, e l'aficionado cosa fa? Si adegua e segue il corso inarrestabile degli eventi, col rischio di rendersi complice di un processo di mutazioni irreversibile che porta verso l'ignoto, o si ritaglia il ruolo di guardiano dell'ortodossia, consapevole però di rimanere ai margini e isolato?
Un nuovo fatto ci pone di fronte allo scomodo bivio.

Un tempo erano i maletillas.
Li abbiamo conosciuti tutti, e se non per un fortunato faccia a faccia, allora dalle pagine di un qualche feuilleton taurino, o per averne ripercorso le romantiche gesta attraverso la visione di un titolo tra i tanti della cinematografia taurina.
Figure mitiche della tauromachia mondiale, i maletillas. Ragazzini che, armati di un modesto fagottino e di una gigantesca voglia di affermarsi, ripercorrevano le strade polverose della Spagna profonda alla spasmodica ricerca di un'occasione per toreare, alla prima festa di paese o in qualche arenaccia di quartiere, dando alla corrida una dimensione epica e risolutamente umana.

Ma, appunto, the times they are a-changin'...
Senza addentrarci in analisi sociologiche che non ci competono, certo è che i giovani d'oggi evidenziano una spiccata preferenza per le scorciatoie, non amando del tutto i percorsi di crescita e sacrificio: così, dai maletillas si passa a dritti dritti a X Factor.
Che detta così sembra una cosa pazzesca, ma non siamo troppo lontani dalla realtà.

Quiero ser torero è un reality messo in onda da Telemadrid che riprende il meccanismo classico di endemoliana derivazione: selezioni, gara, prova finale e vincitore, il tutto tra sacrifici e vita comune, tra prove sotto l'occhio severo di una giuria qualificata e confessionali strazianti, tra rivalità e cameratismo.
Le telecamere, sempre accese.
Voglio essere torero è l'Isola dei Famosi trasportata nella terra dei tori, è un Grande Fratello in cui gli uomini non si rifanno le sopracciglie, è un reality in traje de luces.

Non neghiamocelo, la curiosità è enorme: certo, vengono i brividi a pensare a una Alessia Marcuzzi che conduce dallo studio, monta abilmente i frammenti filmati, interroga i concorrenti in privato, e che tutto ciò sia arrivato anche al mondo della corrida.
Ma al contempo si pensa anche che la Marcuzzi in questione si chiama Cristina Sanchez, che con ogni probabilità questi ragazzini vogliono davvero diventare torero, e che i partecipanti non passano il giorno lobotomizzati su un divano ma tenendo in mano capa e muleta...e le cose, per fortuna, appaiono sotto un'altra luce.

Per soddisfare dunque la curiosità, e per capirne un pò di più, sul sito ufficiale sono a disposizione le repliche delle varie puntate.
Buona visione.


domenica 10 giugno 2012

12 albaserradas a Madrid

Privilegio raro assistere, a Madrid e nello spazio di un paio di giorni, alla sfilata di una dozzina di rappresentanti della linea albaserrada.
Escolar Gil e Adolfo Martin hanno fatto correre sul finale di San Isidro e sulla sabbia di Las Ventas dodici loro pupilli, rispettivamente giovedì 31 maggio e sabato 2 giugno scorsi: gli apostoli del cardeno hanno portato in pista il buono e il cattivo che, tradizionalmente, accompagna le uscite della casa.
Che quando un albaserrada è buono, è buono davvero...ma quando non è buono, beh allora sono cazzi.

Prendiamo Madroñito, l'Adolfo uscito per terzo al sabato: corsa potente e elegante tanto da permettere prima a Juan Bautista e poi a Fandiño di esaltarsi alla capa, il toro entrava un paio di volte al cavallo con bravura e forza, la prima volta caricandosi tutto il peso del bastione sul collo e alzandolo da terra. Nel secondo atto Madroñito metteva classe e foga nella rincorsa ai banderiglieri, e i primi passi col panno rosso facevano pensare ad una faena grande: un corno destro da favola, una profondità rara, energia e eleganza, il toro aveva tutto quanto occorra per far aprire la Porta Grande. Peccato che il torero francese, forse sopraffatto da tanta qualità, non andasse oltre a un toreo di circostanza, abusando della posizione di profilo, senza metterci né anima né polso.
Madroñito usciva sotto un'ovazione rumorosa, Juan Bautista si ritirava dietro le assi, mesto.

E prendiamo invece Cariñoso IV, un Escolar Gil che Robleño si è digerito al giovedì: un toro duro, tignoso, capace di capire le cose a una velocità pazzesca e di mettersi presto in difesa. Dopo un tercio de varas in cui il cavallo arginava tre entrate energiche, Cariñoso faceva sudare ben più di sette camicie ai subalterni che provavano ad infilzargli i bastoni: e alla muleta, ormai mandati a memoria i canoni delle lingue romanze, il toro si prendeva la soddisfazione di rendere impossibile la vita al torero, concedendogli solo qualche isolato passo, e sempre esponendolo al pericolo delle sue corna pazzesche.

Due corse diverse, si intenda, quelle di Escolar e Adolfo: come Juve e Milan in questo campionato, a livello di individualità meglio i secondi (Madroñito e Mulillero due tori da trionfo), come collettivo superiori i primi.
Quella di Escolar Gil è stata una corrida di tori, forse non all'altezza delle aspettative (e lontana dal pathos selvaggio delle escolaradas di Ceret) ma comunque appassionante, con tori intelligenti e perciò pericolosi, nervosi, cattivi, forti. I sei avevano quella capacità unica dei santacoloma di girarsi con la rapidità felina della tigre, di incollare il muso alla capa e di non toglierlo prima di aver spossato l'uomo, e infine di vendere cara la pelle nell'ultimo atto. Una buona corrida, palpitante e interessante, ma senza neanche un grande toro.
Discorso diverso per gli Adolfo Martin: detto dei due fuoriclasse, due tori di qualità superiore, per il resto la corrida è stata sorprendentemente fiacca, con animali deboli, insapori e rarissima emozione. Ovazione e applausi per Madroñito e Mulillero, fischi per gli altri quattro: e generalmente l'aficion madrilena non si sbaglia.

Gli uomini, generalmente, messi alle corde: chi per mancanza di mezzi (JM Lazaro, JL Moreno), chi per non aver voluto o potuto vedere le qualità degli avversari (Lopez Chaves e Juan Bautista).
Solo Fandiño e Robleño, ormai due valori sicuri, ci hanno gratificato di appassionanti momenti di toreria e serietà.
Ivan il basco è stato protagonista del lavoro migliore di tutto il miniciclo torista che ha concluso San Isidro: Mulillero messo regolarmente a quindici metri, muleta piatta e ben cruzado, Fandiño ha toreato secondo i canoni, con dignità e serietà, aspirando quelle cariche lontane. Molti olé, tutti meritati, e gli olé di Las Ventas suonano diversi, niente da dire.
Peccato che Mulillero avesse un corno solo e che il polso del torero non sia stato fermo nel momento di chiamare la morte. Un ottimo momento di tauromachia, in ogni caso.
Fernando Robleño affronterà da solo sei Escolar Gil a Ceret, a metà luglio: queste di Madrid devono essere state le prove generali, e se nel paesino pirenaico saranno sei tori come Palomito, per il ragazzo sarà una domenica difficile. Certo è che a Robleñ onon mancano né il coraggio né la volontà per affrontare l'impossibile sfida. Palomito entrava sotto gli applausi dell'arena, si catapultava nella capa del torero ma l'uomo non cedeva terreno, e anzi spingeva il toro verso il centro. Bene. Alla muleta, il duello assumeva toni drammatici: sempre incollato alla stoffa, Palomito esitava un tempo a entrare ma poi si catapultava, testa bassa e energie disumane, ma il torero resisteva e accettava il combattimento. Lunghissimi minuti di trasporto e tensione hanno trasferito l'arena in un'altra dimensione, quella della tauromachia ancestrale, quella della lotta vera e depurata di qualsiasi accento artistico o liturgico: Robleño e Palomito erano semplicemente un uomo e un toro che si giocavano la vita, e quella dell'uno pregiudicava quella dell'altro.
Giù il cappello, per tanto coraggio e tanto valore torero.


(foto Ronda)


giovedì 7 giugno 2012

Lo spettacolo dei Cuadri


Cuadri. Neri. Muñeco, 618 chili. Romaneando. Bocca chiusa. Applausi. Difesa. Suerte de varas. Prima, seconda, terza. Bravura. Duri. Sudore. Rafaelillo, fuori. Serietà. Pesador, 550. Ovazione. Bolivar, fuori. Comeuñas. Las Ventas. Caldo. Fotografi. Ventagli. Spada. Pinchazo. Pinchazo. Tori. Aragones, Camarote, Huelvano. 615, 528, 649. Bocca chiusa. Tori. Emozione. Commozione. Commozione cerebrale. Castaño. Pallido. Infermeria. Svenimento, fuori. Cuadri. Combattimento. David Adalid. Casta. Mansos con casta. Fierezza. Duri. Valor. Sigaro. Esigenti. Aviso. Fischi. Fuera. Urcola. Santa Coloma. Ismael Alcon. Sentimento. Muleta. Sconfitta. Brividi. Sofferenza. Apnea. Cuadrillas. Zoccoli. Embestida. Liston. Paura. Silenzio. Cuadri. Aficion. Madrid. Pica. Bravos. Olé. Applausi. Maño. 611. Corna. Entusiasmo. Tensione. Corridon. Forza. Peto. Tori. Fiesta. Spettacolo.

Applausi.
Mayoral.
Cuadri.



(foto Las Ventas/Juan Pelegrin)

martedì 5 giugno 2012

Carriquiri, la mansada del siglo

Trent'anni esatti sono passati dalla corrida del secolo: la corsa di Victorino che ogni aficionado, indipendentemente da età, provenienza e religione, ha prima o poi sbirciato, ne ha inevitabilmente letto, ne ha parlato e discusso, e ha segretamente sognato di rivivere.
Sei tori selvaggi di Victorino, bravos e con casta, e tre uomini decisi e valorosi: questa la ricetta di quel pomeriggio storico a Las Ventas.

Triste trentennale però quello celebrato dai sei Carriquiri mercoledì 30 maggio scorso: un sestetto di buoi inappetenti e svogliati, distratti, impossibili da fissare in alcunché, mansos dalle narici alla punta della coda.
Terrificanti.
Un occhio sempre al toril e l'altro al cielo, da Peluquero II a Flamenco, l'ultimo della serata, i sei vagavano flaccidamente per tutta la pista, senza scopo, con fare nichilista; assalti abulici al cavallo titolare e assalti infastiditi al cavallo di riserva, la ricerca spasmodica della querencia, i Carriquiri erano apatici e demotivati nei tre tercios, e catapultavano sull'arena una cappa di plumbeo malumore.

Dal punto di vista didattico, si intenda, la corrida è stata una grande occasione: una mansada di queste proporzioni è cosa rara da vedersi, e valeva da sola tutte le letture sull'argomento che un aficionado possa fare in una vita intera. Da imparare c'era molto, questo è fuori discussione.
Ma, un pò come per l'Orlando Furioso, la corsa di Carriquiri è stata una di quelle lezioni obbligate che occorre sorbirsi per forza. Ma che due palle.

Fortunatamente c'erano quel giorno, sulla pista madrilena, due uomini vestiti d'oro che, toreri fino al midollo, hanno officiato con serietà, cavando qualche goccia di sangue da quelle aride rape.
Javier Castaño ha toreato con valore e coraggio Peluso, in una faena difficile e tesa, e poi ha provato a fare di Flamenco un toro, sfidandolo con lealtà e serietà in un confronto promettente ma andato inevitabilmente a spegnersi, tanto poca era la materia.
Ma a Castaño va anche il merito di aver messo in evidenza quello stesso Flamenco in una suerte de varas palpitante, inaspettante ed emozionante, affidata ça va sans dire a quel Tito Sandoval che ne è forse, oggi, il miglior interprete.
633 chili di nulla, poco prima scaraventatisi per inerzia contro il cavallo al toril, erano ben collocati una prima volta: sorpresa, Flamenco partiva con slancio, e Sandoval assestava una piccata corretta.
Il cavaliere vedeva le potenzialità di quel toro e gli proponeva una nuova sfida, stuzzicandolo da una decina di metri: il Carriquiri esitava, rifletteva a fondo su cosa fosse meglio fare, ma poi si gettava di nuovo contro il ferro di quel bastone proteso.
L'ultima picca era presa partendo addirittura dal centro, con Sandoval perfettamente padrone: roboanti gli applausi, e il picador obbligato a salutare.
Peccato che in Flamenco di bravura non ci fosse nemmeno la più pallida traccia: ogni entusiasta entrata al cavallo corrispondeva ad un'uscita altrettanto fulminea, appena assaggiata la punta della lancia; peccato davvero, che con un toro bravo avremmo assistito ad un momento di intensità diversa.

Ma con un toro bravo la mansada del secolo non sarebbe stata completa.
Meglio così, forse: abbiamo assistito a qualcosa di assoluto e irripetibile.
Speriamo.


(foto Ronda - Las Ventas)




lunedì 4 giugno 2012

Una foto (18)





(foto Ronda - Madrid, Casa de Campo)