lunedì 28 novembre 2011

Non state in pena


"Che l'aficion non abbia pena per questo torero: lotterò l'inverosimile per vestirmi di nuovo da torero, perché è questo il mio sogno.
Ci rivedremo nella plaza de toros."

Tutte le parole di Padilla di quest'ultimo mese andrebbero fatte imparare a memoria ai nostri calciatori.


(foto Ronda - Padilla ad Arles, 2009)

domenica 27 novembre 2011

Un'estate con José Tomas


Dal rientro di Valencia all'ultima di Barcellona, passando per Bayonne e Nimes:
a questo link un interessante reportage video sull'annata di José Tomas.
Di quelle cose che vanno bene per queste serate di nebbia.



(nell'immagine, un'opera di Sylvain Fraysse)

venerdì 25 novembre 2011

Vent'anni

Il 25 novembre del 1991 Christian Montcouquiol è stato per l'ultima volta Nimeño II.
Per l'ultima volta torero.
Il 25 novembre del 1991, torero, Christian Montcouquiol si è ucciso.

"Messico, marzo 1982. Al secondo pinchazo, Christian scuote la testa, chiude rabbiosamente il pugno e va a riprendere la spada che il banderigliero gli sta porgendo.
Si rimette di fronte al toro, la spada puntata al garrese, e il suo viso si fa duro.
Lascia cadere la muleta ai suoi piedi, come un tappeto sul quale marciare per andare a gettarsi tra le corna, seppellendo la spada per intero.
Lo scontro è violento. Christian è sollevato da terra, ma si raddrizza e si immobilizza, le braccia alzate, intanto che il toro per un istante si paralizza, tossisce, abbassa la testa, trema e poi cade pesantemente su un lato, morto.
Christian chiude gli occhi un seconto, e li riapre per vedere tutto il pubblico in piedi."

Il 25 novembre del 1991 era un lunedì. L'alba di un'altra settimana senza poter tornare ad essere Nimeño II: Christian Montcouquiol si è ucciso un lunedì, senza più speranze, appeso a una corda come era stato per tante volte appeso alle corna di un toro.
Un lunedì di novembre è il giorno migliore per togliersi la vita, se sai che la tua vita non sarà più quella che hai prima sognato e poi conquistato.
Se sei stato torero ed ora, solo, uomo.

"Quando Victor Mendes è rimasto steso sulla sabbia, raggomitolato nel dolore, hai dovuto pensare che oltre al toro che l'aveva appena ferito tu avresti dovuto affrontare anche tutti quelli di questa corrida, cominciata così male. Il tuo desiderio mai realizzato di toreare da solo sei tori era qua, ora, nell'emergenza e nella paura.
Tutti si affollano nervosi attorno a te, angosciati per la dura prova che dovrai affrontare. Tutti ti parlano, ti consigliano, ti incoraggiano, ma tu non ascolti.
Le tue palpebre si fermano per qualche secondo, respiri lentamente, alzi la testa e volgi quel tuo sguardo terribilmente tranquillo verso il toro, là in fondo, al quale poi ti avvicini elegantemente, come estraneo a tutta l'inquiedutine che ti attornia.
Immobile tra le raffiche di vento, non ti muovi, il toro sfiora il tuo corpo, si avviluppa attorno a te, si volta veloce contro le tue gambe e i passi si susseguono gli uni agli altri malgrado la violenza delle cariche ripetute e potenti che potrebbero travolgerti. Il trionfo già lo senti, nel mormorio del pubblico, nelle grida dei tuoi subalterni: Bien Christian! Bien torero!"

Torero. Nimeño II era un torero gentile. Christian Montcouquiol un uomo coraggioso e vero. Tanto coraggioso e vero da sapere che senza quel maledetto braccio sinistro che non ne voleva più sapere di funzionare, di reggere la muleta, di aspirare le cariche di un toro, la sua vita poteva finire.
Il destro è il braccio che affonda la spada, il destro è il braccio che ha costruito il cappio e poi l'ha arrotolato attorno al collo.
Era il 25 novembre del 1991, quel giorno Nimeño s'est pendu chez lui, dans son garage.

"Arles, domenica 9 settembre 1989, ultima corrida della feria delle Primizie del Riso. Christian è fermo all'entrata del burladero. Io sono dietro di lui. Non leviamo gli occhi dal toro, e commentiamo a voce bassa la faena d'El Boni e le reazioni del Miura. Di tanto in tanto, quando il torero sembra in pericolo, Christian trasale, e le sue mani si copntraggono sulla cappa. Lo sento pronto a scattare.
- Il toro lo cerca!
Siamo a metà della corrida, Christian e Victor Mendes hanno affrontato ognuno il proprio primo avversario. El Boni si avvicina adesso alla barriera per prendere la spada. Il suo viso gronda di sudore, ma c'è felicità nei suoi occhi, perché sa di aver toreato bene.
Tra pochi minuti uscirà in pista un grande toro grigio. Mi fa già paura, ma ancora non so che è quello che temo da sempre, quello che stroncherà mio fratello e trasfomerà il sogno in incubo.
Fin dal mattino, Christian sa che il toro è impressionante, e che il pubblico attende con impazienza che esca.
Si gira allora verso di me, e sorridendo mi dice:
- Fortunatamente io sono sereno, nell'arena."

Alain Montcouquiol ha visto suo fratello bruciare per la passione ai tori, vestirsi di luce in Europa e nelle Americhe, e poi di passione ai tori decidere di morire.
Ne ha scritto in un modo talmente vero e sincero da essere straziante e altissimo, in due libri straordinari: Recouvre-le de lumière (dal quale sono tratti i brani qui sopra) e Le sens de la marche.



(foto Ronda - Nimes, statua di Nimeño II)

lunedì 21 novembre 2011

Giovani fotografi

Los desperfectos


La foto qua sopra è straordinaria.
Ci si potrebbero perdere giornate intere a immaginare: dove ha messo il corno il toro, se quel torero avesse in mano la capa o la muleta, le banderiglie o la spada, se ne valeva la pena.
A immaginare cosa pensa la signora in barrera a sinistra di quelle due calze rosa, che lo spavento deve averla folgorata e il suo volto ora sembra quasi deformato in una smorfia di riso.
Cosa ricorderà di quel momento la bambina lì a destra, impietrita e terrorizzata.
Se quell'uomo nell'angolo più lontano salterà la staccionata o no.

Sta di fatto che foto sui tori se ne vedono parecchie, ma che abbiano la stessa potenza di evocazione, la stessa forza, la stessa magnetica bellezza francamente se ne trovano poche.
L'ha scattata Rubén Arévalo, di Salamanca: un giovane fotografo aficionado che ha una sensibilità artistica rara e particolare, e che è capace di cristallizzare istanti unici.
Il suo sito va visitato, e forse meglio ancora la sua pagina Flickr dove la collezione è più completa.

Di Madrid è invece Fran Jimenez, altro giovane fotografo taurino al quale non è difficile prevedere un futuro da fuoriclasse.
Ora, non è sufficiente avere una buona macchina e piazzarsi nel callejon per ottenere dei buoni risultati: per tirare fuori istantanee così dense e complete come le sue, così affascinanti, insomma bisogna avere occhio e cuore.
La sua pagina web strabocca di fotografie notevoli, chapeau.


(foto: Los desperfectos, di Rubén Arévalo)

sabato 19 novembre 2011

Genesi della corrida moderna

Il Jean-Pierre Darracq di Genèse de la corrida moderne è un pò come quei vecchi zii, rugosi e burberi, che si andavano a trovare la domenica pomeriggio: avari di affetto e carinerie, mai una caramella o un dolcetto ma sempre pronti a riprendere, sgridare, criticare borbottando quei nipoti che a tradimento gli avevano invaso la casa. E però, anche, capaci di infilare in quella sequela di lamenti e strapazzate alcuni ammonimenti o alcune raccomandazioni di quelle universali e perfette.

I sedici capitoli della Genesi raccolgono in un unico volume gli altrettanti articoli del Tio Pepe che Toros pubblicò tra il 1989 e il 1990: in essi il decano degli aficionados francesi, partendo dalla codificazione che ne fece Francisco Montes Paquiro a metà del XIX° secolo, illustra la corrida nella sua evoluzione. Ma questa genesi non è altro che il punto di partenza che permette all'autore di costruire un nuovo impianto disciplinatorio della corsa dei tori, un sistema di norme e buone pratiche per garantire l'integrità della pratica taurina.

Il libro è un manifesto dell'ortodossia: nessuna concessione al toreo di profilo, alle faenas che contino più di venti passi, al toro commerciale. La Genesi è un'opera che fissa canoni rigorosi e ferrei, che indica la strada per realizzare la verità nella corrida, che vuole crescere aficionados responsabili e consapevoli.
Certo alcune rigidità lasciano perplessi, e la foga con cui l'autore si accanisce contro l'uso del derechazo lascia senza parole ed è addirittura irresistibile: ma come quei rimbrotti o punizioni che i genitori somministrano ai bambini dicendo loro "un giorno capirai" (e in effetti prima o poi arriva, quel giorno), così il testo di Darracq è una ramanzina in forma di saggio le cui portata e importanza i più giovani lettori forse non comprenderanno subito, ma di cui faranno certo tesoro nel corso della propria vita di aficionados.

Da leggere.
E come ogni cosa del Tio Pepe, poi, da rileggere.

mercoledì 16 novembre 2011

Il toro a Bologna


Tra la primavera e l'estate del 1923 alcune città italiane furono le tappe di una tournée di corride nel Belpaese: tra queste anche Bologna in due riprese, e dove il 27 maggio vennero fatti correre (come ci dice Giorgio Ponticelli) dei torelli di Antonio Fuente.
Si incaricò Fermin Munox Corchaito di "banderigliare e dare la morte" ad uno di questi.

Oggi giovedì 17 novembre presso il Café de la Paix in via Collegio di Spagna, Bologna sarà di nuovo terra di tori: qui, alle ore 18, Matteo Nucci presenterà il suo libro Il toro non sbaglia mai.

Emiliani, romagnoli, e tutti quanti sono avvisati.


(acquerello di Daniele Gay)

domenica 13 novembre 2011

Finalmente



giovedì 10 novembre 2011

L'aria fresca del campo





Quando penso al campo bravo la prima cosa che mi viene in mente è l'aria fresca.
Non i tori, che pure sono di assurda e abbacinante bellezza, non l'erba verde e croccante, non le lepri che guizzano nei prati, gli aironi e le aquile, i rivoli d'acqua e i querceti.
Non le rughe degli uomini che vivono per i tori.

Quell'aria è la prima cosa che ricordo.
Un'aria leggera, che punge sottile, che scuote.
Fine, profumata, effervescente e delicata.
E fresca, l'aria dove i tori pascolano è sempre fresca.

Quell'aria c'è solo al campo: chi non l'ha mai respirata, chi non l'ha mai sentita solleticare il volto, non sa quanto sia grande la corrida.


(foto Ronda - ganaderia di Sagrario Huertas)


lunedì 7 novembre 2011

Elogio del sapone







L'oggetto più bello e più pulito di questo mondo è il sapone ovale che solo odora di sè stesso.


Inizia così Elogio del sapone di José Emilio Pacheco: chissà se il poeta messicano nell'ispirarsi alle virtù della saponetta aveva pensato che un giorno quelle parole sarebbero finite sui blog taurini.
E pure, leggendo alcuni brani di quell'elegia, è impossibile non andare con la mente e subito all'arte dei tori:


"Mentre mi rado ed ascolto un concerto di musica da camera, mi nego di ricordare che tanta bellezza soprannaturale, la musica diventata schiuma dell'aria, non sarebbe possibile senza gli alberi distrutti (gli strumenti musicali), l'avorio degli elefanti (la tastiera del piano), le budella dei gatti (le corde).

Allo stesso modo, non importano le essenze vegetali, le sostanze chimiche nè i profumi aggiunti: la materia prima del sapone incontaminato è il grasso dei mattatoi. Il più bello ed il più pulito non esisterebbero se non fossero basati nel più sporco e nel più orribile. Così è e sarà sempre, per disgrazia."

Il più bello non esisterebbe se non fosse il riscatto del più orribile.
La corrida.
Dove il sublime è possibile perché muove dall'indecenza, dove la bellezza è vera perché sgorga per istanti celestiali dagli abissi dell'orrore.
Dove ciò che è brutto è brutto davvero.
Il sangue rosso che chiazza la sabbia, e il piscio e il sudore, il puzzo e il fastidio, la terra e il fango, le smorfie e gli spasmi, gli umori e la merda, l'agonia e la morte.
Da questo nasce l'eterna grandezzadel toreo, la lirica inarrivabile di una faena ispirata, l'armonia sovrannaturale di un natural profondo.
Tutto questo ha dimensione e valore assoluti perché erompe dalle miserie dell'agonia, dal tanfo dolciastro del sangue, e dalla morte di sei tori che è il peccato originale che macchia ogni tarde
Luce che sfugge alle tenebre, purificazione che pretende sangue e sacrificio.
La corrida è grande perché è vera e perché risorge l'uomo, ogni volta, dal suo baratro.

Ciò che è più radiante trova la sua origine nel più oscuro.

Il sapone con cui ci laviamo e profumiamo ogni mattina è fatto con il grasso delle bestie uccise nei macelli.



(foto Ronda - Cenicientos; il testo di Pacheco arriva via SyM)



venerdì 4 novembre 2011

Fandiño uno di noi


"(...) quello che c'è da fare è un'Associazione di Aficionados che si chieda come considerare la fiesta e che la supporti e la aiuti in questo momento così difficile."

Olé torero.



(foto Ronda)

mercoledì 2 novembre 2011

Servizi deviati


Niente resterà impunito era una delle più fantastiche rubriche del mai troppo compianto Cuore: le sue pagine verdi hanno lasciato un vuoto incolmabile e sì, sono sempre i migliori che se ne vanno...
E se Alle Cinque della Sera fosse stato un blog di satira taurina l'articolo qua sotto avrebbe dato materiale per tutto l'inverno: ce lo manda dopo faticose ricerche il compagno Francesco da Bologna, è il pezzo uscito sul Carlino all'indomani dell'ultima corrida barcellonese.

Da leggere, con gusto.



L'ultima corrida, olè


di Vincenzo Pardini (da Il Resto del Carlino del 25/9/11)

OGGI, NELLA PLAZA de Toros di Barcellona, uomo e toro duelleran­no per l'ultima volta, incrociando spada e corna. Perduto il fascino di un tempo, la corrida è stata ripudia­ta da molti spagnoli. Scrittori, tra cui Hemingway, le hanno dedicato fiumi d'inchiostro. Pagine in cui si parla sempre di uomini e mai di to­ri, giocattoli animati per dilettare le folle e mettere in bella mostra il to­rero eroe. Nell'arena, più che coraggio, occorrono freddezza e crudeltà. Si colpisce un essere innocente, feri­to e sfiancato dai banderilleros e fra­stornato dai colori che gli balenano attorno, tra cui il drappo rosso, die­tro al quale si nasconde il ferro che gli squarcerà il cuore. Ma se provia­mo a entrare dentro di lui, avvertia­mo quanto la sua eroica e primitiva ingenuità abbia il potere di farci tor­nare indietro nel tempo, ai giorni al­lorché non eravamo gli esseri evolu­ti che saremmo diventati, tanto da riuscire a dominare gli altri anima­li, dei quali abbiamo finito con l'ap­profittarci, fino alla malvagità più efferata e blasfema, perdendo quel­la sensibilità e quell'amore verso il Creato, noi stessi e il prossimo, quindi verso il mondo, che conti­nuiamo a illuderci di asservire ai no­stri peggiori intenti. Manto nero e forme atletiche dei campioni umani sollevatori di pesi o pugili pesi massimi, il toro della corrida ha la testa larga, cespugliosa di pelo e le corna bianche; le zampe sono robuste, agili, lo zoccolo largo e flessibile.

CRESCIUTO al pascolo, ha fiducia in se stesso, e altro non pensa che alle sue esigenze vitali, ai suoi istin­ti, tra cui l'amore per le giovenche. Nel viaggio verso l'arena si sente sperduto, prigioniero di non capi­sce cosa, e vorrebbe tornare brado. Gli uomini che lo scortano, li consi­dera una via di mezzo tra conoscen­ti e amici, avvertendone le intenzio­ni dal tono di voce. Stare nell'arena, in mezzo alle urla, ai colori della fol­la che lo assedia, deve infondergli disorientamento, tanto più quando iniziano a ferirlo le punte dei banderilleros. Poi scorge il drappo rosso e un uomo che lo provoca e lo incalza. Allora gli subentrano paure e furore e carica con tutta la forza di se stes­so. Vuole allontanare un pericolo, un avversario che non è andato a cercare, ma si è trovato di fronte. I minuti passano, le forze comincia­no a venirgli meno. Non più nero e lucido, il mantello è una maschera di sangue rappreso. Ha il respiro grosso e corto. Barcolla. Implacabile e determinato, il torero gli pianta il ferro fino al cuore; il suo collo lar­go, muscoloso e nobile è infranto, sfigurato alla stregua di un'opera d'arte. Si piega, e cadendo guarda il cielo; gli ultimi sprazzi di memoria rivolti ai pascoli, alla libertà. Creatura di Dio, anche lui ha un'anima. Sono innumerevoli, mandrie che occuperebbero un con­tinente e forse di più, i tori uccisi nelle corride. Qualche volta hanno avuto la meglio, incornando il tore­ro; alcuni hanno tentato addirittu­ra di fuggire, arrampicandosi sui palchi e tra la folla. Mai l'hanno fat­to per spirito di vendetta, ma per dirci che non ne potevano più.

MESSAGGI che si recepiscono con la calamita della sensibilità, con quel qualcosa che parte da noi e si trasferisce nel prossimo, che non è soltanto il nostro simile, ma anche l'animale, di cui dobbiamo com­prendere il linguaggio, fatto di sguardi e atteggiamenti. Lo sguar­do dei tori delle arene non è catti­vo, è triste alla stregua di quelli ven­duti al mattatoio, da dove può acca­dere cerchino di fuggire come i lo­ro fratelli dalle arene. Infatti non sa­rebbe nella loro natura e intenzioni scontrarsi con l'uomo, col quale niente hanno da spartire. L'uomo, invece, vuole impossessarsi di ogni cosa. Tra cui vita e destino di chi riesce a sottomettere e schiavizzare. La corrida ne è la dimostrazione. E lo sarà finché non verrà abolita ovunque.

IL GIRO d'affari delle corride, è un'industria con 200 mila ad­detti e vale oltre 2,5 miliardi di euro all'arino, contribuendo per lo 0,25% al Pil nazionale. Ma negli anni lo spettacolo che ispirò artisti e scrittori del cali­bro di Pablo Picasso e Ernest Hemingway ha perso il suo appeal. Secondo un sondaggio del 2010, solo il37% degli spagnoli si dichiara interessato alla corri­da, mentre il 60% boccia addi­rittura lo spettacolo. Dal canto loro, gli appassionati catalani della corrida hanno raccolto 300mila firme in difesa della "Fiesta".


(nell'immagine la prima pagina, straordinaria, di un numero del novembre '91)



martedì 1 novembre 2011

Matador


Personaggio vulcanico capace di passare agevolmente dalla boxe alla pittura alla musica, vice console americano in Spagna dal '43 al '46, il californiano Barnaby Conrad fu folgorato durante il suo soggiorno iberico dall'arte tauromachica tanto da diventare intimo dei più grandi toreri dell'epoca (Belmonte, Arruza) e addirittura alternare con loro in qualche festival.
Gravemente incornato nel '58, il "Niño de California" - questo il suo nome da torero - ritornato nella natìa America aprì a San Francisco un bar taurino, foto di Manolete alle pareti e tapas sul bancone.

Non fosse che per il profilo del suo autore, Matador meriterebbe una lettura.
Pubblicato nel 1952 e protagonista di un successo mondiale (milioni le copie vendute), l'opera è stata tradotta in una trentina di lingue, e Steinbeck o Faulkner tra gli altri non si limitarono nei commenti generosi e elogiativi.
Il libro è, essenzialmente, il racconto dell'ultima corrida e della morte di Manolete: Conrad si limita nella narrazione a cambiare qualche elemento, il califfo diventa Pacote e il suo rivale Dominguin diventa Tano Ruiz, la corrida fatale è a Siviglia e non a Linares... ma la storia è esattamente quella che conosciamo, con il toro di Miura, la bella e mantidea Socorro/Lupe Sino, la rassegnazione autodistruttiva del torero.

Un romanzo taurino come ormai non se ne scrivono più, e peraltro costruito bene: l'azione si svolge esclusivamente nella claustrofobica camera d'hotel e nella Maestranza che diventa teatro di morte, la costruzione della storia conquista il lettore obbligandolo ad accelerare per arrivare all'epilogo, ed i personaggi sono davvero ben definiti.
Certo che però il libro ha qualcosa di diverso, e il suo autore è bravo a raccontarci altro.
Matador è l'inesorabile discesa verso le angosce più profonde di Pacote, il suo ricorso suicida all'alcool, le sue incontenibili paure e il suo precipitare coscientemente verso una fine segnata.
Il Manolete di Conrad è un uomo fragile e stanco più che un torero che segnerà la sua epoca, i suoi sono gesti ora nervosi e irritati ora infantili e inadeguati, è un uomo che conosce le proprie paure e pure non riesce a vincerle e forse, segretamente, nemmeno vuole.
Il Pacote protagonista di Matador è insomma uno fra i migliori personaggi letterari taurini che si possa capitare di incontrare, e il cui ricordo difficilmente sbiadisce nel tempo.

Una lettura caldamente consigliata dunque, a maggior ragione ora che la temporada invernale è tragicamente agli inizi e i mesi a venire saranno lunghi e grigi.
Piccola nota finale, l'edizione Bompiani che abbiamo recuperato su Ebay a un prezzo ridicolo (meno di 3 euro) è la prima mai pubblicata in Italia: datata 1954, la copertina è illustrata niente meno che da Bruno Munari.
Altri tempi.