mercoledì 30 settembre 2009

Siviglia - Las Vegas e ritorno




Alla Feria di San Miguel 2009, due corride che sono la prima un viaggio negli abissi in cui rischia di finire la tauromachia, la seconda una ostinata e orgogliosa risalita fino a ritrovare la luce.

Sabato corrida devastante di Parladé: sei tori su sei fischiati all'uscita è un bel record al quale francamente non mi ricordavo di aver mai assistito.
Sei tori fatti con lo stampino: piccoli, appena sufficientemente armati, difficilmente dando l'impressione di forza e brutalità, anche agli appassionati meglio disposti.
Al morale, ancora un altro calco: a piccoli passi nel cavallo, ne uscivano presto subito infastiditi dal ferro, passeggiando disorientati per la pista a cercare alternative al combattimento.
L'ultimo atto, infine, di una vuotezza deprimente: non hanno preso delle gran picche, ci dicevamo, almeno che alla muleta abbiano un pò di motore.
Niente, vuoti, incapaci di attaccare. Fermi. Tra i due o tre peggiori sestetti mai visti.
Bel colpo.
Morante e Castella in una sfida a due (El Cid, previsto all'appuntamento, indisponibile causa precedente cornata) hanno con questo materiale potuto poco (la formula di rito per una volta ha qualche senso), ma è pur vero che soprattutto il primo non era, per usare un delicato eufemismo, in giornata.
Oggetto di un culto tutto pagano alla Maestranza, un Morante gonfio, col viso tirato e i movimenti rallentati, sabato scorso è parso disorientato, svuotato di iniziativa, ansioso di tornare a casa presto e sistemarsi in poltrona, sigaro e cognac.
I tentativi di veroniche al quinto toro, culo fuori, ginocchia semipiegate, toro a 3 metri, imbarazzanti. Qualche bel dettaglio, qua e là, ma come dire che perdere 4-0 un derby è comunquee cosa buona se un paio di colpi di tacco li hai fatti.
Castella ha avuto il merito di andare a vedere se dentro quelle carcasse con le corna ci fosse almeno un'ombra di sostanza, al quarto ha ascoltato brevemente la musica provocando un paio di cariche da lontano, al sesto ha instrumentato un buon lavoro con la capa e all'ultima faena del pomeriggio ha finalmente scaldato le gradinate: passo cambiato (alla moviola, che altro non si poteva fare), poi alcune serie di gusto cesellate al centro dell'arena, sempre attento a non abbassare troppo la muleta.
Un'orecchia probabilmente eccessiva, ma che interpretiamo come gesto di cortesia del presidente a premiare la resistenza e la tenacia dei 12.000 presenti.
Una corrida buona per la parodia di Las Vegas, un insulto alla storia e al prestigio della Real Maestranza, indegna di correre su quella sabbia.
Cosa che ci ha colpito e davvero rattristato, il lavoro dei picadores una fastidiosa formalità da sbrigare velocemente, di cui liberarsi presto, una incomprensibile eredità di un passato arcaico.

La Maestranza vestita a festa, sublime ed unica, finita in una grottesca mascherata.
Cose che fanno male, anche.

Domenica, che grande soddisfazione, che grande sollievo, il repentino viaggio di ritorno dal Nevada alla Spagna dei tori, all'Andalusia della tradizione secolare, alla corrida.
La Real Maestranza di Siviglia ha (ri)visto la luce, e quel giorno il suo abito rifinito d'oro ha potuto tornare a brillare, lucente e seducente.
Hanno corso gli Alcurrucen: non quelli di Cenicientos, certamente, ma comunque una dignitosa e interessante corrida di tori, alcuni esemplari sfoggiando una casta non scontata in corride per figuras ed altri una nobleza di quella buona.
Il quarto ha lasciato un'orecchia a Ferrera, se fosse per me le avrei tagliate tutte e due ma al torero: che lasciarsi scappare un toro così, con un corno destro da sogno e di una nobiltà per una volta piena e vera, dedicandosi ad una faena meccanica e isterica, è crimine da punire severamente.
Applausi convinti anche al terzo, Barberito, che arrivato alla muleta con carica e benzina ha dato vita insieme ad un ispirato Daniel Luque ad una faena vibrante, completa, rotonda.
Diciannove anni e non sentirli: Luque in dieci minuti di autorevolezza e sentimento ha regalato ai presenti brividi ed eccitazione; passaggi statuari, serie profonde, fioriture di gusto sivigliano e un paio di trincherazos sontuosi ad imporre la propria legge.
Le gradinate eccitate, elettriche, gente in piedi: due orecchie, niente da dire.
Talavante non pervenuto.
Da applausi tre Alcurrucen, non dei carroarmati nel cavallo ma comunque con forza e sfumature di bravura negli assalti, con una carrozzeria degna di una piazza come Siviglia, e con qualità (e difetti) di una buona corrida di tori.
Peccato per quel sesto, un manso folle e impossibile, che ha guastato la chiusura della corsa e troncato sul nascere le velleità di successo del giovane Luque.

Il vestito della domenica, questa volta, si addiceva al pomeriggio vissuto dalla Maestranza.
Che, già sola, è uno spettacolo enorme e che, con tori e toreri degni di portare questi nomi a sfidarsi sulla sua sabbia ocra, è luogo atemporale e magico.
Di indescrivibile bellezza e fascino.

(foto Ronda - Luque con Alcala, il sesto; giochino idiota con lo zoom e un tempo lungo, ma da riprovare qualche altra volta)

lunedì 28 settembre 2009

Cartoline da Siviglia


Un prezioso ed emozionante viaggetto familiare a visitare la meraviglia che sta ai bordi del Guadalquivir è stato anche l'occasione per tornare alla Real Maestranza, approfittando del doppio appuntamento proposto dalla feria di San Miguel.

Corrida sconcertante al sabato, che nemmeno a Nimes avrebbero il coraggio di presentarla, e riscatto del blasone sivigliano alla domenica, con un encierro di Alcurrucen che non passerà alla storia ma che ha davvero ben figurato, con tori ben presentati e in un paio di casi interessanti e decisi.
Daniel Luque, inedito nella nostra collezione di figurine fino ad oggi, da rivedere presto: faena completa, valorosa e rotonda, con punte di autorità e scintille di grazia.

Parole ed immagini nei prossimi giorni.

(foto Ronda - la Real Maestranza)

giovedì 24 settembre 2009

Artamir, Flickr e i Toros Negros




Sono arrivati prima quelli di Campos y Ruedos (*), ma loro sì che sono organizzati e sempre sul pezzo...

Succede che un fotografo che pubblica le proprie immagini su Flickr, tale Artamir, in qualche modo suggestionato dalla corrida pur essendo estraneo a questo mondo, abbia deciso di scandagliare quel sito alla ricerca di fotografie in tema.
Ne ha presa qualcuna di quelle in bianco e nero, le ha commentate con trasporto e coinvolgimento, e ne ha fatto una galleria: La suerte o la muerte.

Con mia enorme e sincera sorpresa, accanto a quelli di fotografi con i controattributi ci sono pure un paio di scatti del sottoscritto.
Ed è davvero curioso leggere un commento ad una tua foto scritto da chi né ti conosce né conosce ciò che hai ritratto.
Cose buone.

Nel frattempo la raccolta dei Toros Negros è cresciuta, e qualche fotografia merita davvero la visita.

(la foto, presa da quella raccolta, è di Yannick Olivier)

martedì 22 settembre 2009

Goodbye Las Vegas (Victorino resta qua)




Prime due corride incruente a Las Vegas ed enorme bagno: non di folla, che gli spalti erano evidentemente vuoti, ma dei conti dell'impresa.
Che, a seguito di questo clamoroso buco, si è vista costretta a modificare pesantemente la delirante temporada nel Nevada: evidentemente non tutti sono a disposti a spendere 600 dollari per vedere i tori, tra una slot machine e un black jack.
Bene insomma, dove non arriva l'intelligenza degli uomini (corride incruente, toro non stoccato ma ucciso nel macello dietro il palazzetto dello sport, banderillas piantate nel velcro...tauromachicamente parlando, uno stupro in piena regola) arriva l'impietosa e per una volta benedetta legge del denaro.
Juli, Fandi e altri hanno già dato forfait, evidentemente il faccendiere Don Bull, l'impresario di questa pagliacciata, non aveva più soldi a sufficienza per i loro onorari.
Certo qualcuno ha una visione più romantica della cosa, arrivando a pensare che le vedetttes spagnole abbiano rinunciato per amore della corrida autentica, per non devastare una tradizione secolare esportandola in una città paradossale, ma temo che le vere motivazioni siano essenzialmente economiche.
Beh, poco male: non ci strappiamo certo le vesti per questo capitombolo dell'improbabile e circense Don Bull.

Tutti contenti dunque, la cultura della corrida è salva?
Così così.
C'è un'ombra in tutta questa storia, un fulmine a ciel sereno, inaspettato e amaro.
Rullo di tamburi, ed ecco il domandone...quale allevatore spagnolo ha dichiarato candidamente che, se interpellato, non avrebbe esitato a portare i suoi tori nel Nevada, a esibirsi di fronte a pingui texani o californiani con hamburger di ordinanza in mano e nell'altra i due litrozzi di coca-cola...?
Garcigrande, Zalduendo, Domecq vari...?
No, no, no.
Attenzione, attenzione...il nome è altisonante.

Victorino Martin!

Ahi ahi ahi.

(cliccare sulll'immagine per leggere l'intervista a Victorino jr, pubblicata sul Sud Ouest qualche giorno fa - grazie ad Isa di Mont de Marsan per la segnalazione)

domenica 20 settembre 2009

Il resto del Riso





Detto della corrida concorso, rimane poco di cui rendere conto: è vero che venire dopo Clavel Blanco sarebbe stata prova ardua per chiunque, ma è altrettanto vero che i due successivi pomeriggi all'arena sono stati vuoti, lunghi, noiosi.
12 tori e mezz'etto di casta a essere buoni: flosci, senza razza, senza intenzioni (nemmeno quelle buone), e qualcuno anche senza corna.
Dei sei uomini, solo Manzanares ci ha un pò svegliati, con tre minuti tre di toreo lento, profondo, estatico ed elegante.
Tre minuti in cinque ore che sono durate le due corride, converrete, sono un pò pochi...

Ma per non chiudere mestamente la trilogia arlesiana, che in realtà si è trattato di un gran bel week-end, ecco la galleria di foto della Feria du Riz.


(foto Ronda - corsa di tori sul boulevard des Lices, Arles)

giovedì 17 settembre 2009

Gran concorso ad Arles

Prendiamo per esempio Tison Gay, grande velocista, recordman nazionale sui 100 metri piani con un sontuoso 9''71: impresa da sogno, tempo storico, ma appena passato il traguardo infinita amarezza e un bel rosario di saracche.
Sì perché anni di preparazione certosina, allenamenti rigorosi, sacrifici e impegni, e un 9''71 dorato non bastano se sei nato e corri nella stessa era di Usain Bolt, essere sovrumano, che ti ha dato cinque metri ed è là davanti a festeggiare il nuovo incredibile primato del mondo, oltre ogni immaginazione.
Che sfiga.

Stesso destino quello di Aguardentero, toro di Prieto de la Cal, che venerdì scorso ha infiammato l'arena di Arles durante la corrida concorso con quattro entrate al cavallo potenti e distruttive.
Magnifico nella presentazione (i tori della marchesa sono sempre essenzialmente belli, e questo ancora di più), selvaggio e coriaceo nella suerte de varas, ovazioni ad ogni sua galoppata.
Concorso vinto a mani basse...se non fosse che bastava nascere un annetto prima o un annetto dopo, e insomma non giocarsi la stessa corrida di Clavel Blanco, arrivato da un altro pianeta a portarsi via il premio.
Che sfiga.


Un pomeriggio di quelli da ricordare l'11 settembre 2009 ad Arles, l'arena popolata di seimila aficionados venuti ad ammirare il toro, godere della sua bravura, emozionarsi per la sua combattività, applaudirlo e piangerlo.
Del Signore Bianco abbiamo già detto, e Aguardentero arriva secondo anche sul nostro blog.
Uscito per quinto, capitato ancora in sorte a Lope Chaves, i suoi dieci minuti di sfida al cavallo rimarranno nella nostra memoria per parecchio tempo: un combattimento autentico, potente ed elettrizzante.
Si sa, i veraguas sono catapulte da picador, capaci di lanciarsi da ventri metri come una sassata contro il giallo della protezione: e se Clavel Blanco attaccava con la potenza austera di una corrazzata, Aguardentero sparava il suo corpo nell'assalto come un cannone sputa i suoi missili.
Fatto ancor più spettacolare, a tre metri dall'incontro quel toro magnifico abbassava la testa, muso a terra e bum! dentro: nella prima piccata si fa bilancia con il cavallo, rimasto sospeso su quel collo che ora porta 400 kg come se niente fosse.
Il Garofano Bianco aveva calato sull'arena una cappa di tensione elettrica, Aguardentero invece ci siringa litri di adrenalina nelle vene: il secondo assalto è roba di altri tempi, il toro è una valanga e uomo e cavallo schizzano via come birilli, Rafael Lopez (dell'équipe di Sanchez Vara) rimane a terra, lancia in mano.
Sui gradini fa caldo, molto caldo, e non è tutto merito del bel sole provenzale.
Alla terza entrata l'impatto è fragoroso, Aguardentero spinge come un ariete preme sul portone di un maniero da violare.
Applausi, grossi applausi, il rosso del sangue va a macchiare quel pelo così elegante e che ora si fa bello di nuove sfumature vermiglie.
Lopez Chaves si ripassa il manuale dei Prieto de la Cal e lascia il toro a 20-metri-20: testa bassa, una cannonata, cavallo per aria, Rafael Lopez precipita sulla sabbia e rimane alla mercé del toro, che lo passa, lo scavalca, lo tiene sotto le gambe.
Enorme, Aguardentero, selvaggio e pugnace come pochi tori si vedono in un anno.
Cos'è mancato al Prieto de la Cal per essere un grande toro e per giocarsi la concorso?
Il presidente.
Che contro il desiderio di seimila cuori ormai scossi e conquistati nega ad Aguardentero la quinta picca, la sesta, che l'avremmo visto lanciarsi dall'altra parte dell'arena, è sicuro, da quaranta metri contro quel ferro che ogni volta lo ferisce ma che ogni volta affronta con immutata bravura.



Gli altri quattro?

Borrascon era un Partido de Resina di 580 kg che più pabloromero non si può, magnifico per pelaggio e corporatura. Tre incontri nella cavalleria esitando un pò ed uscendo da solo, alla muleta arrivava appensantito e aveva nelle gambe un passo o due prima di fermarsi.
Il toro di Conde de la Corte, Sirio di 590 kg, permetteva a Cruz di mettersi in mostra con veroniche secche e di grande coraggio. Tre picche anche per lui, discrete le entrate e testa alta nel fianco equino. Gran motore nell'ultimo atto, al quale però arriva con la testa alta obbligando il torero ad un lavoro faticoso e meritorio.
Blanquet di Yonnet, 540 kg, di una bellezza straordinaria nel suo manto salpicado (a lui sicuramente il premio eleganza della giornata), quasi un rebus per quanti amano arrischiarsi nella definizione dei colori del pelo.
Forse il toro peggio piccato, ed è una disgrazia perché Blanquet aveva una certa classe nel cavallo, spingendo forte fino alla quarta entrata, nella seconda mettendo bene le reni.
Faena dura e complicata, aspra, il toro ha ancora un discreto capitale di passi ma stringe sull'uomo, costringendolo agli staordinari.
Infine Mercancias di Cuadri, 620 kg, in linea con gli altri stessi Cuadri usciti a Ceret in luglio: esita ad attaccare il picador, si addormenta sul di lui fianco, muove disordinatamente la testa.
Poco sedotto dal panno di Cruz, il toro è piantato sulle gambe, si difende e si fa pericoloso.
C'è poca sostanza nei suoi seicento e passa chili.

Loro i protagonisti del giorno, ma rimane da dire degli uomini.

Quelli a cavallo a tratti addirittura eroici, Rivas (per il Perez de Vargas) e Lopez (per il Prieto de la Cal) si sono letteralmente giocati la vita di fronte a tori che sono monumenti viventi di muscoli e corna, che attaccavano, e li rovesciavano, una, due, tre, quattro volte.

I toreri sono rimasti in trio per lo spazio della sfilata iniziale, terminata la quale Sanchez Vara ha abbandonato per problemi ad un braccio: fa piacere dirlo perché il gesto è nobile, il torero ha deciso di far fronte comunque a tutte le spese compresi i cachet della sua squadra, e di dividere il rimanente tra i due colleghi rimasti a combattere da soli i sei tori.
A Domingo Lopez Chaves e Fernando Cruz, i cui nomi non verranno certo scritti in caratteri d'oro nel libro mastro della storia della tauromachia, va tutto il nostro sincero rispetto: ad entrambi sono toccati clienti per usare un eufemismo difficili, ed entrambi hanno reso onore all'impegno con dignità e serietà, costruendo combattimenti leali e franchi e a sprazzi riuscendo anche a tirare passi eleganti e profondi. Soprattutto, abbiamo sul serio apprezzato il rispetto vero e ammirevole portato ai sei tori, alle specificità della corrida concorso, al pubblico.
Meritano più ammirazione loro in un pomeriggio che molte delle pseudo star, pagate camionate di euro, in una stagione intera.

22 assalti alla cavalleria.
12 corna spesso spaventose, intaccabili, aguzze e perfette.
Soprattutto, 6 tori e 6 origini diverse, una preziosa lezione di varietà di comportamento e morfologia: per ordine di anzianità, gallardo, veragua, tamaron, pedrajas, santacoloma, pinto bareiros.
Una delizia.

Grande pomeriggio di tori, ad Arles, di quelli da cui esci pieno, emozionato, intimamente felice: la grandezza unica della tauromachia.
Avanti, all'anno prossimo.

(foto Ronda - Aguardentero alla quarta entrata: cliccare per vedere meglio)

lunedì 14 settembre 2009

Garofano Bianco

Partiamo dalla fine.

Arles, venerdì 11 settembre 2009, ore 18.50 minuto più minuto meno, e d'altronde c'entra poco.

Un signore canuto e piccoletto si alza dal posto che da sempre occupa sui gradini dell'arena, lì appena sopra alla porta dell'arrastre, si toglie la coppola grigia e con un gesto solenne ed assoluto la lancia a planare sulla salma di quel toro che le mule stanno trascinando lentamente, a raccogliere gli applausi commossi di seimila persone scosse dall'immensità della sua bravura.
Quel signore che illumina un pomeriggio ormai già storico con quell'eleganza d'altri tempi, capace da sola di restituire alla tauromachia la grandezza tutta di cui sa essere capace, è Hubert Yonnet, ganadero, titolare di un toro che pure parteciperà a quella concorso, commosso e rapito come tutti da quell'animale selvaggio che, ora vinto, sfila per un'ultima volta sotto gli occhi della gente.

Arles, venerdì 11 settembre 2009, qualche decina di minuti prima.

Clavel Blanco, di Maria Luisa Perez de Vargas, marchiato con il numero 38, 610 chili, nato un qualche giorno del settembre 2004, esce dalla cella.
Ci siamo, mi sussurra il mio vicino venuto dall'oceano apposta per lui.
E' l'unico esemplare, l'unico, che la sua ganaderia farà combattere quest'anno: i suoi fratelli pedrajas non li vuole nessuno, troppo duri, coriacei, selvaggi, né toreri né imprese ne vogliono sentire parlare.
Clavel Blanco, l'unico che quest'anno porterà sul dorso la divisa gialloblu esce dal corridoio nero e attacca la sua sinfonia.

Garofano Bianco, che nome bizzarro per un toro che è la summa di tutta l'immensità della bravura, insieme poesia e brutalità, selvaggio e nobile di una nobiltà regale, generoso fino alla morte, signore e guerriero.
Garofano Bianco, che delizia sapere che nel cuore degli allevatori c'è ancora spazio per il romanticismo, che oggi chiunque altro avrebbe battezzato quel toro con appellativi roboanti e magari di hollywoodiana ispirazione, no, Clavel Blanco semplicemente, perché è bello così.
Garofano Bianco, prezioso e luminoso fiore di quel pomeriggio, un toro selvaggio che buca i sentimenti di quei seimila fortunati seduti attorno a lui, gioca con le loro trippe, rivolta l'anima, dà lacrime ed eccitazione.
Garofano Bianco, decine, centinaia di migliaia di brividi sulle braccia di noi fortunati, giù lungo la schiena, la testa che gira, le mani che abbracciano il volto, qualche occhio più lucido del normale, qui e là.

In mezzo a quel buco nero ci sono i suoi ultimi minuti di vita, noi testimoni ogni minuto più consapevoli della grandezza del suo passaggio in quella cittadina provenzale così dolce e calda alla luce del tramonto, privilegiate presenze ad una funzione unica e maestosa.
La cronaca di quei momenti non restituirà il vortice inaudito di elettrica emozione, le vertigini, ma sarebbe ingiusto esimersi dal racconto, ingrato non celebrare, egoista tenere per sé e non scrivere, per conoscenza di chi non c'era.

Clavel Blanco entra sulla sabbia e l'arena romana di Arles ha un nuovo ed eterno re: dieci, dodici, quindici passi e il toro di Maria Luisa prende possesso del centro della pista, il trono più adatto.
Lasciamo il giro lungo le assi a cercare l'uscita alla plebaglia domecq, lasciamo le cornate di rabbia schiumante dritte nel burladero ai novillos più arditi, Clavel Blanco qua è sua maestà, il padrone, l'arena è sua.
Al centro, statuario, lo sguardo sicuro a sfidare tutto, tutti, i toreri, le assi, i fotografi, le mura, il presidente, noi.
Quindici falcate normali e autoritarie per stabilire le gerarchie.
Arriva la capa di Lopez Chaves, il Garofano ci si incolla a piccoli ed inesorabili passi, l'uomo rincula impotente, il toro è lì due spanne davanti e non molla, una lenta ma testarda colata di lava più che l'urgenza di un fiume in piena.
Lopez Chaves abdica, superstite, già provato.

E poi entra Quince, che porta in sella Juan Luis Rivas.
I due si riveleranno gli eroici attori coprotagonisti in una sceneggiatura densa ed intensa, in un grande momento di tauromachia autentica, di alta equitazione , di ammirevole coraggio umano.
Entra il cavallo con il suo picador, e l'11 settembre per una volta diventa una data sublime, e tutti i garofani che hanno riempito i cimiteri per quegli altri tragici 11 settembre trovano oggi riscatto, dignità, bellezza.



Clavel Blanco vede il cavallo, niente ha più importanza.
Niente: le cape, gli uomini a bordo pista, le voci dei peones, il brusio che sale dai gradini, niente ha più senso, niente esiste più.
Solo quel cavallo, là a dieci metri.
Si mette in posizione da solo, il Garofano, gli occhi fissi sulla fortezza, e parte.
Bum.
Quince è coricato, Juan Luis Rivas atterra un paio di secondi dopo.
Clavel Blanco lascia che i due si ricompongano, e prende la rincorsa.
Seconda entrata, un carroarmato.
Alla terza entrata già la scissione tra anima e corpo in noi è definitiva, la prima tra gli angeli, il secondo a soffrire e godere, ammirare e vibrare.
Il cavallo resiste, Rivas suda, il Garofano torna indietro e riparte.
Quarta volta sotto il ferro della picca.
Al quinto assalto niente è più al suo posto, le leggi della fisica, i battiti del cuore, gli occhi di chi hai di fianco, tutto si mischia, siamo in un altro dove, chissà quale.
Suona la musica, sfiatano le trombe e gli ottoni ma non per le sinuosità della muleta, non per il vortice dei passi del toreo sedicente artista, suona la musica perché il direttore d'orchestra (lui, non il presidente) ha deciso che quel momento merita di essere tributato come si deve, quegli istanti di assoluto vertice emotivo ed animale vanno celebrati e resi immortali.
Suonano i membri dell'orchestra nelle loro giacchette rosse, e dalla parte opposta dell'arena Juan Luis Rivas, abbarbicato sulla sua montatura, resiste come può al quinto assalto del Garofano, ancora forte, anzi più forte di tutti gli altri, poi il castello si fa di carta, le fondamenta cedono e l'uomo precipita, Clavel ha vinto, il pubblico è lì in piedi con le mani che si spellano ma con l'anima chissà dove, e dall'altra parte dell'arena rispetto alla fanfara c'è ora dunque quell'altro rosso, il sangue di Clavel Blanco andato a morire cinque volte sotto il ferro della picca e che ora torna al centro dell'arena.
Si gira, punta ancora il cavallo che Lopez Chaves però fà uscire: è troppo per lui, è troppo per noi.

C'è chi si tocca, chi si abbraccia, chi non smette di parlare e chi resta muto, tutti riprendiamo a respirare.
Vengono le banderiglie, ridicole nella loro esilità rispetto a quel monumento vivente, e il toro segue con cura e rabbia gli uomini fino alle assi.
Lopez Chaves prende la muleta, il volto tirato, gli occhi infossati e lucidi.
Si comincia la giostra, e bastano tre passi per capire che Clavel Blanco non si è dimesso e non cerca eredi, il signore della pista è lui e lui solo, ancora, e tutto il resto va spazzato via.
Cinque picche, tre rincorse ai banderilleros e la forza è ancora tutta lì, testa bassa e via dentro la stoffa rossa, a destra il Garofano si infila come una locomotiva nella galleria, sbuffa, attacca, sbuffa, attacca.
Lopez Chaves è valoroso, i bieeen che si alzano dalle gradinate questa volta escono dal cuore e non dalle gole dei subalterni prezzolati, è un gioco drammatico e ipnotico, e il protagonista è uno solo.
Il Garofano bianco fa volare per aria l'uomo due o tre volte, gli mangia il terreno, ma quello resiste, insiste, officia: la comunione nell'arena è totale, la funzione si sta compiendo, siamo tutti nei polsi del torero e nei muscoli del toro, Arles in quel momento ha un solo respiro.
Un solo cuore.
Il Garofano Blanco sta scrivendo la storia.

Poi tutto si ferma e tutto si tace.
La spada entra nel corpo di Clavel Blanco, proprio lì a due passi dalla coccarda gialla e blu, la sua la sola che quest'anno si sia aggrappata sul dorso di un toro, e benedetta è questa esclusiva.

Il Garofano ha finito di vivere, ma i grandi non muoiono così, come tutti gli altri, i grandi lo sono anche nella morte fino all'ultimo respiro.
E allora Clavel Blanco ci fà l'ultimo dono di sè, il più straziante ed il più maestoso, il suo un ultimo omaggio a noi, a Domingo Lopez Chaves, a Quince e a Juan Luis Rivas, alla tauromachia tutta.
Il Garofano Bianco, un metro di spada nei muscoli e tra le vene, va a morire in mezzo all'arena, là dove è stato re, i passi sempre più incerti e la vita sempre più lontana dal suo corpo.
Il Garofano Bianco va a morire in mezzo, da solo, in un ultimo ed eterno atto di bravura, in mezzo senza cercare nessun riparo, c'è chi si commuove, chi trema, chi applaude.
Il Garofano Blanco celebra sè e la grandezza della corrida.

Clavel Blanco, di Maria Luisa Perez de Vargas, marchiato con il numero 38, 610 chili, nato un qualche giorno del settembre 2004, è stato immenso, ci ha fatto grandi, è morto.

Ode.


(foto Ronda - il Garofano Bianco; ma invero, incapace di prendere le foto in quei momenti, consiglio la galleria dedicata a Clavel Blanco di François Bruschet)

giovedì 10 settembre 2009

A breve si riprende




I crescenti impegni sul lavoro (quello vero), il rientro come sempre traumatico dalle brevi ferie, l'organizzazione del week-end e altre amenità hanno rallentato la produttività del blog in questi giorni.

Riprenderemo a breve con il tradizionale ritmo, già dalla settimana prossima.
In cantiere abbiamo il resoconto della visita a qualche ganaderia (Sanchez Arjona, Vincent Fare e François André), naturalmente la feria del Riso con la cronaca della concorso e la visita alla ganaderia di Scamandre, più alcune altre cose che ormai si sono scaldate a sufficienza e sono pronte ad entrare.

Hasta pronto

domenica 6 settembre 2009

I tori della concorso




Post domenicale facile facile.
François Bruschet (*) ha messo online sulle pagine di Campos y Ruedos le foto dei tori previsti per la corrida concorso di Arles: la galleria è qua.
Si parte bene: sono animali splendidi, con una varietà tanto morfologica quanto di pelaggio da mandare in sollucchero ogni buon aficionado.
Corna, ce n'è come a una feria intera di Malaga.

Il sapone di Marsiglia del Prieto de la Cal (2377), la stazza pabloromera del Partido de Resina (2414), il manto meraviglioso dello Yonnet.
Più quel Perez de Vargas che si direbbe un carrarmato con le corna, una Potemkin da corrida (2397).
Sei esemplari che sono da soli un bigino del toro bravo: e se a tanta riccchezza corrisponderà altrettanta molteplicità di comportamenti in pista, se la casta e la bravura saranno puntuali all'appuntamento come è lecito aspettarsi beh...ci sarà da godere.

(foto Bruschet - il toro di Yonnet riservato per la corrida concorso)

venerdì 4 settembre 2009

Feria del Riso e les Andalouses


Tra una settimana esatta inizierà il miniciclo della feria del Riso di Arles, che debutterà con una succosa corrida concorso, Prieto de la Cal e Perez de Vargas i due ferri che più mi attira vedere: nel frattempo il club taurino Les Andalouses, titolare della affascinante bodega omonima di cui già si è parlato su queste pagine e che è il fulcro delle serate di festa, ci invia il dossier-stampa circa le attività previste per la tre giorni.
Concerti di flamenco e sevillanas la sera, esposizioni, tapas e rebujito, e al venerdì ad inizio serata verrà offerto a Roman Perez, novillero di Arles che prenderà l'alternativa proprio due giorni dopo nell'arena della sua città, il costume di luci con cui si diplomerà torero.
Momento culmine del venerdì e del sabato, la Salve Rociera che a mezzanotte sarà cantata sotto le volte della chiesa gotica che alberga la bodega.

Come già per Pasqua, ecco qua a fianco in anteprima l'affiche ufficiale de Les Andalouses per la Feria du Riz 2009, opera ancora una volta di Régis Jalabert.

Nell'attesa che la settimana che ancora manchi trascorra veloce, a vantaggio di chi si recherà alla feria del Riso ecco le pagine del programma all'arena, del programma della festa e l'imprescindibile mappa delle bodegas.

mercoledì 2 settembre 2009

Tapas, tori & Ryanair


Preparare la carta di credito, meglio se la prepagata, connettersi al sito di Ryanair, scegliere la destinazione tra Barcellona, Siviglia o Madrid, prenotare il volo.
Niente di più semplice (e probabilmente economico) per chiudere la stagione di corride.

Le tre arene chiudono la propria stagione a cavallo tra l'ultima di settembre e la prima di ottobre, con un miniciclo di eventi che completa l'annata e che in passato non di rado ha riservato buone sorprese.

La feria de la Merced di Barcellona ha un cartellone smaccatamente commerciale, del quale però va apprezzata la capacità imprenditoriale di raccogliere in un solo fine settimana nomi così pesanti (e costosi).
La domenica con José Tomas e Morante ci sarà il pienone, per la gioia dei bagarini di Barcellona: che loro sì, mica i piccoli fans sparsi qui e là, dovrebbero accendere un bel cero al Messia.

La Real Maestranza si Siviglia aprirà le porte, lo stesso week-end, in occasione della feria di San Miguel: c'è da vedere se si aprirà anche la Porta del Principe per qualcuno dei sei toreri della due giorni.
Morante, El Cid e Castella il programma lussuoso del sabato, gli Alcurrucen alla domenica.

Infine Madrid, con la feria di Autunno: novillada e corrida (Palha, con Rafaelillo e Fandino) lo stesso week-end di Siviglia e Barcellona, poi sabato 3 ottobre Morante e Castella con Nunez del Cuvillo, il giorno dopo i Victorino Martin con Bolivar e Urdiales nella terna.

Le tre città sono raggiunte da Ryanair, valgono una visita a prescindere ma anche un week-end può essere sufficiente, e nelle rispettive arene correranno dei tori a chiudere la stagione.

A voi la scelta.

ps: a metà ottobre ci sarebbe anche Saragozza, a dire il vero, ma il programma non è ancora uscito e la feria è ben più strutturata di un solo week-end...comunque anche lì ci si arriva con la Ryan