domenica 30 settembre 2012

Taurus in terra

In effetti lascia stupefatti: arrivare in piazza Sant'Antonino dalla graziosa via Verdi o scendendo da via Felice Frasi, riconoscere la facciata elegante del teatro e il campanile ottagonale della basilica...e poi trovarsi a fronteggiare quell'enorme corno, gigantesco e minaccioso, perfettamente a suo agio nella piazzetta recentemente recuperata.
Sono tanti i passanti che si fermano curiosi e colpiti, i bambini scherzano attorno al bucranio, gli adulti abbozzano interpretazioni e letture, nessuno rimane indifferente.
Basta così poco, a volte, per rendere migliore e viva una città. Un'opera d'arte contemporanea, un'installazione, un guizzo di creatività.

Per chi passasse a Piacenza, fino al 15 ottobre è possibile ammirare Taurus in terra, enigmatica e affascinante opera di Brunivo Buttarelli.

Un corno tanto spoporzionato che sembra di stare a Ceret.



(foto Ronda)

giovedì 27 settembre 2012

La Biancaneve torera

Sarà una Biancaneve torera a rappresentare la Spagna ai prossimi Oscar: a Hollywood arriva Blancanieves, il film del regista basco Pablo Berger che ha trasposto la favola classica nell'ambiente taurino degli anni '20.

Qui qualche notizia e un primo trailer, qui qualche immagine.



mercoledì 26 settembre 2012

Italiani pratici

Un nostro lettore, residente a Venezia, ci segnala che possiede tutto il necessario per praticare toreo de salon: cerca aficionados della zona, o disposti a viaggiare per raggiungerlo, che abbiano voglia di praticare un pò di esercizi con capa e muleta, in sua compagnia.

E' possibile mettersi in contatto con Javier cliccando qua.




(foto Ronda - Casa de Campo, Madrid)

lunedì 24 settembre 2012

Un sabato costituzionale

Metti un sabato di metà settembre, un viaggetto in treno fino a Alessandria con l'aria ancora fresca del primo mattino, e poi da lì, recuperato da due giovani piemontesi, in macchina fino a Nimes: tante ore e tanti chilometri, certo, ma meglio così, c'è stato il tempo per dirsi tutto e per godere dei panini ancora caldi e imbottiti di qualche fetta di salume di quello nostrano.

Metti che arrivi a Nimes a metà pomeriggio, che trovi il sole caldo e giallo del midi e che in hotel la colonna romana ti accoglie narrandoti tutto, la festa meravigliosa, la città stupenda, l'eccitazione per l'appuntamento del giorno dopo.
Metti che si stia facendo tardi, tra una doccia rigenerante e il cazzeggio di rito, e insieme si esca trafelati e si affretti il passo, e finalmente si entri nell'arena: per trovare una plaza de toros piena, meravigliosamente piena di gente e sospiri e passione.
Là in alto, negli ultimi ordini di quei gradini che hanno resistito alla storia degli ultimi due millenni, già sono installati i due cremonesi, che ora si sbracciano per salutarci e invitarci.
Ecco.
Da Piacenza e Nizza Monferrato passando per Alessandria, da Cremona costeggiando Genova, da Roma con una deviazione a Marsiglia, e poi ritrovarsi lì in quell'arena, felici di essere insieme ancora una volta, ancora una volta ai tori.
Sublime.
Là sotto i due toreri sfilano al suono della Carmen, la gente batte le mani e poi li chiama a salutare.
Morante è deciso a mostrarci il vero Morante, a suo modo uno spettacolo: sono in pochi a saper reggere con tanta ostentata indifferenza un paio di broncas perfette nella loro rotondità, e a uscire con tanta dignità a fine corsa, una volta spento l'enorme sigaro fumato dolcemente nel contropista.
Il toreo di Manzanares è l'elogio dell'eleganza, la figura armonica e le movenze sinuose e plastiche; ma il polso malandato fa cilecca e la stoccata è puntualmente difettosa, così che il passaggio della giovane stella risulta meno trionfale di quanto avrebbe potuto.
Metti che però, davanti a tutto questo, appollaiati là in alto si segua la corrida con uno spirito diverso, di distratta concentrazione e totale assorbimento, fermando ad ogni occasione il ragazzo delle birre e spartendosi generose porzioni di torta verde.

Metti che finita la corrida la città ti si apra lussuriosa, invitando a percorrere le sue strette stradine sulle quali si affacciano tentratrici bodegas di ispirazione flamenca o piccoli bistrò volutamente demodé: la serata comincia con qualche pastis, poi si passa al rosé fresco e profumato, e si prosegue bighellonando da un posto all'altro, sbocconcellando tapas e rivivendo i gesti del pomeriggio. Domani c'è José Tomas contro sei tori, nelle piazze e sul bolevard non si parla d'altro, siamo travolti da questa tensione eccitata.

Metti che la birretta di chiusura è consumata così, in piedi appoggiati ad una ringhiera a osservare la gente che passa ridendo, e che infine si decida di rientrare.
A letto, ti addormenti subito e sereno, stanco per i tanti chilometri e sfiancato da tanta gioia, pur se non prima di aver scambiato una buonanotte virile con il tuo compagno di stanza (sogni d'oro, dolcezza).

Metti che hai la fortuna di vivere una giornata così, una giornata di quelle perfette e che non hanno prezzo e che non vorresti mai più nemmeno ricordare per la paura di guastarne la memoria.
Con la consapevolezza che se non fosse stato per i tori, nulla di tutto questo sarebbe mai stato tuo.

Metti però che, contestualmente, un gruppo di rancorosi e tristi personaggi voglia impedirti tutto questo, voglia convincere il mondo intero che questa giornata è sadico macello e nulla più, e che si rivolga addirittura alla Corte Costituzionale per dire che no, la cultura dei tori, l'amore per la natura e il rispetto per gli animali, la trazione della corrida e la meraviglia della condivisione, per dire che tutto questo va abolito, basta, cambiate hobby, assassini, per portare le sue patologiche ossessioni fino al più alto grado di giudizio, per giocarsi il tutto per tutto, per farla finalmente finita una volta per tutte.
Metti che, appunto interpellata, la suddetta Corte non vacilli e laicamente affermi che sì, il tuo sabato è perfettamente costituzionale, e che a Ceret, Arles, Bayonne o Roquefort tori ancora correranno e uomini e donne ancora festeggeranno la vita.

Agli abolizionisti non rimane altro che profanare, ancora una volta, la statua di Nimeño II.
Dedichiamo un brindisi anche a loro, poveracci.

(foto dal web: l'ultimo capolavoro delle milizie anticorrida)





sabato 22 settembre 2012

Atto di dolore




Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i tuoi castighi
e molto più perché ho offeso Te,
infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col Tuo santo aiuto
di non offenderTi mai più
e di fuggire le occasioni di peccato.
Signore, misericordia, perdonami.




- in regalo due articoli diversi e significativi: Pais e Midi Libre;
- nell'immagine, un'opera di Sylvain Fraisse



venerdì 21 settembre 2012

Ultim'ora


La corrida in Francia è giudicata conforme alla Costituzione.

Possiamo tornare tutti a Ceret, noi a vedere i tori, gli abolizionisti con il loro apocalittico banchetto fuori dall'arena.


Danza di vita e di morte

A proposito di confronti impossibili, Matteo Nucci ci propone questo interessante parallelo tra Manolete e José Tomas, che subito e volentieri pubblichiamo: l'encerrona di Nimes vista da un'altra e originale prospettiva, a confermare che la tauromachia è capace di suscitare ogni volta mille emozioni e sensazioni diverse.
Buona lettura.


Danza di vita e danza di morte - Il parricidio di José Tomas


di Matteo Nucci



Ci sono sere in cui, dai tori, si esce trasformati. È accaduto quello a cui aspira ogni incontro fra uomo e animale: produrre un trasalimento che dà una gioia sconfinata, una sorta di ebbrezza: l’impressione che la vita possa avere la meglio sulla morte. In quelle sere, i fortunati che escono dall’arena, in genere tentano di ripercorrere quanto è accaduto, di risalire alle origini estetiche del loro trasalimento. Chiunque li potrebbe vedere mentre camminano per strada e ridono, aprono le braccia, bevono, sputano disperatamente la coccia delle pipas che si è infilata tra i denti, eppoi cercano di ripetere qualche movimento, qualcuno dei movimenti magici che si sono manifestati come un dono divino nella plaza. Se vedete uomini che escono in questo stato dall’arena, sapete cosa sta capitando loro: sono impegnati in una delle più impossibili delle operazioni concesse ai mortali: fermare un istante con cui credono di aver vinto la morte, cercare di ritrovare il movimento plastico, di inaudita bellezza, quel movimento in cui l’uomo e il toro si sono uniti perfettamente e che è già scivolato via per sempre, è ormai andato a finire tra le estasi fuggevoli perse nell’eternità del tempo, è irrimediabilmente scomparso e non tornerà mai più. Eppure chi esce dall’arena non vuole saperne. Prova con un natural, seguito da un altro natural. Un cambio di mano. Una impressionante chicuelina seguita da una media che sembrava tagliare l’aria e annichilire di silenzio ogni cosa. Chi esce dall’arena non vuole crederci che la corrida sia finita e quella vittoria sulla fine sia passata e non ci saranno televisioni, video, testimonianze o racconti capaci di restituirla. Chi è appena uscito dalla plaza che consacrerà fra i luoghi elettivi di tutta una vita cerca di riprodurre il gesto, il desplante supremo, lo sguardo del matador, i due passi di toreria con cui si è voltato al termine di una serie impressionante. Non ne vogliamo sapere della nostra mortalità. Non vogliamo accettarla.
Ci sono volte in cui poi uno esce dai tori e non prova a ripercorrere neppure un movimento perché se ne sono visti talmente tanti che non si è capaci di ritrovare un solo gesto. Il trasalimento è stato a tal punto feroce da averci condannato alla consapevolezza. Usciamo dall’arena sapendo già che tutto quel che abbiamo visto è perduto per sempre e non lo ritroveremo mai più. Sapendo che dovranno passare anni prima di poter provare qualcosa di simile. C’è un sorriso stampato sulla faccia di chi esce dall’arena che è un sorriso inebetito e triste. Come se tutta quella festa, tutta quella gioia fosse andata a creare un’eternità tale che l’eternità è già finita: siamo mortali, la nostra festa ha sfiorato le divinità, le divinità non ce lo perdoneranno.
Per chi va a i tori si tratta di momenti che creano uno spartiacque, una linea di confine. Questa linea è stata tracciata tre giorni fa, a Nîmes, nella corrida del mattino, con i sei tori affrontati in solitario da José Tomás. Passeranno anni e si sprecheranno litri di inchiostro per tentare di decifrare cosa sia capitato in quelle due ore e mezzo di estasi. Amanti e detrattori. Critici e idolatri. Nessuno potrà evitare di confrontarsi con l’argomento perché non c’è dubbio che la storia della tauromachia ha trovato, nel sole che inondava l’arena romana di Nîmes domenica mattina, una di quelle tappe epocali, forse simboliche, che scandiscono il cammino della storia della corrida moderna. Si tratta indubitabilmente del momento più importante che la breve vita della corrida a piedi ha attraversato dall’inizio del nuovo millennio. E così stanno le cose, che piaccia o meno l’arte di José Tomás, che piacciano o meno i tori che ha affrontato, che piaccia o meno Nîmes e il suo presidente che ha accordato alla mattinata di tori trofei impensabili altrove: undici orecchie, una coda, un indulto. Il momento è storico per molte ragioni, oltre alla portata del trionfo torero: il 2012 è stato l’annus horribilis della corrida, numeri mai così bassi (principalmente per la crisi economica, ma non solo) proprio nella prima stagione in cui la violenza antitaurina ha spinto al divieto in Catalogna. La congiuntura economico-culturale è drammatica e non basta la difesa degli intellettuali. Un grande aiuto per ora, viene dalla Francia e dalla sua ostinazione, dalla capacità di mostrare la profondità culturale dell’arte tauromachica a tutti gli effetti, fino a aver inserito la corrida fra i beni immateriali  del patrimonio culturale del Paese. Proprio in Francia, anziché come era solito a Barcellona, è venuto a chiudere la sua brevissima stagione (tre corride) il più misterioso e amato fra i toreri contemporanei, l’unico che fa sempre il tutto esaurito e che porta alle ferias cui partecipa un enorme indotto economico. La straordinaria corrida di José Tomás è arrivata dunque nella giornata più simbolica.
Ma saranno altri a raccontare tutto questo. Ci sarà tempo per inserire la data tra i momenti di svolta della corrida, da un punto di vista taurino e da un punto di vista politico, da un punto di vista sociale e antropologico e da un punto di vista filosofico. Contentiamoci, per ora, di capire almeno un po’ il motivo per cui domenica 16 settembre uscivamo dall’arena romana inebetiti, vinti, distrutti da una felicità improvvisamente mutuata in tristezza, una specie di assenza e di vuoto, l’effimero del sublime che già ci faceva mancare la gioia di una miracolosa vittoria sulla nostra natura finita. Cosa era successo nell’arena?
Le cronache possono raccontarci, secondo per secondo, la varietà con cui José Tomás ha affrontato i suoi tori. I gesti con il capote, ogni volta diversi. I movimenti della muleta, ogni volta diversi. Le cronache possono raccontarci come il torero abbia conosciuto ogni volta gli animali con cui si trovava a confrontarsi, la sua fermezza nel voler penetrare il cosiddetto “mistero del toro”, la sua capacità di accogliere l’animale e andarne a cercarne subito l’anima per portarla in superficie, svilupparla, farla crescere fino al massimo delle sue potenzialità. Le cronache ci raccontano tecnicamente la natura delle cinque stoccate con cui José Tomás ha ucciso, senza mai sbagliare il primo colpo. Io, però, ora voglio parlare dell’unica stoccata simbolica, la stoccata mancante, quella che racconta esemplarmente le altre cinque stoccate, la spada con cui José Tomás non ha ucciso nessun toro, ma ha ucciso suo padre, il suo padre elettivo: Manolete.
Tutti sanno il rapporto ideale che lega José Tomás a Manolete. È un rapporto che alcuni sono arrivati a considerare alla stregua di un’ossessione. Un’ossessione che gira intorno alla morte. Tecnicamente, per quel che riguarda l’arte, il centro dell’eredità di Manolete è costituito da quello che in generale viene chaimato “toreo verticale”, ossia quell’austerità, quell’immobilità longilinea e apparentemente distante dalla terra, quell’aura ieratica che caratterizza ogni gesto di un corpo che pare aereo, desomatizzato, quasi spiritualizzato, salvo vederlo sanguinare o volare dopo il colpo che esso riceve dalle corna di un toro. Nei particolari, l’eredità del Monstruo si manifesta nell’esaltazione di movimenti che in altri casi e in altre circostanze sono valutati come poco significativi, movimenti – sembra un paradosso o un ossimoro – segnati dall’immobilità: su tutti, l’estatuario e la manoletina. Si tratta di due suertes che Manolete mutuò dal toreo comico. La prima, tutta fondata sull’immobilità del fare la statua, nacque dal gesto ridanciano del celebre Don Tancredo López quando, dipinto di bianco, si fingeva una statua nell’arena che il toro neppure vedeva. La seconda fu inventata da Rafael Dutrus detto Llapisera, uno dei più noti esponenti del toreo comico. Inizialmente erano mosse immaginate per il ridicolo. Con Manolete esse raggiunsero le vette della tragedia. Il grande torero, per raggiungere l’altezza tragica del confronto con la morte, deve saper sprofondare nelle bassezze del ridicolo e del grottesco, per riplasmarle. Manolete e José Tomás sacerdoti ieratici della tragedia cui giunge chi sprofonda nella commedia. Questo, stando al toreo nelle sue figure. E del resto, in assoluto, l’eredità che José Tomás ha colto di Manolete sta proprio nel rapporto profondissimo con la morte, nella sfida alla morte, nella visione tragica della morte dell’artista che ha visto il ridicolo della vita, ossia una danza di seduzione attorno alla morte che non sta soltanto nella ricerca di quella stoccata lenta e perfetta, con cui l’uomo si offre alle corna del toro per ucciderlo mettendosi completamente alla sua mercé. È qualcosa che ha a che fare con l’essenza del mestiere di torero e che semmai abitava già nel detto di Belmonte quando commentò con una delle sue geniali battute: “Se vuoi toreare dimentica di avere un corpo”. Il corpo José Tomás lo lascia in hotel, come si ripete spesso citando una sua risposta, mormorata a mezza bocca quando ancora non aveva deciso di smettere di parlare al pubblico per sempre. Abbandonare il corpo e il ridicolo che esso si porta appresso. Al punto che quel corpo José Tomás lo ha offerto più volte al toro in una sfida totale che ha portato spesso i critici a accusarlo di un atteggiamento suicida ingiustificato, o addirittura di tremendismo.
Tutto questo, a Nîmes, è scomparso. E non tanto perché nell’arena romana José Tomás non si è mai lasciato toccare dalle corna di uno dei sei animali (come del resto è accaduto nelle altre due corride della sua brevissima stagione). Ma perché ha ucciso i suoi tori percorrendo una strada nuova su cui nessuno prima lo aveva visto procedere. È una strada che deraglia dal corso che la storia della corrida prese quando Manolete decise di usare una finta spada per gestire la faena. Reduce da un infortunio al polso, il Monstruo di Cordoba chiese il permesso di usare un bastone di legno che simulava la spada ma ne modificava completamente il peso, allontanandosi drasticamente da quei tre chili che gravavano il lavoro del torero di un carico a volte fisicamente insostenibile. Era la data di nascita dell’ayuda, la spada che, più tardi in alluminio, ha assistito pressoché tutti i toreri nel loro lavoro con l’animale prima di usare la spada de verdad per l’uccisione. Il cambiamento è stato enorme. Non soltanto perché il torero ha potuto usare uno strumento più leggero. Quanto perché si è creato un momento di rottura all’interno della perfetta unità artistica della faena, un momento in cui il torero si ferma, cambia spada, torna nell’arena, mette in posizione il toro con passi di circostanza, per trovare il terreno giusto e le condizioni e la posizione dell’animale più adatti alla stoccata. Una lacerazione nella perfetta unità artistica della faena che domenica mattina José Tomás ha deciso di mettere in discussione per sempre.
Non è stata una scelta tecnica. Non ha toreato, José Tomás, con la spada de verdad, come fa per esempio Juan Mora, osannato autore di una straordinaria stoccata a Madrid il 2 ottobre 2010, un’uccisione che ha lanciato in piedi anche i puristi e ha fatto gridare al capolavoro assicurando a Mora una stagione di contratti e successi ovunque, in cui però il torero non è mai riuscito a ripetersi. No, José Tomás ha scelto un’altra strada. Ha ucciso il proprio padre uccidendo diversamente i suoi tori. Mai si era visto un torero mettere costantemente in posizione l’animale come è capitato domenica scorsa con passi leggeri, perfetti, passi con cui l’uomo non pensava affatto a spostare il toro sul terreno adatto o a dare all’animale il modo di mettere in parallelo le zampe anteriori. Passi con cui il torero danzava attorno al toro, danzava attorno alla vita. Il suo corpo verticale, austero, ieratico stavolta non era più un corpo aereo e insussistente. Era corpo in cui riluceva la vita. José Tomás e il toro. Uomo e animale in un’unità perfetta di derechazos e naturales, un’unica cosa fino a fermarsi, guardarsi negli occhi un’ultima volta, prima che il torero non cominciasse a guardare invece il buco degli aghi, l’ hoyo de las agujas, dove inserire la spada. Dalla danza di morte alla danza di vita. È stato questo, lo spettacolo sublime, esemplare di tutta la perfezione artistica che ha brillato sul Colosseo francese. E questa perfezione è arrivata con l’indulto.
Ora, nessuno può mettere in dubbio che l’indulto di domenica scorsa sia stato esagerato e, secondo le regole tauromachiche, fuori luogo. Ma all’apice di una festa così esaltante tutto è comprensibile. E tuttavia, aldilà di questa comprensione dovuta al delirio della festa, il fatto unico e sconvolgente è che quell’indulto sia arrivato al termine di una faena che José Tomás ha lavorato senza spada. Niente ayuda. Dall’inizio José Tomás ha lavorato il toro con la sinistra, eppoi con la destra, senza portare con sé in pista la spada. Gli appassionati sanno cosa significhi. Significa perdere il mezzo con cui il torero può ampliare la superficie della muleta per farsi passare il toro più lontano dal fianco destro. Significa fare fuori lo strumento che cerimonialmente i torero impugna sempre nella destra e che per questo fa sì che sia chiamato “destro”. José Tomás domenica scorsa con il suo quarto toro non ha portato la spada di alluminio, ha lasciato nel callejón lo strumento che inventò Manolete e ha lasciato per sempre dietro di sé il Maestro che gli è stato padre. Fortuna allora che quando un uomo ha gridato, proprio dopo l’indulto, la sua richiesta: “El pasodoble de Manolete”, nessuno abbia voluto ascoltarlo e solo un ragazzo ha ribattuto sarcastico: “el pasodoble di José Tomás!”
Difficile sapere ora su quali strade andrà il torero di Galapagar. La sua danza attorno alla morte ha cambiato segno. Molti dicono sia stata la ferita mortale a cui è sfuggito miracolosamente nel 2010 a Aguascalientes. Molti pensano che sia stato il figlio avuto dalla sua compagna l’anno seguente. E certo, per i biografi potrebbe essere uno straordinario segnale: il figlio che Manolete non ebbe mai con Lupe Sino, l’attrice che la madre del Monstruo, Doña Angustia, odiava e con cui – si dice – il torero sarebbe fuggito in Messico qualche giorno dopo la ferita mortale di Linares, il 27 agosto del 1947. Il figlio che avrebbe portato José Tomás al definitivo parricidio. Ma è inutile tentare la strada delle interpretazioni psicologiche. Certo, domenica, si è assistito a qualcosa di epocale, comunque la si voglia vedere. E forse il momento che più lo ha dimostrato è stato un indulto tecnicamente ingiusto in cui però si è sentita tremare l’ebbrezza dell’estasi umana quando gli uomini credono davvero di aver vinto la morte eliminandola dal mondo, anche dal mondo animale, anche dal toro che con la sua morte, una morte animale non razionale, dovrebbe lasciare all’animale razionale, l’uomo, la possibilità di trionfare sulla propria mortalità. Senza spada, il torero ha incontrato il suo toro e lasciando cadere simbolicamente la spada in terra il torero ha lasciato correre verso le stalle il suo toro. Senza spade finte il torero ha ucciso il suo Maestro e forse lo ha superato, e certo se ne è allontanato per sempre. È impressionante, infine, il nome che portava il toro di Parladé che gli aficionados hanno cominciato a mormorare e ripetere nel momento stesso in cui l’animale rientrava nella porta del toril. 501 chili, il toro nero ancora vivo nonostante la morte che si supponeva certa il 16 settembre del 2012 alle 12 e 45, portava sul nero del suo mantello un nome che si fa fatica a pronunciare tanto è roboante e significativo: Ingrato.

 (foto Fiore Galetti)

giovedì 20 settembre 2012

Cronaca ragionata di una tarde mattutina e trionfale

Se c'è una perfezione nel toreo José Tomas l'ha sfiorata, e in qualche momento magico e irripetibile addirittura raggiunta, domenica mattina a Nimes.
Antologico, straordinario, sublime: nessuno di questi aggettivi è esagerato per dire di un torero che ha inciso con caratteri d'oro una nuova pagina nel libro mastro della tauromachia.

Il diestro di Galapagar ha ribaltato un anfiteatro intero, sconvolgendolo nell'animo e elettrizzando i nervi, con una esibizione seria, completa, storica.
Un festival alla capa, con figure classiche e barocche ad alternarsi, con gesti rotondi e di dominio, seguendo l'ispirazione del momento: veroniche e gaoneras, invenzioni e classicismi, figure a una mano sola.
Non un solo quite snobbato, tori messi al cavallo con perfezione millimetrica con chicuelinas in movimento o con recortes secchi e precisi, e l'orchestra che celebrava questa poesia suonando in un paio di occasioni qualche passaggio di un pasodoble. Una meraviglia.
Nel terzo atto, con il panno rosso in mano, Tomas ha dato una lectio magistralis di toreo, ricamato e puro, sapiente e sicuro.
La faena al primo toro una delizia: i piedi uniti inchiodati a terra, José Tomas ha toreato a destra e sinistra rimanendo clamorosamente verticale, magnifico, nello spazio di un fazzoletto, la muleta lasciata libera e leggera.
Al quarto toro se possibile ancora meglio, con la stoffa ridotta ad uno straccetto: lo spadino lasciato nel callejon, il torero ha condotto e aspirato le cariche franche del suo avversario agitando un francobollo vermiglio, raggiungendo a sinistra vertici ineguagliabili di purezza e bellezza.
Una visione strategica impeccabile, passi e serie sempre misurati e adattati agli avversari: ora tocchi morbidi e invitanti, ora trincherazos secchi e autoritari, ora distanza e aria o invece prossimità e castigo.
Infine, e già questo darebbe la dimensione della straordinarietà dell'evento, un Tomas in stato di grazia ha ucciso cinque tori con cinque spade intere e centrate delle quali solo l'ultima imperfetta, sempre gettandosi in mezzo alle corna dell'avversario, incontro alla morte, totale. Il descabello è rimasto nella fodera, e non un solo avviso in una corrida intera, non uno, a testimoniare dei una perfetta gestione dei tempi della lidia.
Chissà se un giorno mai un altro torero potrà anche solo eguagliare tutta questa magnifica perfezione.

Queste cose, estremamente grandi e davvero indimenticabili, in una cornice altrettanto maestosa e per la storia.
Un anfiteatro pieno fino al suo limite, uomini e donne e bambini, gente venuta da tutto il mondo (Mexico presente! Colombia presente! Barcelona taurina presente!, scandivano questo e altro ancora voci isolate e applaudite durante la corsa), un'atmosfera indescrivibile di passione e festa e eternità.
Chi c'era porterà dentro per molto tempo le immagini di quell'arena viva e festosa.
Silenzio.
A Nimes domenica c'era un silenzio irreale e carico, che in nessun'altra arena si potrà mai sentire, anche questo sì davvero indimenticabile.
Rotto il paseillo, dopo il saluto obbligato e di rito, le porte del toril si sono aperte e come per incanto quindicimila persone si sono taciute, insieme: in quell'istante più che in altri, in quel silenzio totale e estatico più che nelle esplosioni di entusiasmo e negli applausi infiniti e roboanti, in quell'istante stava tutta la dimensione unica del momento, la pesante attesa della catarsi definitiva, la voglia di avere tutto.

Ma.
Ma uscito dal tunnel il primo dei sei (domecq di quelli rassicuranti, come tutti gli altri), nell'arena quel silenzio non svaniva, diventava invece imbarazzante e appiccicoso, e per chi scrive i brividi rimanevano, da quel momento e per tutta la mattinata, relegati all'ovazione assordante e partecipe che aveva accompagnato il paseillo.
Quel silenzio rimaneva ma cambiava di significato e diventava opprimente, perchè quel toro restava là, sulla sabbia e con le sue corne timide, senza riuscire a diffondere nel contropista, sulle tribune o sui gradini più alti quei sentimenti di paura, rispetto, ansia, tensione, che un toro da corrida deve suscitare e incutere.
Sei attori non protagonisti sono stati i tori di Nimes, sei comparse alle quali una regia poco coraggiosa aveva riservato un copione modesto e irrispettoso. Poca roba, davvero.
José Tomas ha affrontato, certo magnificamente, sei tori gentili, sei  prodotti certificati domecq, sei avversari molto educati che non hanno posto alcun problema, che hanno fatto di tutto per non rovinare la festa annunciata: sì, la festa era annunciata e questo ha tolto mistero ed emozione, tutto era perfetto, tutto era comodo, tutto era previsto.
Uscito il primo toro nell'arena, la magia elettrizzante della mattinata è piano piano svanita, trasformata in ammirazione e godimento per i vertici di arte raggiunti dai panni di José Tomas, ma svuotata di turbamento e batticuore

Tutto è andato come previsto,  proprio di fronte a questa evidenza io mi sono incagliato, i sentimenti si sono raffreddati e i brividi sono rimasti sotto la pelle.
Tutto è andato come previsto, tori facili e trionfo pieno, come se fossimo ad una rappresentazione studiata, ad uno spettacolo provato e riprovato, come se pagato (salato, in alcuni casi) il biglietto fosse lecito chiedere ed ottenere qualcosa di grande.
Si presagiva l'indulto da mesi, e l'indulto puntuale è arrivato, come se risparmiare la vita a un toro sia un trofeo aggiuntivo, sia un fatto obbligato per rendere una corrida riuscita, sia il bollino da poter esibire sulla tessera per poter dire io c'ero. Un indulto ingiustificato è un passo in più verso la decadenza finale della corrida, non è un evento da celebrare o ignorare con affettata sufficienza.
Non c'è reale grandezza nell'affrontare sei tori comodi, collaboratori, scrupolosamente buoni: nessuno di questi sei si era mai applicato sui testi di latino e greco, ma tutti avevano studiato con scrupolo il galateo delle buona maniere, con corna per una piazza di paese, educati fino al parossismo.
E l'unico toro con un briciolo di casta, il secondo (Jandilla), ha sbarrato la strada mancina al torero, che da quella parte non ha servito neanche un solo passo: e se dal palco cadono i due fazzoletti bianchi, per una faena senza un solo natural, mi si permetta di non gioirne e di non esercitarmi nei cinguettii isterici e orgasmici delle signore imbellettate per l'occasione.
Ecco, il palco. Undici orecchie, una coda, una grazia. Sono cose che vanno bene per Sanlucar de Barrameda, prima di andare a ingozzarsi di gamberetti, ma non per un'arena che si pretende la prima di Francia, d'Europa e del mondo, e non per un torero che è fra i più grandi e influenti di sempre.

Una mattinata indimenticabile (ma che cattivo gusto mettere il solo di José Tomas all'ora dell'aperitivo e dei noviglieri), una mattinata in cui il toreo ha toccato vertici di incantata bellezza, una mattinata che ha rilassato e appagato.
Dalla quale l'estensore di queste è uscito disteso, felice e pieno, ma non trepidante, non sconvolto, non segnato.
Niente brividi appunto, nessuna traccia di quella eplosiva adrenalina, di quel tremore nei nervi, di quella eccitazione elettrica che invece ci avevano attanagliato altre volte, fuori da altre arene, all'uscita da altre corride, a Bilbao, o Madrid, o Ceret o altrove ancora.

Il solitario di José Tomas è stato un evento storico, senza dubbio, ma appunto un evento: mediatico, mondano, commerciale. Artistico, sicuramente e grandemente, il capolavoro di un uomo capace di rendere eterni gesti effimeri, ma costretto ad un recital di toreo puro e perfetto, tanto bello (enormemente bello) quanto già senza sorprese.
La mattinata ha celebrato la grandezza definitiva e chissà se mai più equagliabile del toreo.
Ma appunto in questo sta il senso di questo sentimento di incompletezza: del toreo, e non della corrida.

José Tomas è un torero grande ed eccelso, peccato solo che non voglia prendersi le responsabilità che la sua statura pure gli imporrebbe: non è toreando una manciata di corride all'anno, con allevamenti di garanzia e in arene di provincia, ingrassando le tasche dei bagarini, che si difende il futuro della corrida.


(nella foto: volantino del viaggio organizzato Calahorra-Nimes-Calahorra)






martedì 18 settembre 2012

Buongiorno






Ci ho messo 631 km, che è esattamente la distanza che separa il parcheggio di Nimes dalla via in cui quattro cremonesi gentili e pazienti mi hanno recapitato, qua nella bassa padana: 631 km con un buco nella pancia, il dubbio di non aver capito nulla, con un senso sottile di disorientamento a controbilanciare un sentimento generale, ma anche mio, di meraviglia e piena armonia.


José Tomas domenica è stato straordinario, sul serio.
Serio e sobrio, compreso e concentrato, efficace e elegante.
Cinque spade intere, né un descabello né un avviso,  faenas essenziali e calibrate senza troppe concessioni alla follia regnante nell'ambiente, sei confronti adattati al materiale a disposizione, un gioco di capa infinito e barocco, e poi una muleta ora imperiosa ora delicata, piedi incollati a terra, più di tre quarti che di profilo, de frente in non poche e sublimi occasioni.
José Tomas era in stato di grazia, in uno stato di grazia assoluto e realizzato, magistrale, monumentale.

Eppure.
Eppure?
Sì, eppure.

Eppure per 631 km un vermetto impertinente mi ha disturbato viaggio e chiacchiere, profanato i pensieri, interrotto gli entusiasmi.
Non che non ci abbia dormito, no, ma stamattina girando svogliato il cucchiaino nella tazzina, ecco.

Buongiorno, ti sei riposato un pò?
Sì.
Sei stanco?
Eh beh, gli anni cominciano a farsi sentire.
Hai capito, allora?
Sì.

Non ho avuto brividi, domenica mattina.
Undici orecchie, una coda, un indulto, torero torero! dagli spalti, sei quites diversi, tutto perfetto, l'arena strapiena, tutto grande, tutto bello, bello sul serio, indimenticabile sicuramente, un momento storico, ma neanche un brivido.
La pelle d'oca.
Quella che all'arena ti fulmina d'improvviso o ti sale piano dalla schiena, quella che ti paralizza per un momento e ti fa arrossire perché tutti possono smascherarti, possono vedere le tue braccia raggrinzirsi e i peli rizzarsi elettrici, quella che ti inchioda e ti rivela.
Niente pelle d'oca, domenica.

Certo, le signore eleganti hanno provato orgasmi travolgenti per tutta la durata della funzione, senza farne mistero, certo gli uomini hanno gorgogliato mille olé liberatori e eccitati, certo quindicimila persone hanno vissuto un'estasi totale, ed è giusto che sia così, è bene che sia così, la tauromachia è sentimento irrazionale e passione travolgente, è esperienza unica e irripetibile, è una questione privata.
Ma per me, niente pelle d'oca.
Che è giusto e bene anche questo.
Neanche un brivido.

Ma come, ti servono un pranzo a champagne e caviale e tu storci il naso?
Sì.
Champagne e caviale sono cibi poveri, in fondo.
Tu non sai i brividi, quelli sì, che dà una fetta di pancetta unta su  un trancio di pane caldo, con un buon vino di rosso forte, quello dei nostri vecchi, che segna le dita di viola.
Altro che bollicine.


(foto Fiore Galetti)





lunedì 17 settembre 2012

Buonanotte



Ciao tesoro, sono tornato.
Ciao. E' tardi.
Sì, c'era coda a Savona.
Mi spiace. Racconta.
José Tomas?
Sì, dimmi.
Qualcosa di grande.
Dimmi.
Lui impeccabile per tutta la corrida.
Davvero?
Sì, davvero. Unico, straordinario.
I tori?
Gentili.
Dimmi la verità.
Molto gentili.
Ah.
Nove orecchie in cinque tori.
Nove?
Nove.
Non capisco.
Il quarto è stato indultato.
Ah.
Già.
Quindi?
Ridicolo.
L'arena?
C'era gente da tutto il mondo.
Che bello.
Sì, un clima indescrivibile.
Però.
Però cosa.
Però non mi convinci.
Spiegati.
Quando sei tornato da Ceret eri più entusiasta.
Sì. 15 luglio.
Avevi una voce diversa.
Sì, è vero.
Dai, domani mi racconti meglio.
Ok.
Spengo?
Sì.
Ah no, ecco: l'anno prossimo ci torno anch'io, ai tori.
Certo. Casomai facciamo i turni.
Spengo.
Sì.
Buonanotte.
Buonanotte tesoro.
Ti amo.



(foto: primissimo piano del fazzoletto del presidente)





sabato 15 settembre 2012

Abrazo

Giovedì 13 settembre, sotto sera, dialogo per sms sull'asse Francia del sud-Italia del nord

"Ti interessano due biglietti per José Tomas, posti numerati?"
"Sei pazzo? No, grazie, non ho voglia riempire d'oro i bagarini"
"Niente reventa, li ho trovati io per te, a prezzo di costo"
"Tienimeli. Arrivo. Abrazo"
"Abrazo"

Fenomeno mediatico o torero per la storia?
Tocca andare a vedere.

(foto Campos y Ruedos)

venerdì 14 settembre 2012

Oggi sul Venerdì

Bravo Cicala: "Ma allora perché la gente diserta le arene? Perché, in versione decaffeinata, la tauromachia non emoziona più, non sorprende, annoia".

Oggi su Il venerdì di Repubblica, "La corrida e la Spagna", un interessante pezzo di Marco Cicala sulla decadenza della fiesta nacional.

Cliccare sulla foto per leggere meglio.

giovedì 13 settembre 2012

La vie en rose

In Francia la legge Grammont dal 1850 vieta e sanziona abusi e maltrattamenti pubblici verso animali domestici: dopo acceso e annoso dibattito, non solo giurisprudenziale, per correggere alcune interpretazioni differenti che la legge permetteva, agli inizi del secolo scorso venne stabilito che il toro è un animale domestico, e questo per parecchio tempo rese difficile quando non turbolento organizzare corride di là dalle Alpi.
In alcune zone del paese le disposizioni di legge vennero applicate in maniera rigorosa e restrittiva, mentre in altre (al sud essenzialmente) i divieti erano eccezionali e rari, fatto questo che permise alla pratica tauromachica di svilupparsi e mettere radici in alcune regioni in particolare.
Nel 1951, per porre fine a questa situazione ibrida, il legislatore precisò che le inibizioni previste dalla legge Grammont rispetto alla corrida non si potessero applicare laddove esistesse una tradizione ininterrotta; nel 1959 un nuovo e definitivo intervento di correzione fissò in maniera ultimativa questa specificazione, arrivando a esigere una tradizione locale e ininterrotta.
In soldoni: al sud le corride sono consentite in deroga alla legge del 1850, proprio in virtù di questa tradizione locale e ininterrotta, nelle altre regioni di Francia sono vietate.

Bene.

Un'azione politica condotta dal Crac, Comitato Radicalmente Anti Corrida (per gli stomaci forti, qua), ha portato pochi giorni fa davanti al Consiglio Costituzionale di Stato un quesito di incostituzionalità: la leva è quella dell'indivisibilità della Repubblica e dei principi di uguaglianza nello Stato, e per questo gli abolizionisti chiedono al Consiglio un pronunciamento di incostituzionalità.

L'11 settembre scorso una sessione di audizioni si è tenuta in seno al Consiglio, dove sono stati ascoltati rappresentanti dell'Unione delle Città Taurine di Francia (*), dell'Osservatori sulle Culture Taurine e naturalmente del Crac Europa.
E' facile immaginare le posizioni espresse, mentre interessante è sapere che un sentimento di stanchezza sta crescendo in Francia presso quelle istituzioni o quegli enti chiamati sempre più spesso a deliberare o giudicare sul tema corrida, sollecitati dall'attività frenetica e isterica degli animalisti.

Perentorio, quello stesso 11 settembre il ministro degli interni francesi, il socialista Manuel Valls, ha avuto il coraggio e l'onestà intellettuale di spendere parole nette e limpide a favore della cultura taurina del Midi, e a sostegno della legge Grammont.
Il ministro ha messo il carico da undici, e mi perdonerete il pessimo gioco di parole.

Il Consiglio Costituzionale si esprimerà il prossimo 21 settembre.
I casi sono due: o le corride in Francia verranno abolite, o gli abolizionisti subiranno una pesante e rumorosa respinta, e chissà che un poco non si ridimensionino.

Nel frattempo, la feria settembrina di Nimes, con il fenomeno José Tomas a fare da traino, genererà un beneficio economico per la città stimato in 20 mlioni di euro.
Che per una comunità di 140.000 persone non è poca roba.
C'è da credere che non siano solo gli aficionados, questi personaggi antistorici e crudeli, a interessarsi alla difesa della corrida.



(foto Ronda - muri di Arles)



martedì 11 settembre 2012

A partire dal coniglio

"Josè Bergamìn e Luis Buñuel una sera di settembre a Madrid, davanti al menu de La Sirena Verde:
- Pepe, cosa diresti di un carré d'agnello con me?
- No, Luis, fa Bergamìn. Posso mangiare tutte le lumache che vuoi, gamberi, piccoli volatili...ma per me, a partire dal coniglio, assomiglia troppo al toro."

A partir du lapin di Francis Marmande, uscito qualche anno fa per le edizioni Verdier, è una gustosa e romantica collezione di piccole storie rubate al mondo dei tori, aneddoti e racconti brevi, tutti legati da una poesia leggera e da un senso di delicata grazia.
Uno di quei libri da tenere vicino alla poltrona, e da aprire di tanto in tanto a caso per leggere il primo raccontino che capita sotto gli occhi.



(foto Ronda)


domenica 9 settembre 2012

Spigolature

* Confermata per il 15 settembre la corrida dell'orgoglio catalano a Ceret, con tanto di presentazione ufficiale a Barcellona in presenza di Tomas Prieto de la Cal e Serafin Marin. Pare che i catalani potranno godere di una riduzione di 10 euro sul prezzo di vendita del biglietto. L'Adac si è premurata di far conoscere, attraverso un comunicato ufficiale, la sua totale estraneità all'organizzazione dell'evento: titolo del dispaccio, "Diffidate delle contraffazioni".

* Il povero Michelito prenderà l'alternativa il prossimo 2 dicembre, a Merida in Messico. Il giorno dopo dovrebbe essere esentato dal compito in classe di geometria.

* Corrida benefica ad Aranjuez venerdì scorso: David Mora si è chiuso nell'arena con sei tori, in solitaria, per raccogliere fondi e sostegno da destinare a El Chano. Costretto alla carrozzina da qualche tempo, dopo che un novillo de La Glorieta l'aveva travolto ai primi di giugno nella plaza di Avila, il banderillero ha accompagnato Mora per la porta grande al termine del pomeriggio, naturalmente trionfale.
Il giorno dopo il torero madrileno Miguel Abellan ha diffuso una nota in cui, senza troppi giri di parole, ha denunciato la mancanza di spirito solidale di alcuni degli attori di quella encerrona: "gentaglia senza cuore, canaglie".

* La corrida è tornata in televisione sulla rete pubblica, in Spagna, dopo sei anni di esilio: un milione e mezzo di spettatori per la tarde in diretta da Valladolid, alcuni giorni fa, 2 punti e rotti di share in più rispetto alla media di quella fascia oraria

* Il 14 ottobre prossimo a Dax si organizzerà una giornata dedicata a Victorino Martin: al mattino 12 vacche senza corde per gli ecarteurs landesi, e al pomeriggio sei tori per un festival cui parteciperanno, tra gli altri, Ferrera e Bolivar. Gli organizzatirori dell'evento avevano proposto alla direzione regionale di Emmaus (rete di solidarietà fondata dall'Abbé Pierre) di donare all'associazione gli eventuali utili della giornata, perché questi potessero servire a sostenere l'attività in favore dei più sfortunati. Tuoni e fulmini! Le squadracce dell'Alliance Anti Corrida si sono mobilitate e hanno sommerso la dirigenza di Emmaus di email indignate e apocalittiche, quei soldi sono macchiati col sangue di povere bestie e via con tutto il campionario. Risultato, Emmaus ha risposto no grazie agli organizzatori. Con buona pace dei suoi assistiti.

* Per fortuna abbiamo Mario Vargas Llosa: la sua risposta ad un articolo pubblicato su El Pais, in cui si invocava l'abolizione delle corride (*), merita la lettura.


(foto Ronda - Vistalegre, Bilbao)








martedì 4 settembre 2012

Sorridi, click, macello



Si è combattuta una novillada di Prieto de la Cal domenica scorsa a Madrid: era il primo appuntamento di un interessante ciclo di corse giovanili che propongono un ventaglio di encastes differenti e nobili, linee di sangue relegate ai margini di un circo che tende sempre di più all'omologazione e alla edulcorazione e che, coscientemente e colpevolmente, le porta alla sparizione.
I veragua dell'altro giorno appunto, poi graciliano e buendia (Escobar), vasquez (Concha y Sierra), coquilla (Sanchez Fabres), e altro ancora.
Una meraviglia. Certo, si potrebbe obiettare che l'impresa si premura di dedicarsi queste operazioni meritorie lontano da San Isidro, infilando questi nomi in un angolo nascosto della stagione, ma passiamo.

Ora, i cinque Prieto de la Cal (fazzoletto verde per il primo) non hanno dato lo spettacolo che ci si attendeva da loro, via, è uscita una mala corrida.
Un pomeriggio di delusione amara e cocente per gli aficionados accorsi a Las Ventas, richiamati dal blasone della divisa giallorossa.
Decepcion, senza mezzi termini.

Capita.
Forse addolora assistere a una corsa di Prieto de la Cal che si trasforma in pallore e noia e fiasco, ma capita.

Bene.
La stampa prezzolata e organica al mundillo non ha esitato un solo secondo ad affondare le proprie zanne nel corpo ancora caldo, a far vibrare il colpo ultimo, a chiudere la faccenda.
Titolo di Mundotoro: Para la foto...y el matadero.
I sei (cinque) Prieto de la Cal andavano bene per la foto e per il macello.
Così, tranchant, definitivo.
Allineato, in fin dei conti.

Ora, sarebbe divertente mettere in fila i botti che hanno fatto negli ultimi anni Zalduendo e Juan Pedro e compagnia genuflettente, botti così clamorosi che li si è sentiti fino a qua; e sarebbe irresistibile andare a rileggere le cronache benevole quando non trionfalistiche, comunque e a priori.

Perché quando un toro si inginocchia, o quando ubbidisce a comando e stupido per genetica, o quando ripete settecento giri nella muleta, allora certo siamo al cospetto di un gran toro, di un toro collaboratore che è l'apoteosi della virtù ganadera e non invece, come sarebbe in un mondo normale, un insulto irricevibile.
Ma quando un toro di casta delude, no, va bene per il macello.
E per la foto, certo, così che anche le superstar dell'escalafon si facciano un pò di cultura taurina e si ricordino che esistono anche quelli.

Avanti così, e dovremo dire esistevano.


(foto Ronda - divisa di Prieto de la Cal)





domenica 2 settembre 2012

Le foto di Josephine Douet

Chi era a Madrid per San Isidro si sarà sicuramente fermato a bocca aperta davanti alla sua esposizione Alma Herida: per inciso, una mostra dall'impatto enorme, con immagini che trasudavano sentimento e rispetto e passione.
Conosciamo l'opera di Josephine Douet da qualche tempo, le sue fotografie sono tra le migliori che si possano ammirare di questi tempi:  e non c'è aficionada che non abbia sfogliato almeno una volta, magari di nascosto o pudicamente ma certo trasalendo, la sua opera Peajes.

Ma per una combinazione fortuita e fortunata ci siamo trovati a scambiare qualche birra e qualche parola con lei, lo scorso week-end a Bilbao, in uno di quei locali improbabili in cui gli aficionados sono soliti incrociarsi: ci siamo dunque ricordati che le sue fotografie non erano ancora finite su queste pagine, male, e dunque ecco un invito a dedicare a loro un pò di tempo.
Non solo tori, naturalmente, ma è su quelle che certo si fisserà per primo lo sguardo.

L'immagine qua di fianco ritrare Juan José Padilla e suo padre, in un abbraccio che pare eterno, il giorno in cui il pirata ha rimesso i piedi in un'arena, nel marzo scorso ad Olivenza.
Per scattarla occorre preparazione, un buon occhio e molto cuore: Josephine Douet fotografa soprattutto con questo.

Per di qua, e poi per di qua.


(foto Josephine Douet)