sabato 31 marzo 2012

Perché andiamo a vedere la corrida


All’inizio, nel lontano 1976, andavo alla corrida perché i miei, soprattutto mia madre, erano appassionati. All’inizio ho pianto per la morte, poi ho pensato che passavo le mie estati in un piccolo macello in provincia di Torino e non era troppo diverso da quello che accadeva lì. Allora ho comiciato ad interessarmi a quello che succedeva alla corrida vera e propria e la cosa mi divertiva e mi spaventava  al tempo stesso. 
Di quel tempo mi è rimasto molto impresso come i tori dell’epoca riuscissero a sollevare e scaraventere a terra cavallo e picadores con una facilità impressionante. Delle faenas e delle banderillas ho un ricordo molto sbiadito, devo dire. Ho poi cominciato ad andare da solo per varie arene della spagna ed ogni volta mi chiedevo sempre quando sarei andato alla prossima. Alle volte uscivo incavolato e mi dicevo "questa è l’ultima, perché continuo?" e invece son ancora qua a parlarne…mah?!
Ad ogni corrida purtroppo apprendevo cose nuove, particolari finezze di questo rituale antico e ancor’oggi mi rendo conto di non capirlo a fondo dopo duecento corride.
Questa è una delle cose che mi rode dentro e che mi fa entrare in arena pur sapendo che il mistero non verrà mai svelato.
Circa 10 anni fa mi sono sposato e ho trasmesso il virus anche a mia moglie. Lei stessa si è già espressa sul blog. Oggi vado alla corrida perché alle volte la vedo con gli amici italiani, francesi e spagnoli. Oggi vado alla corrida e spero di vedere un toro che porta a spasso il picador per tutta l’arena. Oggi vado alla corrida per avere al mio fianco mia moglie che piange per un toro indultato. Oggi vado alla corrida sperando di poter vedere una faena migliore di quella di Rincon che ho visto ad Arles. Di questi oggi vado alla corrida nella mia mente ce ne sono tantissimi, come è in tutti quelli come noi che frequentano le arene.Vado alla corrida perché durante la faena toro e torero diventeno una cosa sola in questo rituale inspiegabile. Vado alla corrida perché come ha detto Miguel, il piu grande esperto di tori che io abbia conosciuto, “dopo 60 anni di tori io non li ho ancora capiti”.

Ruggero Calandri

(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)

 


mercoledì 28 marzo 2012

Indulto!




domenica 25 marzo 2012

Madrid, il cartel di Antoñete


Se ne è andato nell'ottobre scorso, è ritornato pochi mesi dopo sul cartello della feria più importante del mondo, quella della sua Madrid.
Toreria, stile, classe: così ci si ricorda di Antonio Chenel Albadalejo.
Antoñete.
Era sua la voce roca e impastata dal fumo delle troppe sigarette che, come Ciotti fece alla radio per il calcio italiano, diede timbro e fascino alla cronaca delle corride in televisione, questi ultimi anni.
Antoñete, quello della faena al toro bianco di Osborne, quello degli altibassi, dei trionfi e degli addi.
Antoñete, Chenel. Il torero comunista che ancora conservava l'astuccio per sigarette regalatogli da Franco, il torero repubblicano che si fasciò a lutto nel giorno della morte della madre del re, che considerava "una gran persona e una grande aficionada".
Chenel, il matador che fermava il tempo con una veronica, che il tempo fermò nel 2001 con una crisi cardiorespiratoria, a 69 anni, dopo la sua ultima corrida.
Fu il suo ritiro definitivo dalle arene.
Lui che era stato torero per tutta una vita, mettendosi davanti a tori di rispetto, fino ad un'età avanzata: avanzata come quella sua gamba che caricava la suerte, come impongono i canoni del toreo più puro.

La sua inconfondibile silouhette, con quella stempiatura e quella postura che profuma di una toreria d'altri tempi, rendono prezioso il manifesto della San Isidro del 2012: è l'omaggio del tempio della corrida ad uno dei suoi più grandi sacerdoti.

Il programma sarà presentato in forma ufficiale domani, ma già da qualche giorno sono filtrate in internet le combinazioni: ce n'è per tutti i gusti, compreso il gusto dell'orrido con una corrida dei mediatici (9 giugno); non ci sono Juli e Ponce, per motivi diversi, e José Tomàs, per motivi tutti suo; ci saranno invece i Victorino Martin, dopo qualche anno di assenza. A David Mora e Ivan Fandiño, su cui è basata la stagione madrilena, vanno due serata a testa (alle quali si aggiunge il mano a mano del 1° aprile e una corrida in Otoño); Morante-Manzanares-Talavante, con i Cuvillo di garanzia, la combinazione della Beneficencia.
Il piatto forte, come tradizione, negli ultimi giorni del ciclo di San Isidro: l'infilata Escolar Gil, Cuadri e Adolfo Martin merita il viaggio.

martedì 20 marzo 2012

Anni Cinquanta


A questo link è possibile scaricare una videoraccolta di brevissimi filmati italiani degli anni Cinquanta: toreo comico, novilladas, Pamplona.




(l'immagine - recuperata in internet - non ha niente a che vedere con il link segnalato, ma un pò di topa non fa mai male)

domenica 18 marzo 2012

La brigada de los toreros




"Il Fascismo ha otto lettere, che sono: 1. Guerra, 2. Distruzione, 3. Furto, 4. Prostituzione, 5. Libertinaggio, 6. Schiavitù, 7. Ignoranza, 8. Egoismo
Questo è il fascismo compagni, per questo appoggiamo la goloriosa consegna del Governo, per vincere per sempre, con le sei lettere di Spagna e le nove di Resistere, queste otto odiose lettere di Fascismo. Viva la Repubblica! Viva la Spagna! Resistenza!
Capitano Vilches Parrita."

Così Manuel Vilches, il capitano Manuel Vilches in arte Parrita, in un articolo pubblicato su En Marcha!, organo della 39° Divisione dell'Esercito Repubblicano, nell'agosto del 1938.
Parrita era torero di professione (registrato dal Cossìo come matador de novillos): dopo alcuni trionfi nelle arene andaluse, nel 1926 debuttò a Madrid di fronte a bestiame di Veragua; i suoi contratti andarono regolarmente calando, e nel '33 decise di farsi banderillero.
La Guerra Civile lo vide risolutamente schierato nelle fila delle forze repubblicane, si affiliò al Partito Comunista Spagnolo e dopo un periodo di esilio rientrò in patria nel 1941.

Ci racconta questo Javier Perez Gomez, giornalista e storico, in quell'avvincente e prezioso libro che è La Brigada de los toreros - Historia de la 96° Brigada Mixta del Ejercito Popular.
Appartenente alla 39° Divisione dell'Esercito Repubblicano, la novantaseiesima combatté sul fronte di Teruel tra il 1937 e il 1939: in essa si arruolarono spontaneamente, in alcuni casi ricoprendo posti di comando, toreri e subalterni e picadores.
Da qui il nome con cui venne identificata: la brigata dei toreri.
Il libro è il risultato di una ricerca attenta e scrupolosa che ha obbligato l'autore, per anni, a rincorrere e interrogare testi e documenti, intercettare dispacci e sentenze, raccogliere fotografie, e infine anche incontrare e intervistare alcuni protagonisti della storia della 96°.

Ciò che rende il libro davvero interessante e a tratti addirittura gustoso, al di là dell'interesse storiografico che ha la ricerca e che si sviluppa nella ricostruzione della storia e delle battaglie della 96° (a cui è dedicata la prima parte del testo), sono i profili e le storie dei toreri che in essa si sono impegnati e arruolati: toreri col pugno chiuso che non esitarono a abbandonare professione e famiglia o abitudini di vita per andare a combattere al fianco dell'Esercito Repubblicano.

A capo della brigata stava Luis Prados Fernandez, detto Litri II: nato nel 1902 a Madrid da una famiglia di industriali, cominciò a esibirsi da maletilla nella prima adolescenza, e mai abbandonò il sogno di vestirsi di luce, anche quando cominciò a guadagnarsi da vivere facendo il barbiere. Dopo una lunga gavetta, all'età di 25 anni riuscì ad accreditarsi tanto da comparire in carteles di una certa categoria: collezionò dodici novigliade con picadores quell'anno, nel 1928 fece buona impressione a Barcellona, nel 1929 debuttò finalmente a Madrid con tori di Bernardo Quiros.
Un giornalista dell'epoca evidenziò in lui un coraggio impressionante e una certa qual modestia nei mezzi.
Forse proprio per questo venne relegato ben presto nel circuito delle novilladas minori: a Robledo de Chabela (Madrid) proprio in occasione di una di queste corse di paese, capitò che uno dei tori riuscisse a fuggire, raggiungendo addirittura la piazza del villaggio dove seminò panico e terrore. Litri II lo raggiunse e lì, nel centro del paese, gli diede due passi e lo fulminò con una stoccata perfetta.
Gli anni successivi lo videro galleggiare nelle feste popolari, toreando fino a un massimo di dodici o tredici corse per stagione.
Nel 1936, alle prime avvisaglie, non esitò e si arruolò volontariamente: il suo incarico civile di segretario dell'Associazione dei Toreri, e il coraggio smisurato che trasferì dalle arene al campo di battaglia favorirono la sua ascesa: arrivò a integrarsi nel Battaglione Galan, che confluì successivamente nel mitico 5° Reggimento.
Alla creazione della 96° Brigata, nella quale chiamò a combattere colleghi toreri, Prados divenne presto maggiore comandante della formazione, che guidò con spirito combattivo e tenacia.
Affiliatosi al PCE durante la guerra, fu in seguito catturato e sottoposto a un lungo e discusso processo.
Tornò libero nel 1943, e riprese una seconda carriera taurina come subalterno in alcune cuadrillas: lavorò anche per Antonio Bienvenida, al quale tagliò la coleta nel giorno del ritiro.
Si dedicò dunque alla sua attività commerciale: Litri II teneva due bar a Madrid, il Bar Casa Litri sul Paseo de las Delicias, e il bar El Alcachofo in calle Francisco Silvela.
Morì nel 1959.

Di origine basca, Juan Mazquiaran toreò con il soprannome di Fortuna Chico nella provincia di Madrid: debuttò nella capitale il 19 marzo del '26, e negli anni successivi alternò cornate e sfilate in arene come Bilbao, Alicante, Valencia, Madrid.
Nel 1933 la sua carriera si impantanò, e Cossìo imputa questa brusca frenata alle tante cornate ricevute negli anni.
Si incorporò volontario nel Quinto Reggimento pur senza aver avuto nessuna militanza politica prima della guerra, e affascinato dalla figura del suo comandante Litri, ben presto raggiunse la 96° Brigata, del cui Battaglione 383 divenne quasi subito capo.
Fu con questo incarico che partecipò a tutte le azioni fino alla fine della guerra: in questa stessa brigata combattevano anche suo fratello Raimundo, che era banderillero e faceva parte della sua squadra, e Cirilo, il fratello minore.
Fortuna Chico fu catturato insieme a Litri, in provincia di Murcia.
Dopo sette anni di carcere, il ritorno alla libertà: il suo tentativo di reinserirsi nel circuito delle novigliade fu piuttosto effimero e durò lo spazio di due brevi stagioni.
I suoi studi di ragioneria gli guadagnarono un posto di lavoro in una fabbrica, dove rimase fino alla pensione: continuò a frequentare il bar di Litri, sul Paseo de las Delicias.

Rafael Barberan, Guillermo Martin Bueno o Luis Mera Sanchez, anche, passarono dalle spade con cui finivano i novigli nelle arene di provincia ai fucili che usavano al fronte.
Luis Mera Sanchez, novigliero e banderigliero originario di Badajoz, entrò volontario nella 96°.
Finita la guerra, rientrò nella capitale e riprese subito a toreare, formando parte della cuadrilla di Luis Diaz Madrilenito. Fu arrestato il 7 maggio del 1939, sulla Gran Via e poco prima di iniziare una corrida, accusato da un collega di essere un torero rosso.

Silvino Zafòn Colomer nacque a Estrella, nel 1908. Emigrò a 12 anni a Barcellona dove lavorò come garzone in una panetteria. Debuttò come novigliero nel 1928, toreando quell'anno 16 novigliade nel nord della Spagna e in Francia: si presentò a Madrid nel 1930.
Le stagioni successive lo videro protagonista di una buona carriera con il soprannome di El Niño de la Estrella: arrivò a toreare 31 corse in un anno, e frequentò arene come Siviglia, Saragozza, Barcellona, Valencia, Madrid. Nel 1933 il suo nome era conosciuto in tutta la penisola spagnola, il maestro Jaime Teixidor scrisee un pasodoble per lui e la distilleria di Gregorio Fuertes imbottigliò un anice con il suo nome.
Poco prima della guerra, si dava per certo il suo passaggio alla categoria superiore: prese in effetti l'alternativa nel maggio del '37 a Barcellona, in piena guerra civile, dalle mani di Pedro Basauri, che gli cedette un toro di Pellon.
Fu poco dopo questa data che raggiunse la 96° Brigata, con ogni probabilità contattato da Litri, raggiungendo il grado di commissario di guerra.
Al terminare la guerra, Zafòn tornò nelle arene dove però la sua alternativa non venne risconosciuta, fatto che lo retrocedette tra i novilleros.
La sua carriera risentì molto della sua militanza nell'Esercito Popolare, e non ritrovò mai più lo slancio che aveva negli anni prima della guerra. Nel 1946 El Niño fu arrestato e imprigionato.
Inviso alle autorità franchiste, decise di trasferirsi in Francia e installarsi a Orange: qui allacciò presto nuovi contatti con l'ambiente taurino della regione, riprendendo a toreare e cominciando a organizzare eventi.
Morì nel marzo del '63 in uno sfortunato incidente in moto, ed è sepolto nella taurinissima città di Arles.

Saturio Toron El Leon Navarro fu un torero valoroso e un ottimo banderigliero: un giornalista dell'epoca scrisse una volta che Saturio Toron con il suo atteggiamento addirittura spaventava i tori, e fino dava loro delle testate sulla fronte.
Non dubitò un solo secondo e si arruolò nelle file repubblicane: morì sul fronte di Madrid, il 1° gennaio del 1937, per l'esplosione di una granata.

Enrique Torres Herrero, di Valencia, arrivò a prendere l'alternativa nel 1927 e poco dopo si dedicò a una campagna in Messico. Confermò l'alternativa a Madrid l'anno successivo: ma dopo alcuni anni a pieno regime, la sua carriera bruscamente si arrestò e nel 1935 decise di ritirarsi.
Il 26 settembre del 1936 Enrique Torres riprese in mano gli arnesi e conseguì una nuova alternativa, a Valencia, dalle mani del compaesano Manuel Martinez.
Poco dopo si unì alle milizie repubblicane, e al termine della guerra si trasferì in Sudamerica dove riprese la carriera taurina. Nel '49 una grave cornata rischiò di togliergli la vita.


La brigada de los Toreros, di Javier Perez Gomez, ed. Almena, Madrid


(nell'immagine, milizie taurine nell'esercito repubblicano: con la X, Litri II)

martedì 13 marzo 2012

Perché andiamo a vedere la corrida





La prima risposta che viene in mente quando ci si chiede il motivo per cui si fa qualcosa è: perché mi piace. Come per i bambini, di solito questo basta: vado allo stadio perché mi piace il calcio, vado ad un concerto perché mi piace un gruppo musicale piuttosto che un altro.

Tuttavia, quando si tratta della corrida, sembra sempre che questa giustificazione non sia sufficiente. Non può piacere un animale che viene ucciso, non può appartenere alla sfera del ludico un rituale che contempla la morte. Da quando ho deciso di occuparmi di questo argomento, quasi per caso, durante una vacanza studio ad Alicante, me ne sono sentite dire di tutti i colori: che studiavo un argomento inutile, che il folclore non può essere oggetto di tesi, persino che ero un fascista, siccome sostenevo la fiesta nacional, che ha conosciuto la sua massima espansione durante il franchismo.

Inutile dire che queste opposizioni venivano soprattutto da chi nell’arena non solo non era mai stato, ma nemmeno aveva mai visto un filmato di una vera corrida. Probabilmente, ma nemmeno di ciò posso essere sicuro, l’esperienza di queste persone si fermava ad una delle trasposizioni cinematografiche di Sangue e arena.

Parafrasando Hemingway, per capire veramente se piace o no la corrida bisogna essere lì, nel coso taurino, e vedere questa sorta di spettacolo rituale in cui l’uomo si avvicina il più possibile ad un animale il cui peso può essere anche dieci volte maggiore quello del suo sfidante. Un rituale in cui il finale è scritto, prevedibile, ed è la morte del toro, perché il suo comportamento può essere letto come lo specchio della vita umana: all’inizio l’animale è giovane, pieno di energia, ma non riesce a indirizzare i suoi sforzi, a capire perché si trova in quel cerchio di sabbia, in mezzo a tutta quella gente. Comincia ad intuirlo dopo la suerte de varas e le banderillas, quando il suo collo, la sua giovinezza, sono state piegate ed assecondate ai voleri del diestro. Il toro comprende il suo scopo nell’arena quando ormai è troppo tardi, quando sta per abbandonare il coso con un estoque conficcato tra le scapole. A volte, però, avviene l’eccezione che conferma la regola: l’animale ha un sussulto, e si prende la sua rivincita, lasciando ai posteri non solo il suo ricordo, ma anche quello di un torero che ha avuto il coraggio di sfidarlo.

Per questo, credo, andiamo a vedere la corrida. Per passione. Per assaporare un elemento precipuo di un’altra cultura che, in quanto tale, rende detta cultura così unica. E perché a volte, dentro la morte, è intriso il significato della vita.


Simone Tepedino


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)



domenica 11 marzo 2012

Surrealismo




In effetti curiosando tra le pagine di Portaltaurino.com, il nome era già balzato agli occhi.
Strano, comunque. Stranissimo.
Già di suo l'Armenia è un paese di cui si sa poco, se non che Youri Djorkaeff, arrivato in Italia sulla sponda sbagliata dei Navigli, aveva là qualche progenitore e che pure Serj Tankian, leader dei mitici System of a Down e musicista di incredibilespessore, arriva da laggiù.
Confessiamo che altro sull'Armenia, francamente, non avevamo mai saputo.

C'è che però, sfogliando appunto il portale taurino più documentato, nella sezione Tori nel mondo e accanto a Spagna o Francia o Messico si capitava su una sezione dedicata al paese ex sovietico.
Insomma, si danno tori in Armenia.
La notizia in effetti è sconvolgente, ma il cortocircuito è completo nel momento in cui si scopre che a vestirti di luce là nei Caucasi è un torero pirotecnico, paradossale, esuberante.
El Glison.

Ora, El Glison non si capisce se sia la meraviglia assoluta della tauromachia o se sia la sua nemesi definitiva.
El Glison è messicano, è poeta, è incontenibile.
Qualche anno fa El Glison decise di battere il record di cavalcata, programmando un itinerario di 3500 chilometri in Messico, da oceano a oceano, da frontiera a frontiera, per portare un messaggio di pace. In sella a un cavallo. Per farsi anche un pò di pubblicità, ovvio.
El Glison non è esattamente una figura della tauromachia, e di pubblicità ne ha bisogno.
Una volta il nostro, al quale evidentemente non si può non volere istintivamente un sacco di bene, decise di promuoversi organizzando un set fotografico in riva al mare.
Ne sarebbe venuto fuori un book da antologia: l'orizzonte là in fondo, l'acqua increspata, il toro e la muleta, il torero a ricamare arte con i piedi nell'acqua.
Fotografi e giornalisti furono convocati. El Glison in costume da bagno si mise ad armeggiare con gli strumenti e a chiamare il toro, eh toro, eh!.
Finchè, proprio lì in quel punto in cui le onde esauriscono la loro spinta e si fondono al giallo della sabbia, El Glison si trovò perfettamente inquadrato negli obiettivi, il toro a due passi, il sole là in alto, il torero in costume da bagno, spavaldo, eroico, romantico.
I click delle macchine fotografiche coincisero con il momento esatto in cui il toro infilò il corno nella coscia sinistra del torero, dando al tutto un senso di imperitura demenzialità.
Demenziale, sul serio.

Ma torniamo all'Armenia.
L'esibizione del Glison nello stadio armeno è roba da Gialappa's Band: gli spalti occupati per metà, il recinto in mezzo al campo da pallone, il rigore marziale dell'ambiente...qualche desplante così pacchiano che nemmeno El Fandi si oserebbe, e poi il toro che scappa e vaga per lo stadio, El Glison che lo rincorre goffo e lo va a toreare un pò dappertutto, fino a compiere il capolavoro facendosi incornare sulla pista di atletica che contorna il terreno. Un torero messicano incornato da un toro spagnolo sulla terra rossa di una pista in uno stadio armeno. La polizia che vuole finire il toro a pistolettate, il torero e i venticinquemila del pubblico che reclamano una fiesta integra e pretendono la stoccata. Putin sugli spalti.
E' surrealismo puro.

Geniale.
Un pò come quella volta che El Glison scatenò disordini sui tendidos di un'arena messicana quando, alla fine di una faena farneticante, decise di arrampicarsi sui gradini della plaza de toros per raccogliere meglio l'ovazione del pubblico: ne scaturì una rissa pazzesca che le forze dell'ordine contennero a fatica.

Settembre 2001, stadio di Yeveran, Armenia.
Questa non è una corrida.

martedì 6 marzo 2012

Padilla sul Messaggero




Chiudiamo questo ideale trittico sul ritorno ai tori di Padilla pubblicando il pezzo a firma di Matteo Nucci apparso sull'edizione odierna del Messaggero.

Accecato da un toro, torna nell'arena
di Matteo Nucci

OLIVENZA (Extremadura). Aveva detto “tornerò a mettermi davanti alle corna di un toro” e poco fa era lì, di fronte a un animale nato quattro anni fa a Medina Sidonia, allevamento Nuňez del Cuvillo. Aveva detto “sarà una serata trionfale” e il crepuscolo caldo e dolce della primavera di Extremadura l'ha spinto all'uscita che si concede al grande matador torero: sulle spalle dei toreri che in lui hanno ritrovato il rispetto dell’arte. A Olivenza stasera è stato il trionfo di un uomo valoroso e serio, una di quelle “tardes” che fanno la storia della tauromachia. Sul ritorno nell’arena di Juan José Padilla a soli cinque mesi da una cornata terribile a Saragozza, si diceva di
tutto da giorni. Ma l’unica cosa che si sapeva davvero era il “vestito di luci” (così si chiama il “traje” torero) che avrebbe indossato: cucito dal sarto Justo Algaba nei colori verde speranza e oro. Per il resto, come avrebbe toreato Padilla era difficile immaginarlo. Lo hanno sempre chiamato “il Ciclone di Jerez” dalla cittadina in cui nacque 38 anni fa e per la sua esuberanza, le sue trovate spettacolari e la sua voglia di affrontare sempre i tori più difficili. Ma sarebbe rimasto davvero “Ciclone” dopo che il 7 ottobre scorso a Saragozza un toro di nome Marqués, dell’allevamento di Ana Romero, un toro del sangue antico e duro dei temibili Santa Coloma, gli aveva strappato metà faccia? È stata la ferita più impressionante degli ultimi anni. E diversamente dal famoso corno immortalato nella bocca di Julio Aparicio nel 2010, stavolta le conseguenze sono state tragiche. Padilla ha perso – molto probabilmente per sempre – l'occhio e la mobilità del lato sinistro del viso. Ma la sua lezione è stata straordinaria. Un’umiltà fuori dal comune che ha commosso tutto il mondo taurino e anche chi verso i tori non ha dimestichezza né vere passioni. “Non porto rancore al toro” ha detto nella prima intervista dal letto d'ospedale. “Nella vita il toro mi ha dato tutto. La mia unica felicità è trovarmi di fronte alle sue corna”. Oggi hanno preso a chiamarlo “Pirata”. E non solo per la benda nera che gli copre l’occhio ma per una disponibilità a dare tutto che evoca spirito di avventurieri da romanzo e celebra nella sua massima espressione l’antica arte di sfidare se stessi di fronte a un toro selvaggio.
Ieri, quando la stagione taurina ha riaperto i battenti su questa bella cittadina accanto al confine con il Portogallo, erano in pochi quelli che parlavano di Barcellona e della Catalogna dove da quest’anno è scattata la proibizione. Si aspettava solo di vedere Padilla pronto a sfilare sull'arena della plaza costruita nel 1861. Il bianco ritinteggiato per l’occasione brillava nel sole assieme
all’ocra e al rosso: i colori delle arene del sud. Spagnoli e portoghesi brindavano e mangiavano gamberetti. La festa del paese esplodeva. A centinaia, giovani e vecchi passeggiavano sulle due
piazze contigue e lunghe piastrellate di mattonelle dipinte in blu, giallo e verde. Poi i tori sono scesi nell’arena e l'emozione è esplosa. Non c'era un posto libero sugli spalti e l'applauso che ha
accolto il “Ciclone di Jerez” è stato liberatorio. Rispetto e gratitudine da parte di una regione in cui la passione taurina è travolgente. Riconoscenza per un uomo che ha esaltato i valori più
puri della cosiddetta toreria. Mentre si faceva girare il toro attorno, muovendo il capo in maniera innaturale pur di vedere sempre l'animale, seguendone i movimenti, il silenzio era gonfio. E quando la musica ha iniziato a suonare, l'emozione si è trasformata in quello che Garcia Lorca chiamava il “duende”, lo spirito trasfiguratore che possiede i grandi artisti, generalmente gitani, che siano musicisti o toreri. E' stato come il suono silenzioso cantato da José Bergamin, altro poeta del Novecento spagnolo. Il suono della campagna che si riapre, della festa che scoppia ovunque, della sfida alle paure più grandi e soprattutto alla paura di se stessi. Poi è venuto il momento della verità, e l'emozione si è sciolta nel fragore. “I tori non finiranno mai” ha detto il vecchio addetto alla porta della plaza salutandomi. “Ci vediamo il prossimo anno”. Padilla era già lontano, acclamato dalle grida di un pubblico ebbro.

lunedì 5 marzo 2012

Padilla su Repubblica




Al ritorno di Padilla ha dedicato una galleria fotografica anche il portale online di Repubblica.

Il paseillo ritardato di dieci minuti, le grida di torero torero!, le dediche commoventi dei due tori, il trionfo, ancora torero torero!, e l'uscita dall'arena di un eroe rinato.
Questo è stato ieri a Olivenza.



(foto Repubblica.it)

sabato 3 marzo 2012

Suerte, matador




Domani, qualche minuto prima delle cinque e mezza, a Olivenza il tempo si fermerà: dal tunnel uscirà Juan José Padilla, farà qualche passo sulla sabbia e quindi si aggiusterà un poco il capote dl paseo.
L'arena gli tributerà un'ovazione enorme, e forse Padilla si commuoverà.

Sarà vestito di verde, il pirata, di verde che è il colore della speranza: il sarto gli ha preparato un abito che ha per motivo dominante un intreccio di foglie di alloro, che a Roma simboleggiavano la forza dei gladiatori. Sarà ornato di nero, come la benda che gli chiuderà l'occhio sinistro.
Padilla affronterà due Nuñez del Cuvillo e anche questo è il segno che Marques di Ana Romero, quella sera a Saragozza, ha cambiato per sempre la vita del Ciclone di Jerez.

In tutto questo non riesco a non pensare all'incredibile esempio di coraggio, serietà e forza interiore che l'uomo prima e il torero poi ci hanno dato e ci stanno dando.
Se ce l'ha fatta Padilla posso farcela anch'io: è il motto che dovrebbe accompagnarci tutti, nelle piccole e grandi difficoltà di tutti i giorni.

Suerte, matador.