martedì 28 giugno 2011

Bilbao: la lista



Nello spirito di boicottare chi boicotta ecco un prezioso elenco di bar a tapas, ristoranti e locali di Bilbao che chi passerà di là per la prossima Settimana Grande dovrà frequentare: per fornirvela non abbiamo nemmeno dovuto faticare, basta un copia incolla.

I bar elencati qua sotto fanno infatti parte della lista di proscrizione che un collettivo antitaurino di Bilbao ha pubblicato sul proprio sito, invitando a "segnalare e punire i collaboratori del terrorismo taurino": e se a qualcuno sono venuti i brividi leggendo queste parole non si preoccupi, sono del tutto normali.
Abbiamo preso la notizia da un blog spagnolo che non si limita a segnalare il fatto ma fa un passo avanti e chiude il cerchio: a metà degli anni Trenta, in Germania, sulle vetrine dei negozi ebrei campeggiavano cartelli che incitavano ad analoghi e cupi boicottaggi.

In ogni caso, e automaticamente, i bar segnalati dagli abolizionisti diventano per ogni aficionado che sarà all'Aste Nagusia un punto fermo delle proprie peregrinazioni pomeridiane o serali.
Dunque appuntamento per chi ci sarà al Meson las jotas o al Bar Estenaga, al Café Bar Real, al Bar Cleto, al Los Caracoles Taberna, o a Casa del Jamó: e in uno di tutti quesi altri messi al bando dal comunicato del collettivo.

Per quanto ci riguarda, e data un'occhiata al programma ufficiale della Semana Grande, noi dovremmo essere là per le corse di Miura e Fuente Ymbro.

lunedì 27 giugno 2011

Solo cornate


Le grandi testate italiane si ricordano della corrida solo quando c'è da dare la notizia di una qualche cornata o di qualche incidente, e così è anche stavolta per quanto accaduto ieri alla giovane Conchi Rios a Rieumes: Repubblica.it metteva stamattina in homepage la foto del noviglio che la scaravolta per aria mentre le perfora il muscolo, sotto un titolo alquanto laconico. La galleria di immagini a corredo dell'articolo commentava così: "Il grave incidente ripropone il problema della corride ormai proibite in molte località".
Una raccolta riuscita di notizie mancate, concentrate in una sola sintetica frase: l'incidente non è così grave, benché questo conti poco, le corride non sono proibite "in molte località" (a meno che non si contempli nella geografia dell'abolizione anche il nord Europa o l'Africa centrale) e in ogni modo non è il rischio che corre l'uomo l'argomento con cui chi vuole farla finita con la tauromachia conduce le proprie battaglie.
Anche perchè, se il metro di misura è questo, il ciclismo dovrebbe essere pratica vietata da tempo: tra incidenti e doping, sono maledettamente di più i corridori traumatizzati o defunti di quanto lo siano i toreri.

Mai una volta , comunque, che un giornale italiano titoli sulla corrida una notizia che non contempli parole come macello, cornata, orrore, morte.
Solo notizie di incidenti, solo immagini pulp, solo indignazione: niente sull'indulto a Siviglia o sui trionfi madrileni, non una riga sulla sterminata letteratura taurina o sull'arte ispirata al toro, niente su José Tomas che riempie le arene o sulla struggente bellezza delle ferias di paese.

Per fortuna ci pensa Nucci a far parlare di tori in modo positivo e appassionato anche qui da noi: la recensione pubblicata sabato sul Messaggero, a firma di Rita Sala, è particolarmente calda e salutare.
Il toro non sbaglia mai è importante anche per questo.


(cliccare sull'immagine per leggere meglio la recensione di Rita Sala)

venerdì 24 giugno 2011

Riverberi


Sulla rete e sulla carta proliferano le recensioni per Il toro non sbaglia mai, di Matteo Nucci: con ogni probabilità ne avrete già intercettate diverse su quotidiani, riviste o siti.

Segnaliamo oggi quella pubblicata sul blog Dispersioni, e questo valga anche come riconoscenza ai gentili omaggi che ci indirizza il suo curatore.
Si clicca sull'immagine e si arriva a quelle pagine.

giovedì 23 giugno 2011

Programmi






- Prima comunicazione rivolta in particolare ai bolognesi cinefili e aficionados: all'interno della rassegna Il cinema ritrovato, martedì 28 giugno all'infausto orario delle 11.15 (nei locali della Sala Officinema Mastroianni) verrà proiettata l'oscura pellicola La tierra de los toros, del 1924. Per qualche informazione e per il programma completo di questa iniziativa della Cineteca di Bologna, cliccare qui.

- L'arena di Arles ha pubblicato i dettagli della Feria del Riso, a settembre: c'è aria di crisi anche da queste parti, salta una corrida e rimangono solo la goyesca al sabato e la concorso la domenica.
E anche il mondo dell'arte è in crisi, a giudicare dall'orribile immagine (che ancora devo decifrare pienamente) che campeggia sul manifesto.

- Dal nord della Spagna arrivano invece alcune notizie interessanti circa la programmazione di Azpeitia e Tafalla: le due cittadine puntano ancora una volta sul toro, con nomi come Palha, Prieto de la Cal, Adolfo Martin. Bene.

- Ivan Fandiño dopo il suo importante passaggio a Las Ventas sta entrando in tutte le ferias della stagione, in alcune di esse anche come nome di rilievo: a Bilbao, tra l'altro, sarà due volte.

- Proprio di Bilbao comincia a profilarsi l'ossatura della Settimana Grande: il ritorno dei Miura a Vistalegre dovrebbe essere in calendario per domenica 21 agosto per aprire il ciclo, chiuderanno i Victorino la domenica dopo.


(foto Ronda - tienta di Fontvieille, lunedì di Pasqua 2011)

martedì 21 giugno 2011

Aviador, stallone e guerriero



Torniamo per un attimo sulla emozionante corrida di Cuadri combattuta a Madrid il 2 giugno scorso.
Il pannello piantato in mezzo alla sabbia annunciava in terza posizione Aviador, marchiato con il numero 38 e nato nel dicembre del 2006. Poco dopo lo stesso Aviador in persona sfoggiava i suoi 585 chili e il suo manto castano uscendo circospetto dal buio della sua celletta, e fermando la sua modesta corsa un paio di metri prima della capa dei subalterni, piantandosì lì, un incubo.
Alberto Aguilar doveva aver capito subito che c'era poco da scherzare, e in ogni modo glielo confermerà lo stesso Aviador mangiandogli terreno passo dopo passo, obbligando il torero a indietreggiare impotente verso le assi in una serie di veroniche centrifughe, con il toro a spingere l'uomo sempre più fuori.
Francisco Javier Sanchez, con il cappellaccio a forma di castoro, lo chiamava dall'alto del suo cavallo: a Aviador bastava il corno sinistro per spedire in cielo quei due e farli cadere a terra un attimo dopo. Batacazo, applausi. La seconda picca era presa con slancio, al cavallo mancava di nuovo la terra sotto ai piedi, e le mani questa volta batteranno anche per il picador.
Aviador era selvaggio, forte, ma rivelava anche inequivocabili segni di mansedumbre: per la terza piccata dovranno andarlo a cercare, e il toro entrerà solo da vicino.
La faena de muleta sarà drammatica: Aviador aveva casta e di quella maledetta, conservava la testa alta e a fine passo cercava l'uomo. Bastavano due o tre derechazos e Aguilar era preso, il corno destro lo arpionava e lo scaraventava per aria, poi l'uomo a terra era di nuovo alla mercé del toro, che non lo mollava. Aguilar ci riprovava, ma il pericolo era vivo e l'arena cadeva in uno stato di tensione elettrica: Aviador a sinistra cambiava comportamento, all'uscita del passaggio se ne andava disinteressato e si metteva al riparo, sotto alle gradinate dell'ombra, là in quell'angolo che aveva eletto a suo terrno; Aguilar provava a torearlo qui, dove l'animale aveva la sua querencia, ma Aviador era un cliente difficile, difficilissimo, che con ogni probabilità aveva capito più di quanto a un toro sia permesso di capire.
Di nuovo, con la stoccata, il toro trovava il corpo dell'uomo.
Aviador lascerà la pista sotto gli applausi dell'arena, e Aguilar finalmente al riparo nel corridoio che gira dietro le assi riprendeva a vivere, dopo aver rischiato più volte di finire il pomeriggio all'infermeria.

Aviador di Cuadri, un toro selvaggio, un manso con casta di quelli che fanno passare le notti insonni ai toreri e che sono per gli appassionati (ben al sicuro sui gradini) un'autentica prelibatezza, da studiare, ammirare, capire.
Un toro forte, brutale, intelligente.

Erano in pochi a saperlo, quel giorno a Madrid, ma per Aviador il confronto con Aguilar era stato non un normale combattimento ma una vera e propria tienta definitiva, una prova a posteriori senza possibilità di appello.
Perché Fernando Cuadri, allevatore aficionado e scrupoloso, aveva deciso a suo tempo di mettere Aviador a coprire un lotto di vacche: successe tra il 2009 e il 2010.
Un toro non ancora provato in una tienta, evidentemente, Aviador: e pure lasciato con un gruppo di vacche, a contempolarle e montarle, frutto di una selezione evidentemente fatta sui libri mastri dell'allevamento. Aviador doveva avere un'ascendenza importante, per giustificare cotanta fulminea carriera.
Fatto raro quello di un toro che diventa stallone solo per titoli, senza alcuna prova nella piazzetta della ganaderia, rarissimo se si pensa che Aviador è stato riproduttore di una sola primavera: i suoi eredi solcheranno le arene nel 2015, e non ce ne saranno altri, la spada di Aguilar ha deciso così.
Non ce ne saranno altri perché il toro, dopo quei mesi di piacere e ormoni, era tornato a pascere nei campi insieme a quei suoi fratelli ancora presi con i miseri problemucci della pubertà, : ma qui il suo portamento, i suoi muscoli e quel suo sguardo non erano sfuggiti agli occhi attenti degli osservatori di Las Ventas. Aviador finiva nel gruppo dei sei previsti per San Isidro, e addio ai sogni da novello Casanova.
Occorrebbe chiedere ad Alberto Aguilar se invece non avrebbe preferito che Aviador se ne rimanesse tranquillo a sbuffare sul coppino delle vacche di casa Cuadri, piuttosto.

La storia di Aviador ricorda quella di Hurracan, il toro de La Quinta che uscì a Vic Fezensac qualche anno fa e che si aggiudicò la corrida concorso: e dunque ci si chiede, come cambia il comportamento nell'arena di un toro che ha già coperto? Di un toro che ha già sentito il richiamo magnetico degli ormoni, che ha già scaricato il suo istinto aggrappato alla schiena di una vacca, che ha passato qualche tempo ad occuparsi solo di mangiare, bere, ficcare?
Aviador fu quel 2 giugno a Madrid il toro più smaliziato e intelligente, e perciò il più pericoloso.
Quel toro di Cuadri sembrava un toro adulto, più adulto di tutti gli altri, sembrava il generale che guida le truppe all'assalto, sicuro di sè, autorevole, strategico: ne sapeva più lui di tutti noi che eravamo lì, chi a combatterlo in pista chi a studiarlo dai gradini dell'arena.

Quanto conta quella primavera trascorsa nell'harem?


(foto Juan Pelegrin; la notizia di Aviador è ripresa dal blog Los Caminos del Toro)

venerdì 17 giugno 2011

Torismo o torerismo, il falso dibattito


"Il mondo degli aficionados si divide sostanzialmente in due grandi blocchi: toristi e toreristi. Quelli che esaltano la bellezza del toro e quelli che esaltano invece il torero. È una divisione goffa e, come tutte le generalizzazioni, insufficiente. Tutti gli aficionados, in realtà, esaltano il toro, l’animale toro, il dio dell’arena. Ma nonostante questo, durante una corrida, c’è chi esalta i movimenti del toro – la sua natura, la sua aggressività selvaggia –, e c’è chi invece pensa più ai movimenti del torero – l’arte con cui l’uomo modifica la carica dell’animale."

(da Il toro non sbaglia mai, di Matteo Nucci)


Su Rai Uno il varietà nazionalpopolare con veline e canzonetta e lotteria, su Rai Tre un documentario con dibattito a fine proiezione e immagini di repertorio: se dovessimo illustrare il palinsesto della televisione pubblica, in estrema sintesi, a un extraterrestre capitato per caso nel nostro giardino, potremmo metterlo giù così.
Due pubblici diversi, sensibilità ed esigenze diverse: e pure per la corrida sembra essersi imposta e istituzionalizzata una divisione analoga, impacciata e di poco senso, e invero ormai oggi accettata come unico criterio di classificazione di una corsa, di un torero, di un appassionato.

Proprio cadendo a fagiolo, Nimes e Vic Fezensac si sono sovrapposte anche quest'anno, inevitabilmente: ancora una volta lo stesso week-end ha messo gli aficionados di fronte ad una scelta di campo, ché le nuances nelle rispettive programmazioni sono davvero impalbabili.
Nimes e Vic Fezensac, ovvero la polarizzazione totale del differente concetto di corrida: nell'anfiteatro romano in sei giorni hanno sfilato, qualcuna anche più volte, tutte le grandi figuras, le superstar, e attorno a loro hanno girato i tori cosiddetti commerciali. Quelli che collaborano.
A Vic Fezensac, al contrario, i tori sono invero poco propensi alla cooperazione, tendenzialmente si presentano più armati e non solo di brutti propositi, e gli uomini davanti sono assai più adusi alla sciabola che al fioretto.
Il tutto al netto delle sfumature e dei casi particolari, naturalmente, ma come semplificazione questa è più che accettabile.
A Nimes parecchia gente, con sigaro di ordinanza, si agita affannata per sventolare fazzoletti bianchi e reclamare trofei che alla fine - orecchie, code, tutto - non si conteranno; nella campagna del Gers invece la gente i sigari li mastica, generalmente brontola, e a sudare un bel set intero di camicie sono toreri e quadriglie.
Pentecosti diverse: le due idee di tauromachia al confronto diretto, in un match dai risultati spesso impietosi e decisamente chiarificatori.

Arriviamo al dunque, senza indugiare oltre: torismo e torerismo.
Torismo o torerismo.
Come se ci fossero due categorie di aficionados, due circuiti di corride, due generi di corse: da una parte chi sceglie le arene in funzione dei tori, dall'altra chi va alla plaza perché c'è José Tomas. Funzioni di religioni diverse, per gente di fede diversa.
E ancora. I toristi, che mugugnano quando tutti si esaltano e che si esaltano quando tutti mugugnano, e che hanno nel toro un totem imprescindibile; i toreristi, per i quali il toro è poco più di uno spiacevole accidente, una presenza inevitabile quantunque nei desideri ovviabile, e che invece fremono per un singolo passo di cappa, per quel preciso gesto che chiude una serie di naturales.
Gli appassionati di corrida sono racchiusi in due vasi non comunicanti, diventano due fazioni sempre più estreme e inconciliabili, e alzi la mano chi non si è mai sentito chiedere "sei torista o torerista?". Si smettono i panni degli appassionati di tori per indossare quelli assai meno confortevoli ed eleganti del tifoso se non dell'ultras.

Riduzione più stupida della dimensione aficionada non può esserci.
Come a dire che chi ama il combattimento non si strugga per una veronica di Morante, e che chi è toccato dalla celestiale dimensione artistica nel toreo non possa vibrare al cospetto di un toro di casta e bravura.
Eppure ognuno di noi è costretto a interrogarsi (sarò torista o torerista?), a fare scelte precise se non addirittura ideologiche, a parteggiare come fossimo allo stadio.
Nimes e Vic Fezensac parlano chiaro e tracciano una linea netta, negli stessi giorni e a qualche misero centinaio di km l'una dall'altra: stai di qua o stai di là.

E' che il problema in realtà non si pone, e questa dicotomia è una invenzione strumentale di chi, per interessi di bottega, vuol far credere che nella tauromachia occora scegliere: in quale circuito correre e a quali gran premi assistere.
Certo, le ragioni di questa prospettiva, di questa trappola in cui tutti gli aficionados prima o poi capitano, sono chiare: far credere che ci siano due tauromachie, quella degli artisti e quella dei gladiatori, significa convincere che ci siano anche due tori, quelli collaboratori e quelli selvaggi.
Di conseguenza, riuscire a trasmettere la convinzione che il toro possa essere alternativamente bruto o partner implica il dare dignità e cittadinanza a quest'ultimo, consentire la selezione di intere camionate di animali sensa sugo ma forieri di trionfi facili, e dunque in ultima istanza vendere. O toreare. O scriverne. E dunque vivere della fiesta e non per la fiesta.

Perché infatti, e in questo spero siamo tutti d'accordo, il toro da combattimento è per definizione un animale selvaggio, e che appunto perché bravo può essere affrontato e messo a morte.
Non si tratta qui di stabilire se nella corrida sia più giusto cercare il piacere del bello o il brivido della lotta, l'ispirazione o il coraggio.
Ognuno di noi va all'arena per trovare emozioni, e ognuno di noi trepida o si commuove per momenti e gesti diversi: ma tutti andiamo alla corrida perchè nella plaza scende e corre il toro, l'ultima e definitiva verità della corrida, e quando questi abdica dal suo ruolo di dio da combattere per precipitare a quello di spalla o partner, nessun brivido ha più possibilità di essere.
Non ci sono due tori, quello buono per lo spettacolo e quello inadatto al toreo, non credete a chi ve lo dice. Il toro manipolato, collaboratore, stupido, non è più toro: è un povero animale maltrattato in pubblico, e quando un toro smette di far paura e invece induce alla compassione, la corrida non ha più giustificazione.
Così come non ci sono due tauromachie, quella commerciale e quella dura, e non ci sono due campionati: la corrida è una e una sola, è quella funzione nel corso della quale un uomo fa del combattimento di un toro selvaggio un'arte sublime.

Dunque, quale conclusione?
Nessuna, se non il toro.
Il toro integro, con casta, di personalità. Il toro che è verità e giustificazione, e imprescindibile premessa.
Al di là di questo ognuno sia torista, torerista, morantista, troglodita, quello che vuole: ma dal toro non si prescinde. Che poi sia combattuto con il polso fermo e dominatore, o accarezzato con la seta della muleta e accompagnato a danzare, quello sta agli uomini che ha di fronte; che sia un toro forte e nobile, o un toro complicato e rude, quello sta al sangue e alle ascendenze; e sta a ognuno di noi preferire ammirare il coraggio e la scienza del torero o estasiarci per il sentimento e la bellezza, preferire l'emozione del combattimento o scegliere il visibilio dell'arte effimera.
Purché ci sia un toro.

Dal toro non si prescinde. Ma questo non significa, è bene sottolinearlo, voler imporre ed esportare il modello Ceret ad ogni latitudine: il toro di Ceret continui ad uscire a Ceret e in quelle (rare) arene che si ostinano a programmarlo, e nessuno chiede che il bel Cayetano si metta di fronte ad una corrida di Coimbra.
Pensare che le istanze dell'aficionado a los toros siano impregnate di velleitario massimalismo corrisponde alla riduzione di queste stesse istanze al rango di effimero sogno, o infantile illusione.
Significa banalizzarle e dunque ignorarle e disprezzarle.

Né toristi né toreristi dunque, solo aficionados a los toros.
Perché sono i tori che danno senso e dimensione alla corrida, alla fiesta, alla nostra passione.
Senza, tutto diventa circo grandguignolesco e tutto perde di significato: i trionfi, l'emozione, l'etica, la grandezza.


(foto Ronda - Las Ventas)

lunedì 13 giugno 2011

Il toro intelligente

Tio Pepe, resto un pò scettico quando vi sento parlare dell'intelligenza del toro; molto meno quando dite che il toro è stupido. Tutto ciò mi sembra un pò confuso e anche, senza voler offendervi, piuttosto gratuito. Se potete, sarei felice che voi precisaste il vostro pensiero.

Non è facile, e riconosco che queste siano essenzialmente delle supposizioni. Nei venti minuti che trascorrono da quando il toro entra nell'arena fino alla dipartita della sua spoglia, si succedono un certo numero di fatti che ci aiutano a scoprire e a volte senza dubbi il mistero del toro.
Dire che il toro con casta è intelligente è affidarsi a un buon numero di constatazioni che mostrano come il toro ha decodificato le manovre di cui è l'oggetto, o come ha reagito per difendersi dalle scaltrezze dell'uomo. In effetti, il toro è un bruto. Non si può certo ammaestrare un toro de lidia per il circo come lo si fa per un leone, una tigre o un elefante.
E' la sua stessa natura che vi si oppone.
Nel toro bravo, cioè selvaggio, solo l'istinto di aggressività o di difesa, che in fin dei conti è la stessa cosa, è l'espressione della sua natura. E' un tratto che gli è proprio, perché essendo erbivoro non attacca certo per trovare il cibo.
Consegnato agli uomini in uno spazio senza uscita, il toro attacca con, senza dubbio, la segreta speranza che una volta spazzati gli ostacoli, troverà un modo per uscire di là e ritrovare la libertà che lo riporterà dai suoi fratelli.
Non c'è tauromachia possibile che nella misura in cui l'uomo si mostra capace di imporre durante alcuni momenti la sua volontà e la sua abilità a questo bruto spaesato in uno spazio sconosciuto, per il quale tutto è nuovo e di conseguenza minaccioso e ostile.
La capa e la muleta dei toreri sono gli strumenti dell'inganno.
Il toro non deve vedere che la capa o la muleta, mai l'uomo.
Ora,esistono tori che, a furia di essere ingannati, scorgono dietro il panno la presenza dell'uomo.
E' soprattutto una questione di età e di esperienza. Il toro non possiede l'esperienza del combattimento nell'arena, ma possiede quella delle lotte fratricide. Più i tori avanzano nell'età, più si battono tra di loro e la frquenza e la violenza di questi scontri nel campo raggiungono il loro apice verso i qattro o cinque anni di età.
I tori che arrivano al'arena sono evidentemente quelli che sono sopravvissuti o non hanno ricevuto ferite capaci di renderli inadatti al combattimento.
Sono tutti vergini per il toreo, ma non del tutto nuovi al combattimento. Il toro che io chiamo intelligente non è dunque per nulla innocente.
Sarà sufficiente allora che un'imprudenza, un gesto maldestro, una confidenza inopportuna da parte del torero lo mettano sulla strada della verità e l'animale scoprirà ciò che non avrebbe mai dovuto sapere, e questa scoperta sarà tanto più frequente quanto più di grande razza sarà questo animale.
Il matador Antonio Bienvenida disse un giorno che il toro che egli teme di più è il manso con casta, perché è il più intelligente o, se preferite, il più accorto.
Al contrario, quello che io chiamo toro stupido, o tonto, o ancora il toro insipido, soso, è quello che non comprende niente, quello che, in una parola, non ha carattere.
Ci sono anche degli uomini, così!
Il pericolo non è comunque mai assente, ed è lo stesso Bienvenida che dichiarò "Io comincio a respirare quando il toro smette di farlo".

- da Aficion, de El Tio Pepe -


(foto Ronda - corrida di Penajara, Las Ventas, 31 maggio)

giovedì 9 giugno 2011

Litfiba tornate insieme (*)




Adesso, ditemi chi se lo ricordava.

No, non il pezzo, quello chi se lo scorda.
Finalmente un calcio agli anni ottanta dai quali sì, con molta fatica certo, ma ora potevamo dire di essere usciti vivi; un calcio al pop assurdo con le tastiere e la batteria elettronica, un calcio alla Milano da bere e ai paninari e ai fighetti, ai cocktail di gamberi e alla rucola, un calcio alla lobotomia e alle felpe firmate. E poi i diciott'anni, la primavera della Pantera, le notti magiche cantate da Bennato e la Nannini, la svolta della Bolognina, la Coppa Campioni a Vienna con il gollettino di Rijkaard.
Nel El Diablo c'è tutto questo e i Litfiba, vabbé saranno anche ricordi giovanili non lo metto in dubbio, ma quella volta avevano davvero centrato l'obiettivo grosso.
Un signor album.

El Diablo, sfido un mio solo coetaneo a non ricordarsi a memoria le canzoni.
Ora però sfido un qualsiasi mio coetaneo aficionado a ricordarsi il video.
Davvero, chi se lo ricordava.

Ma per fortuna che c'è youtube.
E così una sera, paciugando in internet e ascoltando qualche pezzo di qua e di là, per quei percorsi imprevisti verso cui ci si fa inevitabilmente trascinare ecco che spunta questo video.
Oh l'enorme sorpresa.

Insomma guardatelo, sono dei nostri.
E poi dai, c'è anche Paquitone; ci ha portati fuori lui dagli anni ottanta.
C'è anche Paquitone: sono dei nostri.




(*)...che poi Litfiba tornate insieme è un capolavoro

martedì 7 giugno 2011

Cartoline da San Isidro

Tendido alto del 6, con un cielo che passa agilmente dal grigio dei nuvoloni gonfi all'azzurro trionfale proprio della stagione, l'arena piena: prima dei Cuadri un altro paio di corse, a mò di aperitivo a introdurre il piatto forte.
In ordine, Peñajara e Palha.

Trionfo per Cesar Jimenez il martedì: Rodalito, il suo primo toro, ha una trasmissione enorme e una carica ordinata e vorace. Jimenez che fa correre bene la mano, dà profondità ai passi, taglia un'orecchia legittima ma la verità è che non riesce a strappare la seconda che pure un toro così offriva e pretendeva. La seconda appendice, quella che gli dà diritto a uscire sulle spalle di un nerboruto madrileno, aneddotica e giustamente protestata.

I trogloditi (*) del 7 lì a sinistra, la musica della banda che non può sovrastare l'incontenibile brusio, e Las Ventas piena per celebrare il rush finale della San Isidro di quest'anno.

Jesus Arruga, della squadra di Jimenez, che mette un paio di pali perfetti come se fosse la cosa più naturale del mondo, e che il pubblico obbliga a uscire e a togliersi il copricapo per salutare un'ovazione roboante.

Bicchieroni di gin tonic o coca e whisky al bar del tendido, o sui gradini.
Il runrun dell'arena. Gusci di granaglie indecifrabili sputati generalmente per terra. Generalmente, giacché una percentuale non secondaria viene scaraventata un pò ovunque.

Deludente la corrida di Palha del 1° giugno.
No, non deludente: brutta.
No, nemmeno brutta: fracasso totale.

Una famiglia di italiani di fianco a noi. Abbiamo accompagnato nostra figlia, noi avevamo visto un paio di corride trent'anni fa. Avete fatto bene, signora. Nostro genero non è voluto venire. Male il genero, signora. Però trent'anni fa il torero era molto bravo, faceva tutto in ginocchio, e faceva delle mosse bellissime, quasi saltava. Mi sa che avete sbagliato giorno, signora.

I Palha, che disastro. Una presentazione terribile, a metà tra il fisico del noviglio e il profilo di una vacchetta, deboli e senza iniziativa, casta non pervenuta. Ad eccezione di Arbolario I, capitato nelle sciagurate mani di Cortes e omaggiato di qualche applauso, tutti hanno meritato un apprezzamento che andava dal silenzio ai fischi.

Nella fila sotto la nostra ci dev'essere un meeting internazionale degli Amici del Sigaro Enorme. Fumano come ciminiere, e sembrano goderne parecchio. Per noi è come vedere una corrida in novembre qui nella bassa del Po, la nebbia che offusca la vista più o meno è quella.

Bolivar apre la giornata con un passo cambiato, poi più nulla. Lezirio, il secondo di Palha, è presto sostituito: dentro un Carmen Segovia.

Passa di mano in mano un mezzo plotone di chorizos fatti in casa, distribuiti assieme a generose fette di pane. Si mangia, si beve dalla fiasca, si fumano sigari: là in pista le cose sono poco interessanti.

Il toro migliore della corrida di Palha è un Aurelio Hernando. Esce a sostituire il sesto (e due...), si chiama Bombero, è jabonero e il sangue di cognome fa Veragua. Si è già fatto parecchi pomeriggi nelle cellette dell'arena aspettando venisse il suo turno, e come ogni toro corralero entra in pista, si guarda intorno, e subito ritorna indietro verso il suo stallo. Così per tre volte.
Da buon veragua non nasconde un amore spassionato per il cavallo, che attacca dove gli capita: al toril, dall'altra parte, sempre indisturbato ché la cuadriglia di David Mora è per margherite.
Bombero, finalmente un pò di fuoco. Manso con casta, mobile, vivo, bocca chiusa. Mora ci si mette di fronte con coraggio, inizia con un ginocchio a terra e cesella una serie a destra ben fatta. Il toro è difficile da canalizzare, tiene la testa alta, a sinistra il giochino si fa combattimento vero.
Nel gradino sotto di noi smettono di fumare e bere e mangiare, non ridono più, e non staccano gli occhi dalla pista. Bombero è un avversario duro che pure potrebbe, ad un torero ispirato e potente, dare una possibilità di successo.
Ahimé Mora lentamente cede terreno, provato, la faena decresce di intensità e arriva la spada.
Applausi per il toro, saluto fuori dalle assi per il torero.

Il giorno dopo, per fortuna, arriveranno i Cuadri.

Cuscini sulla pista, abbracci tra compagni e compaesani, fila per uscire.
Ci aspettano un paio di bicchieri al Waniku (*), poco fuori dall'arena.


(foto Ronda)

domenica 5 giugno 2011

Cuadri, la fiesta de los toros


Giovedì 2 giugno, nella cattedrale di calle Alcalà, la funzione ha rinnovato l'antica formula: el toro pone a cada uno en su sitio, il toro rimette ognuno al proprio posto.
Ci hanno pensato sei bisonti di Cuadri a fare finalmente un pò ordine nelle gerarchie degli aficionados, nei valori della fiesta, nelle intenzioni degli uomini di luce: sei tori non perfetti, certo, ma che hanno imposto la loro presenza per tutta la durata della corrida, che hanno corso e combattuto, che si sono difesi, che hanno fatto vibrare le gradinate, che hanno (oh quanto finalmente!) portato emozione, e-mo-zio-ne!
Chapeau signor ganadero, allevatore aficionado, chapeau per quella casta che scorre a fiumi nelle vene dei suoi pupilli, per quella religiosità con cui alleva tori che partono di slancio per spazzare cavallo e cavaliere, che hanno muscoli, forza, potenza e cattive intenzioni, che fanno gridare al miracolo, che danno vertigini, paura, entusiasmo.
Giovedì 2 giugno a Las Ventas: corrida di Cuadri, tori a Madrid, la fiesta de los toros.

E d'altronde la ricetta per la grandezza della festa è semplice.
Un toro selvaggio, un uomo sincero, un'arena pronta a ruggire: è tutto.
Quel torero, giovedì, si chiamava Ivan Fandiño: coraggio, tecnica, valore, pundonor, Fandiño quel giorno è stato tutto questo, giocandosi la vita con due avversari che pure mettevano in gioco la loro, uomo e animale pronti a tutto pur di non perderla.
Prendete la faena a Zapato, il secondo del pomeriggio. Il torero rinuncia ai preliminari, e dopo tre muletazos quasi di cortesia pianta i piedi per terra, si fa verticale, e mette il panno rosso davanti a sé. Come quei singoli istanti che precedono una deflagrazione, quando pare che l'aria si fermi e tutto si faccia silenzio, ecco, così. Bum. Il toro parte e Fandiño aspira quella carica mostruosa in una serie straordinaria: gli olé che Las Ventas gorgoglia fanno tremare le colonne, la pista, la città intera. Il toro a sinistra si fa pericoloso, si decompone, ma quell'uomo non rinuncia, anzi rilancia: si mette in mezzo, tira dei passi miracolosi e profondi, e quel naturale (quello, proprio quello) fa esplodere l'arena. La spada buona ma non efficace gli impedirà di tagliare un'orecchia meritatissima: si accontenterà di un giro d'onore clamoroso, e chissà in quanti hanno calcolato durante quel giro di pista il peso specifico di questa vuelta e quello delle orecchiette guadagnate (?) nei giorni prima.
Il suo secondo, Podador, 631 chili, è un signor toro: completo nei tre atti, grande, spaventoso. Applausi per Fandiño che con veroniche di dominio lo spinge al centro, applausi per il picador che ne contiene bene le due cariche vigorose e selvagge, applausi e saluti per i subalterni alle banderiglie. E' la fiesta de los toros, quando nell'arena corrono tori veri. Il corno destro di Podador è enorme, non solo metaforicamente, ma ancora una volta il torero basco inchioda i piedi per terra e lo chiama a sé: arrivano tre serie con la destra profonde e di grande valore, chiusa l'ultima da un passo col petto sensazionale. L'arena è in piedi, si passa a sinistra dove Podador tiene la testa alta, le cose si fanno difficili eppure arrivano due progressioni eroiche e di peso. Ancora, per chiudere, un passo di petto colossale. La spada è ancora franca e buona, arrivano senza esitazioni un'orecchia di quelle grosse e una grande ovazione per Podador.
Ecco qua, la grandezza della corrida è tutta nella sua semplicità: un toro bravo e un uomo valoroso, a combattere per la vita.

Ma si diceva, el toro pone a cada uno en su sitio.
El Fundi, quel sitio, l'ha perso. Aragones, il primo (e il peggiore) della corsa, se l'è mangiato: obbligando il torero a rinculare insicuro, passettino dopo passettino, facendogli perdere terreno, spingendolo contro le assi. Fischi. Col quarto del pomeriggio (massacrato alla picca, non a caso) non andrà molto meglio. Triste vedere il vecchio gladiatore ridotto così.
Nemmeno Alberto Aguilar ha passato uno dei suoi pomeriggi migliori, andando anche a rischiare grosso (ma grosso davvero) in un paio di momenti. Il suo confronto con Aviador ci ha ricordato, per drammaticità, quello con Vinatero di Prieto de la Cal un anno fa: ma se allora Aguilar era coraggio sovrumano ed entusiasmo totale, oggi pare dominato da chissà quali fantasmi che ne inibiscono le grandi qualità di cui pure dispone. Aviador era certo un toro pericoloso, brillante alla picca in tre riprese e in seguito dando segni di tignosa mansedumbre ma sempre con un fondo solido di casta caustica come la calce viva, capace di girarsi su sé stesso con l'agilità di un felino a dispetto dei suoi 585 kg per mirare direttamente ai lombi quando non al petto dell'uomo. Ma Aviador non era un toro impossibile, solo un avversario che chiedeva un polso sicuro e maschio. Due giravolte in aria per Aguilar, una a inizio faena e una alla stoccata, lo mortificavano ancor più nel morale, e quel polso si faceva di burro. Al sesto, che pure aveva delle possibilità, il torero arrivava vuoto di intenzioni, vinto.

Un pomeriggio di tori, un pomeriggio di emozioni.
A Madrid sono passati i Cuadri, e hanno messo a posto le cose.


(foto Juan Pelegrin: altre sue immagini dalla corrida qui, qui e qui)