mercoledì 27 maggio 2009

Rehuelga a Saragozza

Domenica era in programma a Saragozza una novillada di Rehuelga, sangue santacoloma di pura provenienza Buendia.
Roba interessante, insomma.
Il consiglio direttivo di A5DS non ha esitato un attimo e ha spedito in loco Gigi il Lettore Gigliato, già autore della grafica degli ultimi gadget del blog (tra i quali spicca un biglietto da visita elegante e sontuoso), con rispettiva consorte.

Certo va detto che sul bilancio di A5DS l'iniziativa ha pesato non poco, ma oggi siamo in grado di fornirvi cronaca e immagini di quella novillada: e un grazie all'autore, che pur con un orecchio alla radiolina per gli aggiornamenti da Lecce, ha redatto queste preziose righe.
Supponiamo che le foto, davvero belle, siano opera della cara moglie: lo supponiamo appunto perché sono belle.
A voi il piacere della lettura, e un plauso ai novelli recensori.



Un bel week end in terra d'Aragona ci ha offerto la possibilità di
recarci presso la Plaza de Toros La Misericordia per assistere alla
novillada di domenica 24 maggio.
La corsa è inserita nel programma
della Feria Taurina di Primavera di Saragozza, un ciclo di novillade
con picadores dall'accattivante titolo "Las origenes de la bravura".
Di scena la ganaderia de Rehuelga di cui abbiamo letto un gran bene
su un recente numero di Toros (1850). Per l'occasione l'arena si
riempie per circa un terzo. Ad affrontare i sei novillos tre
aspiranti toreri: Mario Aguilar, Juan Luis Rodriguez e Jose Manuel Mas.

Il primo a calcare la sabbia della arena è Mario Aguilar. Il giovane
messicano si trova di fronte un novillo cardeno ben presentato che
si dimostrerà dotato di bravura; carica con decisione nel tercio de
vara e si dimostra ancora in forze alla muleta. Aguilar, dopo un
lavoro senza sbavature alla cappa, regala agli spettatori una faena
priva di passaggi spettacolari ma precisa, almeno fino a quando non
finisce tra le corna del toro (cosa che succederà altre due volte).
Una buona stoccata gli permette di uscire tra gli applausi così come
il novillo matato.
Il secondo novillo Mattarosa di 444 kg parte deciso, carica con
forza ma presto si spegne, inizia ad inginocchiarsi e rifiuta la picca.
Il pubblico chiede ed ottiene il cambio. Rodriguez si trova così a
toreare Solear un toro castano della ganaderia Jaralda; novillo che
si dimostra timido nel tercio de vara e non molto disponibile a
mettere le corna nella muleta. Ne esce una faena semplice e precisa
ma che non regala particolari emozioni. Dopo due stoccate Rodriguez
mette la parola fine sul secondo toro ed esce. Silenzio.
Josè Manuel Mas si trova ad affrontare Fragroso un novillo nero
che si dimostra da subito un buon toro. Una picca forse
un po' troppo lunga non leva forza all'animale che non si risparmia
alla muleta permettendo al novillero madrileno di eseguire belle
figure. La banda attacca "Morenito de Valencia" e Manuel Mas completa il suo
lavoro con una buona stoccata. Orecchia meritata.
Il secondo per Aguilar, Buenacara è un novillo non certo
eccezionale che non carica il cavallo ed arriva stremato alla
muleta. Il messicano non si dimostra certo un maestro e dopo un lungo
e noioso lavoro mata il toro dopo un avviso. Silenzio dell'arena.
Rodriguez parte bene col suo secondo, belle figure con la capa. Il
toro lo asseconda, carica con decisione il cavallo e gli permette un
buon lavoro con la muleta. Proprio quando la banda inizia a suonare
il pasodoble, le corna di Comparito agganciano il novillero di
Albacete, che dopo un volo atterra tra gli zoccoli del toro.
Rodriguez ne esce malconcio ma porta a termine il suo lavoro con
coraggio, se pur dopo un avviso e un alto numero di tentativi con il
vedugo. Esce tra i timidi applausi dell'arena.
L'ultimo novillo della serata è Fabricante, un cardeno di 502 kg. Dopo
un preciso lavoro alla cappa, seppur senza momenti di spettacolarità,
il toro si dimostra valoroso alle picche e dotato di Bravura. Manuel
Mas lo lavora bene e permette agli spettatori di ascoltare "El Gato
Montes" e chiude la faena alla seconda stoccata. Un orecchia, a parer
nostro generosa, chiude la serata.

Nel complesso un buon pomeriggio di tori, senza grandi emozioni, ma
onesto e sincero come i 6 novillos e i tre novilleros che hanno
combattuto senza risparmiarsi nell'arena.

(foto Laura D.)

martedì 26 maggio 2009

La dichiarazione di Siviglia


Una tavola rotonda organizzata dall'Unione Latina in collaborazione con la Junta de Andalusia, il municipio di Siviglia e la Real Maestranza, ha riunito intorno alla metà di aprile una serie di attori e studiosi della fiesta, a dibattire intorno al tema della corrida.

Il colloquio, dal significativo titolo de La fiesta dei tori: un patrimonio immateriale condiviso, alla fine ha avuto per sintesi e manifesto una dichiarazione redatta e sottoscritta dai partecipanti (sul sito il pdf), e che qui traduciamo e riportiamo per intero.

Noi professionisti, ricercatori e scrittori provenienti dagli otto paesi dell'America e dell'Europa di tradizione taurina, avendo partecipato al colloquio La fiesta dei tori: un patrimonio immateriale condiviso appena conclusosi, per iniziativa dell'Unione Latina e con il sostegno della Junta de Andalucia, nel magnifico quadro della Real Maestranza de Caballeria de Siviglia, dichiariamo:

- Che la corrida, la cui espressione moderna si cristallizza nella Penisola Iberica alla fine del 18° secolo, particolarmente in Andalusia, trova le sue radici nel fondo millenario della cultura mediterranea che i popoli latini hanno ereditato, cultura nella quale il confronto tra uomo e toro, così come la sua interpretazione simbolica, hanno dato vita a un grande numero di miti, celebrazioni e opere d'arte
- Che questa festa, in ognuna delle sue interpretazioni, riflette la sensibilità di ognuno dei popoli e delle comunità che la condividono, ma che essa esprime ugualmente, da un punto di vista etico e culturale, i valori fondamentali dell'uomo latino e il modo in cui egli si confronta alla vita, alla morte e all'effimero

- Che la tauromachia è fondata sui princìpi di rispetto per il toro, da parte di allevatori, toreri e aficionados, durante il combattimento e nel corso del suo allevamento nelle migliori condizioni di libertà, all'interno di spazi protetti che costituiscono una riserva ecologica insostituibile per la fauna selvaggia e la flora, e che permettono di conservare numerosi mestieri e tradizioni della campagna

- Che in definitivo la fiesta taurina costituisce un patrimonio culturale immateriale, riunendo l'insieme dei criteri specificati nell'articolo 2 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, siglata all'Unesco il 17 ottobre 2003, che si applica ai campi delle tradizioni ed espressioni orali, delle arti dello spettacolo, delle attività rituali e festive, delle pratiche legate alla natura, dei mestieri e dell'artigianato tradizionale

- Che la protezione di ogni espressione del patrimonio immateriale condiziona la diversità culturale e garantisce uno sviluppo continuo, come afferma il testo di questa Convenzione; che, peraltro, la promozione della diversità delle differenze culturali è stato argomento di una convenzione firmata nel 2005 dall'insieme degli Stati rappresentati all'Unesco al fine di evitare, nei limiti imposti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, le conseguenze nefaste della globalizzazione.

Di conseguenza raccomandiamo alle autorità competenti dei nostri rispettivi paesi di adottare l'insieme delle misure necessarie alla difesa e alla promozione della Fiesta taurina e al suo riconoscimento come patrimonio culturale immateriale a livello regionale, nazionale e mondiale. Ringraziamo l'Unione Latina per l'organizzazione di questo colloquio, la Junta de Andalucia per il sostegno a questa iniziativa e, più in generale, per il suo impegno nella promozione della nostra Fiesta, così come la Real Maestranza de Caballeria di Siviglia per la magnifica accoglienza.

Ringraziamo anche l'insieme di organismi e istituzioni che hanno dato il loro apporto e sostegno. Aderiamo alla Dichiarazione del Forum Mondiale della Cultura Taurina tenutosi nell'isola di Terceira all'inizio dell'anno.

Sosteniamo ogni iniziativa presa da organismi o associazioni appartenenti ai nostri otto paesi, in favore della difesa e della promozione della Fiesta taurina.
Ci impegniamo ad attivare un coordinamento e una solidarietà costanti per mantenere vivo questo patrimonio immateriale condiviso dal mondo latino.


Siviglia, 16 aprile 2009


tra le firme, quelle de El Juli, Cesar Rincon, Esplà tra i toreri, poi di Eduardo Miura, di alcuni sudamericani, del filosofo francese Francis Wolff e di altri ancora

domenica 24 maggio 2009

I quadri di Cantù


Proprio poco tempo fa dicevamo dello storico e mai interrotto legame che l'Italia ha con la corrida, e che spesso esprime e veicola facendo ricorso e appellandosi all'arte.
Capita dunque a proposito una segnalazione che abbiamo ricevuto nei giorni scorsi via mail da Alessandro Cantù, da Parma: pittore per diletto, aficionado per vocazione, Cantù dipinge da anni tele a tema taurino.
Qualche notizia biografica e le immagini di alcune delle sue tele si trovano sul sito della galleria monegasca Passion Art: e su Feria Tv, a questa pagina, è possibile trovare un video di alcuni minuti (Alessandro Cantù y sus toros) in cui il pittore illustra alcune opere.

Durante la prossima feria di Nimes, che debutterà questo mercoledì, alcuni dipinti del pittore/aficionado parmigiano saranno esposti alla Galerie de l'Aspic, nell'omonima via della città francese.

venerdì 22 maggio 2009

Morante a Madrid


Prescindiamo dai titoloni dei portali commerciali, che però va riconosciuto sono piuttosto suggestivi: Toreare alla luce di una candela, poetico ed evocativo, o anche Così toreano solo gli angeli.

Ma ieri a Madrid qualcosa di grosso deve essere successo davvero, se il commentatore de El Pais, ultimamente assai poco tenero con tutto e tutti, ha scritto un pezzo così.
In rete si trovano anche i video, certamente, ma se abbiamo capito bene quella di ieri è una di quelle serate di cui nessuna sintesi filmata può riprodurre le emozioni, la passione, la comunione di sentimenti.
Vedete voi se cercarli e guardarli, sui vari mundotoro o burladero punto qualcosa.

Morante de la Puebla è un torero che certamente non ci capita spesso di vedere, a dire il vero quasi mai: siamo sempre più orientati e attratti da corride con tori di casta sicura, con tori duri ed integri, e di fronte ai quali il torero andaluso non si degna di mettersi.
Poco male.

Ma se c'è un insegnamento che la corrida inevitabilmente lascia è quello della laicità, necessaria ed imprescindibile: all'arena non si è tifosi, all'arena non si va per supportare quel torero o quel ganadero, all'arena non si va tantomeno a tifare contro.
In una plaza de toros ci si siede per partecipare ad una funzione, ammirare la bravura del toro ed eventualmente emozionarsi per l'arte che fluisce dalla capa del torero, ondeggiare al ritmo del pasodoble, studiare la scienza dell'uomo e stupirsi della pugnacità dell'animale.
In una plaza de toros si va liberi, e può capitare di fischiare brutalmente un torero e un'ora dopo spellarsi le mani per applaudire e ovazionare quello stesso matador.
Liberamente e coerentemente.
A prescindere anche dai propri naturali gusti o dalle proprie inclinazioni, pronti a vivere ogni volta quello che accade, e che accade solo quella sera lì e mai più, per l'incontro di quel toro e di quell'uomo.
Indipendentemente da sé.

Certo è forse, questa, pratica più difficile per chi come noi è abituato alla polarizzazione del pro o contro e nulla più, aduso a recarsi alla partita a sostenere acriticamente i propri colori e ugualmente acritico fischiare quelli avversari, e così per i reality show o le tribune elettorali.
Proprio per questo la corrida e il suo insegnamento di laicità e libertà sono ancora più importanti, e faticosa ma feconda palestra.

Non c'è nessun -ista e nessun anti-ista, qua: sono riduzioni e minuzie che bestemmiano, sacrileghe, la grandezza della tauromachia, e che lasciamo a chi va alla corrida come andasse allo stadio, o ad una trasmissione di piccoli fans.

Dunque questa notizia di Morante, perché ci sembrava giusto darla.

(la foto è di Manon)

giovedì 21 maggio 2009

Càrdeno


Il toro càrdeno ha un manto che appare grigio, ma che ad un attento esame risulta tale dalla combinazione dei peli bianchi e neri di cui è formato.
A seconda della prevalenza degli uni sugli altri, il càrdeno si ammanta di sfumature ora più scure ora più chiare.
Il pelaggio è oggi tipico di alcune linee di sangue, in particolare quella santacoloma.

Manon ci confessa che per lui il toro bravo è un toro càrdeno , semplicemente.


(foto Ronda - un Victorino Martin, càrdeno, nei corrales di Arles)

martedì 19 maggio 2009

Flashback


Ad Arles era in programma, il venerdì di feria, il tanto celebrato mano a mano francese che opponeva Juan Bautista e Sebastien Castella a sei (sedicenti) tori di Domingo Hernandez.
All'impresa avevamo già dato il merito di essere riuscita a costruire per quel giorno un cartel di sicuro richiamo mediatico e con alcuni oggettivi elementi di interesse e attrattività: i due protagonisti dell'esplosione della tauromachia alla francese di questi anni, non immuni da una accertata rivalità reciproca, l'uno all'altro di fronte a celebrare l'apertura della temporada transalpina.
Risultato: titoloni sui media specializzati e soprattutto sulla carta stampata, dichiarazioni tronitruanti nei giorni precedenti il confronto, arena sostanzialmente piena.

In effetti è un pò tardi per parlarne sul blog, penserà qualcuno.
Cose belle se ne sono pure viste: la prima faena di Juan Bautista con qualche serie profonda e di gusto con le due mani e soprattutto quella al sesto di Castella, con il tradizionale debutto in mezzo fatto di pase cambiado serrati e da brividi e proseguita con passi armonici e rotondi, al suono del pasodoble.
In più una rivalità (quanto simulata non si sa) costante per tutta la corsa, concretizzatasi in una continua rincorsa al quite: né Bautista né Castella se ne sono lasciati scappare uno, andando regolarmente a prendere il toro dell'altro per somministrargli veroniche dal gusto classico e chicuelinas strette e avviluppate.
Tutto bello, bene, evviva la festa dei tori: tre orecchie a testa, il pubblico felice millantando di essere al cospetto di un evento, puerta grande per i due e tripudio generale
Però, però...non c'è niente da fare, abbiamo assistito ma non partecipato a quella corrida, i tori erano animali collaboratori per figuras con tutto il prevedibile corollario di cadute, insipidità, apatia.
Incredibile per sfacciataggine la vuelta al sesto, e solo il primo ci è sembrato se non completo almeno meritevole di attenzione.
Sarà per questo che ripensando ad Arles ci vengono in mente invece la corsa di Miura o quella di Victorino, delle quali appunto abbiamo parlato, ed anche perché la novillada sin picadores di Barcelò.
Al venerdì ci siamo anche annoiati, a tratti.

Ma una cosa, della corrida francese, non abbiamo dimenticato.
Uno dei momenti migliori di tutta la feria, secondo noi, apprezzato non da tutti evidentemente ma che una parte del pubblico non si è lasciata scappare, tributando alla fine il giusto merito al torero, tra lo stupore di alcuni.

Esce il quarto toro, Pepinero, 500 chili tondi.
L'entrata non è da antologia, fugge spaventato le lusinghe della capa e al cavallo semina il panico partendo da lontano, uscendo poi subito e da solo alla prima pica.
Bastano pochi minuti e la diagnosi è chiara: manso da manuale, e pure vecchiotto (5 anni).
Sotto le banderillas la cuadrilla di Castella è travolta dal caos, il toro taglia le traiettorie, si lamenta, segue disordinatamente i peones.
Inizia la faena e Pepinero sembra voler dare una dimostrazione pratica del significato di querencia.
Un passo e via, verso l'esterno.
Un altro passo, le corna distrattamente nella muleta, e via di nuovo proiettato fuori da una misteriosa forza centrifuga.
Un terzo passo e hop, al toril.
Spalle alla barrera, incollato alle assi, sguardo perplesso verso il centro della pista.
Fine.
Querencia sparata, Pepinero era lì a dire non sarò io ad attaccare ma non pensiate che non sappia come difendermi, venitemi a prendere se volete combattermi, venitemi a sfidare qui.
Ora, ogni buon aficionado sa che un toro che si chiude nella querencia è assai complicato da lavorare e combattere: pericoloso andare a infilarsi nel suo terreno, difficile convincerlo a uscire per aggredire.
Abbiamo visto Castella, in questi anni, fare numeri quasi pirotecnici, sedurre con l'armonia dei suoi gesti, riempire di brividi di paura le schiene di migliaia di spettatori non sempre consapevoli, tagliare orecchie, code, e tutto quello che c'era da tagliare, e anche fingere di toreare.
Bene, quel giorno ad Arles l'abbiamo visto torero.
Torero.
Pepinero è là e c'è poco da fare: o si abdica magari cercando di convincere il pubblico che non c'è niente da fare, e liquidandolo con una spada vigliacca messa giù alla bene e meglio, oppure si prova a dominarlo, a convincero a combattere, a rigenerarlo toro.
Castella questo ha fatto.
All'inizio quasi sommessamente, delicatamente, andanto a mettere prima un piede poi lentamente anche l'altro nel terreno di quello, la muleta avanzata con attenzione.
Un primo tocco, il secondo, e al terzo Pepinero si allontana di qualche metro dal toril.
Una prima serie con la destra, per dargli confidenza.
Una seconda ancora a destra, questa più potente, decisa, di sottomissione.
Dominio.
Pepinero avanza.
A sinistra il toro è intrattabile, va a marce alterne, ora si immerge nella muleta ora si ferma a metà passo.
Ma Pepinero segue ancora.
Prosegue il suo dominio Castella, i due ora sono al centro dell'arena, il conforto del toril è dimenticato, ora i due combattono in mezzo.
E lo fanno dove ha deciso il torero, dove Castella ha deciso di portare Pepinero.
A questo punto le serie si fanno più rilassate, il toro è vinto, i passi fluiscono e il bastone lascia spazio alla piuma.
Fino a dieci minuti prima Pepinero non si voleva concedere, ora era là a con le corna nella seta, a seguire il ritmo imposto dal polso di Castella.
Questo è toreare, questo è dominare.
Faena sinceramente emozionante, non bella, non artistica, ma emozionante, di autorità: ma queste serie dure, strappate, difficili e di governo valgono trenta faenas cosiddette artistiche, plastiche ma vuote.
Una spada non impeccabile ma efficace, cade giustamente un'orecchia.
Durante la vuelta qualcuno ritma le mani scandendo to-re-ro to-re-ro, e a noi è parso che migliore definizione per quel Castella di quei dieci minuti non ci fosse.

(foto Ronda - all'arena di Arles, qualche minuto prima del paseillo)

sabato 16 maggio 2009

Cose che succedono


Di ritorno da un viaggetto familiare a Parigi, un amico mi ha consegnato un paio di giorni fà un pacchetto contenente un libro acquistato in una qualche bancarella di bouquinistes, sulle rive della Senna.
Con mia enorme sorpresa si trattava niente meno che di un'edizione del 1970 de "La Tauromachie" di Claude Popelin, testo di riferimento per ogni aficionado che si rispetti: ma l'inaspettato e apprezzato regalo è reso ancor più prezioso che l'amico donatore è un antitaurino dichiarato, capace di sintetizzare con metafore efficaci l'odio autentico che nutre nei confronti di toreri e compagnia.
Che sia sulla via di Damasco?

A Madrid nel frattempo il francese Sebastien Castella ha aperto la prima Puerta Grande del ciclo di San Isidro, nella corrida di Garcigrande uscita sorpendentemente brava e con casta (sorprendentemente in relazione alla media della ganaderia, certamente): a leggere i blog di aficionados più che le cronache istituzionali dei media specializzati, sembra che a Las Ventas dopo i primi dieci giorni non è che si sia visto ancora granché.

Una brutta notizia per chiudere.
Durante una faena nella tenuta di un allevamento, ieri El Fundi cadendo da cavalo si è procurato una commozione celebrale e due fratture al cranio.
Suerte ecc. al torero, ma riconosciamo tutto il nostro cinismo ammettendo che il primo pensiero è andato al fatto che la feria di Vic è a sole due settimane da oggi, El Fundi è programmato due volte, e francamente ci dispiacerebbe assai non poterlo vedere di fronte a quei tori.

giovedì 14 maggio 2009

Anche De Chirico


Grazie a un sintetico ma interessante servizio pubblicato su uno degli ultimi numeri di Toros, abbiamo scoperto l'esistenza di questo autoritratto di Giorgio De Chirico (*) che, come recita la rivista, "merita di essere aggiunto al dossier dei rapporti stretti - che passano spesso attravarso delle opere d'arte - tra l'Italia e la tauromachia".

Invero quella montera un pò depressa dà al tutto l'impressione di essere al cospetto di un cocker aficionado più che altro, ma non sottilizziamo.

(il dipinto è conservato al Museo Casa Rodolfo Siviero di Firenze)

martedì 12 maggio 2009

Sacrificio pagano (fine)




"L'accettazione del destino o il rifiuto della morte per il torero, due figure di una stessa proposizione da lui elaborata, possono conferirgli una tranquillità assoluta: niente può capitargli, e la sua quiete è la prova della sua convinzione di onnipotenza.
Potrà farsi prendere senza potere o dovere valutare la realtà e la gravità della ferita, così evidente per tutto il resto dei mortali.
Poco importa: questo trasporto assoluto, questa autenticità pari a nessun'altra creazione, senza trucchi, conferisce alla corrida la Bellezza convulsa di cui parlava André Breton; perché pur se è ardente e triste, secondo gli aggettivi baudelairiani, voluttuosa e amara, questa Bellezza accademica avvolge tutto il corso della Corrida.
Non essendo per natura una rappresentazione, né tantomeno un'esibizione ma un luogo dove poter raggiungere l'inafferrabile, si fà parecchio fatica a evocare, per trovarne una definizione, i termini di coreografia o di balletto: Bellezza, Armonia, si addicerebbero infinitamente, pur non spiegando ancora nulla.
C'è l'infelicità, nel risveglio: il momento in cui vacilla lo stato di infinito, di astrazione, di sospensione del tempo che questi istanti magici fanno provare.

Il colore, elemento fondamentale della corrida, illustra perfettamente questo contrasto con l'ombra e il sole, con l'aspetto luminoso del costume di luci e il nero della bestia.
I bagliori, gli splendori, gli ori dell'abito si oppongono all'oscura nerezza del toro.
La prima seduzione della corrida è questa acrobazia di colori, quelli delle cappe intrecciate, dei costumi cangianti: il rosso della passione, il verde profondo della gravità, il bianco della purezza, il blu dell'impeto, il violetto del penitente, l'ocra disordinato.
Questo scintillante arcobaleno, questa abbondanza di colori di tutti gli abiti di luci che si declinano ora verso dei toni pastello ora più in toni acidi, firmano la volontà dei toreri di distinguersi gli uni dagli altri, di distinguersi in scintillìo e in eleganza.
Le grandi star possono anche pagarsi dei disegni originali.

Abbandonandosi alle mani del destino, il torero si spinge agli estremi limiti del rischio, in una posizione disequilibrata, le gambe e il peso del corpo spinti il più vicino alla bestia.
Tecnica precisa del passo, che si traduce in un far pressione sull'azione (cargar la suerte).
L'uomo annulla ogni movimento corporale.
Solo la muleta si muove: estraneo anche a sé stesso, il torero s'è svuotato di tutta la sua vita per lusingare l'animale, addescandolo maliziosamente con la seta, non concedendogli che un surrogato della sostanza.
Dalla sua calma, dal suo abbandono totale, dipende la sua sopravvivenza.
Fare muovere la muleta, che si può interpretare come un semplice gesto tecnico, va in realtà ben oltre: si tratta in effetti di di operare un vero transfert vitale, insufflare la vita a un pezzo di stoffa.
E se non ci fosse una tale posta in palio, si crederebbe quasi di assistere a dell'illusionismo di alta scuola, a un notevole numero di prestidigitazione. Ma l'idea di complicità con il toro è una pura creazione dello spirito: mai in nessun momento del combattimento il toro ama l'uomo, perlomeno non più di quanto l'ami l'uomo.
E se quest'ultimo si concede ua carezza o un gesto di tenerezza per l'animale, è per ringraziarlo di aver collaborato, d'essersi lasciato capire, o più prosaicamente di non avergli tolto la vita.

La sequenza di una serie raggiunge il suo apice quando il toro, dominato, affascinato dall'autorevolezza del torero, perde la nozione del suo territorio e per un improvviso rovesciamento si piega al ritmo che l'uomo gli impone.
Per lo spettatore, questi passi legati sono letteralmente ipnotizzanti: è il momento in cui esulta e gioisce in un olé d'accompagnamento.
E' un momento di stato di grazia, che concretizza il trionfo dell'intelligenza sulla forza.
Il torero ha decifrato il soggetto dell'opera. Ha perfettamente espresso la sua arte, la sua personalità, e quello che voleva mostrare di quel toro.
Il passo rivela allora questa bellezza geometrica platonica della Bellezza: bellezza perfetta, atemporale, analoga all'armonia universale, e pur tuttavia in relazione costante con quel rovesciamento.
Impossibile valutare il fragile equilibrio tra queste due predominanze, perché se in primo luogo il torero riduce le difese del toro, lo rende noble ipnotizzandolo con la sua muleta, non può però troppo imporsi al toro senza rischiare di complessarlo, cosa che significherebbe la fine del lavoro con l'animale.
Il termine mandar (il toro), che significa comandare, riassume bene questo equilibrio.

I passi sono anche seduzione: nel suo costume il torero ha la grazia e l'agilità di un ballerino, gioca con la muleta, esca che stimola la carica sempre più potente del toro e che nasconde per fare durare il piacere, fino a quando il torero, fiducioso e nudo, si offre.
Allora nelle viscere dell'arena, gonfie di migliaia di aficinoados, vibra lo stesso brivido.
I passi proseguono a non finire.
La corrida è diventata pura metafora in cui solo il bello e la morte sono interpellati.
Incollarsi al toro diventa esaltante, eccitante, voluttuoso, per il torero e per il pubblico.

La fusione, tuttavia irrealizzabile, e la necessità del sacrificio portano all'accompimento, alla conclusione parossistica: l'immolazione dell'animale.
La morte, che sembrava destinata al torero, mira al toro con la stoccata.
Il matador prolunga la dominazione del toro per poterlo cuadrar, in una posizione propizia alla morte.
Il valzer funebre è partito: il rituale regolato in un ordinamento maestoso, la tragedia termina con l'affondo finale.
E la morte del toro, morte-regalo perché di morte nobile si tratta.

Quindi sparisce il corpo del toro, scivolando sulla pista, imprimendo sulla sabbia macchiata del suo sangue, con le sue corna e la sua forma, questa fugace coda di cometa che svanirà qualche secondo più tardi grazie al lavoro esperto di un vecchio monosabio.
Questo toro morto, abbandonato dal matador, ha appena compiuto l'ultima opera grafica in questo spazio sacro.
E' il compimento dell'opera pittorica, opera suprema di astrazione, fatta di un fascio di segni esteriori che solo gli iniziati che hanno fatto comunione durante il combattimento riescono a leggere.
Segue il ritorno al mondo profano, alla festa.
E'è la fine, e il Bello non esiste che in funzione di ciò che si squarcia e si esalta, sparisce e rinasce.
Il toro, oggetto di culto, la cui sfolgorante identità di animale da combattimento se ne è appena andata con la sua morte, è diventato un semplice animale da macelleria, buono per essere divorato.
Ma nel sogno dell'uomo e sulla sabbia dell'arena, domani, sorgerà di nuovo questo minotauro e, come Sisifo, il torero continuerà ad indossare il suo traje de luces."

- fine -

(Caida del piquero, di Alain Lagorce)

domenica 10 maggio 2009

Sacrificio pagano



Abbiamo ricevuto dalla Francia profonda, precisamente da Villereal dove abita il nostro mittente, qualche pagina fotocopiata: né titolo né riferimenti né altra indicazione che una nota scritta a mano dall'amico, a indicare che quel testo è opera di tale Christian Lesur.
Così, senza indagare sulla provenienza di quelle parole o googlizzare il nome dell'autore per saperne un pò di più, abbiamo letto e riletto quello scritto.
E' un testo quasi barocco, opulento e profondo, una visione liturgica e sacrificale della corrida che vale la pena di leggere: data la lunghezza, e considerato soprattutto che avremmo faticato a oeprare dei tagli, lo pubblichiamo sostanzialmente per intero, in due post successivi.
La nostra traduzione è imperfetta, evidentemente, ma di quella vi dovete accontentare.


"Esistono situazioni, momenti, luoghi, storie in cui l'immaginario, il reale e il simbolico vi si inscrivono insieme in un modo stranamente concomitante.
La corrida sembra essere questo punto di congiunzione, a volte folle a volte straordinario, in cui il tempo e lo spazio si contaminano in strane profondità di campo, di colori, di geometrie particolari.
E' allora che possono mostrarsi, fugacemente, l'oscuro, l'impenetrabile, il difficilmente esprimibile, emozione estetica o impressione metaforica.
La corrida è una successione di metamorfosi: un'espressione molto fisica, fatta di materie, di colori, una cornice ben delimitata, una tecnica molto codificata, che si alleggeriscono fino a diventare tratti, figure di stile, autentico disegno.
Eppure tutte le fatalità, tutte le casse di risonanza, tutte le pulsioni si riversano là, in quello spazio rotondo: quello della bestia e dell'uomo.
Questo accumulo di energie, vibrante in questo calderone cosmico, annulla i termini troppo riduttivi di specialità, spettacolo, tecnicità e festività.

La corrida è sicuramente la somma e il risultato della storia dell'uomo.
Agli inizi era il culto di Mitra: una gigantesca bestia cornuta, enormenente potente, doveva morire per rigenerare l'universo. Il toro era celebrato, perché rappresentava la Fecondità, la Forza, la Potenza e la Bellezza e queste virtù ne facevano il simbolo dell'Animale Magico.
In altre epoche, le circostanze e le necessità orizzontali gli accordarono le devozioni ben conosciute, tra le altre quelle della divorazione.
Poi, con la civilizzazione, il culto si verticalizzerà secondo un approccio più religioso, dalla dimenzione sacrificale.
Si continuava comunque a praticare queste cerimonie pagane, pagandosi (n tutti i sensi della parola) un toro con il quale si giocava in maniera primitiva, fino a lapidarlo, dopo averlo fatto correre.
Placare la fame, dividere convivialmente la sua carne e catartizzare le cattive pulsioni partecipavano di questa gioia festiva.
Violenza contro violenza, la sfida sembrava paritaria ma annunciava già la dimensione sacrificale di un animale che sarebbe spirato per la dura condizione di mortale, seguendo il cammino dalla Libertà alla Morte.
La storia farà l'alimentazione più contingente, la magnificazione della riuscita.
E Francisco Romero, per primo, infrangerà la tradizione: auto-incaricato di uccidere il toro, in un modo eroico.
Sociologicamente, questo equivaleva ad un atto di lesa maestà: lui che non era che un modesto carpentiere utilizzò la spada, simbolo di nobiltà, per uccidere un animale nobile.
Questo atto non tollerava l'insuccesso: da allora, nessun uomo che venga dalla gavetta per vestirsi di luci non ha diritto al fallimento.
E così lo disse El Cordobes, lasciando la casa di sua mamma: "tornerò ricco e famoso, o tu porterai il lutto".

Il torero ha il profilo dell'eroe greco, incaricato e rappresentante del gruppo sociale per compiere il sacrificio del toro. La responsabilità e l'onore della folla sono dunque letteralmente messi in gioco in questa commistione di sacro e derisorio, questa alleanza di grandiosità e di ridicolo che è la corrida.
La domanda sul perché l'uomo si rinchiuda con il toro non è comunque spiegata, sempre seguita da una risposta impensabile, obbligatoriamente legata a questa incredibile disproporzione tra uomo e animale: questa folle sfida non può nascere nello spirito dei mortali che non da un'essenza divina.
Al torero tocca dunque questa missione sovrannaturale: uccidere questo animale considerato invincibile, animale che non fà errori e che soddisfa, in una logica estrema, la sua pulsione all'attacco.
Il torero si trova allora nel ruolo dell'officiante che celebra una messa estremamente codificata.
Entra così, raccolto, nel rito taurino come si entra in un ordine religioso.
E la rispettiva terminologia non può sfuggire al paragone: vestirse de torero come si direbbe mettere il velo, cambiare il proprio nome in un soprannome taurino così come si cambia nome entrando in convento, ricevere l'alternativa così come si prendono i voti.
Questo processo di cambiamento, dall'abito all'anima, segna la separazione e l'abbandono se non effettivo quantomeno simbolico del mondo umano normale in favore di un'altra identità per la quale il torero accetterà di vivere un'altra vita, perché egli è votato alla corrida: questo sacerdozio, questa vocazione, sono continuamente avvertiti, a contatto con il torero.
Innegabilmente, quell'uomo è altrove: il trofei, gli elogi, le critiche non lo toccano; i soldi e le donne nemmeno. Il torero non gode di questo genere di piaceri.
Quello che vive nell'arena, così forte, annulla tutto il resto.
Quello che vive è il duello vita-morte: ne esce superstite, diventa quello che si dice un superviviente, non un sopravvissuto ma un super vivente.
L'autentica esultanza è quella di aver ucciso la morte, incarnata dal toro, perché l'autentica posta in gioco è quella di esorcizzare questa insopportabile condizione di mortale.
La preoccupazione essenziale per il torero è di sopravvivere e di essere notte e giorno torero, dalla testa ai piedi.
Smettere di toreare è un'aberrazione agli occhi del matador: per lui la vera ferita è l'idea di invecchiare lontano da un'arena.
Le corride cominciano verso la fine del pomeriggio, quando il sole al tramonto divide l'arena in ombra e sole: il pubblico è già là da tempo, perché quello dell'attesa è un momento importante, quello della preparazione, della tensione.
Il cerimoniale esiste anche fuori dall'arena, per il pubblico.
Allora si apre la processione: appare il sacerdote sacrificatore, sfoggiando la sua capa simile ad una veste sacra, ricamata sulla schiena in fili d'oro e colore con un'immagine sacra, il più spesso quella della vergine.
Con il sigillo del cerimoniale e aggravata dalla messa a morte e dal pericolo costantemente corso dal sacerdote, la corrida si svolge come una tragedia nel corso della quale il pubblico giocherà il ruolo del coro antico, esprimendo i momenti forti del dramma ritmando l'azione visceralmente e vocalmente, accompagnando (identificandovisi) l'eroe che lotta coraggiosamente contro la bestia.
Lungi dall'essere una presenza passiva, il pubblico è una componente attiva di quel sacrificio pagano che è la corrida.
Attraverso la sua identificazione così profonda con il torero, il pubblico vibra e celebra con lui quel rito.
Gli olé incoraggiano, accompagnano il torero che, trascinato da questa forza, compie il sacrificio.
Ma il pubblico gioca anche un ruolo di censore, che vigila all'osservazione delle regole: dare la morte, mettendo in luce l'animale sacrificato.
E la cerimonia non sarà perfetta che con una stoccata ben portata.

Il torero si incarica di questo impegno gravoso e pericoloso, i toreri sono folli, suicidi: toreare è mettersi alla mercé della ferita e della morte.
Il torero, uomo ribelle, è convinto che non morirà mai per le corna di un toro: potrà certo ammettere, conuna certa disinvoltura, la fatalità di una ferita, ma questo non lo ossessiona ulteriormente, perché egli è mosso solo dal desiderio di vincere."

- continua -


(nell'immagine: Caida del piquero, dipinto dell'amico Alain Lagorce)

giovedì 7 maggio 2009

Qui si bada al sodo

Ebbene sì si è conclusa anche la feria di Siviglia, domenica scorsa con la miurada che tradizionalmente chiude il ciclo: tra parentesi, da 4 anni lo stesso cartel, Fundi Padilla Valverde...gli aficionados della Maestranza forse non amano troppo i cambiamenti.
Padilla ha tagliato un'orecchia, Fundi è stato magistrale come suo solito, ma ciò che ha fatto notizia è che i Miura hanno stupito e deluso per la loro bontà: tori nobili, sorprendentemente collaborativi alla muleta, ordinati.
E in più, e poi, e soprattutto...sono usciti animali deboli, fiacchi, insapori, solo il quarto dando l'impressione di essere all'altezza della divisa rossoverde che sfarfallava sulla sua schiena.
La cronaca di Beuglot, su Toros2000, riassume bene il sentimento di incredulità e frustrazione che ha pervaso gli aficionados domenica: lo fà argomentando, come è sua abitudine, ma lo fà anche indirettamente, inserendo nell'articolo due espressioni che da sole raccontano come è andata.
Parla di una miurada diplomatica, e chi conosce un minimo la storia e la fama della ganaderia sa che siamo evidentemente trascesi nel campo dell'ossimoro, e soprattutto dice senza mezzi termini, parlando del toro di Padilla..."come se si trattasse di un domecq".
Non c'è insulto più grosso e paragone più terribile, quando si parla di un toro di Miura.

Se pensiamo che il pomeriggio di domenica è stato in ogni caso fra i più interessanti di tutta la programmazione sivigliana, abbiamo facilmente l'idea dell'esito quasi catastrofico della feria: tori deboli e impresentabili, senza casta, senza motore, poche emozioni e soprattutto poche cose degne di quella che è (o dovrebbe essere, per storia tradizione e blasone) una delle due o tre piazze più importanti del mondo.
I nostri amici e colleghi blogger presenti sui gradini della Maestranza non fanno mistero delle loro deludenti e frustranti esperienze: Florent, o quelli di Campos y Ruedos per esempio.

Certo Siviglia continua ad essere una città meravigliosa e la sua feria continua ad attirare (giustamente) centinaia di migliaia di persone da tutta Europa e pure da fuori.
Certo.

Ma noi ci teniamo volentieri e stretta la feria di Arles, quasi contemporanea a quella sulle rive del Guadalquivir, dove gli aficionados vanno all'arena in jeans e giubbotto e non in completo o in abito da sera, dove le signore non hanno ventagli e strass, dove i prezzi sono abbordabili, dove El Cordobes o Rivera Ordonez non mettono piede, dove non c'è mondanità ma solo della buona sostanza.
E soprattutto dove, quest'anno, la corrida di Victorino e quella di Miura sono state evidentemente più interessanti e complete delle omologhe alla Real Maestranza.

Insomma, da queste parti si bada al sodo: e che non si dica che non vi mettiamo in guardia, su certe cose.

Ps: quasi dimenticavamo...questo pezzo è anche un buon pretesto, lo confessiamo, per segnalare che l'amico Christophe ha messo in rete le sue foto della feria di Arles - le trovate sul suo sito, nella sezione Temporada 2009

(foto di Christophe Moratello - novillada sp di Barcelò, venerdì 10 aprile ad Arles)

martedì 5 maggio 2009

Viva Las Vegas...

...cantavano, da sotto le lunghe e sciamaniche barbe, gli ZZ Top.

Che c'entra direte voi.
C'entra, c'entra.
Sedetevi, fate un bel respiro profondo e magari bevete un bicchiere d'acqua: la società dal nome ridicolo di Don Bull ha deciso di organizzare una temporada taurina niente meno che a Las Vegas.
Casinò, gintonic e corrida.
Presenti Rivera Ordonez, Javier Conde e El Fandi come era prevedibile, ma non solo: Morante, Juli, Hermoso.

Nella città di luci e plastica, dove l'architettura è sfacciata riproduzione artificiale di luoghi altri, dove tutto è divertimento fine a sé stesso e a prescindere, anche la corrida si conformerà all'innaturalità del luogo: niente suerte suprema, tori uccisi nei corrales ed anzi niente spargimento di sangue.
Come togliere il midollo all'ossobuco.
Corride politically correct, come si dice da quelle parti.

Allecinquedellasera, pur passato lo sconcerto del primo momento, non sa bene cosa pensare.
Da un lato c'è l'istinto di rallegrarsi nel vedere che questo patrimonio immateriale dell'umanità che è la tauromachia trova altre frontiere e seminerà magari nuova aficion.
E d'altronde non è una novità che negli States non sono certo pochi gli aficionados a los toros: quanti californiani, quanti texani attraversano la frontiera per sedersi sui gradini delle arene di Tijuana, o più in giù...
Che sia un primo passo per diffondere la tauromachia in altri paesi, una volta questa sdoganata dai padroni dell'impero?
Magari, perché no.

Poi però c'è che di tutti i posti del mondo da cui poteva partire questa esportazione (ma possiamo e vogliamo, d'altronde, poter esportare la corrida?) della tauromachia...Las Vegas è in assoluto il peggiore.
Non è neanche tanto sapere che i tori non verranno uccisi, suprema (questa sì) aberrazione e riduzione della corrida: in Portogallo, paese di certificate e nobili tradizioni taurine, avviene esattamente lo stesso.
Infatti non ci piacciono le corride portoghesi, dove la dignità del toro è sottozero: piccato, banderillato e poi ipocritamente finito nei corridoi delle plazas de toros, al riparo dai sensibili sguardi del pubblico, al buio e come in un macello qualsiasi.
Tutta la dignità della corrida, tutto il rispetto per il toro vanno a farsi benedire.
Non è tanto questo, insomma, che la critica più dura è semmai per i portoghesi.
E' che è inevitabile pensare ad una operazione di tenore esclusivamente commerciale, secoli di tradizione e storia dati in pasto a rotondi giocatori di blackjack come fosse un rodeo qualsiasi, un'emozione esotica da aggiungere nel pacchetto vacanze proposto dalle agenzie di viaggi alle attempate coppie del midwest.
E poi c'è tutta la questione su cui la Francia, lì sì che sono seri, ha dibattuto per decenni: la nozione di tradizione taurina locale ed ininterrotta, sola possibilità per tollerare la corrida oltre i Pirenei, é norma sensata e logica e che ci convince.
Si uccidono i tori dove c'è consapevolezza dell'atto, dove la tradizione lo permette, dove la tauromachia è patrimonio culturale indivisibile dalla storia degli uomini.
Tutto bypassato, dagli impresari del Nevada.
Don Bull, che razza di nome.

Viva Las Vegas?

domenica 3 maggio 2009

Ceret 2009: cartellone e tori


Quelli di Ceret hanno messo online l'affiche di quest'anno, la vedete qua di fianco.
Il programma è duro, come ogni corrida nel paesino catalano: non ci sono vedettes, ma toreri abituati a battersi e combattere, che l'arte la lasciamo a Siviglia o a Nimes.
Aprirà la feria Frascuelo, 60 anni suonati, autentico feticcio dell'intransigente tendido 7 di Madrid: gli auguriamo la miglior fortuna possibile, ma un pò temiamo che i tori di Ceret siano per lui una prova troppo dura.
Che non si faccia ammazzare.
Morenito de Aranda ci aveva intrigato l'anno scorso a Madrid, per il 2 maggio, e di Sergio Aguilar dicono tutti un gran bene.

A proposito dei tori, sul sito dell'Adac è possibile vedere i reportage al campo dei lotti prenotati per Ceret: la corrida di Coimbra del sabato, e per la domenica la novillada di Sanchez Fabrés e la corrida di Cuadri.

Astenersi morantisti, tomasisti e deboli di cuore: per tutti gli altri, per tutti gli aficionados a los toros, appuntamento a Ceret.

(l'affiche è opera di Balbino Giner)