martedì 19 maggio 2009

Flashback


Ad Arles era in programma, il venerdì di feria, il tanto celebrato mano a mano francese che opponeva Juan Bautista e Sebastien Castella a sei (sedicenti) tori di Domingo Hernandez.
All'impresa avevamo già dato il merito di essere riuscita a costruire per quel giorno un cartel di sicuro richiamo mediatico e con alcuni oggettivi elementi di interesse e attrattività: i due protagonisti dell'esplosione della tauromachia alla francese di questi anni, non immuni da una accertata rivalità reciproca, l'uno all'altro di fronte a celebrare l'apertura della temporada transalpina.
Risultato: titoloni sui media specializzati e soprattutto sulla carta stampata, dichiarazioni tronitruanti nei giorni precedenti il confronto, arena sostanzialmente piena.

In effetti è un pò tardi per parlarne sul blog, penserà qualcuno.
Cose belle se ne sono pure viste: la prima faena di Juan Bautista con qualche serie profonda e di gusto con le due mani e soprattutto quella al sesto di Castella, con il tradizionale debutto in mezzo fatto di pase cambiado serrati e da brividi e proseguita con passi armonici e rotondi, al suono del pasodoble.
In più una rivalità (quanto simulata non si sa) costante per tutta la corsa, concretizzatasi in una continua rincorsa al quite: né Bautista né Castella se ne sono lasciati scappare uno, andando regolarmente a prendere il toro dell'altro per somministrargli veroniche dal gusto classico e chicuelinas strette e avviluppate.
Tutto bello, bene, evviva la festa dei tori: tre orecchie a testa, il pubblico felice millantando di essere al cospetto di un evento, puerta grande per i due e tripudio generale
Però, però...non c'è niente da fare, abbiamo assistito ma non partecipato a quella corrida, i tori erano animali collaboratori per figuras con tutto il prevedibile corollario di cadute, insipidità, apatia.
Incredibile per sfacciataggine la vuelta al sesto, e solo il primo ci è sembrato se non completo almeno meritevole di attenzione.
Sarà per questo che ripensando ad Arles ci vengono in mente invece la corsa di Miura o quella di Victorino, delle quali appunto abbiamo parlato, ed anche perché la novillada sin picadores di Barcelò.
Al venerdì ci siamo anche annoiati, a tratti.

Ma una cosa, della corrida francese, non abbiamo dimenticato.
Uno dei momenti migliori di tutta la feria, secondo noi, apprezzato non da tutti evidentemente ma che una parte del pubblico non si è lasciata scappare, tributando alla fine il giusto merito al torero, tra lo stupore di alcuni.

Esce il quarto toro, Pepinero, 500 chili tondi.
L'entrata non è da antologia, fugge spaventato le lusinghe della capa e al cavallo semina il panico partendo da lontano, uscendo poi subito e da solo alla prima pica.
Bastano pochi minuti e la diagnosi è chiara: manso da manuale, e pure vecchiotto (5 anni).
Sotto le banderillas la cuadrilla di Castella è travolta dal caos, il toro taglia le traiettorie, si lamenta, segue disordinatamente i peones.
Inizia la faena e Pepinero sembra voler dare una dimostrazione pratica del significato di querencia.
Un passo e via, verso l'esterno.
Un altro passo, le corna distrattamente nella muleta, e via di nuovo proiettato fuori da una misteriosa forza centrifuga.
Un terzo passo e hop, al toril.
Spalle alla barrera, incollato alle assi, sguardo perplesso verso il centro della pista.
Fine.
Querencia sparata, Pepinero era lì a dire non sarò io ad attaccare ma non pensiate che non sappia come difendermi, venitemi a prendere se volete combattermi, venitemi a sfidare qui.
Ora, ogni buon aficionado sa che un toro che si chiude nella querencia è assai complicato da lavorare e combattere: pericoloso andare a infilarsi nel suo terreno, difficile convincerlo a uscire per aggredire.
Abbiamo visto Castella, in questi anni, fare numeri quasi pirotecnici, sedurre con l'armonia dei suoi gesti, riempire di brividi di paura le schiene di migliaia di spettatori non sempre consapevoli, tagliare orecchie, code, e tutto quello che c'era da tagliare, e anche fingere di toreare.
Bene, quel giorno ad Arles l'abbiamo visto torero.
Torero.
Pepinero è là e c'è poco da fare: o si abdica magari cercando di convincere il pubblico che non c'è niente da fare, e liquidandolo con una spada vigliacca messa giù alla bene e meglio, oppure si prova a dominarlo, a convincero a combattere, a rigenerarlo toro.
Castella questo ha fatto.
All'inizio quasi sommessamente, delicatamente, andanto a mettere prima un piede poi lentamente anche l'altro nel terreno di quello, la muleta avanzata con attenzione.
Un primo tocco, il secondo, e al terzo Pepinero si allontana di qualche metro dal toril.
Una prima serie con la destra, per dargli confidenza.
Una seconda ancora a destra, questa più potente, decisa, di sottomissione.
Dominio.
Pepinero avanza.
A sinistra il toro è intrattabile, va a marce alterne, ora si immerge nella muleta ora si ferma a metà passo.
Ma Pepinero segue ancora.
Prosegue il suo dominio Castella, i due ora sono al centro dell'arena, il conforto del toril è dimenticato, ora i due combattono in mezzo.
E lo fanno dove ha deciso il torero, dove Castella ha deciso di portare Pepinero.
A questo punto le serie si fanno più rilassate, il toro è vinto, i passi fluiscono e il bastone lascia spazio alla piuma.
Fino a dieci minuti prima Pepinero non si voleva concedere, ora era là a con le corna nella seta, a seguire il ritmo imposto dal polso di Castella.
Questo è toreare, questo è dominare.
Faena sinceramente emozionante, non bella, non artistica, ma emozionante, di autorità: ma queste serie dure, strappate, difficili e di governo valgono trenta faenas cosiddette artistiche, plastiche ma vuote.
Una spada non impeccabile ma efficace, cade giustamente un'orecchia.
Durante la vuelta qualcuno ritma le mani scandendo to-re-ro to-re-ro, e a noi è parso che migliore definizione per quel Castella di quei dieci minuti non ci fosse.

(foto Ronda - all'arena di Arles, qualche minuto prima del paseillo)

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