giovedì 29 dicembre 2011

Quatto uomini e quattro tori

Capita, nella corrida, che un toro con qualità superiori incontri, negli ultimi suoi venti minuti di vita, un torero ispirato, o determinato, o capace. E viceversa.
E' fatto raro, lo sappiamo, ma quando questo accade allora ecco che la corsa dei tori diventa davvero un'esperienza umana grande e senza pari: si sfiora il sublime, il tempo si ferma, quei valori che la corrida intrinsecamente anela si fanno veri ed eterni.

Per quattro volte, quest'anno, abbiamo benedetto la mano della dea bendata che aveva guidato il sorteggio: per quattro volte ci siamo seduti all'arena e abbiamo visto quel toro, proprio quel toro, cadere nelle mani di quel torero, proprio quel torero.

Sono evidentemente i ricordi migliori di questa stagione.
David Mora e Perseguido, Ivan Fandiño e Podador, Javier Castaño e Cortesano, Morante e Cacareo.
Doppia-doppia coppia, se i pokeristi ce lo concedono.
Quattro confronti emozionanti e differenti, quattro modi di intendere il toreo e il toro, quattro momenti alti di tauromachia autentica.

Nella pampa della Crau, David Mora ha trattato Perseguido di Cebada Gago, che poco prima si era lanciato tre volte nel cavallo, con autorità e scioltezza. Toro da meritata vuelta, Perseguido metteva la testa bassa e si catapultava nella muleta con un appetito straordinario: il torero toledano gli offriva un gioco arioso e ispirato, sempre tenendo salde le redini del comando: a destra la giostra volteggiava a velocità pazzesche, a sinistra Mora piegava la carica del toro al suo volere.
Un'ottima stoccata chiudeva una faena geometrica, autoritaria e insieme aggraziata.

Gli assordanti olé di tutta Las Ventas non hanno messo in soggezione Ivan Fandiño, il 2 di giugno.
Mentre a casa nostra si festeggiava la Repubblica, lì sulla sabbia di Madrid Fandiño e Podador festeggiavano insieme la grandezza della corrida: piedi saldamente piantati per terra, il petto esposto, la mano salda, l'uomo capiva che per canalizzare tutta quella rabbia selvaggia ci volevano fermezza e volontà assolute. Sottoposto a questa cura, Podador certo non si spegneva: dopo due picche di forza, nell'ultimo atto il toro di Cuadri ancora schiumava furia e combatteva.
Ivan Fandiño, quel giorno davvero straordinario, costringeva Podador al suo volere, andando a chiudere un paio di progressioni con un pecho enorme e indescrivibile.
Tutta l'emozione di cui è capace la corrida concentrata in dieci minuti di verità: casta, coraggio, bravura, autorità.
Brividi.
Un'orecchia al torero, una grossa ovazione al toro dopo una faena maschia e selvaggia.

Ci mancava quel recibiendo inaspettato e folle, per chiudere il miracolo di Castaño a Ceret.
Gli Escolar Gil sono tori che pretendono molto da chi li affronta, vogliono che le cose siano fatte bene: altrimenti, castigano subito. Cortesano era un Escolar di quelli duri, le assi dell'arena tutte timbrate, tre picche con slancio, casta a fiumi. E nella muleta, un carrarmato.
Certo Castano rimarrà un pelo sotto le possibilità di quel toro meraviglioso, ma quanta classe, quanta abnegazione, quanta sincerità nei suoi gesti! La fiesta in tutta la sua grandezza, un toro bravo e un torero de verdad, per una faena ancestrale.
Due orecchie a Castano, giro d'onore per Cortesano, giro d'onore per il picador: il tutto a Ceret, dove vale doppio.

Infine, l'arte.
Cacareo chissà che cos'era, Cacareo è stato un mistero quel giorno a Bilbao e ancora lo sarà per sempre nei ricordi di chi c'era. Nessuno sa cosa, davvero, avesse dentro quel toro.
E solo un uomo, il 23 di agosto, l'aveva capito. Non ha senso raccontare ora quella faena, forse meglio ricordare l'eccitazione della gente che si agglutinava fuori dall'arena, all'uscita, per parlare, toccarsi, guardarsi negli occhi e ridere, o rimanere muti, o incantarsi con lo sguardo al cielo. L'aria elettrica in quei crocchi improvvisati e la frenetica mutevolezza di quei capannelli, due parole con un amico, poi tre passi per raggiungerne un altro, poi ancora in un nuovo gruppetto. Per dire, subito e con il cuore ancora in fibrillazione, di quella faena barocca, di quei gesti gitani, di quel Nuñez del Cuvillo indecifrabile, di quel braccio alzato, di quella serie a sinistra impensabile, di quegli olé, di quella spada.
Di quell'apoteosi, a Vistalegre.

Ecco.
Quattro uomini e quattro tori.
Grandi.



(foto Juan Pelegrin - Fandiño il 2 giugno a Madrid)

martedì 27 dicembre 2011

El Fundi se ne va


La prima volta che ho visto El Fundi c'era il sole di settembre, l'aria era tiepida e profumata, ed eravamo arrivati all'arena dopo un pranzo lungo e piacevole: alle cinque del pomeriggio El Fundi in mezzo all'arena era solo e vestiva di verde, sua moglie sugli spalti vestiva di verde, e tutti si chiedevano come avrebbe trattato i sei tori che lo aspettavano schiumanti nelle loro cellette.
Era la prima volta che assistevo ad una corrida concorso e alla fine pensavo che quello, con un uomo solo, fosse il modo unico per mettere davvero in competizione sei ganaderias.
A dire il vero, alla fine della corrida più che altro pensavo che El Fundi era un torero con due palle così, affascinante e sincero, maschio e deciso: liquidò i suoi opponenti con un totale di sette spade (un pinchazo all'ultimo toro lo privò del percorso netto), valorizzò al meglio un Tardieu superiore, si occupò delle sue responsabilità per tutta la corsa e uscì in trionfo tra gli applausi degli aficionados.

Era la feria del Riso di Arles del 2006, e quel breve ciclo fu anche l'occasione per vedere all'opera, per la nostra prima volta, Juan José Padilla.
L'uno di Fuenlabrada, l'altro di Jerez, due tauromachie diverse ma unite dalle muletas offerte ai tori duri e armati e encastados che sempre si sono digeriti: ci è capitato di incrociarli ancora parecchie volte sulla strada delle ferias, El Fundi magistrale con un Miura nel 2008, Padilla sempre indeciso tra fanfaronerie e lidias classiche e precise.

La prossima stagione El Fundi sfilerà per l'ultima volta i paseillos delle arene spagnole e francesi, Padilla chissà se riuscirà a vestirsi ancora di luce.
Tutto questo farà, di quello che sta per iniziare, un anno triste.


(foto Ronda)

domenica 25 dicembre 2011

Auguri


Ai ganaderos che allevano tori di origini dimenticate, tori selvaggi, tori integri e che perciò tengono in vita la corrida. Agli aficionados barcellonesi, che scopriranno in Ceret la vera Catalogna taurina. A Miguel Reta e Loulou Tardieu, ganaderos gentiluomini. A quelli che ancora scrivono pasodobles taurini. A José Prados El Fundi, ché se ne va un torero e di toreri in questo momento c'è molto bisogno. A Cuadri, che porti ancora una corrida così a Las Ventas, l'anno prossimo. A Ponte alle Grazie, che ha avuto proprio una buona idea a pubblicare quel libro. Agli appassionati di Madrid, perché se arriva Simon Casas ne hanno molto bisogno. A tutti i fottuti antitaurini, perché se al mondo c'è posto per i fascisti, c'è posto anche per loro. A Robleño. Ai lettori di questo blog, con un grazie speciale. Alle fanfare che allietano la festa. A tutte le arene di provincia minuscole, polverose e sperdute dove la corrida è, semplicemente, una cosa vera. A tutte le cameriere e bariste che ancora ci serviranno pastis, birrette, copitas e tutto. A chi fuma il sigaro all'arena. Ai club taurini che difendono l'integrità della fiesta. Ai miei amici, quelli che cucinano il bonet e il cocido, quelli del pullmino per Saint Martin e dei pranzi dal Pana, quelli che il Maestro è il Maestro, quelli dei pomeriggi insieme all'arena e delle ciocche alla sera.
E a quella che voleva questo post per limonare un pò.


(foto Ronda)

martedì 20 dicembre 2011

Filosofia e tauromachia





"Si può filosofare di ogni cosa, perché filosofia è tutto ciò che non è altra cosa: botanica, filologia...o tauromachia. Quando terminano le questioni proprie di queste scienze o arti, e se si continua comunque a interrogarsi, si sta facendo filosofia.
Filosofia diventa ciò di cui parlano sul toreo tutti quelli che non toreano."

José María Pemán


A questa pagina trovate un interessante studio di una trentina di pagine sulla relazione tra filosofia e tauromachia, ad opera di Julia Rivera Flores, giornalista.
Da scaricare, stampare e leggere assolutamente, e valga come modesto pensierino natalizio.

(foto Ronda)



domenica 18 dicembre 2011

Noi che andiamo ai tori


Non va tutta ai tori, la gente che si incontra per la strada di Alcalà la domenica pomeriggio. C'è chi va, purtroppo, alle partite di calcio, c'è chi va al cinematografo.
Però noi che andiamo ai tori, noi non siamo, di faccia, come gli altri. Fra noi, clienti delle corride, ci siamo sempre riconosciuti dal volto, dagli occhi, dai gesti, dal modo di camminare.
Ai tori si va pensosi ed allegri; preoccupati e soddisfatti della propria preoccupazione.
La fine della corrida non è che la piacevole risoluzione di un felice affanno. Talvolta si va alla corrida in uno stato di ipnotistmo, quasi di allucinazione o di incubo al quale non si ha voglia di ribellarsi.
E' troppo caldo. Talvolta ci si trova all'ingresso di una plaza quasi senza averlo voluto. Bè, sarà bella, come diceva Belmonte, la vita dei toreri, però dico io, è ben bella anche la vita di noi aficionados...
Quell'andare ai tori, a los toros, quando è caldo, quando è il sole è imponente, quando ribolle l'asfalto delle strade...

In fondo, a parte la passione per la corrida, che cosa significa essere aficionados a los toros?...Non so, non lo so con esattezza.
Ma a me, straniero, sembra che significhi, fra l'altro, saper bere certi tipi di vin bianco, saper fumare un'avana, saper ascoltare certe notturne canzoni, saper gustare certe danze.
Solo per convenzione la stagione delle corride va dalla primavera all'autunno e le corride cominciano alle cinque del pomeriggio.
Cercando, la corrida si incontra in spagna, appisolata o deserta, a tutte le ore, in tutti i punti.
Però bisogna sapersi muovere entro il labirinto dell'anima spagnola.
Ecco: essere aficionado credi significhi, per uno straniero, mettersi in condizione di sapere andare per gli antri dedalei dell'anima spagnola senza dubbi e timori.
Credo significhi sentirsi dentro la Spagna come nel proprio letto, un letto di piume, tiepido, soffice, un letto pieno di sogni.
La Spagna non sarà mai ostile a un aficionado; però, per esserlo, è necessario sentire qualcosa come l'attrazione canora di certi sobborghi di Cordova e di Siviglia ed il richiamo e l'odore di Puerta del Sol e di certe straduzze di Madrid: calle Echegarray, calle Principe, calle della Victoria.


- brano liberamente tratto da Volapié di Max David, ed. Bietti -


(foto Ronda)

sabato 17 dicembre 2011

Tori duemiladodici


Vic Fezensac, terra del toro, ha scelto un ampio ventaglio di encastes per i suoi allevamenti per l'anno prossimo:
- novillada mista con bestie de L'Astarac e di Lartet
- corride di Flor de Jara, La Cruz e Escolar Gil
- concorso con Carriquiri, Moreno Silva, Fidel San Roman, Esteban Isidro, Alcurrucen e El Tajo

Pamplona pure ha completato l'elenco ganadero per San Firmino: JP Domecq, Miura, Victoriano del Rio, El Pilar, Fuente Ymbro, Dolores Aguirre, Cebada Gago, Torrehandilla

Per Siviglia le notizie sono ancora ufficiose, per un elenco nutrito nel quale spiccano la novità di Cuadri e JP Domecq e le conferme di Miura, Nuñez del Cuvillo e Jandilla, e poi ancora Fuente Ymbro, Alcurrucen, Garcigrande, El Pilar, Jandilla e tutte le sfumature del commerciale.

Quelli di Bilbao infine hanno dato un'occhiata nel campo bravo, e dopo una prima scrematura sono quattordici i ferri individuati: è da questi che usciranno i nomi per la prossima settimana grande. Tra gli altri , El Tajo y la Reina, La Quinta, Victorino Martin, Adelaida Rodriguez e, ça va sans dire, Nuñez del Cuvillo.

Dei tori di Cuadri (senza fundas) previsti per Siviglia, già un paio si sono guastati nel campo.
Nuñez del Cuvillo (con fundas) porterà all'arena, quest'anno, 23 corride ossia 138 tori.


(foto Ronda - Escolar Gil a Vic)

mercoledì 14 dicembre 2011

Ceret de toros, 2012


Oggi l'Adac ha confermato i rumor che circolavano negli ultimi giorni:


Sabato 14 luglio, corrida di José Joaquín MORENO DE SILVA - Encaste : Marques de Saltillo Dimanche

Domenica 15 luglio (mattina), novillada di Herederos de José Maria ESCOBAR et de Mauricio SOLER ESCOBAR - Encaste : Conde de Santa Coloma via Graciliano Pérez Tabernero et Joaquín Buendía Peña.

Domenica 15 luglio
, corrida di José Escolar Gil - Encaste: Albaserrata (Fernando Robleño unico espada).

Qua i tori.

(foto Ronda)


martedì 13 dicembre 2011

Olé tus huevos


Il dieci luglio di quest'anno a Ceret l'aria era umida, il cielo ingrigiva di foschia il panorama sui monti, e l'arena era piena.
Rotta la sfilata iniziale, Fernando Robleño usciva dal corridoio e andava a raccogliere l'ovazione del pubblico: dieci anni di tori nella plaza catalana sono un evento da omaggiare e ricononoscere.

Un'oretta e mezzo dopo, quello stesso torero si metteva in mezzo alle corna di Castellano e lo obbligava ad una serie di passi naturali pazzesca per sincerità e profondità: una cannonata la spada, una deflagrazione il descabello, orecchia e ovazione al toro di Escolar Gil.

Dicono che Fernando Robleño sarà ancora sotto ai Pirenei, l'anno prossimo, per affrontarne da solo sei, di quegli Escolar Gil.

Respect.


(foto Ronda - Robleño a Ceret quest'anno)

domenica 11 dicembre 2011

Ai miei amici


Perché per alimentare l'aficion ci vogliono tre cose: toros bravos, toreri ispirati, e gli amici con cui condividere un cocido una domenica di dicembre.


"No me hable usté
De los banquetes que hubo en Roma,
Ni del menú del hotel Plaza en New York,
Ni de faisán, ni de los foiegrases de paloma,
Ni me hable usté de la langosta al thervidor.

Porque es que a mí sin discusión me quita el sueño,
Y es mi alimento y mi placer,
La gracia y sal que el cocidito madrileño
Le echa el amor de una mujer."

sabato 10 dicembre 2011

Dai diamanti non nasce niente







“Quiero brindar ese toro, mi último toro de mi vida de torero en esta plaza, a todas las daifas, meselinas, meretrices, prostitutas, suripantas, buñis, putas, a todas aquellas que sacieron mi hambre y mitigaron mi sed cuando “El Pana” no era nadie, que me dieron protección y abrigo en sus pechos y en sus muslos base de mis soledades. Que Dios las bendiga por haber amado tanto. Va por ustedes”.



giovedì 8 dicembre 2011

Tempi cupi


La mascherata di Quito è finita, deo gratias.
Rose al posto delle orecchie, tori che lasciano vivi la pista e vengono finiti nel buio delle cellette, aficionados indignati, indulti a catafottere: la fiesta senza la messa a morte, la morte della fiesta.

Il peggio del peggio i toreri e soprattutto le figuras che si sono prestate a questa schifezza: Ponce, Talavante e Castella in primis.
Gente che baratta l'integrità e il futuro della corrida con qualche mazzetta di dollari.

Castella, d'altronde, ha dichiarato un paio di giorni fa che alla plaza lui va a toreare, non a uccidere un toro.

Senza vergogna.

martedì 6 dicembre 2011

Aurelia e Lebriero

Era l'8 luglio del 1939 e la grande giostra di San Fermin riapriva le danze dopo la parentesi della Guerra Civile.
Il mortaretto aveva annunciato la partenza dell'encierro da un paio di minuti, e Liebrero, di Sanchez Cobaleda, ebbe vita facile contro quelle assi che per tre anni erano state lasciate all'incuria e mai revisionate: in un attimo si aprì un varco e fu addosso alla gente.

Questa immagine incredibile fissa il momento perfetto, l'esatto istante prima della deflagrazione dei corpi, uomini tesi nel movimento della corsa, il toro quasi immobile in punta, e la bambina in equilibrio su una gamba sola, con la testa solo poco girata per sbirciare dietro.
Chissà cosa può pensare una bambina che avrà quanti, sette o otto anni?, mentre scappa da due sciabole impressionanti come quelle. Chissà se c'è spazio per l'angoscia, nei suoi pensieri, per il terrore della morte, o se tutto vibra e muove per un solo fine: fuggire.
Correre, e basta.
Aurelia si chiamava la piccola, e più tardi raccontò di aver sentito la punta di un corno sfiorarle la schiena.

Si era dalle parti tra l'Estafeta e la Telefonica, e Liebrero fece semplicemente il suo dovere di toro: seguì fino alle assi il mozo che lo aveva sfidato, trovò una resistenza ridicola nel legno marcio e sfondò.
Proprio lì dietro stava Aurelia, i suoi fratelli e anche sua madre, Clara Herrera.

Clara Herrera è lì a sinistra nella foto, a terra, la si indovina terrorizzata e incapace di rialzarsi, travolta dalla gente schizzata ovunque per ripararsi.
Liebrero, dopo aver solleticato Aurelia, troverà con le corna il corpo di Clara, e finalmente potrà sfogare rabbia e adrenalina. Clara Herrera è con ogni probabilità la prima donna incornata in un encierro pamplonese.
La donna fu ferita gravemente al perineo, e solo la perizia dei medici già sul posto le evitò il peggio: se la cavò con un mese di ospedale.

Fermatosi forse per rifiatare, giusto davanti ai botteghini della taquilla, Liebrero entrò nel mirino della pistola di Cipriano Huarte, un poliziotto in servizio proprio in quel tratto dell'encierro.
Al quale poliziotto però la pistola scivolò di mano, forse per la tensione, esattamente in quel momento.
Con gesti lenti e misurati, per non irritare l'animale, Cipriano si chinò, raccolse l'arma e questa volta sparò.
Un colpo secco, Liebrero a terra.
Una pallottola in mezzo agli occhi per chiudere una corsa da incubo.

Aurelia Herrera ancora oggi racconta con angoscia quei momenti e confessa di svegliarsi, di tanto in tanto, in preda agli incubi.
Dall'anno dopo a Pamplona fu montata una doppia recinzione, e la leggenda vuole che Cipriano Huarte qualche tempo dopo sposò quella ragazza bruna che corre via dal toro, nella parte bassa della foto.


(la foto è di Juan Galle; la storia la racconta anche Zocato, ma facendo confusione sulle identità delle due donne)

domenica 4 dicembre 2011

Tutto il tempo





"Todo tiempo que no dediquemos a ver toros o hablar de toros, es tiempo perdido"


Fernando Claramunt Lopez



(foto Ronda - Alcurrucen a Cenicientos)



giovedì 1 dicembre 2011

La cena del Signore


- E nella valigetta?
- Oh, beh, documenti, solo documenti.
Già, solo i miei documenti. Documenti di lavoro.

- Che lavoro fa?
- Sono disoccupato.


Capita che anche a Bilbao spunti il sole, un qualche giorno della settimana grande, e che la città sbocci come una margherita di primavera lasciando le sfumature del grigio nell'armadio e vestendosi di toni vividi e sgargianti.
Bilbao a colori è anche una bella città, e passeggiare senza meta per una bella città è fra le attività che l'aficionado preferisce, quando non è ai tori: la luce che illumina la gran via accende le facciate ora policrome dei palazzi e rende più lieve l'attesa, onora la festa e prepara alla funzione pomeridiana, esorta a uscire presto e camminare.

L'albergo è dalle parti di Vistalegre, scendiamo avanzando piano verso il Nervion: non c'è fretta, l'aria è calda e piacevole, la città si sta risvegliando dopo la notte di festa e ragazze e uomini con il foulard blu e bianco si incrociano per le vie a impiegate e operai trafelati.
Café e pintxo: sul giornale la cronaca della miurada di ieri è impietosa, la cameriera del bar non è bella ma ha un sorriso gentile e schietto, la televisione appesa nell'angolo del locale trasmette le immagini di un video reggaeton. Credo di non sopportarlo, il reggaeton, tantomeno se me lo ritrovo anche nei Paesi Baschi, eppure ogni volta non riesco a tener ferma la gamba e mi trovo a tambureggiare ritmicamente con le dita sul tavolo. Fottuto reggaeton.
Inoltrarsi per le vie della città è come entrare nella casa di qualcuno che dà un party: prima si è accolti sulla porta, poi l'ingresso dove lasciare le giacche e dove già arriva l'eco della musica e degli schiamazzi, poi la cucina dove è imbandita la tavola e dove sono stappate le bottiglie, a finalmente la sala dove gente balla e beve ed è allegra.
Giganti e testoni, tamburi e pifferi, frittelle e bicchieri che brindano: più ci avviciniamo ai quartieri vecchi più la festa si impossessa della città, più i volti delle persone sono rilassati e felici, più ad ogni angolo suona una musica, ad ogni crocevia c'è un bar che distribuisce bevande, più la vita è semplice e bella.

Seguiamo il ritmo e il vocìo, arriviamo al Café Iruña. Il suo salone liberty e gli specchi e il lungo bancone zeppo di tapas e bottiglie sono un inno alla joie de vivre, la tentazione alla sosta eterna, la sublimazione di tutto quello che è, veramente, necessario: il vino, la compagnia, un bel posto. Basta questo, per vivere bene.
E' mattino inoltrato, la birra a quest'ora scende fresca e inebriante; di fianco a noi tre signore già stanno ordinando piatti di prosciutto e merluzzo, e le finestre del caffé affacciano su un giardinetto che trasmette un'idea di pace e serenità assolute. Finiamo la birra, andiamo a vedere.
La piazzetta in effetti è deliziosa, uomini anziani stanno sulle panchine a far girare stancamente il bastone fra le dita, qualcuno legge il giornale, passa una ragazza che fa jogging con le cuffiette nelle orecchie. Chissà perché questo quadro perfetto ci fa balenare un pensiero: ci sono i tori oggi. Come una folgorazione. E' incredibile quanto in una giornata di corrida il pensiero vada, in ogni momento e in ogni situazione, ai tori, a immaginare quell'istante perfetto in cui le due corna sbucano dal nero del corridoio, a vibrare per le note del paseillo che già ronzano in testa, a sognare una serie di naturales rotonda e magica.
In una giornata di corrida, in ogni momento si pensa ai tori.

Quasi all'angolo con quei giardinetti, nascosta in una viuzza anonima, sta una chiesetta: l'interno è come la facciata, sobrio e discreto. Il silenzio è rotto solo dai suoni di un organo che riproduce canoni barocchi, sul fianco destro un paio di persone aspettano il proprio turno per inginocchiarsi al confessionale, la luce è fioca. San Vicente Martir de Bando.
Sulla fiancata sinistra un pannello notevole, un trittico a suo modo cupo e onirico, una composizione che tiene insieme classicità e sfrontata innovazione, concepita e narrata con un linguaggio pittorico che non ti aspetteresti in una chiesetta così.
Rimaniamo lì di fronte qualche minuto, finché tutto improvvisamente non assume una dimensione trascendentale.

E' che a un certo punto entra un raggio di sole e va illuminare una cappelletta, poco più avanti, scavata lì nella navata sinistra. C'è un arazzo, guardando meglio si scopre che è un murales. Impossibile non rimanerne affascinati. E' la rappresentazione dell'ultima cena, si sviluppa in verticale e le dimensioni sono imponenti, ci avviciniamo per vedere meglio, sedotti dalla scelta del colore: il gioco è tutto sui toni del granata per un risultato insieme elegante e austero, e quella luce che ha al suo centro fa pensare ai quadri di Rembrandt. E' un'opera che suggerisce rispetto.
Finché vediamo.
A impersonare Gesù Cristo, proprio in alto al dipinto, c'è il Drugo.
Lebowski.
Nell'Ultima Cena di Iñaki García Ergüin 1, il Drugo è Cristo, Gesù è Lebowski.
La folgorazione è inevitabile, ci raccogliamo e ammiriamo.
Il Drugo è il più grande pensatore dei nostri tempi e l'unico vero Messia che dobbiamo ascoltare e seguire.
Lì, finalmente, è al posto che gli compete.
E in quel calice c'è del white russian, su questo non ci sono dubbi.

Non so quanto tempo passiamo, lì in meditazione, e poi usciamo, pacificati e pieni.
Qualche ora dopo Urdiales e Tejedor, di Fuente Ymbro, daranno spettacolo.

Obladì, obladà.



1. benché qui in famiglia le opinioni siano contrastanti e abbiano già indotto alla lite senza quartiere, a chi scrive le opere di Erguin piacciono. Le si trovano qua, e già pure un blog amico ne aveva parlato grazie al fatto che il pittore non disdegna tematiche taurine.

(foto, mossa, Ronda - "Cena del Señor" in San Martir de Abando)