sabato 31 ottobre 2009

Una foto (2)

TIENTA


Tienta da François André, era il sabato 20 giugno di quest'anno.
Bel pomeriggio.

(foto Ronda)

giovedì 29 ottobre 2009

Cartolina da Saragozza



Il toro Acelerado, n. 106 della ganaderia di Antonio Bañuleos, è stato senza dubbio miglior toro di una Feria del Pilar caratterizzata in generale dal fallimento di una programmazione mediocre voluta dalla impresa Taurodelta (che gestisce così male anche Las Ventas di Madrid ed altre plazas).
La curiosa storia di Acelerado, che inizialmente non era destinato a essere combattuto nè a Saragozza nè altrove, è a disposizione a questo link. Il suo matado, Antonio Ferrera, dopo averlo banderigliato con molta verità e molto rischio (stupendo il terzo paio al quiebro en tablas), con il solo difetto del caratteristico saltino, è stato poi come sempre frenetico con la muleta ed in definitiva non ha valorizzato lo stupendo toro e la sua casta.
La corrida di Banuelos, inaspettata e gradita sorpresa, l'unica degna per presentazione e dal comportamento vario ed interessante, veniva in sostituzione di quella prevista di Alcurrucen, rifiutata in blocco dai veterinari per mancanza di trapio.
Posto che Alcurrucen è una ganaderia ampia ed ha sicuramente nel campo tori a sufficienza per molte corride in arene di prima categoria, sempre che le si voglia pagare, si capisce che sotto sotto c'è stato qualcosa di poco chiaro.
Nei giorni precedenti, del resto, le corride commerciali che secondo l'impresa avrebbero dovuto costituire l'ossatura della Feria, avevano dato luogo a pomeriggi soporiferi e deprimenti, con tori codardi e deprimenti, e toreri svogliati.
Mentre una corrida di Garcigrande selezionata per El Juli e non approvata ha dovuto essere sostituita da un pout-pourri di tori raggranellato all'ultimo momento.
E le interessate polemiche contro la presidenza che cercando di mantenere un balrume di serietà no aveva concesso seconde orecchie facilone: insomma tutto in tono con il manifesto prescelto per questa edizione della Feria, un paio di corna gacho y broicho su un funereo fondo nero.
Noi siamo arrivati per la coda torista del ciclo, quest'anno ridotta ai minimi termini ed in cui le uniche soddisfazioni sono venute dall'outsider Banuelos, di cui ricordavamo mediocri corride per figuras ad Arles ma che, non essendoci stati stavolta toreri in grado di imporre le loro esigenze, ha tirato fuori il meglio. Si dice che la mattina del sorteggio ci fosse tensione tra le cuadrillas, dopo aver visto la presentazione dei tori nei recinti.
Dolores Aguirre, che quest'anno è fra i pochi ferri che ha brillato nelle altre piazze importanti, ha mandato a Saragozza un saldo di tori di cinque anni ma di poco peso e minor casta, segno evidente del poco prezzo a cui l'impresa li ha pagati.
Di quel pomeriggi si salva solo la faena al quarto, con la muleta piana, di un Fernando Robleno che festeggiava così il suo addio al celibato.
Dal canto suo Miura ha concluso la non eccelsa stagione 2009 in linea con la stessa mediocrità, solo l'ultimo toro aveva la presenza e la potenza che ci si aspetta da un Miura.
Davanti a loro il sempre valoroso Rafaelillo ha ancora una volta dimostrato coraggio ed abilità.
Insomma, nel centenario Coso della Misericordia si è visto poco: per fortuna il soggiorno a Saragozza è stato allietato come sempre dai dibattiti con gli amici aficionados, dalle abituali tapas, merende e cene, tra cui un aperitivo molto taurino con gli amici venuti da Arles, al Marpy (*), dalla visita alla stupenda mostra al Palacio de Sastago della collezione taurina di Enrique Asin (*), e da una inaspettata visita alla ganaderia di casta navarra La Rebomba di J.M Arnillas, su cui vale la pena scrivere a parte in un prossimo articolo.

(testo di Marco Coscia - foto di Laurent Larrieu, corrida di Miura a Saragozza)



lunedì 26 ottobre 2009

Ho visto Bastonito a Parigi

Per le imprevedibili e magiche connessioni di cui l'Internazionale dell'Aficion è capace, sabato sera eravamo a Parigi chez Alain Lagorce: pittore con i tori nel cuore.
In cima alla Belleville già così dolcemente cantata dalla poesia delle Triplettes o dalla riconoscenza di Pennac, poco lontani dalla terrazza del ventesimo dalla quale si gode una vista incantevole sulla città delle luci, siamo capitati in una casa colorata, con tante tele seducenti alle pareti, per una cena vissuta in un'atmosfera naturale e calorosa.

I quadri di Alain sui muri, l'amico radiofonico con noi a raccontare i suoi viaggi in Africa, le chiacchiere confortate dal vino della Corsica sono scivolate presto sui tori.
E sai, io ho avuto la fortuna di registrare la corrida di Bastonito.
Hai il video di Bastonito?
Sì.
Tiralo fuori.

La serata ha cambiato registro immediatamente.
Nella memoria avevamo l'eco di qualche articolo letto su Bastonito, qui e là, le cronache di quel confronto vero e rude tra il toro di Baltasar Iban e Cesar Rincon nel teatro dell'arena di Madrid, una storia che su blog e forum si ammanta spesso di nuances di epicità, uno di quei miti di cui vive il racconto della tauromachia.
Ma non avevamo mai visto niente, neanche un minutino su Youtube, quasi che di quel pomeriggio unico non rimanesse alcuna traccia, quasi che chi custodisce le immagini su vhs le conservasse geloso come il tesoro più prezioso.

Bene, chi può recuperi (è difficile, lo so) quel video: c'è l'essenza della corrida, semplicemente.
Un toro vivo, forte e instancabile, e un uomo capace di rendere carne e pensieri l'idea assoluta di torero.
Un'alchimia fortunata e rara che ha generato venti minuti di combattimento, di combattimento vero, palpitante, teso: un uomo e un toro che si sono giocati letteralmente la vita, cercando ad ogni istante di strappare all'altro la sua per non lasciare la propria su quella sabbia.
Bastonito era un toro incredibile, impossibile scalfire la sicurezza che aveva in sé, impossibile ridurne il morale, impossibile intaccarne la tenacia e i muscoli.
Due picche enormi, un'ariete contro quel cavallo, gli elementi della natura a spingere con lui.
Rincon quel giorno è stato un torero incredibile, deciso a lottare ad ogni passo, incapace di abdicare, nessun ricorso a trucchi e trucchetti, solo toreo de verdad.
Euclideo nel cercare inesorabilmente il mezzo esatto tra le corna, lì mettersi e pesare il più possibile sull'azione, per far deragliare quella locomotiva sbuffante e terribile lanciata a tutta velocità contro il suo petto.
Per un paio d'ore si era chiacchierato, a tavola, tra bicchieri di vino rosso, sigarette e bocconi di buon cibo: ora nella stanza c'era solo un silenzio nervoso, gli occhi incollati allo schermo.
Rincon sempre in mezzo, Bastonito subito addosso, carica perpetua, a mangiare la muleta, a cercare l'uomo che presto volerà per terra.
Ma si riprende, a destra, a sinistra, i battiti del cuore in accelerazione costante.

Fino alla stoccata decisiva, commovente per sincerità e abbandono di sè, il corpo catapultato verso le corna del toro.
Rincon a terra, la mano aperta grondante sangue, il vestito bianco ormai buono come costume di carnevale della Pimpa.
E Bastonito, Bastonito addosso a lui, sopra a quell'uomo a terra che ora cerca di difendersi da quella montagna di muscoli che lo schiaccia sulla sabbia, lo cerca con le corna, lo attacca ancora.
Fino a che Bastonito non muore, fulminato da quella spada che aveva nella schiena.
Riprendiamo fiato, il toro è trascinato nel suo giro d'onore, la gente in piedi e commossa applaude.
Ma non è finita.
Stacco, e la telecamera indugia sul volto di Rincon, in infermeria per farsi cucire la mano.
Lo sguardo è altrove, gli occhi spiritati, il viso pallido, il corpo che lievemente trema.
E' il ritratto di un uomo che ha conosciuto la morte e che ha avuto la forza per darle appuntamento ad un'altra volta.

Bastonito e Rincon, in una televisione di Parigi.

(foto di François Bruschet)

venerdì 23 ottobre 2009

Vernissage




Christophe Moratello, temporada finita anche per lui, ha messo online una galleria delle sue migliori foto dell'anno.

Inutile dire che caldeggiamo la visita.

(foto Christophe Moratello)

giovedì 22 ottobre 2009

Il Messia nelle cattedrali


Come già anticipato da qualche blog e dai portali specializzati, per il 2010 José Tomas annuncia l'intenzione di voler finalmente esibirsi in arene di categoria: Madrid, Siviglia, Bilbao soprattutto, e poi altre.

In un comunicato ufficiale, il Sindacato Autonomo dei Bagarini esprime piena soddisfazione.

(foto Ronda - Beziers 2006)

martedì 20 ottobre 2009

Le foto alle Regine

VACHES REINES

E' online una piccola galleria di foto sulle Reines di Aosta.

(foto Ronda - Croix Noire, 18 ottobre 09)

domenica 18 ottobre 2009

Autonomia unica via

VACHES REINES

All'arrivo il parcheggio è pieno, gente che schizza via da tutte le parti e si accoda disordinatamente nella direzione indicata dai pannelli.
A meno duecento metri ecco il profumo amico delle salsicce che sfrigolano sulla piastra, i primi baracchini che spillano birra, i primi crocchi di persone con panino fra i denti e bicchiere in mano.
Poi pian piano arriva il resto, le bancarelle con gadget e souvenir a tema, la banda che suona, la gente che si accalca, l'eccitazione conosciuta.
La fila al botteghino, per entrare.
L'arena è già piena: sette/ottomila persone installate sui gradini, le bottiglie di rosso saldamente in equilibrio in mezzo alle gambe, condannate a separarsi presto dal tappo.
Sulla pista settecento kg di muscoli neri, le due corna d'ordinanza protese al cielo.
Insomma tutto come al solito.
Sud della Francia, Paesi Baschi, Andalusia, Nimes-Jerez-Bayonne-Cenicientos?

No, Valle d'Aosta.
Arena Croix Noires, alle porte del capoluogo.
Oggi, domenica 18 ottobre 2009.

Era in programma la finale della Battaglia delle Regine, l'appuntamento dell'anno.
Con buona pace degli animalisti nostrani, ignorata dal resto d'Italia, la finalona raduna alla Croix Noire di Aosta (un'arena con tutti i crismi - palco presidenziale, tribune coperte, gradinate al sole, taquilla e cancelli, campo di battaglia recintato) diverse migliaia di persone che vengono a vedere combattere degli animali.
E' un combattimento vero, la battaglia delle vacche regine.
Spiegheremo magari in un altro articolo il meccanismo della finale e delle eliminatorie, e del combattimento in generale: tre categorie di peso, sorteggi per i confronti una-contro-una, confronti muscolosi e duri ma sempre incruenti e senza conseguenza alcuna, fino alla vincitrice assoluta.

Oggi semplicemente ci va di raccontare il clima di festa e serenità che si respira in una domenica così all'arena di Aosta (che effetto che fa, l'arena di Aosta...).
Da queste parti evidentemente l'animalismo è ancora una nevrosi metropolitana che fa sorridere e induce a tenerezza e solidarietà per chi ne è affetto, ma che qui non ci si può permettere e si tiene a bada.
Gli allevatori non solo sono orgogliosi di portare alla finale le proprie vacche migliori (per inciso, ce n'era qualcuna che passava gli 800 kg), ma vivono la giornata con la stessa tensione del ganadero che fa uscire sei suoi pupilli in corrida; il presidente e la giuria vigilano con rigore sullo svolgimento della gara, organizzano i sorteggi, ratificano la vittoria dell'una o dell'altra, assegnano i premi; i fotografi cercano l'angolatura migliore, il camioncino delle birre alla spina fa i soliti buoni affari, e al posto di gamberetti o jamon volano via generosi pezzi di toma o fontina.
Il pubblico, sui gradini, è quello della festa.
Famiglie intere con bambini eccitati, bottiglie di rosso e bottiglie di bianco, bicchieri che passano di mano in mano, micche di pane e taglieri su cui lentamente abbandonano la vita salami, formaggelle, salsiccie.
Ci sono i curiosi, gli appassionati, il nonno col nipotino, i tanti abituati ad onorare l'appuntamento per tradizione famigliare.
Visi segnati dalle rughe e dal vento, gote rosse, pile e scarponi, gente di montagna.

Lì in mezzo, davanti a tutto questo, le coppie di regine si affrontano, si attaccano, si spingono.
Combattono.
Si vince perché l'altra perde: quella che abbandona il combattimento è out.
Tutte gravide perché il giochino riesca (è l'istinto materno a costringerle ad abbandonare un combattimento in cui si sentono inferiori - nei giorni prima devono sottoporsi ad un'ecografia), le vacche si fiutano, si studiano, ballano un pò l'una attorno all'altra.
Poi improvvisamente partono, testa contro testa, sollevano terra e polvere, i profili protesi nello sforzo.
Ci sono battaglie che durano poche decine di secondi, altre dieci, quindici minuti: con le due regine che si spingono da un angolo all'altro dell'arena, travolgendo i pastori, a cercare la resa dell'altra.
La gente segue i match più sudati, palpita, applaude con trasporto, tifa per la vacca che ha portato il cugino allevatore, sceglie quella che secondo i propri criteri arriverà alla vittoria, appunta sul foglio i risultati degli ottavi.
La gente beve e mangia, chiacchiera col vicino, scambia una fetta di fontina con un bicchere di rosso.
Le regine intanto proseguono a combattere.

Nell'inserto de La Stampa di oggi, 24 pagine dedicate all'evento (!) e distribuito all'ingresso dell'arena, un allevatore spiega che per le regine "non c'è bisogno di usare la muleta rossa e la spada come i toreri spagnoli".
Tac.
Ecco il collegamento.
Ed eccoci sulla strada del ritorno a fantasticare: si diceva su queste pagine, qualche tempo fa, che in Italia manca la cultura taurina, quella cultura del toro lei solo imprescindibile per lo sviluppo di ogni forma di tauromachia.
Che il recupero della via e della tradizione italiana ai tori passi per Aosta?


(foto Ronda - Croix Noire, 18 ottobre 2009)

venerdì 16 ottobre 2009

Clavel Blanco, un mese dopo




Il Garofano Bianco si è preso la copertina (anche la quarta, per l'occasione) del numero 1863 di Toros, uscito lo scorso 2 ottobre: la vedete qua sopra.
Nella cronaca della corrida concorso che l'ha incoronato re della stagione, Jean Charles Roux lo definisce "un toro da ricordare": in virtù della misura e della sobrietà che caratterizzano gli scritti di quella rivista, un toro da ricordare è un eufemismo per significare un toro enorme.
Nel frattempo sui blog, siti specializzati, sui forum e nella stampa taurina se ne è scritto parecchio.

Ho come l'impressione che ne riparleremo, ma intanto seguiamo il consiglio e lo ricordiamo: con questo video qua sotto, il primo che pubblichiamo su Alle cinque della sera.
Che non restituisce la grandezza del suo passaggio sulla sabbia di Arles e l'emozione che ha rapito i presenti sui gradini, ma che è il tributo minimo che possiamo offrirgli su queste pagine, a un mese ormai da quel suo indimenticabile combattimento.

mercoledì 14 ottobre 2009

Calexico

Inauguriamo l'etichetta musica con un articolo che parrebbe, a prima vista, fuori tema: l'esordio è affidato né al flamenco né alle bande del sudovest, niente sevillanas né Vino Griego.
Sopratutto, non si parla di pasodobles: lo faremo, ma non ora.

Argomento del giorno sono i Calexico.
Per dirla con Ondarock, che al gruppo dedica una esaustiva monografia, "sul finire degli anni Novanta, decennio in cui il rock ha guardato costantemente in avanti, i Calexico hanno rivolto il loro sguardo indietro riesumando, col piglio austero degli etnomusicologi, musiche di tempi e luoghi remoti, arrivando così a creare una forma di roots-rock postmoderno, tra complesse partiture strumentali e suggestioni messicane. L'esito è un affascinante road-movie nel deserto dell'Arizona".

Da Tucson, Arizona, una decina di anni fa i Calexico balzarono agli onori delle cronache mondiali con un suono che univa con mestiere e anima malinconie del folk a esuberanze mariachi, tematiche country a fascinazioni desert e dilatazioni post-rock, roba buona da ascoltare mentre si legge il McCarthy della trilogia o una saga western.
I due album che li fecero conoscere anche da noi, collezioni confezionate con sentimento in cui i pezzi strumentali avevano perlomeno pari, se non maggiore, dignità di quelli cantati, fecero il botto: il resto fu merito di un approccio live genuino e spontaneo, che riusciva a dare alle canzoni della band spessore ed energia.
Poi il gruppo si perse, i melliflui richiami del pop inquinarono la sua ispirazione, e le ultime prove in studio ballano tra l'insipido, il deludente e l'imbarazzante.
Ma The Black Light (pietra miliare secondo Ondarock) e Hot Rail meritano un posto privilegiato nella discografia di ognuno.

Bene, e fin qua siamo al classico pezzo da blog musicale, da amatore del pop che ne scrive un pò per diletto, da recensione dilettante.

E' che fino a poco tempo fa non ci avevo fatto caso, il 2+2 non mi era per ovvie ragioni riuscito: ma dalle prime letture taurine, dalle prime corride in poi, l'associazione è stata facile.
Nella tracklist di Hot Rail eccoli là, nascosti tra gli altri, tre titoli che non lasciano spazio alla fantasia.
Il disco si apre con El Picador, prosegue con Muleta e si chiude con Tres Avisos.
Nessun dubbio.

Cosa sono questi pezzi?
Non so se i Calexico facciano parte di quella schiera di americani del sudovest sensibile al richiamo dell'aficion, tanto da coltivare questa passione tra un McDo e una partita di baseball e passare spesse volte la frontiera per andare a cercare la corrida, da Tijuana in giù.
Magari in una qualche intervista l'avranno pure detto, chissà.
C'è che questi tre pezzi, per inciso tra i migliori dell'album e di tutta la loro produzione, sono un omaggio a un mondo, il tributo a una suggestione, forse una dichiarazione d'amore.
Fatto straordinario, i Calexico regalano una musica alla corrida ma non lo fanno suonando musica da corrida: non c'è l'ombra del più inflazionato dei pasodobles in quei tre titoli, ma c'è la stessa passione, lo stesso trascinante coinvolgimento, la stessa identificazione.
Suonano da Calexico, non da orchestrina dell'arena, e suonano il picador, il torero, il toro.
Bravi.

Negli altri album, vado a memoria, non ci saranno più riferimenti alla corrida: tranne forse solo una Banderilla piazzata in un qualche disco successivo.

I due album citati si trovano facilmente nei negozi di dischi e ancor più facilmente per altri canali: meritano l'ascolto.
E chissà che un giorno, in un qualche polveroso paesino messicano, l'orchestra non accolga l'ingresso dei cavalli con le note de El Picador: sarebbe bello vedere l'effetto che fa.


* El Picador su Youtube
* Muleta su Youtube
* Tres Avisos su Youtube


lunedì 12 ottobre 2009

L'etica dell'essere

SEVILLA - REAL MAESTRANZA


Dopo una grande faena o al termine di un pomeriggio trionfale, il torero è acclamato, riceve i trofei, il pubblico si alza per applaudire il suo giro d'onore e gli getta fiori, regali o scialli.
Capita che sia portato in trionfo ed esca così per il portone dell'arena, onore raro.
Ma al di sopra di tutte queste manifestazioni di gioia, di queste acclamazioni e ricompense, c'è un grido, uno solo, il più alto nella gerarchia dei trionfi, come un clamore scandito dalla folla nelle sere più grandi.
Questo grido è semplicemente torero! torero!
La più grande gloria per un torero, cioè per qualcuno che torea tori, è di essere chiamato torero.
Il meglio che possa fare un torero, è semplicemente di essere torero.

Torero! Torero!
Il nome comune di tutti quelli che toreano i tori, bene o male, è allo stesso tempo l'aggettivo che qualifica l'eccellenza suprema nel ben compiere la funzione: essere torero.
Questo fatto contiene tre determinazioni essenziali, significative dell'etica torera.
Torero! Torero! implica che l'eccellenza consista non tanto nel fare o nell'aver fatto qualcosa, ma nell'essere qualcuno: l'etica torera è un'etica dell'essere, quando invece la morale universalista è un'etica del fare.
Torero! Torero! significa che, tra tutti quelli che sono toreri, cioè che toreano i tori, solo qualcuno, assai raramente, riesce eccezionalmente a essere, a essere veramente, a essere del tutto...torero.
E' per questo che essere un torero è comune, essere torero rarissimo: l'etica torera è una morale di un individuo eccezionale e non una morale universale.
Ma il fatto che questo ideale di torero porti il nome stesso della professione di torero è significativo di un terzo aspetto dell'etica torera: l'eccellenza suprema per un torero consiste in nient'altro che ciò che egil ha come obiettivo da perseguire, essere torero, qualsiasi cosa succeda.
E questo ancora si oppone alla morale universale, che non fa differenza tra gli uomini secondo le loro funzioni e che subordina il compimento delle funzioni a dei doveri universali.

Perché l'etica torera è indubbiamente un'etica dell'essere.
In effetti, per aver diritto al torero! torero!, più che far bene bisogna essere bene.
Certo, per essere un buon torero bisogna toreare il meglio possibile, in conformità ai canoni.
Ma essere un buon torero è una cosa, essere torero è un'altra.
L'una è un mestiere, l'altra un valore.
L'una attiene alla tecnica; l'altra, all'etica.
Essere un buon torero è dunque condizione utile ma per niente necessaria e assolutamente insufficiente per essere torero.

Essere torero, è questo: essere distaccato.
E' volersi tanto più distanti da quello che capita, per mettersi più alla portata delle corna che arivano.
Per questo c'è una parola: tenere, aguantar in spagnolo.
Tenere, qualsiasi cosa capiti, costi quel che costi.
Il torero si trattiene perché deve tenere.
Non scomporsi, non cedere terreno all'avversario, di fronte alla paura, di fronte alla morte.
Ma soprattutto farlo con distacco, il più vicino al toro, il più lontano da sé.

- liberamente tradotto da Philosophie de la corrida, Francis Wolff, ed. Fayard, 2007 -



(foto Ronda - Morante a Siviglia, San Miguel 2009; fotografia che fa di questo articolo un ossimoro)

venerdì 9 ottobre 2009

Visita alla ganaderia di Sanchez Arjona (2)

(Continua e si conclude il racconto di Marco sulla sua visita alla ganaderia)

Proseguiamo nella visita e vediamo le vacche con i vitellini appena nati, poi gli erales (torelli di due anni) che ci corrono incontro festosi, in quanto associano il rumore del fuoristrada con un arrivo fuori orario di cibo (ma ne saranno delusi) quindi passiamo agli utreros (di tre anni), alcuni già pronti per essere toreati in una plaza e quindi più corpulenti, perché hanno goduto di un vitto speciale, mentre i loro coetanei che diverranno tori di quattro anni lo riceveranno solo la prossima stagione.
Don Javier ci mostra un lotto destinato a una corrida a cavallo (rejoneo) in cui spicca un novillo con le corna molto aperte (playero), di quelle che non piacciono ai toreri “perché non entrano nella muleta”, e quindi finirà in questo modo, perché nel rejoneo si può per regolamento tagliare le punte delle corna (e per questo non ci piace).

Vediamo infine i tori adulti, tra cui un gruppo già separato che è sul punto di essere imbarcato per un paese della provincia di Segovia, Cantalejo, dove il prossimo 18 agosto sarà affrontato nientepopodimeno che da El Fandi, Manzanares e Cayetano, i quali taglieranno tre orecchie cada uno.
Indubbiamente i tori, per una piazza di quella categoria, sono ben presentati, hanno trapìo e sono ben armati, ma non posso fare a meno di osservare che sovente dal campo alla plaza questo tipo di tori, per questo tipo di corride, soffrono a volte delle strane perdite di materiale osseo nelle corna sulle cui cause è meglio non approfondire.
Non c’è dubbio che dall’allevamento escono integri, ma il tragitto fino alla plaza è lungo…

Visto il risultato in termini di trofei, è evidente che i tori destinati a Cantalejo, con il loro comportamento hanno propiziato il trionfo, come è loro richiesto in questo genere di spettacoli.
Nella tenuta pascola un semental (riproduttore) che è stato indultato dal Juli: il ganadero mi assicura che funziona bene, e se lo dice lui sarà così, d’altra parte per il tipo di mercato che hanno questi domecq, la selezione più che al cavallo si fa con la muleta. Ad una mia precisa domanda, il ganadero mi ha confermato che le vacche le prova quando hanno due anni, so che gli allevatori che vogliono vedere la casta nel primo tercio le provano quando di anni ne hanno tre.
Non abbiamo la ventura di incrociare nel nostro tragitto l’indultato, ma Don Javier ci tiene a farci vedere un altro semental per raccontarci la sua curiosa storia. Era un toro destinato ad una corrida a Dax, in Francia, ma nei corrales della plaza, lui ed i suoi compagni si sono prodotti in una spettacolare e furibonda rissa, di cui esiste anche una famosa foto di Phlippe Salvat, « Bagarre générale au débarquement des toros de Sanchez Arjona » (pluripremiata e vincitrice di un concorso di fotografia anche in Giappone) che il ganadero ci mostrerà, e che effettivamente riproduce una scena dantesca.
Il toro ne esce piuttosto malconcio, e viene rimandato indietro approfittando di un trasporto di ritorno, perché se deve morire lo faccia dove è nato, e non dia problemi nei recinti di Dax. Ma soprendentemente il toro non muore, e si rimette in salute. A questo punto la Commissione Taurina di Dax, che comunque il toro lo aveva comprato, decide di regalarlo a un giovane torero francese, El Santo, per un allenamento a porte chiuse in vista della sua alternativa.
Ma il toro, che evidentemente aveva capito l’importanza di “
marcare visita, risulta affetto da una nube in un occhio che lo rende complicato da toreare, e non certo idoneo da regalare ad un giovane torero.
Così la sfanga anche questa volta, ma il tempo passa, il toro compie sei anni, ed a questo punto non può più essere toreato. Il suo destino sembra essere il mattatoio, ma poiché è di bell’aspetto e di nobili natali, il ganadero fa un estremo tentativo e lo prova in una tienta de machos facendolo toreare, con le cautele del caso, da un esperto in tentaderos come Lopez Chavez.
Il toro passa l’esame e viene tenuto come riproduttore, si può dire che si è indultato da solo, forse con più merito di altri…

La visita nel campo è conclusa, ma prima di finire il giro ritorniamo a vedere come sta il toro curato. Lo troviamo dove lo abbiamo lasciato, dorme profondamente, ma è vivo, respira, muove le narici e le orecchie. Si sveglierà dolcemente quando l’anestetico avrà esaurito l’effetto. Se invece gli fosse stato iniettato l’antidoto, il risveglio sarebbe stato più rapido, ma più brusco. Il toro suo amico continua a vegliarlo da lontano.

Don Javier ci congeda, non senza averci fatto vedere la famosa foto della bagarre nei corrales di Dax, ed un cartel ingiallito di un festival in cui egli toreò da aficionado practico, con altri allora giovani ganaderos, e con l’indimenticabile critico taurino Alfonso Navalon (*), scomparso quattro anni fa, che ammiravo molto e che ebbi l'occasione di conoscere.
Il ganadero ama la canzone tradizionale spagnola, e ci promette che la prossima volta ci porterà a vedere i Coquilla, gli ultimi discendenti di quei tori con divisa verde y oro della ganaderia salmantina immortalata nella copla di Concha Piquer per il suo amore impossibile per un torero.

* galleria dei Coquilla su CyR
* galleria su una tienta da Sanchez Arjona su CyR


(testo e foto di Marco Coscia)

mercoledì 7 ottobre 2009

Visita alla ganaderia di Sanchez Arjona (1)

Abbiamo spedito il nostro inviato speciale Marco a farsi un giro nelle terre taurine, la scorsa estate: pian piano i suoi scritti ci relazioneranno sulla bontà del viaggio.
Ecco il primo, diviso in due puntate per ragioni di spazio.

Visita alla ganaderia di Sanchez Arjona


Mi rendo conto che la metà di agosto non è il momento migliore per visitare una ganaderia spagnola di tori da corrida.
Senza contare il caldo soffocante, è come piombare a casa di un vignaiolo nel bel mezzo della vendemmia. Infatti è il periodo di massima attività taurina, i tori devono essere consegnati alle arene, molti lo sono già stati, e quindi non sono più nel campo. Ma trovandomi per turismo dalle parti di Salamanca, non posso resistere alla tentazione di fare una puntatina nel Campo Charro, la zona ganadera per eccellenza della provincia.
Tramite un amico aficionado francese mi sono messo in contatto con un allevatore della zona che ha accettato di ricevermi per mostrarmi i suoi tori. Ed eccoci quindi nel caldo pomeriggio dell’11 agosto imboccare la superstrada che da Salamanca va a Ciudad Rodrigo per uscire a Martin de Yeltes e dirigerci alla tenuta Collado, di proprietà di Javier Sanchez Arjona.

Questi possiede due allevamenti di origine diversa, uno si chiama Coquilla de Sanchez Arjona e raggruppa un piccolo numero di esemplari di quello che resta dei mitici santacoloma di Salamanca creati da Paco Coquilla (l’altro residuo spezzone di questa gloriosa stirpe è dei cugini Sanchez Fabres).
Si tratta di un encaste molto interessante, ma poco gradito ai toreri d’oggi, che il ganadero ha mantenuto, ai minimi termini, praticamente solo per il mercato francese, che considera di veri intenditori.
Con un centinaio di vacche e due riproduttori, ne ritrae una novillada, e quando va bene due, all’anno. Per poter sostenere la redditività dell’allevamento, si è quindi orientato sull’encaste Domecq, che forma la base dell’altro ferro, quantitativamente più numeroso (oltre 500 capi, che danno circa 8 corride l’anno) denominato Sanchez Arjona.
In condizioni analoghe altri hanno preferito eliminare completamente i vecchi encastes di famiglia per far posto al mezzo-toro di moda, ma Don Javier ha conservato un angolo del suo cuore di aficionado per questi particolari santacoloma che la sua famiglia ha ormai da tre generazioni, e solo per questo merita la nostra ammirazione.
Allevare gli uni e gli altri costa la stessa fatica e richiede lo stesso impegno, è un peccato che la deriva che ha preso il toreo moderno obblighi a queste scelte.
Ovviamente la mia speranza è di poter vedere i Coquilla, ma per farlo avrei dovuto andare in Francia, a Collioure, dove il 16 agosto è prevista l’unica novillada dell’anno (secondo le cronache hanno dimostrato casta, ma non molta forza), oppure a Parentis, dove un esemplare si è dignitosamente comportato nella novillada-concorso del 9 agosto (*).
Insomma, nel campo per quest’anno non ce ne sono più, solo vacche, vitellini e riproduttori. E poi li tiene in un’altra finca, a mezz’ora di viaggio.
Quindi, niente Coquillas.

Al nostro arrivo al Collado ci accoglie il ganadero, e veniamo fatti accomodare nel salotto della casa, una sobria residenza signorile di campagna più simile a quella delle nostre parti che a un cortijo andaluso. Nell’aia prospiciente sonnecchia una tribù di variopinti graziosi gattini, che - maliziosamente - immagino gli siano stati più volte richiesti dai veedores (persone di fiducia di imprese e toreri che vanno a scegliere i tori per conto dei loro committenti), anche se devo riconoscere che finora non si ha notizia che siano mai stati venduti per spettacoli taurini.
Conosciamo anche uno dei figli del ganadero, un simpatico ragazzo intento in quel momento a cercare di ubicare gli esemplari in viaggio per Collioure collegandosi con il computer al GPS del camion, ma invano, data la precarietà della connessione.
Comunque, a parte la piccola delusione per non poter vedere i tori dell’encaste più raro, la visita all’allevamento si rivela ugualmente interessante. Don Javier ci ha gentilmente scarrozzati per due ore sul suo fuoristrada per tutta la sua vasta tenuta, mostrandoci l’allevamento in tutti i suoi dettagli, e prodigandosi in spiegazioni. Ho perso il conto di quanti cancelli ho dovuto aprire e richiudere, scendendo dalla vettura, per passare da un recinto all’altro, fra distese di pascoli ed encinas (le tipiche querce della prateria), ovviamente con gli animali a poche decine di metri che mi osservavano, fortunatamente tranquilli.

Nel primo recinto, quello dei vitelli di un anno, abbiamo una sorpresa: un toro di quattro anni deve essere curato da una ferita, e proprio sotto i nostri occhi cade addormentato da un dardo con l’anestetico sparatogli dai vaqueros con una carabina ad aria compressa.
Il toro è reduce da una trasferta a La Coruña, dove il 6 agosto era prevista una corrida del ganadero, ed è ritornato vivo in quanto era il sobrero (la riserva), ma una volta nel campo, i vaqueros nella loro quotidiana rivista degli animali hanno notato che aveva una brutta ferita da cornata “proprio lì…sulla punta”, ricevuta non si sa dove né quando.
Perciò l’hanno sospinto nel recinto dei più piccoli, perché un toro ferito è la vittima predestinata dei suoi coetanei (la legge del branco è molto dura) ed ora si accingono a curarlo.
Una volta assicuratici che la bestia è profondamente addormentata ci avviciniamo, e con il ganadero osserviamo l’intervento: oltre alla ferita “proprio lì”, molto brutta, se ne scopre un’altra, all’innesto della zampa anteriore sinistra. Si procede alla medicazione, disinfestazione generale, iniezione di antibiotici e/o vaccinazione con un siringone a pistola, ed approfittando dell’anestesia, alla ricollocazione delle fundas, le protezioni delle corna (in questo caso un cappuccio di metallo trattenuto da bende gessate) invenzione recente e non ben vista da tutti, che il ganadero sostiene di utilizzare non su tutti i tori ma solo su quelli di quattro anni che prendono il vizio di sfregare le corna nel terreno, e così se le rovinano.
Ci accompagnerà nel punto della ganaderia dove hanno sviluppato questa querencia ed in effetti vediamo ampie buche nel terreno sabbioso profonde anche mezzo metro, scavate dai tori con la testa e le corna. E ci fa notare come nei recinti dei quatreños ( i tori di quattro anni) non tutti gli animali hanno le fundas, ma solo quelli che ne hanno bisogno.
Insomma, ne fa un uso selettivo e non indiscriminato.

Lasciamo il toro curato ancora addormentato, e ci accingiamo a visitare gli altri recinti, ma in quello che stiamo per lasciare notiamo che da lontano un altro toro adulto "che non dovrebbe essere lì" ci osserva.
Si tratta di un amico del ferito, che non si sa come, è riuscito, saltando i muretti e le recinzioni, a seguirlo quando ha visto che veniva separato dal branco, ed ha vigilato a distanza per tutto il tempo sul suo compagno.

- continua -

(testo e foto di Marco Coscia)

* reportage sui Coquilla (pdf)
* scheda dei Sanchez Arjona su Terredetoros
* scheda dei Coquilla su Terresdetoros

lunedì 5 ottobre 2009

Genesi del Toro




Salutiamo con gioia e ammirazione l'esplosione di questo sito che si propone di diventare presto un autentico punto di riferimento per i tauronauti e che già ora costituisce una preziosa collezione di dati e notizie: Toro Genese.

L'idea è francamente ambiziosa, raccogliere in un sito ricerca e informazioni sulla genesi del toro da combattimento e sulla sua evoluzione fino ad oggi: le caste fondatrici, le linee di sangue e gli encastes che fissano gli snodi, i ferri, gli allevatori, e altro ancora.
Particolarmente gustosa la sezione sui manti dei tori, da vedere.

A metà tra la didattica e l'autismo (un lavoro così, del tutto volontario, è assolutamente mastodontico e folle), il sito ancorché ancora in lavorazione è già un prezioso tesoro che gli autori mettono a disposizione di tutti, e l'ideale complemento di quell'altro gioiello che è Terre de toros (*).

Da mettere nei preferiti, seguire con attenzione, sfogliare come un manuale ad ogni occasione che si presenti.

I nostri complimenti.

sabato 3 ottobre 2009

Riconciliazione

Capita di andare all'arena senza averlo previsto, e di farlo così, spontaneamente, sedotti dalla luce del cielo andaluso, dalla facciata elegante di quell'arena che vista dall'altra riva del Guadalquivir pare tanto distinta e tanto avvenente, dal richiamo eccitato dell'aficion che in ogni momento ti scuote, dalla storia di quelle terre che ad ogni passo incontri, per le vie e nelle taverne.
Capita di entrare in quell'arena senza illusioni, ed anzi ancora col sottile e fastidioso timore di avere appuntamento con altre due ore di vuoto amaro e marcio come quelle già vissute il pomeriggio precedente.

I venti minuti di Daniel Luque sono stati una riconciliazione, inaspettata e felice, il recupero di una fascinazione troppe volte negata, la pacificazione dei sentimenti.

Non c'è vita su Marte, ma forse c'è vita oltre Ceret.

Sette veroniche sette avanzando verso il centro e spingendo il toro in mezzo, la cappa gonfia e di comando, movimenti sicuri e precisi e il toro dentro, incapace di pensare ad altro.
Due chiusure eleganti, sicure, e la Maestranza ritrovava la grandezza che si addice ai suoi gradini, alle sue colonne, alle sue ceramiche.

Poi la stoffa rossa.
In dieci minuti Barberito e Daniel Luque fanno l'amore restituendo alla tauromachia l'assolutamente bello e l'assolutamente grande di cui può essere capace, quel patrimonio d'oro che migliaia di pomeriggi le violentano e brutalizzano mettendo insieme tori vuoti, invalidi, senza morale e toreri presuntuosi, sedicenti artisti, opportunisti.
In dieci minuti i loro corpi si attraggono e si sfiorano, si avvicinano e si respingono, si fanno centro e satellite, come nella migliore delle sevillanas.
La sabbia ocra della Maestranza diventata il tappeto sontuoso per questa danza ammaliante e tragica, colorata del rosso del sangue e ballata al suono del pasodoble.
Churumbelerias, per i taccuini.

Vita e morte insieme, la magia della tauromachia tutta che lo scrigno finalmente schiuso ora libera e infonde nelle anime e nei corpi dei presenti.

Luque domenica ha ricamato il toreo più sontuoso, lento nei suoi passi, rotondo: arte, coraggio, dominio perfettamente amalgamati, in una composizione sfaccettata e luminosa.
Faena di grazia e di autorità: fioriture barocche e gesta di autorevolezza, con la destra la forza dello scalpello che si insinua nel marmo, con la sinistra la bacchetta del direttore che dirige la più sensuale delle partiture.
A cucire, qualche trincherazo da sogno.
I passi naturali sono da soli inno perfetto alla solennità della corrida, e con la spada a terra il ritmo è scandito e imposto anche a destra, la muleta ora sola, le corna di Barberito instancabili e dentro.

L'opera si è compiuta.
Ma il torero non si è ancora definitivamente dissetato alla fonte dell'ispirazione, e Barberito ha ancora muscoli e rabbia.
Passaggio a destra, Barberito scivola da quella parte e Luque dietro le spalle sposta la muleta nella sinistra, Barberito attacca al richiamo, poi di nuovo dietro le spalle il panno nella destra, Barberito di nuovo sfila da quella parte, e ancora a sinistra, a destra, a sinistra, i piedi ben piantati nella sabbia.
La cesellatura dell'orafo più ispirato, la pennellata del pittore che fa grande una tela qualsiasi, il tocco del solista che fa cantare il violino.
Il maestro che eternizza la sua creazione.

E poi finalmente i due corpi si toccano, e lo fanno per tramite di quella lama che tributa entrambi: con la gloria l'uno, con la morte l'altro.

Riconciliazione: fortuita, e insperata riconciliazione.
Domenica 27 settembre 2009, la Maestranza di Siviglia, Daniel Luque e Barberito ci hano ricordato che la corrida sa essere anche occasione di espressione totale, arte e sentimento, sinfonia e tragedia, canto e passione.
Quando l'anima e il coraggio dell'uomo si incontrano con il muscoli e il sangue del toro vero, la corrida è esperienza sublime, incanto, grazia.

La corrida è bellezza.

ps: questo post inizialmente si intitolava Maledetti tutti i responsabili della decadenza della tauromachia, maledetti gli impresari, i manager, gli aficionados prezzolati, i toreri complici e i ganaderos conniventi che ci impongono la vergognosa parodia della corrida e che ci negano la sua grandezza e la magia dell'incontro tra l'uomo e il toro vero...ma oggettivamente sarebbe stato troppo lungo

(foto Ronda - Daniel Luque a Siviglia)

venerdì 2 ottobre 2009

Sul giornale




Nella homepage della Repubblica online di oggi, si parla di José Tomas e dell'ultima (?) corrida a Barcellona.

giovedì 1 ottobre 2009

Toro, torero y aficion




Da un paio di settimane nella testata di Toro, torero y aficion campeggia la foto di Aguardentero fatta ad Arles durante la concorso.
Già questo potrebbe essere un valido motivo per pubblicizzarlo e leggerlo, in realtà si aggiunga pure che quella è gente che ha le idee chiare ed è bene farci un salto appena si può.


ps: si parla di Alle cinque della sera anche qua, e soprattutto qua. Grazie a Marco per le segnalazioni