giovedì 31 dicembre 2009

Palmares 2009




Per quanto mi consta ovviamente, e cioè in base esclusivamente a quanto visto nelle arene, ecco il meglio della stagione ormai conclusa.
21 gli spettacoli a cui abbiamo assistito: una novigliada senza cavalli, due novigliade, diciannove corride formali.
Il tutto in sette le piazze di tori frequentate: Arles (4 a Pasqua e 3 a settembre), Nimes (2), Vic Fezensac (4), Istres (3), Ceret (3), Siviglia (2).

Uomini

Rafaelillo il torero del 2009. Il migliore di fronte ai Miura di Arles, il più completo di tutto il ciclo di Vic Fezensac, rotondo e ispirato con gli Escolar Gil di Istres. Il piccolo murciano torea con sincerità e coraggio, non si sottrae alla battaglia, muleta davanti e profondità. Guerriero e ammirevole.
Di Sergio Aguilar abbiamo apprezzato la classe e l'eleganza di fronte a tori, per usare un eufemismo, poco comodi: toreare con lentezza e distacco un santacoloma è cosa che genera rispetto ed ammirazione.
Luis Bolivar e Morenito de Aranda, rispettivamente a Vic e a Ceret, ci hanno lasciato buone senzazioni e la voglia di rivederli presto.
Ma la vera sorpresa del 2009 è il giovane Daniel Luque, che a Siviglia in settembre ha sfoggiato in soli dieci minuti un repertorio completo di autorità, arte, ispirazione, forza: non si può giudicare un torero da una sola serata, certo, ma quella prestazione ha fatto davvero impressione.
Dai big abbiamo visto poche cose, se non il solito potere del Juli (ma di fronte a tori impresentabili, a Nimes), e la straniante capacità di José Tomas di essere così diverso da tutti gli altri, un toreo ormai definitivamente ascetico il suo.

Tori

Il toro del 2009 è, inevitabilmente e per grazia divina, il grande Clavel Blanco di MLD Perez deVargas: chi l'ha visto non se lo scorderà facilmente, un toro padrone di un'arena intera, enorme.
Un gradino sotto Aguardentero di Prieto de la Cal e Camarito di Palha, protagonisti della concorso rispettivamente ad Arles e a Vic.
La miglior corrida completa quella di Coimbra a Ceret, tori selvaggi, duri, corna spaventose e carattere indomito: in pochi avrebbero scommesso su un successo così pieno e felice e della misconosciuta divisa portoghese. Li rivedremo di nuovo nel 2010, ai piedi dei Pirenei, ed è una buona notizia.
Da segnalare anche i lotti di Fidel San Roman e La Quinta a Ceret, mentre la sorpresa dell'anno è venuta dai Garcigrande (!) di Nimes (!!): un sestetto con una casta sorprendente, conosciute le bassezze a cui è solita la casa, e se fossero tutte così le corride per figuras, la tauromachia tutta potrebbe dormire sonni tranquilli.
Infine un plauso particolare all'impresa di Arles, capace di confezionare una corrida concorso di notevole qualità.

Gesti

E' frutto dell'ispirazione e della disposizione di Daniel Luque la faena più completa, armonica e vibrante: a Siviglia, con Barberito di Alcurrucen.
Un tono più sotto i due lavori di José Tomas (Nimes - Ballestero di Garcigrande) e Rafaelillo (Istres - Borgueso I di Escolar Gil), faenas di registro opposto, naturalmente, ma entrambe di gusto: leggera e estatica la prima, maschia e elettrica la seconda.
Alcuni dettagli dell'opera di José Tomas, poi, assolutamente celestiali.
Curro Molina è tra i banderilleros quello che ogni volta apprezzo maggiormente, e il suo paio di Siviglia è per me il migliore della stagione. Notevoli anche i due bastoni chiusi da Padilla sul quarto di Miura, ad Arles.
E naturalmente impossibile non citare Juan Luis Rivas e Rafael Lopez, i due picadores che ad Arles se la sono vista con Clavel Blanco e Aguardentero: da loro una lezione di tauromachia antica e sincera, di coraggio e sincerità.
Toreri.

Buon anno a tutti, e che il 2010 ci conceda ancora tori, festa e aficion.


(foto Ronda)

domenica 27 dicembre 2009

La fiesta: ecologia, passione e morte - Francis Wolff

Francis Wolff, l'autore di quella Filosofia della corrida che è ormai un classico degli scritti sulla tauromachia è che è fra le opere più profonde mai prodotte sul tema, ha pubblicato qualche giorno fa su La Razon La fiesta: ecologia, pasion y muerte, un saggio in forma di articolo che si evidenzia per onestà intelettuale, lucidità, argomentazione.

A vantaggio dei lettori del blog proviamo a farne una traduzione, nei suoi passaggi più significativi: Wolff da qualche anno tenta, con ottimi risultati, di definire una volta per tutte quello statuto morale della corrida che nessuno prima d'ora era riuscito a fissare con tanta efficacia, e che può diventare definitivamente l'argomento principe e più corposo per la difesa del'esistenza stessa della corrida.

IN PRIVATO


Dice Wolff:

"Chi difende la corrida sì che porta avanti una battaglia ecologista. Innanzitutto difende una delle ultime forme di allevamento estensivo che esista in Europa, nella quale ogni animale ha a disposizione dagli uno ai tre ettari di territorio.
Chiudiamo la corrida, e molte di queste terre oggi consacrate al toro da combattimento saranno destinate ad una agricoltura intensiva o industriale.
Difende un ecosistema unico, la dehesa, che è una autentica riserva di fauna e flora, a immagine e somiglianza dei grandi parchi naturali protetti.
Difende anche la biodiversità. Il toro bravo è una varietà unica di toro selvaggio, preservata grazie alle grandi ganaderias, e che sarebbe condannata al mattatoio se si finisse con la Fiesta."

"Non esiste spettacolo o arte più ecologico della Fiesta. Però sta di fatto che molti ecologisti dimenticano i loro valoro per adottare valori animalisti opposti.
Difendere la biodiversità, l'equilibrio delle specie e degli ecosistemi non ha niente a che vedere con il fatto di occuparsi del destino individuale di un dato animale.
Non si può salvare la specie leopardo e preoccuparsi del destino individuale della gazzella. Bisogna scegliere.
Per salvare il toro da combattimento come specie c'è da sacrificare alcuni animali destinati all'arena piuttosto che al macello.
E' paradossale che per salvare alcuni esemplari ci sia da condannare la specie, ormai inutile, al mattatoio.
Ma non possiamo avere compassione per la sorte degli animali?
Naturalmente.
Dobbiamo restituire ai nostri cani e gatti l'affetto che ci danno; una specie di contratto morale ci unisce a questi animali da compagnia, ed è evidente che è crudele picchiare il proprio cane e immorale abbandonarlo in un'area di servizio.
Con gli animali domestici abbiamo un determinato tipo di contratto morale: ci danno la lana, cuoio e pelle, o carne, in cambio della nostra protezione, di un'alimentazione adeguata e di condizioni di vita decenti.
E con i toros bravos?
Un altro tipo di contratto ci unisce a loro: rispettare la loro bravura mentre vivono e fino alla loro morte.
Quindi è morale allevarli in coerenza con la loro natura selvaggia (libera, indomita e ribelle), e sacrificarli in un combattimento che dia senso, importanza, gravità; un faccia a faccia che rispetti la loro natura selvaggia e durante il quale l'uomo si gioca la vita.
Non è forse più morale che la detenzione forzata e il sordido silenzio di un macello?"

"Che non piaccia la corrida per una questione di sensibilità personale, è comprensibile: e tutte le sensibilità sono rispettabili.
Ma a quelli che ignorano tutto sulla corrida, le condizioni di vita o di morte del toro, la etica del combattimento e la sua estetica, e tutti quelli che si immaginano uno spettacolo crudele e sanguinario, c'è solo da consigliare che visitino qualche allevamento o assistano a qualche serata eroica e grandiosa. Vedranno la comunione spirituale che avvolge questo spettacolo lacerante e sublime.
E se preferiscono restare lontani dai tori e mantenere i propri pregiudizi, ne sono liberi, a condizione che la loro ignoranza non li faccia intolleranti verso quelli che non pensano o sentono come loro.
Ma che qualcuno arrivi a qualificare come tortura il pericoloso confronto nell'arena, dove l'uomo rischia la propria vita in ogni istante, questa è una questione di malafede.
E' un insulto a tutti i torturati della terra.
E' voler ribaltare il significato delle parole: torturare è, senza correre alcun pericolo, fare soffrire un avversario che si è reso indifeso e innocuo, mentre combattere un toro consiste nel permettere all'animale che in qualsiasi momento possa attaccare liberamente il suo avversario, che può ferire in ogni istante.
Se nell'arena ci fosse un bue questo non smetterebbe di fuggire, questa sì sarebbe tortura e non ci sarebbe corrida.
Gli aficionados non si divertono con le ferite degli animali!
Ammirano l'intelligenza dell'uomo, la bravura del toro, il valore di coloro che combattono, la trasformazione della forza bruta in opera umana."

"Gli autoproclamatisi difensori degli animali, che si arrogano il monopolio della morale e dei buoni sentimenti come se noi, gli aficionados, fossimo insensibili e immorali, tutti questi animalisti, si commuovono forse per le sofferenze di qualcuno, ma amano davvero gli animali per quello che sono, per quello che fanno e quello che incarnano?
Accettano l'animalità in tutte le sue diversità o quello che vogliono è ridurla al fantasma di amabili animaletti da cartoni animati disneyani? "

"Cosa preferiremmo se ci obbligassero a stare al posto dell'animale?
Una vita da bue incatenato, che si conclude miseramente al macello o una vita da toro in libertà che si prolunga in venti minuti di combattimento valoroso?
Forse qualcuno dubita ancora, chissà.
Ma se dubitate, non denigrate coloro che preferiscono la vita e la lotta del toro bravo, coloro che pesano che il suo destino sia uno dei più invidiabili di tutte le specie animali di cui l'uomo si è appropriato per soddisfare i propri fini e che popolano la sua immaginazione.
Non sentenziate a morte la corrida né i tori da combattimento, rispettate coloro che li amano."

(foto Ronda - Miletto chez François André)

giovedì 24 dicembre 2009

Un ciliegio grande e bello




Pausa natalizia anche per il blog, il cui autore sarà impegnato a partire da oggi pomeriggio e per due o tre giorni in una lunga sessione di brindisi, pranzi, cene, bevute e tutte quelle cose che rendono molto simpatico, anche per un laico fanatico come lui, il Natale.

Un saluto, anche se solo virtuale, a tutti quelli che con pazienza e tenacia leggono queste pagine, a quelli che mi scrivono, ai cari amici del cartello emiliano-piemontese, ai recenti incontri, a tutti quelli che incrociamo sulla strada dei tori, di là dalle Alpi.
E la solita preghierina a Babbo Natale per trovare, l'anno prossimo, tori che carichino, con bravura ed emozione.

Fate buone feste.

martedì 22 dicembre 2009

Aggiornamenti


Giornate e post di attualità e cronaca, questo comunque l'ultimo prima del tradizionale compendio dell'anno ormai concluso: nei prossimi giorni il nostro personale palmares del 2009 e la sintesi delle valutazioni di Toros su tori e toreri della stagione.

In ogni caso:

- Arles ha definito le ganaderias della sua prossima annata.
Otto corride di tori più cinque novilladas tra Pasqua e Riso, tra cui appunto Maria Luisa Dominguez y Perez de Vargas, comprese ben due corride concorso (!): una di tori spagnoli e una di allevamenti francesi.
Il programma sarà comunicato ufficialmente il 30 gennaio.

- Victorino Martin non farà combattere i suoi pupilli a Madrid, l'anno prossimo.
Decisione clamorosa e però rispettabile, non avendo il ganadero, a suo dire, almeno un lotto degno di Las Ventas a pascolare le erbe della sua tenuta.

- Nimes ha scelto: sarà ancora Simon Casas a gestire la sua arena.
Sembra che il confermato impresario voglia chiedere agli allevatori suoi abituali fornitori (il clan dei domecqisti) di fabbricare in laboratorio tori con 3, 4, addirittura 5 orecchie, per poter moltiplicare a dismisura i trofei.

- Pamplona e Siviglia hanno definito i ferri per il 2010.
Piatta piatta la proposta sivigliana (Palha a tenere alta la bandiera, e poi poca roba a parte la miurada di chiusura), più interessante la scelta di Pamplona con la conferma tra gli altri di Dolores Aguirre dopo la grande corsa di quest'anno.

- infine, il Partito Socialista ha deciso che chiederà il voto palese e voterà contro la ILP a Barcellona, quando questa tornerà all'esame del Parlamento.
Bravi, compagni.

(foto Ronda - Ceret 2009)

domenica 20 dicembre 2009

Adelante




Venerdì' il Parlamento della Catalogna ha dunque respinto gli emendamenti e le pregiudiziali alla ILP, che dunque proseguirà il uso normale iter e sarà dibattuta e votata nei prossimi mesi.

Reazioni entusiastiche dal mondo degli antitaurini, che arrivano a pensare di estendere l'iniziativa a tutta la Spagna, e meno entusiastiche dall'ambiente di toreri e allevatori.

In questi giorni le parole più lucide mi sono sembrate le parole di Antonio Lorca sul Pais, in un articolo già citato da Marco in un commento al post precedente:

Es el espectáculo el que está enfermo entre la desidia de todos sus protagonistas. No interesa a los políticos, acomplejados ante Europa y los grupos ecologistas; no interesa a los toreros, auténticos enemigos del toro bravo y encastado; no interesa a la Unión de Criadores de Toros de Lidia, que ha permitido la desnaturalización del elemento fundamental del espectáculo... Si el problema es que la fiesta de los toros no interesa a nadie... Si el problema es que todos los que de ella viven han permitido que la decadencia se haya instalado en su seno con grave peligro de que la enfermedad sea irreversible. Si el problema es que parece que todo el que se acerca al negocio taurino lo hace con el único objetivo de ganar dinero rápido...

El enemigo está en casa; son los taurinos los que se sirven de la fiesta para sus intereses. Ellos, con la colaboración necesaria de las autoridades, son los culpables de que un animal fiero y poderoso sea hoy una masa informe y moribunda que rueda por los suelos. Ellos son los responsables de que el aficionado huya de las plazas, cansado de tanto fraude y aburrimiento.

Ojalá la ILP catalana sirviera de revulsivo para afrontar los problemas de la fiesta. Pero no será así. Gane o pierda la propuesta, la fiesta seguirá desangrándose
.

In sintesi, il nemico non sono gli abolizionisti, il nemico sono gli affaristi della corrida che si servono della fiesta per i propri interessi, sono i toreri che pretendono tori diminuiti e senza casta, sono quegli allevatori complici che si sono piegati alle logiche predominanti e selezionano animali vuoti, senza forza, senza bravura.
Senza il toro, senza un toro integro e selvaggio, la corrida non ha più senso.

(foto Ronda - drappo catalano all'arena di Ceret)

venerdì 18 dicembre 2009

Catalogna, oggi o mai più?


Si vota oggi al Parlamento della Regione Autonoma di Catalogna l'Iniziativa Popolare di Legge finalizzata all'abolizione della corrida sul territorio.
L'azione degli antitaurini è clamorosa e oggettivamente ben condotta, sono centinaia di migliaia le firme raccolte e depositate a supporto dell'iniziativa.

Le posizioni si accavallano e le interpretazioni si diversificano.
Chi dice che il voto di oggi è decisivo per il prossimo futuro e per l'esistenza stessa della fiesta, essendo per storia la Catalogna l'avanguardia politica e sociale della Spagna: quello che succede lì prima o poi succede da altre parti.
Chi dice che la tauromachia in quella regione è agonizzante da tempo, in stato di coma ormai irreversibile, e che questa azione degli abolizionisti non fa che ratificare una realtà sotto gli occhi di tutti.
Chi dice che a Madrid, Siviglia, nelle città del nord o nei paesini del sud la tauromachia è talmente radicata che nemmeno un voto favorevole all'ILP potrebbe mettere a rischio la sua sopravvivenza.

Il portale Burladero (*) sta dando una copertura completa alla vicenda, stamattina il suo canale video ha pure la diretta dal Parlamento.
Più interessanti a mio modo di vedere sono però la lettura di questo articolo de El Pais, un'analisi lucida e puntuale, e anche di questo scritto di Zumbiehl pubblicato da ABC.

(foto Ronda - a Ceret sono catalani e lo fanno sapere anche all'arena)

mercoledì 16 dicembre 2009

Sulle linee




Toreare è questione di linee.
Due linee.
Una verticale, una orizzontale.
Il torero dritto, fermo tronco, obelisco nella sabbia, verticale.
Ordinato.
Ordinata.
Il toro disteso, corsa elastica, corsa su binari a terra.
Corsa orizzontale.
Ascissa.
Toreare è fatto di due linee.
Latitudo, longitudo.
Toreare, due linee.
Verticale, orizzontale.
X, Y.
Cartesiano.

(foto Ronda - San Sebastian 2008)

lunedì 14 dicembre 2009

Cose dal week-end


Impegnativo fine settimana emiliano-piemontese, con sfumature laziali e lombarde: i tanti impegni conviviali, letterari ed enogastronomici hanno allegerito l'anima e appesantito il corpo, e sostanzialmente ritardato l'aggiornamento del blog.
Ce la caviamo con un piccolo riassunto di quanto successo, nel mondo taurino e non, in questi giorni.

Per i tori di Arles 2010 si parla di Garcigrande e Daniel Ruiz , di Miura e soprattutto di Maria Luisa Dominguez y Perez de Vargas (un tale Clavel Blanco l'unico esemplare che la divisa aveva combattuto quest'anno).
Ana Romero pure sarà in corrida ad Arles, non si sa ancora se a Pasqua o a settembre; e sembra infine che l'impresa, una volta incasellate nel calendario l'alternativa di Marco Leal e la presenza del neodiplomato Roman Perez, stia preparando una sorpresa per la domenica.
Sembra non sia esclusa nemmeno una corrida mattutina: il programma ufficiale il 30 gennaio, ma già qualche giorno prima potremo sapere di che morte morire.

Per quanto ne é di Vic Fezenzac, la commissione sta lavorando ad una feria ancora e rigorosamente sotto il segno del toro. Ai due ferri vincitori della concorso dell'anno scorso dovrebbe essere assicurata la vetrina di una corrida completa, mentre la nuova concorso dovrebbe avere una composizione originale, con Moreno Silva e Alcurrucen tra gli altri.

José Tomas non toreerà a Siviglia.
Soldi, televisione, compagni di cartello immaginiamo siano le solite menate: restano dunque Madrid e Bilbao tra le arene di primissima categoria dove il Messia dovrebbe apparire nel nuovo anno.
Resta anche il problema dei tanti lotti di Nunez del Cuvillo (10?) che lo staff di Tomas ha prenotato, che in un modo o nell'altri andranno smaltiti e piazzati in qualche plaza de toros francese o spagnola.

Miura come da ormai parecchio tempo conferma anche per l'anno venturo l'ottimo rapporto con l'aficion e le imprese francesi, portando di là dai Pirenei il grosso della sua produzione: Arles, Nimes, Bayonne, Beziers e Mont de Marsan fra le nove corride di cui dispone la casa, alle quali si aggiungono quelle nei tradizionali feudi di Siviglia e Pamplona e un paio ancora da destinare.

Il cocido madrileno infine è un piatto di caratura mondiale: la sontuosa versione piemontese, innaffiata da vini italiani e non di bontà inaudita, ha reso quella di ieri una domenica para el recuedo, in compagnia di amici vecchi e nuovi.

(disegno di Loky)

giovedì 10 dicembre 2009

Non c'è spettacolo dove si muore

Queste stesse parole qua sotto già compaiono nei commenti all'articolo su Hemingway di un paio di giorni fa.
Non conosco l'autore, chissà un giorno forse ci incroceremo sulla strada dei tori, o magari no: ma mi pareva ingiusto lasciare confinata là in fondo, a nota di un pezzo tra i tanti, questa spontanea e inaspettata poesia.
A voi.




“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Tanto negli anni ottanta prima o poi si va in Spagna. Età da scuola media e via coi genitori. Forse Barcellona, non ricordo; ma comunque la corrida perché tanto ormai ci siamo.
Dio mio. La prima fu lacrime e sangue, fu tanta rabbia e speriamo che lo incorni; ché non si capisce perché si debba ammazzare una povera bestia in questo modo. D’altra parte vaglielo a spiegare te ad un pischelletto. Italiano.
E poi ‘sta Spagna: sporco, slot-machine e un toro pisciasangue. Questa la primera vez. Chi l’avrebbe mai detto.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
C’è poi che il tempo passa, lontano, e ti ritrovi col ‘Vecchio e il mare’, uno di quei libri che dopo l’autore lo chiami per nome, mica più per cognome. Mi è sempre rimasto dentro, quel vecchio che sognava i leoni. E allora sì che ti vien voglia d’andare: ‘Fiesta’, ‘Addio alle armi’ e i ‘Quarantanove racconti’. Che poi tanto un giorno arriva ‘Morte nel pomeriggio’, e lì finalmente ci si guarda negli occhi.
Un romanzo-trattato-manuale pesante, tecnico e lungo. E bellissimo, affascinante e sorprendente. Che ti svela e t’innamora. Porcaputtana Ernest, prima o poi ci torno in Spagna.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Quest’anno, dopo tanto, c’ero anch’io alla Maestranza di Siviglia, il 27 di settembre. Terza corrida vista davvero e tre volte in Spagna nel duemilanove. Ma la prima con una faena come quella del Luque. Non capisci, finché non la vedi. Anche i miei amici, tutti profani, a peliritti e boccaperta.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Ogni giorno nei mercati ittici di tutto il mondo si ripete questa frase perché ogni giorno milioni di persone mangiano pesce; che rimane impigliato una nottata nelle reti e poi crepa di lenta asfissia il giorno dopo tra ghiaccio e polistirolo. Ma nessuno si lamenta.
Eppure si mangia anche il toro, e soffre infinitamente di meno.
E allora? O qui qualcosa mi sfugge, oppure siamo tutti spagnoli. Perché io preferirei nascere toro piuttosto che pollo Amadori.
Ho 34 anni, non son vegetariano e non biasimo la caccia. Però non ci vado allo zoo, non faccio la pesca sportiva perché o è ‘pesca’ o è ‘sport’, e un siberian husky non lo comprerei mai, perché abito vicino a Firenze, mica a Capo Nord. Ma mi piace tanto la corrida, perché c’è dentro un senso profondo di vita e di morte, di coraggio e di paura, di uomo e di bestia. E fatela finita di chiamarla ‘spettacolo’, perché non c’è spettacolo dove si muore.

(foto Ronda - Arles 26.03.05; mi scuserà l'autore di questo pezzo, l'immagine è oggettivamente terribile. Ma è presa alla prima corrida a cui abbiamo assistito, e mi sembrava l'accostamento migliore alle sue parole: da allora di strada ne è stata fatta, tanto nell'aficion quanto nella fotografia...)

martedì 8 dicembre 2009

Il momento della verità


Il Morandini ne parla così: "Francesco Rosi scopre la Spagna, un sud più a sud della Sicilia. La prima parte, cronistica e polemica, è eccellente: qualche sospetto di calligrafismo nella seconda con il rituale ripetuto delle corride e la mancanza di un vero conflitto drammatico".
Tre stellette su cinque.

Da molti salutato e ancora oggi indicato come il miglior film sulla corrida mai girato, curiosamente opera di un regista italiano, Il momento della verità è effettivamente una pellicola che merita una visione.
Sempre in bilico tra approccio documentaristico e musicarello (*), il film ha più di una chiave di lettura: se da un lato è una dimensione quasi scientifica a emergere, Rosi facendo come un'operazione di studio in forma di film sulla corrida, dall'altro la narrazione si addentra nella ricerca di riscatto sociale di Miguelin, che diventa torero per sfuggire le miserie e il duro lavoro della campagna andalusa.

Il momento della verità funziona soprattutto quando fotografa, con precisione e disincanto, le dinamiche meno conosciute che stanno dietro alla corrida: il vischioso rapporto tra il torero e il suo manager ad esempio è dipinto con pochi ma efficaci colpi di pennello, e con tanta lucidità da diventare potenziale paradigma del genere.

A latere, non si può non notare come siano cambiati i costumi, quelli cinematografici compresi: facciamo fatica a immaginare un film sulla corrida che, oggi, ritragga con altrettanza franchezza ed obiettività anche i momenti più pulp della tauromachia.
Nel film di Rosi la messa a morte del toro è ripresa più volte, si indugia sul primo piano dell'animale trafitto e agonizzante, il sangue è elemento essenziale nella narrazione.
Sfidiamo un qualsiasi regista dei nostri giorni a portare su pellicola le stesse immagini senza essere crocifisso.

Il momento della verità è in ogni caso un bel film, con qualche goccia di neoralismo che ancora gli scorre nelle vene, e capace di maneggiare con profondità e attenzione un tema così sfaccettato e di difficile trattazione come quello della corrida.
Visione obbligata per ogni aficionado, naturalmente.

domenica 6 dicembre 2009

Hemingway e la corrida




E' curioso constatare come i libri di Hemingway, oggettivamente tra i pochissimi disponibili in italiano su corrida e tori, costituiscano per aficionados o aspiranti tali del nostro paese un passaggio ineludibile nel percorso di avvicinamento e conoscenza della tauromachia.
Anche e spesso, tappe fondamentali per capire da che parte si sta, e verso quale futuro si va: i libri del Papa possono suscitare timida curiosità, confermare che la corrida non è cosa per sè, o magari incuriosire, intrigare, svelare.
Altre volte però Morte nel pomeriggio, con il suo incedere rigoroso e accademico, o Un'estate pericolosa con le sue fascinazioni e le sue romanticherie, sono la scintilla che definitivamente dà fuoco ad una passione esplosiva, che era lì sopita ad aspettare solo che qualcuno la facesse deflagrare.

Al ruolo della corrida negli scritti di Hemingway ha dedicato un breve saggio il nostro Matteo Nucci: lo si trova a questo indirizzo, e il consiglio è quello di scaricarlo e inserirlo nelle cose da leggere durante le imminenti e benedette feste.

"Hemingway scrisse sempre di corride. Dall’inizio alla fine della propria attività di
scrittura, dai tempi in cui ancora era un semplice giornalista inviato a Parigi, fino a
quando, malato, depresso, stanco, deluso, non riusciva più nella sua celebre arte del
tagliare quanto scriveva e invece di buttar giù un breve articolo per Life sulle corride
spagnole dell’estate 1959, si perse in lunghissime analisi della sfida fra due grandi
toreri che aveva seguito con l’ultimo entusiasmo (dalle 10000 parole richieste,
Hemingway arrivò a scriverne 120000 – tagliate poi, soprattutto dai curatori, fino alle
50000 del libro).
Una studiosa italiana, una critica letteraria che a Hemingway
sarebbe molto piaciuta perché leggeva cose complesse con occhi semplici per
scriverne nella maniera più facile possibile, una donna che si è dedicata alla
letteratura russa, Laura Boschian, quando parlava di Hemingway, per spiegare il
motivo per cui non ne fosse proprio completamente sedotta, ripeteva: «troppi tori,
troppi tori».
Effettivamente è incredibile quanto la corrida abbia rappresentato il
luogo par excellence per Hemingway, probabilmente anche più della caccia o della
guerra.
Nei primi articoli del giovane inviato, nel primo indimenticabile, inarrivabile
romanzo Fiesta, in moltissimi degli straordinari racconti (come L’invitto, Storia
banale, La madre di una checca, La capitale del mondo), in Per chi suona la
campana, ovviamente in Morte nel Pomeriggio, fino appunto al postumo Un’estate
pericolosa, pubblicato con tagli operati da sua moglie e dal suo più vicino ultimo
amico Hotchner, l’autore di una delle più belle e più drammatiche biografie di
Hemingway.
Insomma, la corrida, i toreri, i tori, sono ovunque in Hemingway dal
1922 al 1960. Per questo, riflettendo sul grande scrittore, è necessario parlarne. Il
problema più importante però è certamente un altro. Ossia, perché le corride, i
matadores, i tori e l’arena rappresentano per Hemingway il luogo."

- da La tauromachia in Hemingway, di Matteo Nucci -

mercoledì 2 dicembre 2009

Gli animalisti vogliono l'estinzione degli animali


Per quanto mi riguarda l'animalismo è una nevrosi metropolitana del ventunesimo secolo.
Non ci fossero la paura degli immigrati e il risibile tema della sicurezza, che qua in terre padane va per la maggiore, direi la nevrosi metropolitana del ventunesimo secolo.
Per quel che mi è dato di sapere, dopo 36 anni passati a frequentare l'appennino e i suoi abitanti, con quattro nonni su quattro che provenivano dalla provincia, in campagna l'animalismo rimane una bizzarra affezione dei cittadini.
In campagna l'animalismo è un problema che non ci si pone.
In campagna, dove il rapporto tra l'uomo e l'animale è trasparente, equilibrato e giusto, l'animalismo fa ridere, è una perdita di tempo, è una stravaganza.

Ma non divaghiamo.
Il punto è che oggi ci sono solo gli ecologisti urbani, tutti tesi a difendere una natura più immaginaria che reale, che riescono nella funambolica sintesi tra antitaurinismo e ecologismo.
Se c'è un dominio attorno a cui l'ecologismo dovrebbe erigere bastioni e strenuamente battersi per la sua difesa, questo è proprio quello della tauromachia.
Antitaurinismo ed ecologia non vanno d'accordo, anzi: stanno agli opposti.
Paradosso?
No, tutt'altro.

Quali altri animali che gravitano nell'orbita dell'uomo possono vantare una vita così rispettata, serena e ricca, come i tori da combattimento?
Quattro anni a pascolare in tenute che sono meraviglie naturali, oggetto di cure premurose, di un amore che ha pochi pari, di culto finanche.
E gli ultimi venti minuti della vita passati a fare quello che è, nel dna, il segmento più puro: combattere.
Quali altri spazi che l'uomo consacra e dedica agli animali sono tanto preziosi, floridi, ricchi e sani come gli allevamenti dei tori?
Paradisi di bellezza che esistono solo nei paesi taurini, le ganaderias di tori da corrida (450.000 ettari nella sola Spagna!) sono oasi ambientali, manifesti dell'ecologia, dove il verde è verde e gli animali sono animali e non giocattoli o passatempi urbani; ecosistemi rari e complessi dove la natura è principessa e regina, dove il re è il toro e dove i sudditi sono una fauna e una flora vive, sane, salve.

Qui, quattro, cinque anni da re.

E',questa, giustificazione sufficiente per l'uccisione del toro in corrida?
No, evidentemente no.
C'è dell'altro e lo sappiamo.

Ma temiamo che chi grida tortura, vergogna, basta!, chi si dedica a pagliacciate fuori dalle arene o chi nega a priori nelle cene fra amici, non sia consapevole delle conseguenze.
Domanda aperta agli animalisti e agli ecologisti delle città: vogliamo la soppressione della corrida?
Va bene, e sia.
Ma cosa ne facciamo di tutti quei toros bravos che nascono e vivono (bene) per quella?
Se chiudiamo con la corrida nessuno, nessuno, continuerà a prendersi cura dei toros bravos: troppo pericoloso e quindi costoso allevarli per la carne.
Metterli in una riserva? Perfetto.
Finanziata da chi, dallo Stato? Faccio fatica a crederci.
450.000 ettari di riserva? Faccio ancora più fatica.
E quale casta o linea di sangue ci mettiamo? Le altre dove vanno a finire?

Chiudiamo con la corrida per evitare ai tori di morire nell'arena.
Grandi.
Se chiudiamo con la corrida non solo non evitiamo la morte degli individui, che sarebbero immediatamente destinati, tutti e indistintamente, al mattatoio.
Ma otteniamo il capolavoro strategico di estinguere la specie, la morte collettiva della specie.
Se neghiamo e aboliamo la corrida sulla terra non esisteranno più tori selvaggi.

E voilà, teorema dimostrato.
Gli animalisti (che sbraitano contro la corrida) vogliono l'estinzione degli animali.

(foto Ronda - chez Riboulet, a pochi km da Arles)

domenica 29 novembre 2009

Toreria




Sabato 11 luglio duemilanove, ai piedi dei Pirenei.
Ceret.
In quarta posizione esce Avelar, negro mulato bragado di Coimbra.
Ha portato dal Portogallo a qua i suo 520 chili di muscoli: in allegato, una testa spaventosa.
Due corna enormi.
Tanta legna da scaldare una casa per l'inverno intero.
Due pali aperti, due sciabole protese al cielo, due obelischi.
Quando il corno destro prenderà il cavallo, le quattro zampe a terra Avelar solleverà quel bastione con la sola forza del collo: l'altro corno a scacciar mosche, ne basta uno.
Entra Avelar, e Ceret applaude.
Due corna da paura.

Lo aspetta Frascuelo, un signore di sessanta e più anni, vestito d'oro, una faccia da torero come pochi.
Apre la capa, la spiega, lo provoca.
520 chili di bravura e due corna terrificanti sulla testa diventano per miracolo una nullità, uno scherzo, un fantoccio con cui giocare.
Cinque veroniche rotonde, d'autorità, maestose.
Un toro d'altri tempi per cinque veroniche d'altri tempi, maiuscole e magnetiche.
Avelar soccombe, le insegue senza averle, ogni volta schiumante di rabbia.
Frascuelo non si scompone, canalizza con la sua capa sicura quel torrente di forza bruta, il suo panno è un argine invalicabile.
Il toro non cede, si gira e torna dentro quella stoffa rosa, e ad ogni volta la terra trema.
Ma quelle cinque veroniche sono talmente pure, ferme e imperiose che Avelar nulla può.
Toreria.
Un gusto di toreria autentica e dimenticata invade l'arena di Ceret.
Cinque veroniche maestose e poi chiude una chicuelina: Avelar ora si ferma.

Sabato 11 luglio duemilanove, a Ceret Frascuelo e i tori di Coimbra.

(Frascuelo e Avelar, agli ultimi istanti - foto di Christophe Moratello)

giovedì 26 novembre 2009

Belmonte e il terreno del toro

MIURA

Belmonte annientò le leggi scritte e non scritte della tauromachia.
La fondamentale di queste leggi è, come si disse a suo tempo, quella che riguarda i terreni del toro e del torero quando sono di fronte e che, in un certo senso, stabilisce la linea immaginaria oltre la quale l'uomo non può spingersi.
La storia della tauromachia altro non è che la secolare lotta dei toreri per guadagnare un centimetro, un millimetro, una micrometrica distanza sul terreno del toro.
E' una corsa sorda, affannosa verso il toro, come verso un frutto sublime o proibito.
Per sentire un toro passare il più vicino possibile sono morti uomini spagnolo a centinaia.
Le stesse rivalità fra toreri non furono che gare d'audacia verso il terreno vietato e si risolsero sempre in favore di chi, magari lasciandoci la pelle, si spinse più avanti.

Belmonte fu il primo a violare la legge dei terreni che era, per generale credenza, una legge geometrica.
Il che, in tauromachia, significa qualcosa come non ammettere che la somma dei quadrati costruiti sui cateti è eguale al quadrato costriuto sull'ipotenusa.
Nella lotta fra l'uomo e il toro Belmonte, ribellandosi ad ogni limite, si buttò dall'altra parte; valicò il confine verso un mondo inesplorato e favoloso, popolato di morti e di leggende nere.
Fu l'Ulisse della tauromachia. Arrivato dall'altra parte, trovò in realtà i mostri ed i morti (Espartero stava in prima fila) e trovò che la lotta per la vita era tanto dura, serrata e tremenda che forse gli sarebbe piaciuto tornare indietro.
E sarebbe forse tornato, se avesse potuto, se avesse materialmente potuto rivalicare l'abisso.
Ma non s'è detto tante volte che Belmonte, poverino, era un rospetto, un ranocchio, un passerotto caduto prematuramente dal nido?
Non s'è sempre parlato delle gambette di Belmonte, delle sue braccine, delle sue spallucce sulle quali il collo spuntava come un esile stelo?
Bé; oltre all'eccezionale tempra del cuore fu per colpa della sua sciagurata fattura se Belmonte non tornò indietro.
Rimase dall'altra parte durante vent'anni, prima solo, poi con Joselito, a lottare con la morte e con la gloria.
E un giorno era la morte che sembrava avere il sopravvento (Belmonte ha sofferto un numero imprecisato di ferite gravissime e fino a quindici incidenti di sangue in una sola corrida) e un altro giorno era la gloria.
I vent'anni in cui Belmonte e Joselit rimasero al di là dell'abisso fatale corrispondono ai vent'anni di maggiore splendore che la tauromachia abbia conosciuto ed al periodo di più intensa esaltazione popolare.

- brano liberamente tratto da Volapié di Max David, ed. Bietti -



(foto Ronda - Lescarret e un Miura, Arles 2009)

martedì 24 novembre 2009

Lamento invernale

MONTERA Y CAPOTE



L'aficionado non vive come gli altri.
L'aficionado ha una vita a metà.
Metà vita, metà esistenza.

Da marzo a ottobre le membra si rianimano, il volto riprende colore, il sangue torna a scorrere.
Da marzo a ottobre l'aficionado ritrova il suo corpo, vibra nei muscoli, tende i nervi, gli occhi di nuovo vedono.
Da marzo a ottobre l'aficionado è fisicità, dolore pungente, lacrime salate, i sensi vivi e stressati, l'emozione si fa materiale.

Ma da novembre a marzo, l'aficionado non vive.
Non muore, nemmeno.
Ma non vive, non è vita la sua.
Sopravvive.
Aspetta.
Da novembre a marzo l'aficionado si nutre di ricordi, si imbeve di illusioni, respira speranze.
Sopravvive per tornare a vivere.
Da novembre a marzo sfogliare gli album di foto è linfa vitale, leggere qualche rivista è aria per i polmoni, condividere la mesta condizione con altri sofferenti è consolatorio alimento per l'organismo.
Da novembre a marzo l'aficionado è solo pensiero, ricordi e sogni, solo anima che pena per attraversare il presente.
Da novembre a marzo l'aficionado è crisalide che attende, ogni anno, di schiudersi alla vita.

Da novembre a marzo l'aficionado sopravvive.
Mesi lunghi e nebbiosi.

Poi un profumo pungente ed eccitante nell'aria, un giorno qualsiasi, improvviso.
I primi tori.
L'aficionado rinasce, e per sei mesi vivrà.

(foto Ronda - Istres, giugno 2009)

venerdì 20 novembre 2009

Michelito mi fa pena




La storia la conosciamo: Michel Lagravere, 11 anni in arte Michelito, è il nuovo e clamoroso enfant prodige della tauromachia.
Ha debuttato pochi giorni fa in novillada con cavalli, per inciso prendendo una sonora scoppola dal suo primo opponente: infermeria e corrida finita prima del previsto.
A metà tra precoce genio e svergognata operazione commerciale, l'eco dell'affaire Michelito è arrivato da tempo pure in Europa: per ora però il bimbetto si esibisce solo quasi esclusivamente in Messico, dove le leggi del paese gli permettono di uccidere tori in pubblico pur alla sua tenera età.

Ora lungi da me appiattirmi su un conservatore moralismo da provincia: ma quello che non mi torna è il viso di Michelito.
La sua faccia.
La sua faccina rotonda, le gote belle piene, gli occhi vispi e affamati di conoscere il mondo e la vita.
Lineamenti ancora da farsi, pinguitudini prepuberali, una bella boccuccia.
Insomma la faccia di un bambino di undici anni.

Undici anni.
A undici anni non conoscevo ancora i piaceri dell'autoerotismo, i cartoni animati e i fumetti erano la compagnia del pomeriggio, le ragazzine le allontanavamo erché volevamo giocare a pallone: e a undici anni se non giochi a pallone sei inutile.
Anche se non hai figurine da scambiare, sei inutile.

Ammazzare un toro di 400 chili, a undici anni, è attività incongrua.

Certo, sulla questione ci si divide: l'infanzia negata è l'argomento che usano i detrattori, il genio non ha età risponde chi invece non pone limiti all'espressione dell'uomo.
Ed è pur vero che Mozart si era messo dietro da piccolo, a suonare e scrivere: e per fortuna.
La storia dell'uomo è costellata di geni precoci, che hanno fatto quella stessa storia, l'hanno cambiata, riorientata, disegnata.
Tra le eccellenze dell'esperienza umana ci sono anche quei bambini con doti divine.

Ma Michelito no, per favore.
Un novillo è una cosa pericolosa, grossa, con le corna: pur con tutta la predisposizione, l'innata dote, l'ispirazione precoce...ma non è affare per undicenni.
Mi vengono in mente i Sanchez Fabres di Ceret, quest'anno: elefanti neri, mastodonti con le corna, che superavano di gran lunga i 500, di kg.
Michelito a dire poco ci camminava sotto, in piedi, senza chinarsi.

E poi un novillero, pur se baby, deve essere torero: deve sfidare la selvaggia brutalità della bestia e venirne a capo, vincere la morte, comandare i subalterni.
Gli aficionados che conosco vanno a vedere un uomo, o un giovane uomo, sfidare un toro.
Non un bambino paffuto piroettare goffamente attorno a un animale sproporzionato.

Le foto di Michelito mi danno un senso di pena, niente da fare.

(foto presa dalla rete)

lunedì 16 novembre 2009

Sono comuni le cose degli amici


Rullino i tamburi, squillino le trombe.

Per quel poco che vale, Alle5dellasera si fa megafono di questa mirabolante notizia: a giorni, precisamente il 19 novembre, esce per Ponte alle Grazie Sono comuni le cose degli amici.
Il primo romanzo dell'amico Matteo Nucci, che su questo blog ha già avuto i suoi bei momenti di celebrità grazie al famigerato articolo su Idilico pubblicato dal Venerdì (*).
Di questo esordio parla lui stesso in questa intervista.

Il Nucci, già testato de visu in occasione di una scoppiettante feria del Riso ad Arles, è dei nostri: appassionato ai tori, sedotto dal fascino femminile e sempre pronto alla convivialità, amante della buona cucina con un debole per quella tradizionale delle trattorie autentiche, è lettore affezionato delle nostre pagine e questo fa di lui una persona molto migliore delle altre.



Sono comuni le cose degli amici
è un bel titolo, siamo sicuri che sarà anche un bel romanzo.
Per chi si trovasse in zona, il 24 novembre andrà in scena la presentazione del libro all'atelier ESC a Roma: letture di Maya Sansa ed Elio Germano.

Da leggere.

venerdì 13 novembre 2009

Cifre




E' sempre interessante conoscere le cifre della tauromachia.
Intendo gli euro, i soldi, i cachet, le buste.
Abituati a calciatori che spiattellano onorari milionari, anchormen che litigano sugli zeri, sapere quanti soldi si mette in tasca chi si prende la briga di combattere e uccidere un toro in pubblico è spesso rivelatore.

La municipalità di Beaucaire, nella cui arena si tiene a fine luglio una feria di impronta decisamente torista, ha reso pubblici un pò di numeri rispetto all'attività 2009: un week-end con due corride e una novillada.

La corrida di Victorino Martin è costata 77.000 euro: siamo intorno 12 mila euro a capo.
Una Fiat Punto costa meno.
Mica male, considerando che Beaucaire nelle strategie della ganaderia non sarà probabilmente l'arena di punta e che qui don Victorino non invia certo i suoi gioielli più preziosi.
150 milioni delle vecchie lire, in ogni caso, per un lotto dei suoi tori in una piccola arena del sud francese.

Ai toreri è toccato dunque adeguarsi: la fonte è un articolo del Midi Libre.
Al sabato era prevista la corrida di Palha: sul sito della feria si possono vedere le foto dei tori selezionati per quella corsa.
E il primo pensiero è che non siano esattamente teneri animali da compagnia.
Bene, per affrontare questi Palha a Padilla sono stati riconosciuti 15 mila euro, a Mehdi Savalli 10 mila e a Lescarret 9 mila.
Considerando che queste cifre sono al lordo delle spese che il torero comunque deve affrontare, per pagare la cuadrilla, il manager, l'hotel, il viaggio e tutto il resto...probabilmente Totti per dare un singolo calcio ad un pallone la domenica si intasca di più.
Un pò meglio è andata ai due protagonisti del mano a mano domenicale di fronte ai Victorino: per El Fundi un cachet di 43 mila euro, per Sergio Aguilar 20 mila.

Certo il detto si hay toros no hay toreros vale anche sul piano economico.
Victorino e Palha sono due ferri cari, ed una arena delle dimensioni di Beaucaire immagino non abbia risorse infinite: speso da una parte, c'era da economizzare dall'altra.

Cambiamo registro.
Abituato a cifre con uno zero in più, il nostro caro Messia José Tomas ha invece appena raggiunto l'accordo per il suo ritorno a Bilbao, previsto per il 23 maggio del 2010.
Corrida di Nunez del Cuvillo, ossia tori con qualche traccia di casta in meno nel sangue di quelli di Beaucaire, onorario di 300.000 euro.
Trecento mila.
Mica male.
Ma si legge sui portali di oggi, una volta pagate le spese José Tomas devolverà tutto il rimanente (che a questo punto non dev'essere poco) in beneficienza alla Casa de la Misericordia di Bilbao.

(disegno di Loky)

martedì 10 novembre 2009

La corrida del secolo




Pobreton, Playero, Mosquetero, Director, Gastoso, Carcelero.

Era il 1982.
L'anno che incise nella nostra memoria un altro imperituro e leggendario rosario.
Zoff, Gentile, Cabrini.
Sfido chiunque a non riuscire ad arrivare, senza il minimo sforzo, fino all'undicesimo dell'Italia campione.

Pobreton, Playero, Mosquetero, Director, Gastoso, Carcelero.
Questa invece è la squadra dei sogni dell'aficionado.

Era proprio il 1982.
Il primo giugno.
Dicono che l'allora ministro della Cultura spagnolo, Soledad Becerril, il giorno dopo si recò in visita alla nazionale di calcio, nel ritiro non lontano da Valencia.
Giorni di lavoro duro.
Il ministro chiese se servisse qualcosa.
I giocatori, Juanito e Gordillo in testa, risposero che si desse da fare per ridare in televisione la corrida di Victorino a Madrid: l'avevano persa, c'era allenamento.
Volevano vederla anche loro.
La corrida, unica nella storia della televisione, fu trasmessa tre volte di seguito.

Primo giugno 1982, corrida di Victorino Martin a Las Ventas: Ruiz Miguel, Esplà e Palomar.
Dicono che Victorino, seduto sulle gradinate, dalla tensione non fu capace di scartare la caramella che teneva in mano, e si mise in bocca confetto e involucro.
Si capisce.
Se prendiamo per buono il teorema, elaborato in questo preciso istante, che in video la corrida perde un buon ottanta per cento della sua carica emotiva, della sua elettricità, del coinvolgimento di cui è capace...bene, a stare alla tensione che seduti sul divano, ormai trent'anni dopo, quella corsa trasmette a chi la vede in video...quel giorno all'arena dev'essere stata una prova dura per le coronarie di ognuno dei presenti.

La corrida del secolo, dicono.
E' l'appellativo con cui è passata alla storia.
Se ne era letto distrattamente su qualche sito qua e là, con ogni volta qualche perplessità: troppo roboante la definizione, esagerata, presuntuosa.
Un epitaffio per tutte le altre.
Invece niente da fare, è la celebrazione giusta.

Una serata uggiosa di autunno inoltrato, il dvd scivola nel lettore e la visione della corrida del secolo ha inizio.
Già al primo toro è tutto chiaro: difficile star fermi sul divano, impossibile non farsi travolgere da quel fiume di casta, impensabile non farsi rapire da quel tornado di emozione, eccitazione, passione, sofferenza, vita e morte.

Pobreton, Playero, Mosquetero, Director, Gastoso, Carcelero.
Sei tori di Victorino per la storia, una corrida di tori forti, che caricano ad ogni istante, maliziosi, potenti e selvaggi.
Sei furie capitate sulla sabbia di Madrid.
Sei animali nati per combattere sul serio, pronti a vendere cara la pelle, enormi per coraggio, ostinazione, intelligenza.
Sei monumenti alla bravura.

Di fronte a loro tre toreri.
Toreri.
Tre interpretazioni differenti del mestiere, ma accomunate dalla sincerità del gesto, dall'onestà nell'azione, dalla totale implicazione.
Ruiz Miguel un combattente, maschio, gladiatorio nella sfida mortale a Director: il momento più elettrizzante della corrida, commovente per cieca dedizione di questo e di quello, quasi che l'uomo e il toro avessero la stessa consapevolezza che la morte dell'uno era la vita dell'altro.
Esplà il più sfrontato, barocco, azzardato.
Al quinto toro tre paia di banderillas assolute, imperiali, definitive: dopo, non ci saranno che inadeguati cloni.
Tre paia di banderillas da rimanere a bocca aperta, da spellarsi le mani, da ridere nervosi o da piangere commossi.
E per spedire Gastoso, un recibiendo che ti fa saltare sulla poltrona, esplosivo, potente, assurdo.
Infine Palomar che riesce addirittura ad essere plastico e sinuoso, lento e profondo di fronte alla ruvida bravura di quei sei victorinos.
Puerta grande per tutti e tre.
Usciranno in trionfo in compagnia di Victorino e del mayoral.

Ventitremila anime che gridano torero! torero! a Ruiz Miguel nel catino di Las Ventas.
Esplà che fa un giro d'onore dopo le banderillas.
Palomar che dedica il sesto a moglie e figlia e poi crea arte ed eleganza plasmando la brutalità di quella materia viva.
La vuelta a Director, osannata.
Victorino Martin che viene chiamato in pista alla morte del quinto toro, per una vuelta clamorosa.
Il pubblico in delirio, ma veramente in delirio, gente che sulle gradinate si abbraccia e si sbraccia, grida o rimane muta, succhia sigarette e si tormenta le mani.
L'arena che è una polveriera.
E il commentatore che sembra il Tiziano Crudeli dei derby storici.

Tra le grandi cose dell'uomo, nel XX° secolo, la voce di Ella Fitzgerald e la conquista della luna, il gol di Maradona all'Inghliterra e il sogno di Martin Luther King, la scoperta della pennicillina e La danza di Matisse.
E poi c'è la corrida di Victorino Martin a Madrid, il primo giugno 1982, con Ruiz Miguel, Esplà e Palomar.

domenica 8 novembre 2009

Obbligato a morire

JOSE' IGNACIO RAMOS

La morte, Ostos la incrocia regolarmente in pista. Ciononostante, nessun aficionado può sostenere di averlo mai visto una sola volta girare la testa nel momento di passare, con la spada in mano, sopra le corna del toro.
Venticinque cornate, tre estreme unzioni.
Uno dei suoi apoderaros, José Ignacio Sanchez Mejìas, alias Uova Fritte da tante ne sbafava, aveva promesso un giorno di non mangiare più uova fritte se il suo torero fosse uscito indenne da una cornata a Siviglia.
Promessa da marinaio.

Ostos sentirà il crepitio della morte nella padella della vecchia arena di Tarazona, nell'alta Aragona, il 17 luglio 1963.
Il toro Nevado, di Ramos Matias, le cintura e lo apre in due a livello dell'ano come si abbate, con un colpo solo, un albero.
Safena e femorale squarciate.
Una fontana di sangue.
Il torero a cavallo Angel Peralta tenta invano di tappare il buco con il polso e un fazzoletto.
In dieci secondi ha perso tutto il suo sangue: torero rosso, morte bianca.
A colpi di siringa, perché non c'erano mezzi di trasfusione, gli vengono infilati 11 litri di sangue, presi dagli aficionados che aspettavano davanti all'infermeria.
Del sangue che subito esce dal buco della cornata.
Viene fatto aprire un negozio che vende piccole salviette.
L'autista del torero viene spedito a Tudela a prendere degli aghi per ricucirlo.
La macchina si ferma, in panne: carter esploso, come il suo basso ventre.
Per cinque ore, senza anestesia, i chirurghi trafficano nell'addome del torero, ridotto a uova strapazzate.
Poi scuotono la testa a significare l'impotenza, si levano lentamente i guanti, si asciugano la fronte in un gesto stanco, e lo danno per morto, come si dice.
La sua pressione è scesa a 2, firmano l'atto di decesso.
Ostos ce l'ha a casa, come ricordo.
Quattro giorni tra la vita e la morte: esplora l'aldilà, decide di tornare, si rimette.

Dei medici specialisti in chirurgia vascolare gli diranno un giorno che a Tarazona era obbligato a morire, per non ridicolizzare la medicina.

- tratto da Rafael le Chauve, di Jacques Durand -

(foto Ronda - José Ignacio Ramos, Istres 2009)

lunedì 2 novembre 2009

Ella es el matador




C'è sottotraccia un senso di tristezza latente, in Ella es matador: un'impressione di incompiuta che attraversa e segna tutto lo svolgersi della pellicola, un retrogusto di amara disillusione che né i colori sgargianti dei traje de luces né le progressioni cadenzate dei pasodobles riescono a mascherare.
I sorrisi tirati delle due protagoniste, le voci che man mano si fanno più sommesse e incerte, le corse nelle arene di infima categoria semivuote, l'intima consapevolezza di uno scostamento sempre più incolmabile tra sogno e realtà.

Il film, che le magie della rete rendono disponibile anche qua da noi, si prende la responsabilità di narrare senza finzioni il destino di due donne che ai tori, sacrilegio!, hanno deciso di dedicare la vita.
La storia è quella di cui avevamo già detto (*): Mari Paz Vega e la nostra Eva Florencia le due protagoniste, in un documentario che parla di loro, donne e torere, donne torere.

Allo spettatore le due non nascondono, in poco meno di un'oretta e con grande senso di dignità e disposizione, che il percorso intrapreso non è quello sperato e immaginato: il cammino è difficile, giorno per giorno c'è da sgomitare per ritagliarsi un angolino in un ambiente spesso ostile, e l'ascesa ricamata nei pensieri è diventata presto una inesorabile discesa verso compromessi, piccole soddisfazioni di retroguardia, ostinazioni sempre più inutili.

Non è male, Ella es matador.
E' un film che ha sentimento.

Parabole diverse, quelle di Mari Paz Vega e Eva Florencia: non solo tauromachicamente parlando, ma pure di vita.
Se la prima, malaguena ultima nata di una famiglia di banderilleros per necessità più che per scelta, pur tra mille fatiche ha trovato un suo posto nel plotone (l'anno scorso toreò alla Feria del Pilar di Saragozza, di fronte niente di meno che i Dolores Aguirre), la nostra compaesana ha una storia che varrebbe la pena raccontare con il giusto tempo.
Poco più che adolescente, Eva Bianchini viene folgorata dal mistero della corrida: scappa di casa, si installa in un paesino dell'Andausia, decide di diventare torera.
Da vedere l'espressione stranita e disorientata della madre, seduta sui gradini di un'arena in una regione così lontana non solo geograficamente dalla sua, mentre la figlia se la vede con un novillo.

Un mano a mano in forma di video, con Mari Paz e Eva che si alternano davanti alla camera: ora raccontando degli inizi, ora muleta in mano, ora confessando con gli occhi dritti nell'obiettivo quanto sia dura non solo riuscire ma anche provarci.

Notevoli per suggestione e poesia le immagini di chiusura, con Eva Florencia a toreare nuda alla luce pallida della luna: smessi gli abiti ormai negati da torero, spogliata anche fisicamente di ogni prototipo di uniforme e vincolo di ruolo, eccola con la passione e basta, il corpo suo e quello della vacchetta sotto i riflessi lattulei della luna, semplicemente toreando per sé.
Una bella sequenza, davvero, che chiude un film non imprescindibile ma a suo modo poetico e vero.

Se si può, da recuperare e dargli un'occhiata.


* qua il trailer da Youtube

sabato 31 ottobre 2009

Una foto (2)

TIENTA


Tienta da François André, era il sabato 20 giugno di quest'anno.
Bel pomeriggio.

(foto Ronda)

giovedì 29 ottobre 2009

Cartolina da Saragozza



Il toro Acelerado, n. 106 della ganaderia di Antonio Bañuleos, è stato senza dubbio miglior toro di una Feria del Pilar caratterizzata in generale dal fallimento di una programmazione mediocre voluta dalla impresa Taurodelta (che gestisce così male anche Las Ventas di Madrid ed altre plazas).
La curiosa storia di Acelerado, che inizialmente non era destinato a essere combattuto nè a Saragozza nè altrove, è a disposizione a questo link. Il suo matado, Antonio Ferrera, dopo averlo banderigliato con molta verità e molto rischio (stupendo il terzo paio al quiebro en tablas), con il solo difetto del caratteristico saltino, è stato poi come sempre frenetico con la muleta ed in definitiva non ha valorizzato lo stupendo toro e la sua casta.
La corrida di Banuelos, inaspettata e gradita sorpresa, l'unica degna per presentazione e dal comportamento vario ed interessante, veniva in sostituzione di quella prevista di Alcurrucen, rifiutata in blocco dai veterinari per mancanza di trapio.
Posto che Alcurrucen è una ganaderia ampia ed ha sicuramente nel campo tori a sufficienza per molte corride in arene di prima categoria, sempre che le si voglia pagare, si capisce che sotto sotto c'è stato qualcosa di poco chiaro.
Nei giorni precedenti, del resto, le corride commerciali che secondo l'impresa avrebbero dovuto costituire l'ossatura della Feria, avevano dato luogo a pomeriggi soporiferi e deprimenti, con tori codardi e deprimenti, e toreri svogliati.
Mentre una corrida di Garcigrande selezionata per El Juli e non approvata ha dovuto essere sostituita da un pout-pourri di tori raggranellato all'ultimo momento.
E le interessate polemiche contro la presidenza che cercando di mantenere un balrume di serietà no aveva concesso seconde orecchie facilone: insomma tutto in tono con il manifesto prescelto per questa edizione della Feria, un paio di corna gacho y broicho su un funereo fondo nero.
Noi siamo arrivati per la coda torista del ciclo, quest'anno ridotta ai minimi termini ed in cui le uniche soddisfazioni sono venute dall'outsider Banuelos, di cui ricordavamo mediocri corride per figuras ad Arles ma che, non essendoci stati stavolta toreri in grado di imporre le loro esigenze, ha tirato fuori il meglio. Si dice che la mattina del sorteggio ci fosse tensione tra le cuadrillas, dopo aver visto la presentazione dei tori nei recinti.
Dolores Aguirre, che quest'anno è fra i pochi ferri che ha brillato nelle altre piazze importanti, ha mandato a Saragozza un saldo di tori di cinque anni ma di poco peso e minor casta, segno evidente del poco prezzo a cui l'impresa li ha pagati.
Di quel pomeriggi si salva solo la faena al quarto, con la muleta piana, di un Fernando Robleno che festeggiava così il suo addio al celibato.
Dal canto suo Miura ha concluso la non eccelsa stagione 2009 in linea con la stessa mediocrità, solo l'ultimo toro aveva la presenza e la potenza che ci si aspetta da un Miura.
Davanti a loro il sempre valoroso Rafaelillo ha ancora una volta dimostrato coraggio ed abilità.
Insomma, nel centenario Coso della Misericordia si è visto poco: per fortuna il soggiorno a Saragozza è stato allietato come sempre dai dibattiti con gli amici aficionados, dalle abituali tapas, merende e cene, tra cui un aperitivo molto taurino con gli amici venuti da Arles, al Marpy (*), dalla visita alla stupenda mostra al Palacio de Sastago della collezione taurina di Enrique Asin (*), e da una inaspettata visita alla ganaderia di casta navarra La Rebomba di J.M Arnillas, su cui vale la pena scrivere a parte in un prossimo articolo.

(testo di Marco Coscia - foto di Laurent Larrieu, corrida di Miura a Saragozza)



lunedì 26 ottobre 2009

Ho visto Bastonito a Parigi

Per le imprevedibili e magiche connessioni di cui l'Internazionale dell'Aficion è capace, sabato sera eravamo a Parigi chez Alain Lagorce: pittore con i tori nel cuore.
In cima alla Belleville già così dolcemente cantata dalla poesia delle Triplettes o dalla riconoscenza di Pennac, poco lontani dalla terrazza del ventesimo dalla quale si gode una vista incantevole sulla città delle luci, siamo capitati in una casa colorata, con tante tele seducenti alle pareti, per una cena vissuta in un'atmosfera naturale e calorosa.

I quadri di Alain sui muri, l'amico radiofonico con noi a raccontare i suoi viaggi in Africa, le chiacchiere confortate dal vino della Corsica sono scivolate presto sui tori.
E sai, io ho avuto la fortuna di registrare la corrida di Bastonito.
Hai il video di Bastonito?
Sì.
Tiralo fuori.

La serata ha cambiato registro immediatamente.
Nella memoria avevamo l'eco di qualche articolo letto su Bastonito, qui e là, le cronache di quel confronto vero e rude tra il toro di Baltasar Iban e Cesar Rincon nel teatro dell'arena di Madrid, una storia che su blog e forum si ammanta spesso di nuances di epicità, uno di quei miti di cui vive il racconto della tauromachia.
Ma non avevamo mai visto niente, neanche un minutino su Youtube, quasi che di quel pomeriggio unico non rimanesse alcuna traccia, quasi che chi custodisce le immagini su vhs le conservasse geloso come il tesoro più prezioso.

Bene, chi può recuperi (è difficile, lo so) quel video: c'è l'essenza della corrida, semplicemente.
Un toro vivo, forte e instancabile, e un uomo capace di rendere carne e pensieri l'idea assoluta di torero.
Un'alchimia fortunata e rara che ha generato venti minuti di combattimento, di combattimento vero, palpitante, teso: un uomo e un toro che si sono giocati letteralmente la vita, cercando ad ogni istante di strappare all'altro la sua per non lasciare la propria su quella sabbia.
Bastonito era un toro incredibile, impossibile scalfire la sicurezza che aveva in sé, impossibile ridurne il morale, impossibile intaccarne la tenacia e i muscoli.
Due picche enormi, un'ariete contro quel cavallo, gli elementi della natura a spingere con lui.
Rincon quel giorno è stato un torero incredibile, deciso a lottare ad ogni passo, incapace di abdicare, nessun ricorso a trucchi e trucchetti, solo toreo de verdad.
Euclideo nel cercare inesorabilmente il mezzo esatto tra le corna, lì mettersi e pesare il più possibile sull'azione, per far deragliare quella locomotiva sbuffante e terribile lanciata a tutta velocità contro il suo petto.
Per un paio d'ore si era chiacchierato, a tavola, tra bicchieri di vino rosso, sigarette e bocconi di buon cibo: ora nella stanza c'era solo un silenzio nervoso, gli occhi incollati allo schermo.
Rincon sempre in mezzo, Bastonito subito addosso, carica perpetua, a mangiare la muleta, a cercare l'uomo che presto volerà per terra.
Ma si riprende, a destra, a sinistra, i battiti del cuore in accelerazione costante.

Fino alla stoccata decisiva, commovente per sincerità e abbandono di sè, il corpo catapultato verso le corna del toro.
Rincon a terra, la mano aperta grondante sangue, il vestito bianco ormai buono come costume di carnevale della Pimpa.
E Bastonito, Bastonito addosso a lui, sopra a quell'uomo a terra che ora cerca di difendersi da quella montagna di muscoli che lo schiaccia sulla sabbia, lo cerca con le corna, lo attacca ancora.
Fino a che Bastonito non muore, fulminato da quella spada che aveva nella schiena.
Riprendiamo fiato, il toro è trascinato nel suo giro d'onore, la gente in piedi e commossa applaude.
Ma non è finita.
Stacco, e la telecamera indugia sul volto di Rincon, in infermeria per farsi cucire la mano.
Lo sguardo è altrove, gli occhi spiritati, il viso pallido, il corpo che lievemente trema.
E' il ritratto di un uomo che ha conosciuto la morte e che ha avuto la forza per darle appuntamento ad un'altra volta.

Bastonito e Rincon, in una televisione di Parigi.

(foto di François Bruschet)

venerdì 23 ottobre 2009

Vernissage




Christophe Moratello, temporada finita anche per lui, ha messo online una galleria delle sue migliori foto dell'anno.

Inutile dire che caldeggiamo la visita.

(foto Christophe Moratello)

giovedì 22 ottobre 2009

Il Messia nelle cattedrali


Come già anticipato da qualche blog e dai portali specializzati, per il 2010 José Tomas annuncia l'intenzione di voler finalmente esibirsi in arene di categoria: Madrid, Siviglia, Bilbao soprattutto, e poi altre.

In un comunicato ufficiale, il Sindacato Autonomo dei Bagarini esprime piena soddisfazione.

(foto Ronda - Beziers 2006)

martedì 20 ottobre 2009

Le foto alle Regine

VACHES REINES

E' online una piccola galleria di foto sulle Reines di Aosta.

(foto Ronda - Croix Noire, 18 ottobre 09)

domenica 18 ottobre 2009

Autonomia unica via

VACHES REINES

All'arrivo il parcheggio è pieno, gente che schizza via da tutte le parti e si accoda disordinatamente nella direzione indicata dai pannelli.
A meno duecento metri ecco il profumo amico delle salsicce che sfrigolano sulla piastra, i primi baracchini che spillano birra, i primi crocchi di persone con panino fra i denti e bicchiere in mano.
Poi pian piano arriva il resto, le bancarelle con gadget e souvenir a tema, la banda che suona, la gente che si accalca, l'eccitazione conosciuta.
La fila al botteghino, per entrare.
L'arena è già piena: sette/ottomila persone installate sui gradini, le bottiglie di rosso saldamente in equilibrio in mezzo alle gambe, condannate a separarsi presto dal tappo.
Sulla pista settecento kg di muscoli neri, le due corna d'ordinanza protese al cielo.
Insomma tutto come al solito.
Sud della Francia, Paesi Baschi, Andalusia, Nimes-Jerez-Bayonne-Cenicientos?

No, Valle d'Aosta.
Arena Croix Noires, alle porte del capoluogo.
Oggi, domenica 18 ottobre 2009.

Era in programma la finale della Battaglia delle Regine, l'appuntamento dell'anno.
Con buona pace degli animalisti nostrani, ignorata dal resto d'Italia, la finalona raduna alla Croix Noire di Aosta (un'arena con tutti i crismi - palco presidenziale, tribune coperte, gradinate al sole, taquilla e cancelli, campo di battaglia recintato) diverse migliaia di persone che vengono a vedere combattere degli animali.
E' un combattimento vero, la battaglia delle vacche regine.
Spiegheremo magari in un altro articolo il meccanismo della finale e delle eliminatorie, e del combattimento in generale: tre categorie di peso, sorteggi per i confronti una-contro-una, confronti muscolosi e duri ma sempre incruenti e senza conseguenza alcuna, fino alla vincitrice assoluta.

Oggi semplicemente ci va di raccontare il clima di festa e serenità che si respira in una domenica così all'arena di Aosta (che effetto che fa, l'arena di Aosta...).
Da queste parti evidentemente l'animalismo è ancora una nevrosi metropolitana che fa sorridere e induce a tenerezza e solidarietà per chi ne è affetto, ma che qui non ci si può permettere e si tiene a bada.
Gli allevatori non solo sono orgogliosi di portare alla finale le proprie vacche migliori (per inciso, ce n'era qualcuna che passava gli 800 kg), ma vivono la giornata con la stessa tensione del ganadero che fa uscire sei suoi pupilli in corrida; il presidente e la giuria vigilano con rigore sullo svolgimento della gara, organizzano i sorteggi, ratificano la vittoria dell'una o dell'altra, assegnano i premi; i fotografi cercano l'angolatura migliore, il camioncino delle birre alla spina fa i soliti buoni affari, e al posto di gamberetti o jamon volano via generosi pezzi di toma o fontina.
Il pubblico, sui gradini, è quello della festa.
Famiglie intere con bambini eccitati, bottiglie di rosso e bottiglie di bianco, bicchieri che passano di mano in mano, micche di pane e taglieri su cui lentamente abbandonano la vita salami, formaggelle, salsiccie.
Ci sono i curiosi, gli appassionati, il nonno col nipotino, i tanti abituati ad onorare l'appuntamento per tradizione famigliare.
Visi segnati dalle rughe e dal vento, gote rosse, pile e scarponi, gente di montagna.

Lì in mezzo, davanti a tutto questo, le coppie di regine si affrontano, si attaccano, si spingono.
Combattono.
Si vince perché l'altra perde: quella che abbandona il combattimento è out.
Tutte gravide perché il giochino riesca (è l'istinto materno a costringerle ad abbandonare un combattimento in cui si sentono inferiori - nei giorni prima devono sottoporsi ad un'ecografia), le vacche si fiutano, si studiano, ballano un pò l'una attorno all'altra.
Poi improvvisamente partono, testa contro testa, sollevano terra e polvere, i profili protesi nello sforzo.
Ci sono battaglie che durano poche decine di secondi, altre dieci, quindici minuti: con le due regine che si spingono da un angolo all'altro dell'arena, travolgendo i pastori, a cercare la resa dell'altra.
La gente segue i match più sudati, palpita, applaude con trasporto, tifa per la vacca che ha portato il cugino allevatore, sceglie quella che secondo i propri criteri arriverà alla vittoria, appunta sul foglio i risultati degli ottavi.
La gente beve e mangia, chiacchiera col vicino, scambia una fetta di fontina con un bicchere di rosso.
Le regine intanto proseguono a combattere.

Nell'inserto de La Stampa di oggi, 24 pagine dedicate all'evento (!) e distribuito all'ingresso dell'arena, un allevatore spiega che per le regine "non c'è bisogno di usare la muleta rossa e la spada come i toreri spagnoli".
Tac.
Ecco il collegamento.
Ed eccoci sulla strada del ritorno a fantasticare: si diceva su queste pagine, qualche tempo fa, che in Italia manca la cultura taurina, quella cultura del toro lei solo imprescindibile per lo sviluppo di ogni forma di tauromachia.
Che il recupero della via e della tradizione italiana ai tori passi per Aosta?


(foto Ronda - Croix Noire, 18 ottobre 2009)