venerdì 27 aprile 2012

Una foto (16)








(foto Ronda - St Martin de Crau; per una qualche ragione che mi sfugge, cliccando sulla foto si vede l'immagine meglio definita)

mercoledì 25 aprile 2012

Toreria





martedì 24 aprile 2012

I tormenti di un critico disilluso

Inizia la settimana dei farolillos a Siviglia e Antonio Lorca ci regala un testo lucido e amaro, che certo lo esporrà alle critiche feroci del mundillo e che pure contiene più verità di quanta se ne possa trovare nelle arene frequentate dalle superstar, oggi.

"La fiesta vive oggi un momento particolarmente cruciale per il suo futuro. Il toro bravo è una specie in via di estinzione. La manipolazione genetica che esercitano gli allevatori sotto le pressioni costanti delle figuras ha prodotto un animale dal comportamento invalido, debole, carente di bravura e casta e dal temperamento docile. Una caricatura che suscita disagio, fastidio, rammarico, noia e una profonda delusione.(...)E che non si equivochi: l'arte del toreo è possibile certo grazie alla nobleza del toro, ma ciò che la rende grandiosa è il toro de poder, con casta e fiero; ben presentato, serio, armato, vibrante, encastado, aggressivo."


(foto Ronda, particolare della Real Maestranza)

lunedì 23 aprile 2012

Concorso in diretta da Saragozza

Per chi non è al lavoro, per chi non è a fare footing in campagna o a spingere un carrello tra le corsie di un supermercato, oggi pomeriggio dalle 17.30 in poi Aragon Tv trasmette in diretta streaming la corrida concorso in programma a Saragozza.

domenica 22 aprile 2012

E poi ti rompono le palle se vai all'arena



Erano i primi anni 80 e mio papà mi portò a San Siro, per Milan- Pisa. Potete immaginare l'emozione e la magia che, a me ragazzino di provincia, provocava la domenica milanese: l'autostrada fino là, il parcheggio, i tifosi che si agglutinavano nel piazzale, lo stadio enorme, i cori, tutto.
A fine partita siamo scappati in macchina, io nascosto sotto il sedile, nel bel mezzo di una sassaiola terrificante tra le tifoserie. Mi veniva da piangere, mi ricordo, ma più che altro avevo paura.
Una paura vera, come non ne avevo mai conosciute.
Qualche anno dopo eravamo a Genova, per Sampdoria-Milan. Mi ricordo che sulla destra, con il 2 sulla maglia, giocava Gerets: per una qualche strana ragione quell'uomo con la barba e i pantaloncini corti mi affascinava, avevo occhi solo per lui. Dopo una ventina di minuti, pochi ordini di posti sotto di noi, un tifoso fu accoltellato: tafferugli generalizzati, panico e tensione, mio papà mi portò fuori subito.
Quella volta piansi sul serio, avrò avuto una decina d'anni.

Oggi a Genova, come a Bergamo qualche anno fa, come a Roma qualche anno fa, i tifosi hanno fatto interrompere la partita. Questi trogloditi con simpatie nazistoidi tengono in ostaggio gli stadi d'Italia da decenni e tutto è normale, ne mettono in galera tre o quattro all'anno e la cosa finisce lì: al massimo qualche dibattito idiota in televisione, qualche sentimento di indignazione sui giornali, e domenica prossima il circo ricomincerà.
Le famiglie non vanno più allo stadio, le donne con i bambini non vanno più allo stadio, è orribile.
Il calcio è malato, dicono.
Il cazzo.
Il calcio non è malato, il calcio non deve fermarsi e gli stadi non devono chiudere: è sufficiente prendere (quanti saranno? 20.000 in tutta Italia) gli ultras violenti e barbari, che la Questura conosce per nome e cognome, e mandarli a fare in culo in galera.
Gli eserciti nelle curve, ci vogliono, per tre o quattro partite, e poi tutto tornerà normale.
Terribile, davvero terribile sospendere il campionato, interrompere le partite.
Terribile dover andare allo stadio, ancora oggi che sfioro i quarant'anni, con gli occhi vigili, con una punta di tensione a fior di pelle, con il dubbio che ogni volta possa succedere qualche incidente.
Qua a Piacenza una volta, per Piacenza-Reggiana ovvero un match di cui tutto il resto del mondo se ne sarebbe fottuto per l'eternità, i tifosi ospiti lanciarono un razzo che cadde a pochi metri da dove stavo seduto insieme ai miei amici. A pranzo avevo mangiato i tortelli della mamma, due ore dopo ancora un pò prendiamo un razzo in testa.
I tifosi sequestrano il calcio e con il calcio sequestrano anche un immaginario collettivo, le domeniche italiane, una passione che ci tiene insieme, una cultura intera.

E poi ti rompono le palle se vai all'arena.
Che è un luogo di pace, di rispetto, di fraternità.
Che è un luogo in cui gente che non si conosce non va a insultarsi o a menarsi  ma va a incontrarsi e magari conoscersi, va a condividere un'illusione e nei casi fortunati un'emozione o addirittura un'estasi.
Un posto dove le donne vanno da sole, e dove i bambini vanno con i nonni.
Dove si fumano sigari e si dividono salsicce e bottiglie, dove chi siede vicino sempre ti saluta, ti stringe la mano e si finisce a chiacchierare e scambiarsi idee, commenti, sensazioni.
Ti rompono le palle se vai all'arena che è un posto dove si impara a rispettare le virtù del toro e ad ammirare le abilità dell'uomo, un posto in cui riacquistano senso ed esplodono valori ormai dimenticati, relegati a fissazioni nostalgiche e che invece sono da sempre faro e orizzonte per l'uomo: solidarietà e sincerità, coraggio e forza, lealtà e intelligenza.
Dove si impara il rispetto totale che merita la vita e il rispetto totale che impone la morte.

(foto Corriere - stadio Marassi, oggi)



giovedì 19 aprile 2012

Le fumeur des souvenirs

C'è un'evoluzione significativa nella scrittura di Alain Montcouquiol: è un cambio di registro che si mette al diapason con un orizzonte contenutistico sempre più riservato, confidenziale, privato.
Tanto nel magnifico Recouvre-le de lumière la penna dell'autore era guidata dall'urgenza di raccontare bulimicamente per tenere viva la memoria del fratello scomparso, tanto in questo nuovo capitolo la prosa si fa asciutta ed essenziale, accontentandosi di evocare più che narrare, e proseguendo quel cammino intimista intrapreso già con Le sens de la marche, ideale seguito del capolavoro iniziale.
Ne Le fumeur de souvenirs, uscito per i tipi delle edizioni Verdier da qualche settimana, Montcouquiol pare quasi raccontare a sé, e solo poi al lettore, quelle piccole vicende e quelle piccole storie, banali e grandi nella loro fragile semplicità, che hanno fatto da cornice alla sua carriera di aspirante torero prima e di mentore di Christian poi: storie genuine e vere come lo scenario che le accoglie, quello di una tauromachia che sta lontano dalla luce dei riflettori, fatta di viaggi estenuanti, giornate al campo, corride in arene polverose di paese, tanti sacrifici e qualche episodico trionfo. E dove la tauromachia non è altro che la via che porta alla conoscenza più profonda dell'uomo e della vita.

Se c'è un dono che ha Alain Montcouquiol, scrittore per caso, questo è la capacità rara di toccare con immediatezza le corde dei sentimenti: con risultati deflagranti in Recouvre-le de lumière, opera straziante e di indimenticabile bellezza, e con modi più discreti ma ugualmente toccanti oggi in questa nuovo lavoro.
Le fumeur de souvenirs è un libro di racconti, brevi e brevissimi, ambientati ora nel Messico dei pueblos, ora nella Nimes dei quartieri popolari, ora nella campagna di Salamanca attraverso i quali l'autore ci parla sottovoce e con delicatezza della sua vita: del rispetto per i tori, dell'amore per il fratello, dell'umanità incontrata.

Una lettura consigliata.


- Le fumeurs de souvenirs, Alain Montcouquiol, ed. Verdier


lunedì 16 aprile 2012

Male Miura e Fuente Ymbro

Per quanto ancora la visione della A con le orecchie, disegnata con il gesso bianco e sproporzionata sulla sabbia gialla a centro pista, provocherà negli aficionados brividi ed eccitazione?
Di questo passo ahimé c'è da scommettere invece che quella stessa A sarà tra poco sinonimo, tra gli appassionati, di noia e delusione e fallimento.
Miura, c'est fini borbottava amaro un ganadero locale domenica sera ad Arles, uscendo a passo svelto dall'arena: miglior sintesi non avremmo potuto fare per raccontare la corrida pasquale di quel ferro che in questi ultimi anni sta corrodendo l'aura di leggenda che lo accompagna da sempre.
Di presentazione generalmente seria pur se non certo straordinaria, con tre esemplari sopra i 600 kg, la corsa di Miura è piombata nel fallimento totale a partire dal terzo toro.
Ché i primi due avevano, in effetti, fatto sperare in un pomeriggio diverso: Ojeador, il primo della serata, aveva preso tre picche con un certo impegno e alla muleta era arrivato riservato e difficile, ma comunque vivo.

Il secondo, dopo aver meritato gli applausi all'ingresso, aveva addirittura fatto suonare la musica nel suo terzo assalto al cavallo (omaggio eccessivo a nostro parere), affrontato dopo una rincorsa di venti metri: ma spedito al creatore Remontisto, che pure alla muleta aveva dato segnali di debolezza, la corrida si trasformava in una lunga agonia di tori fiacchi, vuoti, senza morale e inadatti alla lidia. Picche prese senza convinzione, cadute a ripetizione, nessuna idea: né quelle buone nè quelle cattive. Solo il sesto, dopo 4 picche, evidenziava la maligna maliziosità tipica dei Miura vigliacchi: ma in altre mani che non in quelle di un inadeguato Savalli forse Dondequiera avrebbe fatto meno impressione.
Una corrida terribile e preoccupante per la ganaderia di Zahariche, dove avranno da riflettere sulle ultime uscite dei tori marchiati in quelle terre.
Posto che delle ultime quattro bestie non ha senso parlare, Fernando Robleño ha messo in evidenza a Ojeador le già conosciute sue qualità e anche una buona disposizione: davvero apprezzabile il suo sforzo di fronte a un toro reticente e complicato, sforzo culminato in una serie a sinistra buona e inaspettata. Peccato che per quegli insondabili misteri che regolano equilibri e criteri di una feria, né questo valoroso sforzo, né una spada intera ed efficace abbiano fruttato quella che sarebbe stata una meritata orecchia.
Trofeo che invece, con qualche merito in meno, si è aggiudicato Javier Castaño al secondo della serata: una terza picca da così lontano non si imponeva, e la faena è durata il tempo di un paio di serie a destra, poi nulla più.
A partire dal terzo toro, con il senno di poi, avremmo fatto meglio ad andare a berci una bottiglia di rosé in una qualche bodega del quartiere.

Con una Pasqua così, il lunedì le già consistenti aspettative riposte dagli aficionados nella corrida di Fuente Ymbro registravano un'impennata logica e consistente. Il cartel era effettivamente allettante, la corsa dell'anno scorso era stata più che buona e nei recinti i sei tori di Gallardo avevano sfoggiato teste impressionanti (che distraevano in realtà da un trapio generale non certo entusiasmante).
Ma se non fosse stato per Ivan Fandiño e il suo toreo chiaro e canonico, del pomeriggio non si sarebbe salvato nulla: fracaso totale per Fuente Ymbro che ha portato ad Arles tori senza razza, senza forza, con qualche volontà anche ma senza i mezzi per realizzarla (il quarto), instabili sulle zampe, senza qualità e in un paio di casi con complicazioni disordinate.
Thomas Duffau è naufragato sotto la carica scomposta ed esigente di Dionisio, l'ultimo del pomeriggio, che si è prima portato a spasso il torero di Mont de Marsan per tutta la pista e poi se l'è mangiato servendosi una voltereta di antipasto: peccato, avremmo voluto vedere quel toro, probabilmente il più attrezzato dei sei, trattato da un polso più sicuro.
David Mora non è certo stato fortunato al sorteggio: Escogeperro, il suo primo, era invalido (e il pubblico impediva al torero di brindarlo al consesso, bene) e non si poteva fare altro che finirlo rapidamente; e Majeza sì aveva complicazioni e difficoltà, ma Mora rimaneva ai margini di un toro dal quale si sarebbe potuto ottenere di più, solo profondendo maggiore impegno. Un brutto segnale alla vigilia della stagione più impegnativa e decisiva.
In questo deserto di casta e toreria, Ivan Fandiño aveva buon gioco a emergere e infine risultare l'unico possibile trionfatore della serata.
Il suo primo Fuente Ymbro, colpito da infarto al terzo paio di banderiglie, era sostituito da un Antonio Palla sufficientemente mobile e solido per permettere a Fandiño di dedicarsi a un lavoro profondo e convinto: dalle chicuelinas serratissime ad una spada intera entrando perfettamente, e passando per una faena in cui l'uomo era di parecchio superiore al toro, il torero basco metteva in mostra le qualità di fermezza e coraggio e serietà che lo stanno imponendo come valore sicuro e riferimento principale tra gli aficionados.
 La faena a Laurel, il quarto del pomeriggio, era servita con una muleta forte e dominatrice, lasciando distanza al toro perché si ossigenasse ed arrivasse carico in quel panno rosso capace di risucchiarne la carica e poi governarla a piacere.
Torea bene, Fandiño, ed è un piacere vederlo all'opera: ben collocato nell'asse delle corna, la gamba di uscita sempre avanzata, la muleta offerta davanti e piatta. Eccola, finalmente, la verità della tauromachia.
Due orecchie per lui e un'uscita in trionfo meritata per il torero migliore di tutto il ciclo pasquale.

(foto Ronda - corrida di Fuente Ymbro, Arles)


sabato 14 aprile 2012

Le due mattine con i giovani

Venerdì scorso alle undici del mattino la bacchetta di Rudy Nazy, direttore dell'orchestra dell'arena, ha liberato finalmente le prime note di Pan y Toros, e la feria ha avuto il suo inizio ufficiale: a sfilare dal portone fino al palco della presidenza tre aspiranti toreri con stili e prospettive diverse, José Cabrera, El Roque, e il locale Lilian Ferrani.
Li attendevano nelle rispettive cellette sei torelli di François André, gli autentici trionfatori della mattinata: sei tipetti selvaggi e decisi, dal fisico rispettabile per la categoria e dal morale vivo e mai domo. Per la grande gioia degli aficionados i François André avevano parecchie dosi di casta a scorrere nelle vene, e hanno portato in pista interesse e emozione. Molto bene.

Sui programmi distribuiti nelle settimane scorse una domanda campeggiava maliziosa, per montare il caso e suscitare curiosità negli appassionati: "El Roque, genio o buffone?". Nessun dubbio: buffone.
Mai visto un ragazzo vestito di luci toreare tanto male, ma proprio male, tanto da perdere la muleta ad ogni carica del toro: ma questo El Roque ha una personalità davvero debordante (e rara, effettivamente) grazie alla quale riesce a catalizzare l'attenzione degli spettatori, tra trovate originali (simulare la suerte de matar per andare a recuperare la spada in mezzo alle spalle del toro), abuso della voce e degli urli, posture tronfie e qualche passo arrischiato e a volte riuscito.
Peccato che, più impegnato a recitare il copione del torero geniale e maledetto, si sia lasciato scappare la migliore occasione della mattinata: il secondo magnifico novillo, accompagnato all'uscita da una grossa ovazione, se meglio trattato avrebbe potuto far scintillare tutta la casta viva e la bravura tenace che custodiva in sé da un paio d'anni. El Roque usciva evidentemente sconfitto dal confronto, dal quale anzi rimediava una voltereta senza conseguenze ma che aveva il sapore del rimprovero.
Meglio di lui, ma non era difficile, sia José Cabrera che si guadagnava un'orecchia onesta al primo della corsa e che al secondo metteva le banderiglie seduto su una seggiola, sia il locale Lilian Ferrani che, pur se avvantaggiato dal normale campanilismo del pubblico, usciva dall'arena con tre trofei all'attivo, generoso frutto di un lavoro comunque onesto e a tratti anche ben ispirato.
La vuelta finale all'allevatore era la più logica conclusione di una mattinata rotonda.

Tutta un'altra musica al sabato: il cartello della novillada era attraente, con l'incrocio tra il ferro di Antonio Palla e gli attrezzi del mestiere maneggiati dalla murciana Conchi Rios, dalla speranza francese Cayetano Ortiz e dal madrileno Fernando Adrian. Ahimé i sei Palla avevano poco entusiasmo e poche forze, e la mattinata si abbassava ben presto di tono, fino a toccare momenti di autentico e soporifero tedio. Invalido il primo, troppo deboli un altro paio e con poco dentro quasi tutti, solo il sesto si salvava in questo triste grigiore.
Sorteggio davvero sfortunato per Conchi Rios, della quale comunque è stato possibile apprezzare la buona disposizione e una certa qual classe: la ragazza dà l'impressione di  voler fare le cose bene, sempre ben collocata e sincera, e questa è cosa buona. Aspettiamo di rivederla con qualcosa di meglio da aspirare in quella muleta che sa essere decisa e aggraziata insieme, e sarà sicuramente un'altra musica.
Esattamente il contrario per Cayetano Ortiz, tutto impegnato a scimmiottare il toreo moderno, profilato e superficiale, senza profondità e senza emozione. Pessimo.
E come se Ortiz fosse servito da esempio negativo, Fernando Adrian decideva fortunatamente di fare tutto il contrario, servendo ai suoi due tori una muleta sempre dritta, ben davanti al corpo, che andava ad agganciare le corna lontano e le risucchiava in una traiettoria curvilinea dominatrice e potente.
Approfittando della carica dei suoi due avversari, gli unici potabili della mattinata (Trainer e soprattutto Belicoso, premiato con un giro d'onore), Adrian esibiva coraggio e determinazione, oltre che idee sempre chiare e una buona dose di maturità: al primo toro dava distanza per metterne in valore la carica franca e energica, in un lavoro di buona fattura concluso con tre fioriture sobrie ed eleganti, senza perdere la misura. L'ultimo della giornata, tre picche prese in crescendo, era invece accolto con un pendolo millimetrico e poi trattato da una muleta maschia e sinuosa, omaggiato di un pase de pecho davvero ottimo e infine finito con una spada intera ben portata.
Finalmente un novigliero con voglia di fare, capacità e soprattutto serietà. Tre orecchie per lui, non certo demeritate.

(foto Ronda - Adrian in trionfo sulla scalinata dell'arena)


mercoledì 11 aprile 2012

De senectute



Metti che ti invitano a cena i tuoi amici cool, ti offrono un bellini di aperitivo e ti servono le portate su piatti quadrati di ceramica nera: inevitabilmente ti sottoporranno per tutta la sera la discografia completa di Giovanni Allevi.
Ti piace Giovanni Allevi?
Ehm, veramente non lo sopporto.
Ma no dai, devi sentire l'ultimo.
Torni a casa e senza neanche spogliarti metti un disco di Ruben Gonzalez.
E riprendi a respirare.

Vedere toreare Ruiz Miguel è come ascoltare un disco di Ruben Gonzalez.
Quattro passi a sinistra, sono bastati quei quattro passi a sinistra al sobrero di Palla sabato scorso, per insegnare a tutti che la magnificenza delle cose sta nella loro semplicità.
Toreava con il sorriso sulle labbra Ruiz Miguel, toreava con una faena che profumava di toreria, con una faena diversa da tutte quelle che si vedono oggi: un lavoro lungo, il suo, sfilacciato, fatto di pause e collocamenti, di interlocuzioni con il pubblico e rimbrotti ai peones...per poi tirare, improvvisamente e quando l'ispirazione lo suggeriva, un passo straordinario.
Rotondo, elegante, fuori dal tempo.
Essenziale, il toreo di Ruiz Miguel è stato essenziale.
Una faena così, con quella catena di quattro naturales da urlo.

Allevi ha bisogno di fughe e svisate, barocchismi, valange di note, trucchetti e emozioni facili: Ruben Gonzalez a ottant'anni toccava i tasti con delicatezza, rispetto, e parsimonia.
Non una nota in più. Non c'è bisogno di accessori quando tutto è giusto.
Ruiz Miguel sabato ha camminato il paseillo con il sorriso, ha toreato con il sorriso, è uscito in spalla con il sorriso.
In mezzo ci ha picchiato quei passi che chiamavano le lacrime.


(foto Ronda - Ruiz Miguel, Victor Mendes e El Fundi sabato 7 aprile ad Arles)
 

mercoledì 4 aprile 2012

Feria

Arles è stata la prima corrida, otto stagioni fa.
Da allora tutto è cambaito, tutto.
Arles è quel profumo di primavera che senti qua nella bassa padana e che ti esplode come una madeleine facendoti vibrare le carni e i pensieri, Arles è quel cartello sull'autostrada, un cartello marrone con un toro nero e capisci che l'inverno è finito davvero e finalmente si riprende a vivere. E' quelle persiane di tutti i colori dell'arcobaleno che danno luce e vita alle case addormentate, è quelle stradine in ombra e silenziose che si arrampicano fino su, fino all'arena.
E' quell'arena maestosa e unica, è quella corsa senza picadores del venerdì mattina , che si sarà in duecento e si ritrovano facce amiche, e ci si scambiano abbracci e croissant. E' quei pomeriggi a sonnecchiare vinti dal rosé, in attesa che passi la banda sotto la finestra e che sia l'ora di andare alla corrida. E' quella pazzesca e minuscola bottega di libri sui tori e sul flamenco, è la salve rociera della mezzanotte, il riso e la carne di toro, i bicchieri di pastis e i churros salvifici.
Arles è quelle corna che escono dal nero del toril, le prime dell'anno, è quella sabbia che crepita sotto gli zoccoli, è quell'odore di sigaro e spezie e Provenza che senti solo qui.
Arles è quelle serate infinite a festeggiare e celebrare la vita dopo aver omaggiato la morte, è quella piazza dove è bello sedersi ai tavolini del bar, ordinare un bicchiere e semplicemente stare bene. Arles è la frivolezza di Paquito Chocolatero e l'imperituro ricordo di Clavel Blanco, Arles è la tienta del lunedì con salame e vino rosso, Arles è i cavalli dei picadores che passeggiano per le vie attorno all'arena, Arles è ogni momento passato con gli amici, ogni momento che è difficile dimenticare.
Arles è la rinascita, è la vita, è i tori, è la festa.



martedì 3 aprile 2012

Corrida 2.0

Wikipedia, si sa, è un'enciclpedia libera e gratuita, pubblicata in tutte le lingue del mondo grazie al contributo volontario di uomini e donne di ogni paese.
E' il web 2.0, quello che dà a chi naviga la possibilità di interagire, creare, farsi attivo. Wikipedia, pur con tutte le sue fisiologiche imperfezioni, è uno strumento grandioso e dal fascino utopico.

Certo, la nuova rete rende possibili eccellenze assolute (i blog indipendenti che fanno controcultura sotto i regimi, la libera circolazione di idee e cultura, la fruizione immediata di tonnellate di informazioni) e però insieme spalanca le porte anche a interpretazioni meno entusiasmanti di queste libertà: ma d'altronde, come in tutti i casi, la fallacia non sta nello strumento ma nell'utilizzo che se ne fa.

Su wikipedia.it, naturalmente, siamo andati a curiosare alla voce "corrida".
Ora, la pagina non è neanche malaccio, anzi: si percepisce l'impegno di qualche internauta aficionado che ha voluto raccogliere e rendere fruibili informazioni e argomenti, e il testo serve se non da esaustivo riferimento perlomeno da prima e in qualche modo già sufficiente esplicazione.

E dunque ci chiediamo: perchè non contribuire? Perché gli appassionati italiani, magari quelli più a loro agio con i mezzi informatici, non si dedicano a questa pagina di Wikipedia per renderla più ricca e completa?
D'altronde è il senso del wiki, e siamo certo che già perlomeno tra i lettori del nostro blog ci siano parecchi e parecchi aficionados in grado di lavorare a quella voce dell'enciclopedia universale che, in un modo o nell'altro, ci tocca e ci coinvolge.
E' un invito, senza mezzi termini, a darci da fare.

Anche perché, pur dovendo gratitudine a chi già ha messo in fila tutto quel testo, la pagina è quantomeno perfettibile: lasciamo perdere il paragrafo sulle critiche alla corrida che, al di là del contenuto, è incongruo a prescindere. Si crei una voce a parte, piuttosto, autonoma e articolata fin che si voglia.
Ma in generale, a pensarci, ci sono ancora migliaia di parole che potremmo mettere a disposizione dei lettori dell'enciclopedia.
E poi, per carità, urge un intervento deciso: il capitoletto la corrida nella musica richiede uno sforzo immediato e riparatore; Bizet e la sua Carmen, quei pasodobles struggenti, fino il jazz e la canzone popolare...no, niente di tutto questo. La corrida nella musica, secondo la versione italiana di Wikipedia, è...Marco Mengoni. Solo (vuelta al ruedo), di Marco Mengoni.

Fate qualcosa.