lunedì 31 marzo 2008

El Pana


"Quiero brindar la muerte de este toro a las hetairas, a las
prostitutas, a las mujeres que venden su cuerpo para ganarse la vida;
para que me entiendan, a las putas, que me entregaron sus pechos y sus
muslos para mitigar mi hambre y mi sed."


("Voglio offrire la morte di questo toro alle etère, alle prostitute, alle donne che vendono il loro corpo per guadagnarsi la vita, in parole povere alle puttane, che mi regalarono il loro petto e le loro cosce per mitigare la mia fame e la mia sete".)

(foto de El Pana, per gentile concessione, di Alfredo Gómez: qui e qui)


domenica 30 marzo 2008

La casta del toro

La casta è in primo luogo "la razza", la razza pura del toro bravo, che lo differenzia dai bovini suoi consimili addomesticati e quindi mansi.
Non a caso ci sono, anche riconosciute dalla legislazione taurina spagnola, le "caste fondazionali" del toro de lidia: Cabrera, Vazquena, Vistahemosa, Jijona, i Toros de la Tierra, la casta Navarra, ecc.

Casta deriva dal latino "castum", che significa "puro", primitivo, il toro di casta è quindi quanto più simile al toro preistorico, al "bos primigenius" da cui derivano tutti i bovini attuali.

Nel toro de lidia, la casta è quindi il patrimonio genetico dell'animale primitivo, della fiera, per cui la differenza con i mansi è proprio la fierezza, la aggressività e l'istinto primordiale di lottare, di reagire ad ogni minima provocazione, quindi di embestir, il che permette la lidia.

Il toro di casta è dunque, o dovrebbe essere, una fiera aggressiva, poi se le condizioni fisiche glielo consentono questo istinto si traduce in poder (ci sono solo due tipi di tori, quelli che possono e quelli che non possono, diceva Gallito).
La selezione ha depurato questa aggressività, perchè non sempre la casta di per sè è buona per la tauromachia, può derivare in genio (cattivo carattere), quando il toro è offensivo ma reservon, dà colpi di testa e non la abbassa, cerca il corpo dell'uomo, attende a piè fermo il momento di incornare (e qui alcuni parlano del manso con casta).
Quando invece reagisce con franchezza e nobleza si può parlare di bravura, però la selezione ganadera degli ultimi decenni può portare a spingere troppo sulla ricerca di questo elemento di nobleza per degradarla e addolcirla, e qui la casta comincia a perdersi perchè si applica al toro una caratteristica del bue....

Insomma, i ganaderos commerciali, partendo da una base genetica di casta, con l'affanno di produrre tori graditi ai toreri si sono impegnati ad una selezione alla rovescia, cercando di ottenere tori morfologicamente simili, o forse anche più belli, dei loro antenati, ma con un carattere più mansueto, con meno poder, più trattabili e meno pericolosi, e che consentano questo torero moderno del tercer tercio, di infiniti passi di muleta.

Ovviamente ci sono ancora poche ganaderie che in qualche misura hanno cercato di conservare la casta, anche se con adattamento alle esigenze moderne, e quindi si può ancora vedere nella lidia di un toro i sintomi della sua casta.

Questi sintomi di casta sono, nel primo tercio, il modo e le volte con cui va al cavallo, se romanea, se spinge sulla zampe posteriori, se parte da lontano...
In banderillas, il toro con casta insegue il banderillero dopo la reunion e la collocazione dei pali, e non si duole degli stessi, non muggisce e non cerca di scrollarseli di dosso.

Per tutta la lidia, e fino alla morte, il toro con casta tiene la bocca chiusa, generalmente muore nel centro e non en tablas. Non è detto che sia sempre bravo, che embista e che consenta di torearlo, il manso encastado se emplaza e non consente a nessuno di avvicinarsi, oppure diventa pegagoso e non lascia respiro al torero.
Ogni toro ha la sua lidia ed un torero che sa il suo mestiere deve saper risovere anche questi problemi.
Purtroppo la tendenza umana è di eliminare i problemi invece che di risolverli, e così nel corso dei secoli alcune delle caste fondazionali, che poco si prestavano alla comodità, sono state emarginate e si sono estinte (Jijona, toros de la Tierra, quelli di Colmenar) o sono state relegate alla tauromachia popolare (Casta Navarra).
La casta Cabrera rimane nei Miura, della vazquena rimane poco (Prieto de la Cal, Fernando Pereira Palha, e rimane solo ed esclusivamente nella capa jabonera di alcuni Domecq, che non a caso inalbera il ferro di Veragua) il resto è tutto Vistahermosa, più o meno degenerato.

(foto di Laurent Larrieu, Camps y Ruedos - la placita de tienta della ganaderia di Escolar Gil; testo di Marco Coscia, aficionado)

venerdì 28 marzo 2008

Dei tori e un torero

I Miura e Arles, si sa, hanno una lunga storia alle spalle: fatta di pomeriggi esaltanti o terribili, di passione e tragedia, amore e rifiuto.
Lunedì si sono ritrovati, e a celebrare il rito c'era tra gli altri José Pedro Prado Martin.
El Fundi.
Un torero.

I tori sono usciti belli, bellissimi, impressionanti: lunghi come vuole la casa e la leggenda, forti, pesanti e agili, con corna spaventose.
Dei Miura, insomma.
Tutti applauditi all'ingresso, e l'applauso regolarmente a seguire un ooohhh di stupore, approvazione, emozione.
L'emozione che danno quei fasci di muscoli, quelle corna maestose e intrinsecamente assassine, quel collo alto e teso, quello sguardo pari a nessun altro sguardo.
L'elettricità che danno i Miura, quando entrano, e inchiodano quello sguardo alla pista.
Davanti a delle bestie così o sei torero o ti conviene sbrigartela e uscire alla svelta dalla plaza.

D'altronde lo diceva già Joselito il Grande: una bronca se la porta via il vento, una cornata rimane a te.

El Fundi lunedì ha deciso di essere torero, come lo decide sempre.
Con i suoi due e con quelli degli altri.
Ha preso il primo toro di Sanchez Vara, che questi non aveva voluto vedere e mettere in luce, e l'ha messo al cavallo con due passi della capa.
A quindici metri.
Il toro è partito, la piazza una polveriera.
Come dare nobiltà e senso, con un semplice gesto, a tutta l'idea di tauromachia.

E con il quarto del pomeriggio, il suo toro, El Fundi ha costruito una faena dura, prima difficile, paziente, esplosa poi in un dominio perfetto del toro e dei terreni.
Ha suonato la musica.
Un'orecchia dalla presidenza, potevano essere due, per me poteva andare a casa anche con il toro intero ma per fortuna non è con i trofei che si misura la grandezza di un torero.

E' stata una corrida de toros, semplicemente.
Una vera corrida de toros.

E quando i picador lasciano la pista con la gente in piedi ad applaudire commossa vuol dire che è successo qualcosa di grande davvero.
Se lo fanno lasciandosi dietro dei Miura così, allora tutto è ancora più importante e alto.

Chi c'era ha vibrato, sofferto, applaudito, trattenuto il respiro e gridato di felicità.
Chi c'era è uscito felice.
Pieno, oltre che felice.
Succede quando si va a una corrida di tori, ed è per questa sensazione di appagamento e rapimento che ancora si torna, ogni volta, all'arena.

Su Campos y Ruedos (qui) ci sono le foto, meravigliose, di quella giornata.

(foto François Bruschet, Campos y Ruedos - El Fundi ad Arles, lunedì 24 marzo 2008)

mercoledì 26 marzo 2008

La montera


Non sempre mi piace il gesto di quei toreri che rovesciano la montera, dedicata al pubblico insieme al toro là contro al burladero, e caduta sul lato sbagliato.
Sembra spesso una concessione mediatica, il doveroso e meccanico ripetere e ripetersi del cliché abusato, il torero uomo di grandi superstizioni e l'aficion lì vigile a farne osservare il rispetto.

Altre volte però si percepisce, l'aria elettrica nell'arena, che le cose che stanno per accadere saranno importanti, inevitabilmente importanti a prescindere dal loro esito, e quel gesto è irrazionalmente logico, obbligato, per un'esigenza anche fisica di un ordine necessario, da costruire a priori.

Marco Leal domenica tornava ai tori dopo tanti mesi di assenza, mesi di terapia, mesi di sacrifici e un solo desiderio nei pensieri.
Ha incrociato nell'ovale dell'arena di Arles un ottimo novillo di Palla, l'ha fissato nel rosso della stoffa e quello non se ne è staccato più.
Hanno chiuso il combattimento nello stesso modo, il torero e il toro, con una vuelta applaudita e festeggiata sotto il sole della Provenza, così avaro di sè nei giorni scorsi.

Una decina di minuti prima, con la spada, Leal aveva rovesciato la sua montera.
A posteriori, una buona idea.

(foto Ronda - la montera di Marco Leal, domenica 23 marzo ad Arles)

martedì 25 marzo 2008

Bilancio















Nei prossimi giorni un pò di righe e qualche immagine dalla feria di Arles.

I momenti più alti all'arena, la poderosa faena del El Juli al suo primo Domingo Hernandez e i Miura del lunedì, con un sempre grande Fundi davanti.

Nelle bodegas caldi incontri e caldi ritrovi ad accompagnare e condividere pastis e sangria.

Nelle strade, in generale e dal mattino alla notte, un freddo bastardo e un vento glaciale.

C'est fini, peccato.

(foto Ronda - le arene di Arles e il primo novillo di Palla)


mercoledì 19 marzo 2008

Buona Pasqua

Alle cinque della sera si autosospende per qualche giorno: da domani saremo ad Arles.
Si manca da un anno, ed è davvero ora di tornare: sarà l'occasione per rivedere tanti amici, per appoggiarsi alle transenne al passaggio dell'abrivado, per ascoltare i pasodobles all'arena e le fanfare per le strade, per ubriacarsi di flamenco e sangria la notte nelle bodegas.
Più mille altre cose, ovviamente.
Sarà anche il ritorno ai tori, domani all'espace toros e da venerdì all'arena per le corride del pomeriggio e le novilladas al mattino.
Adelaida Rodriguez, Miura, Palla, Samuel Flores e di fronte a loro El Cid, El Fundi, Bautista, Rafaelillo, El Juli, Adame, Ponce (*).

Le previsioni danno temperature polari, ma in fondo il tempo è solo un dettaglio, alla Feria di Arles.

Sarà una buona Pasqua.

martedì 18 marzo 2008

Miura ad Arles

I tori di Miura meriterebbero tutto un sito a parte: per la leggenda nera che da sempre li accompagna, per la fama che li precede ovunque escano in corrida , per le mille storie a loro legate, tragiche o romantiche che siano.

Si era intorno al 1920, Don Eduardo Miura era seduto a contemplare la sera che lentamente abbandonava il palcoscenico alla notte nella spoglia campagna andalusa.
Antonio, mayoral della ganaderia, apparve sulla soglia: portava le notizie che Eduardo ormai non poteva più avere dai propri occhi, condannato dall'età a non potersi recare ormai più nelle città in cui i suoi tori combattevano.
- Allora, Antonio, come...
Ma Eduardo si interrompe, la domanda si strozza in gola, e intuisce subito il turbamento di quest'uomo rude e risoluto che condivide con lui le fatiche della solitudine, della campagna, dei tori.
- Antonio, cosa succede?
- Senor...Belmonte...
Belmonte in quegli anni stava, semplicemente, rivoluzionando la tauromachia.
Giovannino Terremoto, che annientò le leggi scritte e non scritte della tauromachia.
Juan Belmonte, che si andava a mettere là dove nessuno aveva osato mettersi, di fronte al toro.
- Ferita grave?
Don Eduardo sentì il sangue farsi freddo lungo le braccia, come ogni volta.
- No senor. No. Ma ha preso nella sua mano il corno del toro, di quello grande, nero con le chiazze bianche.
Lo scatto fu rabbioso.
Un momento.
Poi Don Eduardo si placò.
- L'hai visto?
Silenzio.
- L'ho visto.
I Miura non erano più invincibili.
Quel giorno, un uomo li aveva dominati.
I due si guardarono negli occhi, e videro la stessa cosa, reciprocamente: poi don Eduardo fece segno ad Antonio che uscisse.
Perchè non lo vedesse piangere.

I Miura quest'anno tornano ad Arles, dopo anni di embargo obbligato: l'ultima miurada, la tradizionale miurada di Pasqua, è del 2004.
Tornano i tori di Siviglia e la città freme: gli aficionados più giovani della città hanno deciso di dedicare il proprio spazio, durante la feria, proprio ai Miura e alla loro storia (*).

Lunedì 24, alle ore 16.30, ad Arles corrida di Miura per El Fundi, Sanchez Vara e Rafaelillo (*).

(foto Ronda: il ritorno dei Miura in Francia nel 2007 - El Fundi con Cisquero, 651 kg, il 14 settembre a Nimes)

domenica 16 marzo 2008

Laurent

Ho conosciuto Laurent Larrieu una domenica di agosto.
Noi al secondo giorno del giro nel sud-ovest, lui e Isa lì di casa.
Una domenica di parole semplici e spontanee, un affetto imprevisto e un'intesa rara, un bel pranzo a Bayonne, una visita a Biarritz, e di nuovo nel capoluogo del 64 per la corrida di Adelaida Rodriguez.
Quel giorno Juan Bautista fu davvero emozionante e ricordo ancora il suo recibir al quinto toro, perfetto.

E' una brava persona Laurent: gentile, affabile, seria.
I suoi articoli su Campos y Ruedos sono sempre piacevoli, le sue analisi sempre interessanti spunti per riflessioni non banali.

E' anche un ottimo fotografo, Laurent, e ieri sera ho ricevuto da lui via mail queste immagini di due Hernandez Plà che lui è andato a scattare a Soto Gutierrez, la tenuta del ganadero.
Le foto sono magnifiche, come i tori, e quindi finiscono subito su queste pagine: la galleria completa la si trova qua sul sito di CyR.

6 Hernandez Plà saranno a Ceret, in luglio, e magari questi due tra loro.


Corrales di Gimeaux

La mattina del giorno in cui suo fratello morì nell'arena, Alain Montcouquiol si chiedeva preoccupato se quello che tutta la città diceva era vero.
Ogni aficionado o semplice curioso che andava ai corrales, al ritorno parlava solo di quel toro grigio, grande e spaventoso, dalle corna immense che sembravano le portiere di un taxi.
Aperte, ovviamente.
Nel pomeriggio l'arena di Arles vide quel toro prendere Nimeno II, il più grande e amato di sempre, scaraventarlo in alto per farlo ricadere pesantemente e fatalmente a terra.
Panolero, quello il nome del toro, era un toro di Miura.

L'Espace Toros è un'ottima iniziativa che coniuga aficion e preservazione delle tradizioni: ogni anno, per una settimana prima dell'apertura della feria, ai corrales di Gimeaux (pochi km fuori Arles) chiunque si può recare a visitare i tori delle diverse ganaderias che saranno combattuti in novillada o in corrida dal venerdì al lunedì.
Anche così si crea e difende l'aficion, la passione: dando la possibilità di andare a vedere i tori della feria con i propri occhi e da vicino, misurarli, documentarsi, valutarli.
Ma c'è dell'altro.
Ogni giorno lì ai corrales di Gimeaux sono organizzate un'esibizione di course camarguaise (*), la più tipica tradizione taurina della regione, e una tienta di una ganaderia locale.
Un'ottima iniziativa.

L'anno scorso a Gimeaux, il giovedì, c'era un bel sole e tanta gente: famiglie con i bambini, vecchi aficionados, gruppetti di ragazze, tante donne.
A vedere gli animali, a palpitare per la course camarguaise, a seguire in silenzio la tienta.

I tori della feria sono già tutti là, e quest'anno ci sono anche i Miura.
Grazie all'amico Lilian, qua è possibile veder già qualche foto.

venerdì 14 marzo 2008

Luca, in arte El Calabres

La notizia l'ha già data l'affezionato lettore E.B., nel commento al post precedente: a lui i nostri ringraziamenti per la preziosa segnalazione.

"Luca Ruffo, detto El Calabres, mercoledì ha debuttato nella Feria de Fallas, appuntamento chiave nella stagione della Plaza de Toros di Valencia".
Quante cose bizzarre tutte insieme, a pagina 32 della Gazzetta dello Sport di questo venerdì 14 marzo.

Tre foto inusuali per il quotidiano feticcio dei malati di calcio e di calciatori.
Le immagini di un toro, e di animali sulla rosea se ne vedono pochi dai tempi di Varenne.
La storia poi, invero una storia come le tante storie di novilleros, di fatica, speranze strozzate, rari successi, qualche fragoroso insuccesso e tante giornate grigie, nelle piccole arene di provincia, a inseguire il sogno e la passione.
Una storia che però, in mezzo alle tante banalità di una Gazzetta del venerdì, che non ha nemmeno i voti delle partite domenicali,e che si deve inventare liti nello spogliatoio, fantacolpi di fantamercato, dichiarazioni ad effetto e ragazze squillo nella camera del bomber in ritiro...una storia che di colpo diventa unica, letteratura, vita.
Quante cose bizzarre a pagina 32.
E più di tutte il nome scelto, El Calabres, che magari in Spagna può fare pure sensazione ma che qui da noi sembra tanto il titolo di una canzone di Nanni Svampa.

A Luca Ruffo, 18 anni, tutti i migliori e più sinceri auguri da Alle cinque della sera, e l'augurio particolare di trovare davvero soddisfazione a quella sua passione che consuma, e che lui chiama semplicemente "qualcosa dentro che m'impedisce di fermarmi".

(immagine: la pagina 32 della Gazzetta di oggi)

mercoledì 12 marzo 2008

Pamplona, 10 luglio 1947

L'encierro (*) è una delle forme più popolari della tauromachia, è la sfida ostentata dell'uomo, di un uomo qualsiasi, al toro, alle sue corna, alle sue forze
Per le strade del paese, della città, di fronte agli amici, alla donna, al padre o alla madre.
A Pamplona ogni anno, durante la feria di San Fermin (*), si corrono gli encierros più conosciuti al mondo, quelli ripresi anche dai media italiani, quelli più popolati e tragici.

Pamplona, Navarra, 10 luglio 1947.
Fà caldo, molto caldo, il pomeriggio sta volgendo al termine, e l'arena è piena.

Il pubblico quel giorno è meno scatenato del solito, meno festaiolo, meno eccitato.
Il pubblico quel giorno è cupo, isterico, teso.
Furioso addirittura, quando nell'arena esce Semillero.
Semillero è un toro della ganaderia di Uruijo, nero, corna sufficientemente limpide e larghe, e adesso è là, orgoglioso e impertinente in mezzo alla plaza, altero.
Il mattino era ancora giovane, gli eccessi della notte da poco abbandonati, e l'encierro percorreva le strette strade del percorso solito, dai corrales all'arena, che ogni anno da sempre e per sempre a Pamplona segna le albe della feria.
Le strade strette, umide, scivolose.
Semillero correva insieme ai suoi fratelli, altri tori di Urujio destinati alla corrida del pomeriggio, e uomini vestiti di bianco e rosso davanti, uomini vestiti di bianco e rosso ai lati, stesso panorama di dietro.
Semillero, improvvisamente e per meccanica o necessità, perde il contatto con il convoglio, con la corsa obbligata e ordinata, con la linea retta.
E in calle Estafeta è solo, spaventato, elettrico, i reni e le corna l'unica forma di riparo e primitiva difesa.
Casimiro Heredia, pamplonese, in calle Estafeta era nato.
Casimiro Heredia, pamplonese, in calle Estafeta quel 10 luglio del 47 va a morire, il polmone perforato dal corno di Semillero.
Che prosegue, istinto animale, la sua corsa.
Arriva all'arena, entra, di fronte centinaia di corridori esausti ma ancora adrenalinici, entra in quell'arena dove qualche ora più tardi sarà destinato a combattere e morire.
Julian Zabalza, navarrese, incrocerà in quel formicaio, in quell'incredibile e schizofrenico movimento di corpi, le corna di Semillero.
A niente valgono gli aiuti dei compagni di sempre, anche per lui la morte.

Arriva l'ora della corrida, implacabile e giusta.
Il sorteo attribuisce Semillero a Manolete, Manolete il mostro, Manolete la star, Manolete l'idolo di Spagna.
Ma quel giorno, nel cartel, c'è anche un torero navarrese.
Anonimo, inspido forse, mai più famoso.
Ma navarrese.
Julian Marin fa un gesto tanto banale quanto eccezionale, si avvicina a Manolete il mostro e gli chiede un cambio: a me Semillero, a te uno dei miei.
Per vendetta.
Per giustizia.
Per quel silenzio insostenibile dai gradini dell'arena.
Perchè due ragazzi di Navarra sono morti stamattina.
Manolete acconsente, Semillero va a Marin.
E il pubblico, commosso e svuotato, capisce, il pubblico tace davvero, il pubblico segue ogni passo, ogni figura, ogni momento di quel confronto.
Non passerà alla storia nulla di quella faena, di quel combattimento, nulla di artistico, nulla di eccezionale, nulla di indimenticabile, se non che Julian Marin, navarrese, aveva fatto giustizia.
Un torero navarrese di Tudela aveva voluto combattere e uccidere, lui, Semillero.
Ogni altra cosa sarebbe stata sbagliata.
E nella notte che imperiosa si faceva largo, con la festa incrontrollabile nelle strade, Pamplona si sentiva finalmente consolata.

(immagine: Encierro, quadro di Alain Lagorce, pittore e aficionado parigino, amico)

lunedì 10 marzo 2008

El Juli e il cappelliere


Il 7 aprile dell'anno scorso, ad Arles i tori erano de El Pilar.
El Juli, Matias Tejela e Mehdi Savalli nel cartel: una terna bizzarra e male assortita, quanto meno.
La corrida è stata per grandissima parte deludente, del tutto insignificante.
Tranne quei dieci minuti di estasi totale.
Quell'uomo in viola e oro là in mezzo all'arena, solo con Sombrerero, a mostrare a che livello di magia e profondità può arrivare il dominio di un torero su un toro.
Sombrerero, il cappelliere, toro di El Pilar fino a quel momento quasi inconsapevole di sè, come incapace di sapere cos'è un toro in un'arena.
El Juli a insegnarglielo, con rigore e forza, e poi finalmente a torearlo con grazia anche, fantasia, e soprattutto con autorità e imperio.
Nerva il pasodoble che accompagnò la danza, per quella faena che rimane ad oggi, semplicemente, la più bella che io abbia mai visto.

Joel Bartolotti è il direttore di Toros.
Persona seria, poco incline alle esaltazioni, poco tenera con le star.
La sua cronaca di quella giornata, sul numero 1800 della rivista, dà la misura dell'avvenimento:
"(...) Quindi, dopo le banderillas della cuadrilla e un promettente brindisi al conclave, il maestro, facendo finta di lasciare all'animale il vantaggio e la scelta del terreno, autorizzava Sombrerero a vagabondare verso il toril e gli lasciava credere, sensa contraddirlo, che avrebbe continuato lui, il toro, a decidre della sua sorte, quando invece la partita era già vinta dall'uomo.
Senza correggere la sua posizione, El Juli magnetizzava la bestia con un passo alto e tre derechazos seguiti di un pase de pecho mancino che innescava la musica.
Venivano quindi delle serie con entramble le mani, in particolare dei naturales interminabili e dei redondos in cui l'eccezionale padronanza del sitio e dei terreni faceva scattare in piedi le gradinate.
Alla fine di questa sfolgorante dimostrazione di tecnica ispirata, attento tanto all'istruzione che al duello (perchè non sbagliamoci, il toro è Julian che l'ha inventato e al quale ha infuso questa carica allegra e insospettata), ci si poteva legittimamente chiedere, di fronte al concatenazione naturale, saggia, varia e spontanea dei passi, se il maestro avesse potuto magari dimenticare qualcosa. Non ho, ovviamente, trovato niente, e come tutti non ho potuto che inchinarmi di fronte alle due orecchie e al trionfo maiuscolo di un torero immenso, dopo una stoccata profonda e abile e alla vigilia di un'importante corrida a Madrid."

(foto Ronda - El Juli a Arles, sabato 7 aprile 2007)

venerdì 7 marzo 2008

I tori di Ceret

Ceret è un paesino di qualche migliaio di anime nel sud della Francia, a pochi passi dalla Spagna.
E' nei Pirenei Orientali, come dire la Catalogna francese: da buoni catalani, i ceretani tengono parecchio alle proprie tradizioni.
Succede che a Ceret una ventina di anni fa una decina di aficionados ha deciso di mettersi a lavorare per ridare un pò di luce alla feria del proprio paese.
Sarà la passione vera che li ha guidati, sarà che da quelle parti le tradizioni sono sacre e prendersene cura richiede impegno e rigore... insomma, bene hanno lavorato bene, se è vero che negli anni silenziosamente ma inesorabilmente la feria di Ceret è diventata una delle più importanti del mondo.
Taurino, si intende.
Che la festa si fa qua e da tante altre parti, ma i tori che escono a Ceret non li si vede da nessun'altra parte.
E' per i tori di Ceret, per le loro corna, la loro fierezza, il loro manto, la loro forza, la loro bravura, corna fierezza manto forza bravura che da altre parti è merce rarissima, è per vedere queste cose insieme che a Ceret a metà luglio arriva gente da tutto il mondo.
Anche dall'Italia, certamente.
L'Adac (*), l'associazione di aficionados che da un paio di decenni gestisce in autonomia la stagione taurina di Ceret, e che grazie alla sua libertà ha fatto della propria feria una delle più importanti e serie di tutto il globo, roba da intenditori insomma e appassionati veri, ha messo online le foto dei tori riservati per quest'anno.
Quattro allevamenti che ormai nessuno ha più il coraggio di proporre, di quelli che mandano all'ospedale i picador e dai quali i toreri vedette girano assai alla larga.
Le foto sono qua, e meritano una visita: questi sono tori.

Ci sarà spazio su Alle cinque della sera per Ceret e la sua feria, per i suoi aficionados e per i suoi tori, ed anche per la sua festa.
Per ora, che al 12 luglio manca tempo e in mezzo ci saranno altri tori, bastino le foto.

(foto prese dal sito dell'Adac - due tori di Hernandez Plà che saranno a Ceret)

mercoledì 5 marzo 2008

Senza il sole


"Il pubblico della delle corride ha una sola anima, tremenda e sensibilissima; basta un niente a turbare l'equilibrio dei suoi sentimenti. Alle volte basta che il primo torero sia bravo per disporre gli spettatori ad un esagerato ottimismo. Basta talvolta una passata di nubi sotto al sole a turbare gli umori di tutti.

Sole e calore sono indispensabili: sole, calore, sudore e teste accaldate; questo ci vuole per una corrida. Il sole è il protagonista; senza il sole che accende il rosso delle cappe e illumina l'oro e le frange dei costumi; senza il sole che ficca le dita entro le pozze di sangue e gioca con quel sangue e si diverte e lo illumina, la corrida sbiadisce. Non è più festa. Senza il sole che spacca l'arena in due parti e lascia nell'abisso della plaza i dannati alla morte; senza che una parte del pubblico sia pubblico del sole e l'altra pubblico dell'ombra la corrida diventa fiacca Messa di mezzogiorno".

- brano liberamente tratto da
Volapié di Max David, ed. Bietti -

(foto Ronda)

lunedì 3 marzo 2008

Hubert Yonnet e i veterinari di Madrid


Hubert Yonnet è un omino piccolo, capelli già tutti bianchi, viso pacioso segnato da rughe che dicono di saggezza e fatiche.
E' un ganadero, un allevatore di tori da combattimento.
Meglio, il ganadero francese.
L'abbiamo incrociato una volta, alla feria di Arles, all'uscita dall'arena in compagnia della moglie Françoise: avresti detto un qualsiasi personaggio di una qualsiasi osteria delle nostre montagne, cappello in testa, mani in tasca, sguardo timido.
I suoi tori, che furono del padre prima , e del nonno prima ancora, sono toros bravos, forti, ben fatti.
E con casta dicono gli aficionados.
Che vuol dire che hanno coraggio e classe, fierezza e aggressività, razza pura da combattimento.
Sono tori duri, difficili, vivi e pericolosi.
Stanno a La Belugue, alle porte di Arles.

E' il ganadero francese perchè è stato il primo a combattere tori francesi in Spagna.
Fu a Barcellona.
E' il ganadero francese perchè, soprattutto, è stato il primo a combattere tori francesi a Madrid.
Cioè l'arena più importante del mondo.
E i tori Yonnet hanno l'anzianità, si dice, che coincide con l'anno di entrata a Madrid: tante ganaderias spagnole la stanno ancora aspettando.

Era il 1991, Yonnet era andato nella capitale per la feria di San Isidro, voleva vedere questo giovane colombiano, tal Cesar Rincon, di cui tanto si parlava.
Aveva ottimi gusti, in fatto di toreri.
Incontrò gli impresari de Las Ventas, la plaza de toros di Madrid, che gli dissero e tu, quando vieni con una corrida tua?
Hubert Yonnet è uomo di pensieri veloci e concreti, quando volete disse.
Tori francesi in una corrida a Las Ventas è come dire un cuoco uzbeko che viene cucinare un piatto di lasagne o a preparare un cappuccino in un qualsiasi pranzo ufficiale qua da noi.
Uno scherzo.
Niente, Yonnet era deciso.
Concordò la data, tornò a La Belugue e contò.
Aveva, in quel momento, ventitré tori pronti per una corrida, ne scelse otto.
La difficoltà del viaggio e il combattimento tra i tori stessi, nervosi per le operazioni di imbarco e sbarco, li ridusse a sei.
Sei.
Una follia per Madrid, una follia presentarsi a Madrid con sei tori giusti, non uno di più.
A Las Ventas si va con gli esemplari migliori, che gli aficionados non vogliono mezzi tori.
Gli dissero senor Hubert, sei tori per Madrid è un suicidio, se ne rifiutano qualcuno o se gli aficionados ne protestano qualcun altro, addio anzianità e addio Spagna, per sempre.
Qua si viene almeno sempre con nove, senor Hubert.
Ho sei tori e combatterò una corrida intera, la risposta.
Arrivarono i veterinari per il riconoscimento e l'approvazione della corrida.
A Madrid i veterinari non scherzano, si giocano la reputazione e qualcos'altro di meno prosaico.
Qua passano a combattere solo tori integri, sani, forti, e con un corpo giusto per Madrid.
Chi accompagnava Yonnet presagiva il peggio e non nascondeva la tensione e la preoccupazione.
Sei tori giusti, una follia.
Hubert Yonnet non si scompose, salutò i veterinari e fece un cenno a i suoi uomini e a tutti.
Usciamo, lasciamoli lavorare e giudicare in pace.
Uscirono.
Ma li rividero poco dopo: ci misero un quarto d'ora, i veterinari, quasi niente.
Tutto l'encierro approvato.
Sei tori, sei tori perfetti per Madrid.
Come tutti, anche i veterinari hanno bisogno di lavorare in pace, senza nessuno intorno che gli tiri la giacchetta, commentò l'omino rimettendosi il cappello.

4 agosto 1991, 6 toros 6 di Hubert Yonnet a Las Ventas, Madrid.

(foto Campos y Ruedos, tori di Yonnet a la Belugue - testo ispirato all'articolo di Marco Coscia Ganaderia Yonnet, pubblicato sulla rivista Cerro de San Albin)

sabato 1 marzo 2008

Elogio de El Cid


Toros è una rivista francese.
Sobria, seria, autorevole.
E' in bianco e nero, per dire, ed ha un marcatatissimo accento torista.
Cioè da queste parti si guarda al toro.
Toreri, al limite a quelli seri.
Sono abbonato, stamattina nella cassetta della posta c'era il nuovo numero, il 1821.

L'editoriale è di Manolillo, "Eloge d'El Cid".
Qualche estratto.
"Questa libertà stupisce (la decisione di non combattere sei tori da solo a Madrid, quest'anno, annunciata dalla stampa per riempire qualche pagina, nda), in un'epoca in un cui la pressione pesa tanto, sugli attori del monto taurino, che essi sono obbligati ad andare troppo veloce, ed a compiere degli atti contrari alle loro intenzioni vere. El Cid avrebbe potuto fare un annuncio e poi non mantenerlo, oppure desistere all'ultimo momento. Non è il suo modo di fare le cose. L'uomo è limpido. Ha una sincerità nella vita che traspare poi nell'arena."
"Nonostante questo, va detto, El Cid non è l'eroe nemmeno degli aficionados più esigenti. Si parla delle sue qualità, dei suoi trionfi, lo si celebra, ma quando c'è da scegliere e dare il nome dei migliori, non è il suo che si cita per primo. Era un pò la stessa cosa per Cesar Rincon..."
"El Cid non parla di soldi. almeno non in pubblico. (...) Ancora un'occasione persa per parlare di lui, smentendo l'idea corrente che parlare male o bene di qualcuno, non ha nessuna importanza quando si tratta di far parlare di sé."
"(...) E noi preferiamo il realismo terreno della sua tauromachia un pò datata ai mille tranelli della falsa modernità trionfante. Così è."

Alle cinque della sera tornerà tante volte su Toros, e qualche volta ancora sul Cid.

Una volta a Frèjus, nel luglio 2005, in un'arena di terza categoria in cui si va a sbrigare la pratica velocemente, si ritira il cachet e arrivederci, l'abbiamo visto prendersi una cornata all'inguine di una certa gravità.
Tutta la sua cuadrilla gli si è fatta attorno, invitandolo a correre in infermeria.
El Cid è rimasto nell'arena, ha dato ancora qualche passo e poi ha ucciso il toro, con un volapié sincero e senza trucchi. Di quelli in cui ti butti in mezzo alle corna, perdi di vista tutto e affondi la spada proprio lì, in mezzo.
L'orecchia tributata è stata portata dai suoi peones, ma gli applausi e l'ovazione del pubblico erano tutti per lui, già sotto i ferri del medico che gli stava cucendo la ferita, sette punti allo scroto.

Lo rivedremo ad Arles, venerdì 21 marzo per la prima corrida della feria, di fronte a dei Samuel Flores.
E se i tori tengono, ci sarà da divertirsi: senza clamore, certo, ma con la stessa sobria e assoluta sincerità che ha la sua tauromachia.

(foto Laurent Larrieu, Campos y Ruedos - El Cid a Bilbao, il giorno della solitaria con 6 Victorino Martin)