domenica 29 novembre 2009

Toreria




Sabato 11 luglio duemilanove, ai piedi dei Pirenei.
Ceret.
In quarta posizione esce Avelar, negro mulato bragado di Coimbra.
Ha portato dal Portogallo a qua i suo 520 chili di muscoli: in allegato, una testa spaventosa.
Due corna enormi.
Tanta legna da scaldare una casa per l'inverno intero.
Due pali aperti, due sciabole protese al cielo, due obelischi.
Quando il corno destro prenderà il cavallo, le quattro zampe a terra Avelar solleverà quel bastione con la sola forza del collo: l'altro corno a scacciar mosche, ne basta uno.
Entra Avelar, e Ceret applaude.
Due corna da paura.

Lo aspetta Frascuelo, un signore di sessanta e più anni, vestito d'oro, una faccia da torero come pochi.
Apre la capa, la spiega, lo provoca.
520 chili di bravura e due corna terrificanti sulla testa diventano per miracolo una nullità, uno scherzo, un fantoccio con cui giocare.
Cinque veroniche rotonde, d'autorità, maestose.
Un toro d'altri tempi per cinque veroniche d'altri tempi, maiuscole e magnetiche.
Avelar soccombe, le insegue senza averle, ogni volta schiumante di rabbia.
Frascuelo non si scompone, canalizza con la sua capa sicura quel torrente di forza bruta, il suo panno è un argine invalicabile.
Il toro non cede, si gira e torna dentro quella stoffa rosa, e ad ogni volta la terra trema.
Ma quelle cinque veroniche sono talmente pure, ferme e imperiose che Avelar nulla può.
Toreria.
Un gusto di toreria autentica e dimenticata invade l'arena di Ceret.
Cinque veroniche maestose e poi chiude una chicuelina: Avelar ora si ferma.

Sabato 11 luglio duemilanove, a Ceret Frascuelo e i tori di Coimbra.

(Frascuelo e Avelar, agli ultimi istanti - foto di Christophe Moratello)

giovedì 26 novembre 2009

Belmonte e il terreno del toro

MIURA

Belmonte annientò le leggi scritte e non scritte della tauromachia.
La fondamentale di queste leggi è, come si disse a suo tempo, quella che riguarda i terreni del toro e del torero quando sono di fronte e che, in un certo senso, stabilisce la linea immaginaria oltre la quale l'uomo non può spingersi.
La storia della tauromachia altro non è che la secolare lotta dei toreri per guadagnare un centimetro, un millimetro, una micrometrica distanza sul terreno del toro.
E' una corsa sorda, affannosa verso il toro, come verso un frutto sublime o proibito.
Per sentire un toro passare il più vicino possibile sono morti uomini spagnolo a centinaia.
Le stesse rivalità fra toreri non furono che gare d'audacia verso il terreno vietato e si risolsero sempre in favore di chi, magari lasciandoci la pelle, si spinse più avanti.

Belmonte fu il primo a violare la legge dei terreni che era, per generale credenza, una legge geometrica.
Il che, in tauromachia, significa qualcosa come non ammettere che la somma dei quadrati costruiti sui cateti è eguale al quadrato costriuto sull'ipotenusa.
Nella lotta fra l'uomo e il toro Belmonte, ribellandosi ad ogni limite, si buttò dall'altra parte; valicò il confine verso un mondo inesplorato e favoloso, popolato di morti e di leggende nere.
Fu l'Ulisse della tauromachia. Arrivato dall'altra parte, trovò in realtà i mostri ed i morti (Espartero stava in prima fila) e trovò che la lotta per la vita era tanto dura, serrata e tremenda che forse gli sarebbe piaciuto tornare indietro.
E sarebbe forse tornato, se avesse potuto, se avesse materialmente potuto rivalicare l'abisso.
Ma non s'è detto tante volte che Belmonte, poverino, era un rospetto, un ranocchio, un passerotto caduto prematuramente dal nido?
Non s'è sempre parlato delle gambette di Belmonte, delle sue braccine, delle sue spallucce sulle quali il collo spuntava come un esile stelo?
Bé; oltre all'eccezionale tempra del cuore fu per colpa della sua sciagurata fattura se Belmonte non tornò indietro.
Rimase dall'altra parte durante vent'anni, prima solo, poi con Joselito, a lottare con la morte e con la gloria.
E un giorno era la morte che sembrava avere il sopravvento (Belmonte ha sofferto un numero imprecisato di ferite gravissime e fino a quindici incidenti di sangue in una sola corrida) e un altro giorno era la gloria.
I vent'anni in cui Belmonte e Joselit rimasero al di là dell'abisso fatale corrispondono ai vent'anni di maggiore splendore che la tauromachia abbia conosciuto ed al periodo di più intensa esaltazione popolare.

- brano liberamente tratto da Volapié di Max David, ed. Bietti -



(foto Ronda - Lescarret e un Miura, Arles 2009)

martedì 24 novembre 2009

Lamento invernale

MONTERA Y CAPOTE



L'aficionado non vive come gli altri.
L'aficionado ha una vita a metà.
Metà vita, metà esistenza.

Da marzo a ottobre le membra si rianimano, il volto riprende colore, il sangue torna a scorrere.
Da marzo a ottobre l'aficionado ritrova il suo corpo, vibra nei muscoli, tende i nervi, gli occhi di nuovo vedono.
Da marzo a ottobre l'aficionado è fisicità, dolore pungente, lacrime salate, i sensi vivi e stressati, l'emozione si fa materiale.

Ma da novembre a marzo, l'aficionado non vive.
Non muore, nemmeno.
Ma non vive, non è vita la sua.
Sopravvive.
Aspetta.
Da novembre a marzo l'aficionado si nutre di ricordi, si imbeve di illusioni, respira speranze.
Sopravvive per tornare a vivere.
Da novembre a marzo sfogliare gli album di foto è linfa vitale, leggere qualche rivista è aria per i polmoni, condividere la mesta condizione con altri sofferenti è consolatorio alimento per l'organismo.
Da novembre a marzo l'aficionado è solo pensiero, ricordi e sogni, solo anima che pena per attraversare il presente.
Da novembre a marzo l'aficionado è crisalide che attende, ogni anno, di schiudersi alla vita.

Da novembre a marzo l'aficionado sopravvive.
Mesi lunghi e nebbiosi.

Poi un profumo pungente ed eccitante nell'aria, un giorno qualsiasi, improvviso.
I primi tori.
L'aficionado rinasce, e per sei mesi vivrà.

(foto Ronda - Istres, giugno 2009)

venerdì 20 novembre 2009

Michelito mi fa pena




La storia la conosciamo: Michel Lagravere, 11 anni in arte Michelito, è il nuovo e clamoroso enfant prodige della tauromachia.
Ha debuttato pochi giorni fa in novillada con cavalli, per inciso prendendo una sonora scoppola dal suo primo opponente: infermeria e corrida finita prima del previsto.
A metà tra precoce genio e svergognata operazione commerciale, l'eco dell'affaire Michelito è arrivato da tempo pure in Europa: per ora però il bimbetto si esibisce solo quasi esclusivamente in Messico, dove le leggi del paese gli permettono di uccidere tori in pubblico pur alla sua tenera età.

Ora lungi da me appiattirmi su un conservatore moralismo da provincia: ma quello che non mi torna è il viso di Michelito.
La sua faccia.
La sua faccina rotonda, le gote belle piene, gli occhi vispi e affamati di conoscere il mondo e la vita.
Lineamenti ancora da farsi, pinguitudini prepuberali, una bella boccuccia.
Insomma la faccia di un bambino di undici anni.

Undici anni.
A undici anni non conoscevo ancora i piaceri dell'autoerotismo, i cartoni animati e i fumetti erano la compagnia del pomeriggio, le ragazzine le allontanavamo erché volevamo giocare a pallone: e a undici anni se non giochi a pallone sei inutile.
Anche se non hai figurine da scambiare, sei inutile.

Ammazzare un toro di 400 chili, a undici anni, è attività incongrua.

Certo, sulla questione ci si divide: l'infanzia negata è l'argomento che usano i detrattori, il genio non ha età risponde chi invece non pone limiti all'espressione dell'uomo.
Ed è pur vero che Mozart si era messo dietro da piccolo, a suonare e scrivere: e per fortuna.
La storia dell'uomo è costellata di geni precoci, che hanno fatto quella stessa storia, l'hanno cambiata, riorientata, disegnata.
Tra le eccellenze dell'esperienza umana ci sono anche quei bambini con doti divine.

Ma Michelito no, per favore.
Un novillo è una cosa pericolosa, grossa, con le corna: pur con tutta la predisposizione, l'innata dote, l'ispirazione precoce...ma non è affare per undicenni.
Mi vengono in mente i Sanchez Fabres di Ceret, quest'anno: elefanti neri, mastodonti con le corna, che superavano di gran lunga i 500, di kg.
Michelito a dire poco ci camminava sotto, in piedi, senza chinarsi.

E poi un novillero, pur se baby, deve essere torero: deve sfidare la selvaggia brutalità della bestia e venirne a capo, vincere la morte, comandare i subalterni.
Gli aficionados che conosco vanno a vedere un uomo, o un giovane uomo, sfidare un toro.
Non un bambino paffuto piroettare goffamente attorno a un animale sproporzionato.

Le foto di Michelito mi danno un senso di pena, niente da fare.

(foto presa dalla rete)

lunedì 16 novembre 2009

Sono comuni le cose degli amici


Rullino i tamburi, squillino le trombe.

Per quel poco che vale, Alle5dellasera si fa megafono di questa mirabolante notizia: a giorni, precisamente il 19 novembre, esce per Ponte alle Grazie Sono comuni le cose degli amici.
Il primo romanzo dell'amico Matteo Nucci, che su questo blog ha già avuto i suoi bei momenti di celebrità grazie al famigerato articolo su Idilico pubblicato dal Venerdì (*).
Di questo esordio parla lui stesso in questa intervista.

Il Nucci, già testato de visu in occasione di una scoppiettante feria del Riso ad Arles, è dei nostri: appassionato ai tori, sedotto dal fascino femminile e sempre pronto alla convivialità, amante della buona cucina con un debole per quella tradizionale delle trattorie autentiche, è lettore affezionato delle nostre pagine e questo fa di lui una persona molto migliore delle altre.



Sono comuni le cose degli amici
è un bel titolo, siamo sicuri che sarà anche un bel romanzo.
Per chi si trovasse in zona, il 24 novembre andrà in scena la presentazione del libro all'atelier ESC a Roma: letture di Maya Sansa ed Elio Germano.

Da leggere.

venerdì 13 novembre 2009

Cifre




E' sempre interessante conoscere le cifre della tauromachia.
Intendo gli euro, i soldi, i cachet, le buste.
Abituati a calciatori che spiattellano onorari milionari, anchormen che litigano sugli zeri, sapere quanti soldi si mette in tasca chi si prende la briga di combattere e uccidere un toro in pubblico è spesso rivelatore.

La municipalità di Beaucaire, nella cui arena si tiene a fine luglio una feria di impronta decisamente torista, ha reso pubblici un pò di numeri rispetto all'attività 2009: un week-end con due corride e una novillada.

La corrida di Victorino Martin è costata 77.000 euro: siamo intorno 12 mila euro a capo.
Una Fiat Punto costa meno.
Mica male, considerando che Beaucaire nelle strategie della ganaderia non sarà probabilmente l'arena di punta e che qui don Victorino non invia certo i suoi gioielli più preziosi.
150 milioni delle vecchie lire, in ogni caso, per un lotto dei suoi tori in una piccola arena del sud francese.

Ai toreri è toccato dunque adeguarsi: la fonte è un articolo del Midi Libre.
Al sabato era prevista la corrida di Palha: sul sito della feria si possono vedere le foto dei tori selezionati per quella corsa.
E il primo pensiero è che non siano esattamente teneri animali da compagnia.
Bene, per affrontare questi Palha a Padilla sono stati riconosciuti 15 mila euro, a Mehdi Savalli 10 mila e a Lescarret 9 mila.
Considerando che queste cifre sono al lordo delle spese che il torero comunque deve affrontare, per pagare la cuadrilla, il manager, l'hotel, il viaggio e tutto il resto...probabilmente Totti per dare un singolo calcio ad un pallone la domenica si intasca di più.
Un pò meglio è andata ai due protagonisti del mano a mano domenicale di fronte ai Victorino: per El Fundi un cachet di 43 mila euro, per Sergio Aguilar 20 mila.

Certo il detto si hay toros no hay toreros vale anche sul piano economico.
Victorino e Palha sono due ferri cari, ed una arena delle dimensioni di Beaucaire immagino non abbia risorse infinite: speso da una parte, c'era da economizzare dall'altra.

Cambiamo registro.
Abituato a cifre con uno zero in più, il nostro caro Messia José Tomas ha invece appena raggiunto l'accordo per il suo ritorno a Bilbao, previsto per il 23 maggio del 2010.
Corrida di Nunez del Cuvillo, ossia tori con qualche traccia di casta in meno nel sangue di quelli di Beaucaire, onorario di 300.000 euro.
Trecento mila.
Mica male.
Ma si legge sui portali di oggi, una volta pagate le spese José Tomas devolverà tutto il rimanente (che a questo punto non dev'essere poco) in beneficienza alla Casa de la Misericordia di Bilbao.

(disegno di Loky)

martedì 10 novembre 2009

La corrida del secolo




Pobreton, Playero, Mosquetero, Director, Gastoso, Carcelero.

Era il 1982.
L'anno che incise nella nostra memoria un altro imperituro e leggendario rosario.
Zoff, Gentile, Cabrini.
Sfido chiunque a non riuscire ad arrivare, senza il minimo sforzo, fino all'undicesimo dell'Italia campione.

Pobreton, Playero, Mosquetero, Director, Gastoso, Carcelero.
Questa invece è la squadra dei sogni dell'aficionado.

Era proprio il 1982.
Il primo giugno.
Dicono che l'allora ministro della Cultura spagnolo, Soledad Becerril, il giorno dopo si recò in visita alla nazionale di calcio, nel ritiro non lontano da Valencia.
Giorni di lavoro duro.
Il ministro chiese se servisse qualcosa.
I giocatori, Juanito e Gordillo in testa, risposero che si desse da fare per ridare in televisione la corrida di Victorino a Madrid: l'avevano persa, c'era allenamento.
Volevano vederla anche loro.
La corrida, unica nella storia della televisione, fu trasmessa tre volte di seguito.

Primo giugno 1982, corrida di Victorino Martin a Las Ventas: Ruiz Miguel, Esplà e Palomar.
Dicono che Victorino, seduto sulle gradinate, dalla tensione non fu capace di scartare la caramella che teneva in mano, e si mise in bocca confetto e involucro.
Si capisce.
Se prendiamo per buono il teorema, elaborato in questo preciso istante, che in video la corrida perde un buon ottanta per cento della sua carica emotiva, della sua elettricità, del coinvolgimento di cui è capace...bene, a stare alla tensione che seduti sul divano, ormai trent'anni dopo, quella corsa trasmette a chi la vede in video...quel giorno all'arena dev'essere stata una prova dura per le coronarie di ognuno dei presenti.

La corrida del secolo, dicono.
E' l'appellativo con cui è passata alla storia.
Se ne era letto distrattamente su qualche sito qua e là, con ogni volta qualche perplessità: troppo roboante la definizione, esagerata, presuntuosa.
Un epitaffio per tutte le altre.
Invece niente da fare, è la celebrazione giusta.

Una serata uggiosa di autunno inoltrato, il dvd scivola nel lettore e la visione della corrida del secolo ha inizio.
Già al primo toro è tutto chiaro: difficile star fermi sul divano, impossibile non farsi travolgere da quel fiume di casta, impensabile non farsi rapire da quel tornado di emozione, eccitazione, passione, sofferenza, vita e morte.

Pobreton, Playero, Mosquetero, Director, Gastoso, Carcelero.
Sei tori di Victorino per la storia, una corrida di tori forti, che caricano ad ogni istante, maliziosi, potenti e selvaggi.
Sei furie capitate sulla sabbia di Madrid.
Sei animali nati per combattere sul serio, pronti a vendere cara la pelle, enormi per coraggio, ostinazione, intelligenza.
Sei monumenti alla bravura.

Di fronte a loro tre toreri.
Toreri.
Tre interpretazioni differenti del mestiere, ma accomunate dalla sincerità del gesto, dall'onestà nell'azione, dalla totale implicazione.
Ruiz Miguel un combattente, maschio, gladiatorio nella sfida mortale a Director: il momento più elettrizzante della corrida, commovente per cieca dedizione di questo e di quello, quasi che l'uomo e il toro avessero la stessa consapevolezza che la morte dell'uno era la vita dell'altro.
Esplà il più sfrontato, barocco, azzardato.
Al quinto toro tre paia di banderillas assolute, imperiali, definitive: dopo, non ci saranno che inadeguati cloni.
Tre paia di banderillas da rimanere a bocca aperta, da spellarsi le mani, da ridere nervosi o da piangere commossi.
E per spedire Gastoso, un recibiendo che ti fa saltare sulla poltrona, esplosivo, potente, assurdo.
Infine Palomar che riesce addirittura ad essere plastico e sinuoso, lento e profondo di fronte alla ruvida bravura di quei sei victorinos.
Puerta grande per tutti e tre.
Usciranno in trionfo in compagnia di Victorino e del mayoral.

Ventitremila anime che gridano torero! torero! a Ruiz Miguel nel catino di Las Ventas.
Esplà che fa un giro d'onore dopo le banderillas.
Palomar che dedica il sesto a moglie e figlia e poi crea arte ed eleganza plasmando la brutalità di quella materia viva.
La vuelta a Director, osannata.
Victorino Martin che viene chiamato in pista alla morte del quinto toro, per una vuelta clamorosa.
Il pubblico in delirio, ma veramente in delirio, gente che sulle gradinate si abbraccia e si sbraccia, grida o rimane muta, succhia sigarette e si tormenta le mani.
L'arena che è una polveriera.
E il commentatore che sembra il Tiziano Crudeli dei derby storici.

Tra le grandi cose dell'uomo, nel XX° secolo, la voce di Ella Fitzgerald e la conquista della luna, il gol di Maradona all'Inghliterra e il sogno di Martin Luther King, la scoperta della pennicillina e La danza di Matisse.
E poi c'è la corrida di Victorino Martin a Madrid, il primo giugno 1982, con Ruiz Miguel, Esplà e Palomar.

domenica 8 novembre 2009

Obbligato a morire

JOSE' IGNACIO RAMOS

La morte, Ostos la incrocia regolarmente in pista. Ciononostante, nessun aficionado può sostenere di averlo mai visto una sola volta girare la testa nel momento di passare, con la spada in mano, sopra le corna del toro.
Venticinque cornate, tre estreme unzioni.
Uno dei suoi apoderaros, José Ignacio Sanchez Mejìas, alias Uova Fritte da tante ne sbafava, aveva promesso un giorno di non mangiare più uova fritte se il suo torero fosse uscito indenne da una cornata a Siviglia.
Promessa da marinaio.

Ostos sentirà il crepitio della morte nella padella della vecchia arena di Tarazona, nell'alta Aragona, il 17 luglio 1963.
Il toro Nevado, di Ramos Matias, le cintura e lo apre in due a livello dell'ano come si abbate, con un colpo solo, un albero.
Safena e femorale squarciate.
Una fontana di sangue.
Il torero a cavallo Angel Peralta tenta invano di tappare il buco con il polso e un fazzoletto.
In dieci secondi ha perso tutto il suo sangue: torero rosso, morte bianca.
A colpi di siringa, perché non c'erano mezzi di trasfusione, gli vengono infilati 11 litri di sangue, presi dagli aficionados che aspettavano davanti all'infermeria.
Del sangue che subito esce dal buco della cornata.
Viene fatto aprire un negozio che vende piccole salviette.
L'autista del torero viene spedito a Tudela a prendere degli aghi per ricucirlo.
La macchina si ferma, in panne: carter esploso, come il suo basso ventre.
Per cinque ore, senza anestesia, i chirurghi trafficano nell'addome del torero, ridotto a uova strapazzate.
Poi scuotono la testa a significare l'impotenza, si levano lentamente i guanti, si asciugano la fronte in un gesto stanco, e lo danno per morto, come si dice.
La sua pressione è scesa a 2, firmano l'atto di decesso.
Ostos ce l'ha a casa, come ricordo.
Quattro giorni tra la vita e la morte: esplora l'aldilà, decide di tornare, si rimette.

Dei medici specialisti in chirurgia vascolare gli diranno un giorno che a Tarazona era obbligato a morire, per non ridicolizzare la medicina.

- tratto da Rafael le Chauve, di Jacques Durand -

(foto Ronda - José Ignacio Ramos, Istres 2009)

lunedì 2 novembre 2009

Ella es el matador




C'è sottotraccia un senso di tristezza latente, in Ella es matador: un'impressione di incompiuta che attraversa e segna tutto lo svolgersi della pellicola, un retrogusto di amara disillusione che né i colori sgargianti dei traje de luces né le progressioni cadenzate dei pasodobles riescono a mascherare.
I sorrisi tirati delle due protagoniste, le voci che man mano si fanno più sommesse e incerte, le corse nelle arene di infima categoria semivuote, l'intima consapevolezza di uno scostamento sempre più incolmabile tra sogno e realtà.

Il film, che le magie della rete rendono disponibile anche qua da noi, si prende la responsabilità di narrare senza finzioni il destino di due donne che ai tori, sacrilegio!, hanno deciso di dedicare la vita.
La storia è quella di cui avevamo già detto (*): Mari Paz Vega e la nostra Eva Florencia le due protagoniste, in un documentario che parla di loro, donne e torere, donne torere.

Allo spettatore le due non nascondono, in poco meno di un'oretta e con grande senso di dignità e disposizione, che il percorso intrapreso non è quello sperato e immaginato: il cammino è difficile, giorno per giorno c'è da sgomitare per ritagliarsi un angolino in un ambiente spesso ostile, e l'ascesa ricamata nei pensieri è diventata presto una inesorabile discesa verso compromessi, piccole soddisfazioni di retroguardia, ostinazioni sempre più inutili.

Non è male, Ella es matador.
E' un film che ha sentimento.

Parabole diverse, quelle di Mari Paz Vega e Eva Florencia: non solo tauromachicamente parlando, ma pure di vita.
Se la prima, malaguena ultima nata di una famiglia di banderilleros per necessità più che per scelta, pur tra mille fatiche ha trovato un suo posto nel plotone (l'anno scorso toreò alla Feria del Pilar di Saragozza, di fronte niente di meno che i Dolores Aguirre), la nostra compaesana ha una storia che varrebbe la pena raccontare con il giusto tempo.
Poco più che adolescente, Eva Bianchini viene folgorata dal mistero della corrida: scappa di casa, si installa in un paesino dell'Andausia, decide di diventare torera.
Da vedere l'espressione stranita e disorientata della madre, seduta sui gradini di un'arena in una regione così lontana non solo geograficamente dalla sua, mentre la figlia se la vede con un novillo.

Un mano a mano in forma di video, con Mari Paz e Eva che si alternano davanti alla camera: ora raccontando degli inizi, ora muleta in mano, ora confessando con gli occhi dritti nell'obiettivo quanto sia dura non solo riuscire ma anche provarci.

Notevoli per suggestione e poesia le immagini di chiusura, con Eva Florencia a toreare nuda alla luce pallida della luna: smessi gli abiti ormai negati da torero, spogliata anche fisicamente di ogni prototipo di uniforme e vincolo di ruolo, eccola con la passione e basta, il corpo suo e quello della vacchetta sotto i riflessi lattulei della luna, semplicemente toreando per sé.
Una bella sequenza, davvero, che chiude un film non imprescindibile ma a suo modo poetico e vero.

Se si può, da recuperare e dargli un'occhiata.


* qua il trailer da Youtube