martedì 30 giugno 2009

3400 euro per José Tomas


Domenica prossima è in programma l'encerrona di José Tomas, che nella Monumental di Barcellona si prenderà da solo sei tori.
Come prevedibile, la cosa ha velocemente travalicato i confini dell'appuntamento taurino per sconfinare incontrollata nella terra dell'evento mediatico, della soirée stramondana, della fibrillazione apocalittica e irrazionale.
Così oggi El Mundo ci informa che un aficionado (?) ha sborsato su un sito di scambio di biglietti tra privati (sic...ma non si faceva prima a dire bagarinaggio?) la cifra di...di...6842 euro per due posti nel tendido di ombra.
3421 a biglietto, ossia 38 volte il suo prezzo di vendita.
Risparmiamo ai lettori qualsiasi commento, che tanto è semplice da immaginare, ma non ci asteniamo dal confessare la nostra personale ammirazione a chi è riuscito a piazzare due biglietti pagati poco meno di un centinaio di euro a quella cifra disgraziata.
Chapeau.
Con 40 euro in tutto, a fine maggio a Nimes, noi ci siamo presi due biglietti per la corrida di Garcigrande (uscita sorprendentemente interessante e encastada) con José Tomas al cartel, e le due birrette di rigore.
Strategie differenti.

(qui sopra l 'affiche esclusiva per la corrida di domenica, opera di Agustì Puig)

lunedì 29 giugno 2009

Un tranquillo week-end di paura




Per chi non ha ancora programmato le ferie d'agosto, per chi ha stabilito che passerà da quelle parti, per chi deciderà che potrebbe fare una deviazione...volentieri segnaliamo l'appuntamento con le novilladas strepitose di Parentis en Born, sud-ovest della Francia.
Strepitose per gli aficionados, s'intende, e decisamente meno per i giovani toreri che (almeno sulla carta) si troveranno ad affrontare novillos selvaggi, duri, forti, indomabili.
Segnatevi le date, sabato 8 e domenica 9 agosto.

All'ormai tradizionale appuntamento domenicale con i Raso de Portillo, Parentis è forse l'unica arena al mondo che ha il coraggio di programmarli (ripagata con corse palpitanti e da brividi), si aggiunge la novillada concorso del sabato: Partido de Resina, Prieto de la Cal, Barcial, Moreno de Silva, Alonso Moreno e Coquilla de Sanchez Arjona.
Sei ganaderias così, tutte insieme, è un privilegio raro.
Merito di tanta grazia è dell'Ada Parentis, l'associazione di aficionados locali che si fà carico di organizzare feria e corride: altro esempio virtuoso (Vic, Ceret) di amore e strenua difesa del toro vero e integro, passione per la tauromachia, capacità di lavoro.

Astenersi deboli di cuore, per tutti gli altri che transitassero in zona (Parentis en Born è nel cuore delle lussureggianti Landes, a due passi dai Paesi Baschi) tappa vivamente caldeggiata.

Sul sito dell'Ada Parentis tutte le informazioni del caso.

(la foto del Raso de Portillo, di Roland Costedoat, è presa dalla sezione Galeries del sito: dare un occhio per farsi un'idea...)

giovedì 25 giugno 2009

Istres: cresci bene che ripasso




Chi di noi non ha avuto l'amico giusto che, da giovani (molto giovani), assegnava con invidiabile sicurezza i suoi cbcr alle ragazzine incrociate in spiaggia o ad una festa?
Cresci bene che ripasso, un invito a mantenere le promesse e sbocciare presto in vista di un futuro e piacevole incontro.
Ancora ignari dell'implacabile fatto che poi, una volta cresciute sul serio, le ragazzine si sarebbero facilmente sbarazzate di noi ancora imberbi per approdare a più confortanti e maturi lidi, i ragazzi col motorino, quelli che già fumavano sigarette o addirittura che uscivano con la macchina, o che già avevano quella che per noi era ancora solo una terribile e inarrivabile chimera: l'esperienza...

Che cresca bene, la feria di Istres, che ripassiamo.
Una bella arena comoda e confortevole, alcuni dettagli gustosi negli arredi della plaza, un pubblico competente (soprattutto la domenica), un'organizzazione premurosa, una programmazione decisamente interessante, prezzi più che abbordabili.
I nostri tre giorni nel paesino del sudest sono stati un tuffo nella passione dell'aficion, tre giorni di puro godimento e piacere.
A convincerci per la zingarata era stato il cartel: Miura e d Escolar in corrida, Yonnet in novillada, una evidente propensione al torismo che è ormai la stella polare che ci guida nella scelta delle nostre calate nelle terre taurine.
Se a questo aggiungiamo che la corsa di Torrehandilla uscita il sabato, da noi disertata a favore di una giornata interamente dedicata a visitare ganaderias, sembra essere uscita ben più che dignitosa (e, dicono, molto meglio della media delle corride commerciali)...insomma, il pacchetto è completo.

Certo, la feria di Istres deve crescere: niente di scandaloso, l'appuntamento ha una storia ancora molto recente ed è normale che vadano registrati alcuni meccanismi.
La festa nelle vie è oggettivamente contenuta, rare le bodegas e ridotta l'animazione, anche se gli sforzi dell'organizzazione per rendere ricca l'agenda sono più che confortanti.
Nell'arena si paga il prezzo dell'essere plaza di terza categoria, la presidenza un pò indulgente e i lotti di tori (i Miura) non certo di prima scelta.

Ma non si può certo pretendere una sanfermin da un paese di qualche decina di migliaia di anime, e con una feria che è ancora alle prime edizioni.
Sta di fatto però che il nostro è stato un grande week-end di tori, tra quelli all'arena e quelli al campo, tanti e calorosi gli incontri con gli amici francesi, seducente ed irresistibile il richiamo dei calamares e del fino.
I Miura sono usciti male, insapori e moderni, i tre novilleros hanno dovuto sudare parecchio di fronte agli Yonnet, e la corrida di Escolar era violenta e dura, con un gran toro capitato per quarto e che un ottimo Rafaelillo ha dominato fino a meritarsi un trionfo rotondo.

Ma il bilancio è più che positivo, sia chiaro, e se Istres manterrà questa sua connotazione, essenzialmente votata a programmare innanzitutto corride di tori ("Esa es una plaza torista!", gridava irritato uno spettatore al presidente che limitava ad una sola la picca ad un Escolar), ci sarà da mettere in agenda anche per l'anno prossimo il fine settimana alla sua feria.

(foto Ronda - l'arena di Istres)

martedì 23 giugno 2009

Chez Tardieu




Come spiegare a un totale profano, e per di più magari con l'aggravante di essere italiano e quindi a digiuno di ogni conoscenza o residui culturali di tauromachia, che la corrida è essenzialmente ed ineluttabilmente esperienza di amore per il toro?
In un ideale percorso di avvicinamento alla corrida e per una corretta pedagogia dell'aficion, non ci sarebbe niente di meglio per iniziare che una visita ad una ganaderia: dove tutto, dagli orari agli spazi, dalle cure alle storie, è in funzione del toro, che qui è l'indiscusso re e l'oggetto di un amorevole culto altrimenti difficile da comprendere.

Reduci dalla manifestazione antitaurina del giorno prima andata in scena nell'arena di Nimes, dove un pubblico disgraziato e un'impresa criminale ha portato in trionfo i toreri di fronte a un sestetto di Zalduendo tanto insulsi e deboli da far compassione, e dove la noia ci ha avviluppato nei suoi melliflui tentacoli per due ore e mezza, che grande e indimenticabile boccata d'aria fresca la visita all'allevamento dei fratelli Tardieu la mattina del venerdì!
Uno di quei preziosi e impagabili momenti che ti fanno ringraziare il cielo, per chi ci crede, o la combinazione degli eventi, per noi laici e materialisti, di essere stato a suo tempo contagiato dal virus dell'aficion.

Guidati dall'amico Daniel, Loquito del Arte, e dal suo socio la talpa trombonista, l'accoglienza riservata da Louis e Alain Tardieu ha dato in pochi attimi la cifra di quella che sarebbe stata la mattinata: una stretta di mano sincera, un sorriso vero e profondo sul viso solcato dalle rughe dal tempo e dal lavoro, e un "grazie per essere venuti a trovarci" eloquente e grande nella sua semplicità.

Presto montati sul carro del trattore, il giro nella sconfinata tenuta (600 ettari, nella campagna alle porte di Arles) ha avuto per cornice una natura rigogliosa e luminosa, dove gruppi di cavalli camarghesi punteggiavano con il bianco del manto l'orizzonte e dove il verde della ricca vegetazione era un inno alla bellezza della natura.

Niente da fare, la fierezza che ha il toro da combattimento, il collo alto e le corna a toccare il cielo, il corpo di muscoli ben saldo sulle zampe solide, lo sguardo fisso davanti a sé a dominare sul creato, è cosa unica.
La bravura nello sguardo.
E il toro nel campo è ancora più imponente e sicuro, il toro nel campo è una statua da ammirare, un signore da riverire, una divinità nel suo olimpo.

Sono belli i tori di Tardieu, ben fatti, la testa imponente ed armata, i muscoli lucidi, portamento nobile, classe e serietà insieme.
Affascinante per varietà la paletta dei colori, berrendos, jaboneros, ensabanados...eredità genetica e nel pelo di quel Maravilla che da Tabernero arrivò fino in Francia a fecondare le vacche di Pouly, e da qui a cascata a dipingere i manti delle mandrie di diversi allevatori transalpini.
Dal 1951, data della creazione dell'allevamento, si sono mischiati in quelle vene il sangue santacoloma e quello gamero-civico, poi nunez e domecq.

Scendiamo dal carro, arrischiamo qualche metro con i piedi nell'erba fresca per ammirare ancora e meglio i becerros disciplinati al seguito delle madri, lo sguardo sornione e vigile del semental, l'ardore dei novillos, l'imperturbabilità dei cinquenos.

Alain e Louis a spiegarci, raccontare, lavorare, a introdurci nel caveau per mostrarci i diamanti più preziosi e per controllare ancora come ogni giorno quegli animali che riconosco, anche a distanza considerevole, uno per uno.
C'è amore nelle loro parole, amore vero per quei tori che ora sono lì a pochi metri e che ci fissano con gli occhi di chi sa di essere, qui, il padrone.

La più degna conclusione, a metà mattina, una merenda con vino salame e formaggio, per nutrire ed inebriare il corpo dopo che lo spirito e gli occhi già erano sazi: ancora parole, domande, racconti e sorrisi.
C'è José Tomas oggi a Nimes?
Sì.
E' grande, José Tomas, ma i nostri tori non li vuole.

Da Alain e Louis Tardieu abbiamo voglia di tornare presto, perché fa bene.
Nel frattempo, per chi volesse, è online la galleria di foto prese quel giorno.

- per ogni approfondimento, su Terresdetoros la scheda dell'allevamento Tardieu: da leggere -

(foto Ronda)

martedì 16 giugno 2009

Anteprima




Nei prossimi giorni il resoconto e le immagini della nostra visita alla ganaderia di Tardieu, sud dellla Francia.
La foto qua sopra valga da antipasto.

(foto Ronda - chez Tardieu)

domenica 14 giugno 2009

Proxima estacion


Esperanza, cantava Manu Chao...la feria di Istres diciamo noi.
Per tranquillizzare i lettori e i commentatori, per la delegazione di A5DS la giornata del sabato sarà rigorosamente risparmiata a quanto accadrà all'arena, e dedicata invece una ricca visita alle ganaderias della zona.
A seguire i tradizionali reportages.

venerdì 12 giugno 2009

In conclusione


Finite le rassegne sulla feria di Vic Fezensac non ci resta che segnalarvi, per completare l'opera e in vista del week-end, un paio di link:

- la puntata di Signes du Toro con le immagini dei momenti salienti all'arena (*)

- le magnifiche foto di Christophe (*)

E' vero che il posto è lontano, è vero che il paese è decisamente brutto (ma la regione è esattamete il contrario), è vero che la festa non è particolarmente attraente ed ogettivamente eccessiva...ma Vic e i suoi tori meritano ogni sforzo per tornare, l'anno prossimo e quelli successivi.

(foto di Christophe Moratello - LF Esplà a Vic, 1 giugno 2009)

giovedì 11 giugno 2009

Escolar Gil e La Quinta, le altre due




Per chiudere con i reportage sulle corride di Vic, non rimane che parlare di quella di Escolar Gil (sabato) e di quella de La Quinta (lunedì): in viaggio da Nimes al Gers, non abbiamo potuto partecipare alla novillada di apertura delle sabato mattina, a sentire gli amici un ottimo antipasto con i novillos di Flor de Jara (fino all'anno scorso Bucaré ) a dare spettacolo.

Escolar Gil e La Quinta, ovvero due intepretazioni diverse del sangue santacoloma: via Albaserrada i primi e via Buendia i secondi.
Partiamo con il dire che i due allevamenti hanno portato a Vic sei tori ognuno dalla presentazione a dir poco impeccabile: il solo osservare quei tori all'ingresso, a correre lungo le assi quasi come ad una sfilata per farsi ammirare, le corna solide ed affilate, il corpo proporzionato, la testa imponente e lo sguardo bravo...solo questo, lo confessiamo, valeva metà del biglietto.
Le due corse però hanno avuto, e come potrebbe essere altrimenti..., esiti diversi.

Gli Escolar del sabato sono usciti pericolosi e selvaggi, implacabili al minimo errore dell'uomo.
Ciò che impressionava nel lotto era la straordinaria ed inconcepibile agilità che permetteva a quei carroarmati di 500 kg di girarsi come una pantera, appena sparita la muleta.
Un passo e hop, una giravolta felina e subito le corna al ventre dell'uomo, un altro passo e hop quel movimento improvviso e fulmineo a rimettersi sul torero.
Fatta eccezione per il quarto, di cui diremo fra qualche riga, gli albaserrada del sabato eruttavano fiumi di casta e lasciavano ben poche possibilità agli uomini, tori duri e difficili e assai poco malleabili: impossibile ingannarli.
Aguilar riusciva in un lavoro con la capa da applausi di fronte al suo primo, al quale arriverà poi a tirare qualche buona serie a destra durante la faena.
Il quinto del pomeriggio gli lascerà poche opzioni, e il torero non riuscirà a venirne a capo.
Mora, dopo aver rovinato con la spada un lavoro meritorio al terzo, farà segnare un mezzo naufragio con l'utimo del pomeriggio, sotto i fischi di un pubblico davvero esigente.
A uscire con il sorriso, e con un trofeo in tasca, sarà dunque il solo Rafaelillo.
Callejero 1, in quarta posizione, è un signor toro che prende due buone picche (a nostro avviso una terza non sarebbe stata di troppo) e che alla muleta si presenta con una nobleza sincera e non artificiale, pronto a concedersi al toreo ma altrettanto pronto a ricordare al torero che nelle vene scorre sangue dalla casta viva.
Rafaelillo, che non sarà un grande artista ma un combattente valoroso invece sì, approfitta delle qualità del suo avversario per disegnare un lavoro fatto di coraggio e profondità, soprattutto a destra dove Callejero1 arriva con una carica più ordinata e accessibile.
Il toro farà la vuelta con una sola orecchia, l'altra rimasta nelle mani di un Rafaelillo che la porterà con giustificato orgoglio nel meritato giro d'onore.

Meravigliosi per trapio i La Quinta del lunedì, e protagonisti della corrida più completa e rotonda del ciclo.
A sostituire El Fundi, di cui non raramente si è sentita la mancanza nel corso della feria, proprio Rafaelillo che con il successo del sabato guadagnava questo nuovo contratto.
Dopo l'ovazione all'ingresso per il vecchio leone Luis Francisco Esplà, nel suo anno di addio alle corride, la scena è tutta e presto per i sei La Quinta, che hanno mostrato bravura al cavallo e motore alla muleta, e che avrebbero meritato una terna di uomini più attrezzata e robusta.
Toccano ancora a Rafaelillo gli applausi più vibranti della giornata: Negrero sembra atterrato sull'arena per ribadire che un toro integro e con casta è un animale unico e divino, le corna sfiorano il cielo e i muscoli del collo sono la Forza fatta carne.
Alla prima picca il cavallo deve retrocedere, sotto la spinta di quella locomotiva, fino ad appoggiare il fianco alle assi, l'altro alla mercé dell'assalto. Nel secondo arrembaggio l'urto è se possibile ancora più violento e potente, intransigente.
Buono il lavoro della cuadrilla, i peones salutano dopo tre paia di banderillas ben assestate.
Rafaelillo prende il panno rosso e la battaglia continua: nessuna concessione alle fioriture, uomo e toro sono al centro dell'arena e protagonisti di un combattimento vero.
Negrero mette bene le corna, attacca incessantemente la muleta, e insieme cerca il corpo dell'uomo: Rafaelillo ha il merito di non abdicare, si ingaggia completamente nella sfida e dopo qualche passaggio a singhiozzo riesce a ricamare un paio di serie armoniche e impensate.
L'emozione è grande, Negrero è un toro vero e pericoloso, Rafaelillo è in quel momento modello di coraggio e del valore.
Si chiude con una intera un pò laterale ma efficace, un'orecchia per il torero e una richiesta di vuelta (non accordata) per Negrero: a mio avviso sarebbe stata meritata almeno quanto quella a Callejero1 del sabato.
Di Aguilar, che ha firmato insieme i gesti più eleganti e i momenti più folli del pomeriggio abbiamo già detto nel post precedente. Di Esplà invece ricorderemo la classe atemporale, quel sapore di una tauromachia di altri tempi che ha ogni suo gesto, il bel modo torero.
Per la prima volta vedevamo i La Quinta e abbiamo assistito ad una corrida piena, palpitante, ricca, con tori completi e pericolosi, difficili da dominare ma capaci di regalare emozioni in ogni momento.
Una corrida di toros bravos, cosa chiedere di più...

(foto Ronda - Vinatero, n° 28, di Escolar Gil)

martedì 9 giugno 2009

Sergio Aguilar




Torerazo
, dicono gli spagnoli, torerazo.

Avevo letto di Sergio Aguilar ottime cose, specialmente dopo il suo passaggio sulla sabbia di Vic Fezensac dell'anno scorso: nel 2008 il suo nome era schizzato in cima alle preferenze degli aficionados abituati ad andare ai tori, prima di tutto.
Per esempio Campos Y Ruedos (qui) e Florent (qui), due referenze al riparo da qualsiasi sospetto di fanatismi e piaggerie, ne hanno spesso lodato tanto l'approccio, coraggioso e austero di fronte a tori sempre difficili, quanto le prestazioni solide e piene.
Per quanto mi è stato dato di vedere a Vic quest'anno, non si erano sbagliati.

Aguilar ha due cose, soprattutto: serietà e classe.
Ci vogliono entrambe, per usare la capa in quel modo con Chismoso di Escolar (il sabato) o per mettersi in mezzo alle corna del sesto La Quinta, la corrida di chiusura.
Una capacità unica di mettere in un combattimento vero, perché di quello si occupa quando scende in arene come Vic, Ceret o altre, sentimento e plasticità.
Un signor torero, Aguilar: glielo leggi nell'espressione dello sguardo, nella piega delle labbra che raramente volge al sorriso, nella camminata sicura e sobria, nell'abbandono irreale che impone al suo corpo.
La tecnica è da perfezionare, gli anni e i contratti in questo aiuteranno: ma che piacere vedere un torero incrociarsi così di fronte ai santacoloma, toreare con sincerità, esporsi per tirare passi profondi e di sentimento, non rinculare quando anche solo lo sbuffo di un La Quinta ti obbligherebbe a farlo.
E poi la muleta sempre davanti, a chiamare e comandare.

A Vic si è digerito quell'Escolar pericoloso, che ha trattato prima con i guanti e poi con il bastone, e un sobrero di Cortijoliva che sembrava uscito da un manuale di zoologia della preistoria: grosso, violento, inabbordabile.
E anche Morisqueno, che chiudeva la corsa di La Quinta e il ciclo viçois.
Se la corrida è combattere, Morisqueno e Aguilar hanno combattuto, senza risparmiarsi, senza nascondersi, senza concedere nulla l'uno all'altro.

Numero 64 sul fianco, l'ultimo toro della Pentecoste spinge bene a due riprese sotto il castigo della picca, poi si impegna in un ultimo tercio che sulle gradinate è seguito in apnea: faena da brividi per tutti tranne per un Aguilar incredibilmente calmo di fronte agli assalti assassini del suo toro, che prima lo colpisce ad un braccio e poi all'uscita di un pase de pecho alza la testa e sfiora con la punta della sua sciabola il volto del torero.
Non è finita, Aguilar insiste sul corno più pericoloso e mentre dagli spalti arriva qualche primo fischio Morisqueno, che è un toro con una casta viva e intatta, lo aggancia e lo fa volteggiare per aria.
Il corpo di Aguilar rimane per qualche lungo, lunghissimo secondo a ballare sul collo del toro, in mezzo alle corna.
Metà arena si chiude in un silenzio elettrico, l'altra rumoreggia nervosa.
Cambio di spada, ma prima della stoccata Aguilar decide di tornare sul ring con una serie di manoletinas tanto secche e strette da sembrare impossibili.
Coraggio estremo, midollo torero, incoscienza o volontà di spuntarla, chissà.
Forse la sensazione che al successo mancava poco.
Alla quarta, l'inevitabile: Aguilar di nuovo violentemente per aria, poi a terra alla mercé delle corna del toro.
Romantici e disperati i subalterni del torero, che seguivano questa ultima serie ben oltre il burladero, le gambe sui blocchi di partenza come il più allenato velocista pronti a correre in aiuto del loro maestro.
E ad avere la peggio proprio uno di loro, non Aguilar ma un suo peone, accorso ad offrire la sua capa e il suo corpo a Morisqueno per salvare la vita al torero.
Di nuovo la piazza si divideva, chi si spellava le mani per rendere omaggio all'enorme valore di Aguilar, chi gli rimproverava un'assurda incoscienza costata cara al suo secondo.
Francameante eravamo più in linea con questo sentimento, ché a nostro avviso Sergio Aguilar è torero che ha nelle corde la grandezza del toreo, che sa toreare con i muscoli e il cuore insieme, che sa coniugare battaglia e arte, e che non ha dunque bisogno di rischiare inutilmente la vita per entrare nelle grazie dell'aficion o per guadagnarsi spazaio.
Che continui sulla sua strada fatta di verità e sincerità, è il cammino che porta alla grandezza.

Muscoli e cuore insieme: un signor torero, Sergio Aguilar, da rivedere presto.

(foto Ronda - Sergio Aguilar a Vic 2009, una veronica a Vinatero di Escolar Gil)

domenica 7 giugno 2009

Vic Fezensac, le foto




Per un pò scorreranno a rotazione nello slideshow qui a destra, in ogni caso si trovano e si vedono meglio a questo indirizzo.


(foto Ronda - il monumento a Ruiz Miguel fuori dall'arena di Vic)

sabato 6 giugno 2009

Fidel San Roman, o la macchina del tempo


Si legge di tanto in tanto, nelle cronache o nelle prose taurine, e quasi ad evocare epoche mitiche e mitologiche ormai irripetibili, che una corsa particolarmente aspra, o difficile, richiama le corride di altri tempi.
Bene, la corrida di Fidel San Roman di domenica pomeriggio a Vic Fezensac è esattamente quello a cui penso quando leggo sulle pagine di qualche libro o rivista quell'espressione .
Tori duri, duri nei muscoli nelle ossa e nel midollo, entrati per non cedere mezzo metro di terreno, decisi a non perdonare il minimo errore, a sbarazzarsi di tutto ciò che gli capitava davanti.
Sei tori che, messi i piedi sulla sabbia, prendevano immediatamente possesso della pista e su quella stessa pista non avevano intenzione di concedere asilo a nessun altro.
Terribili, nelle idee e nel corpo.
Sei tori che sembravano arrivare direttamente da un'altra epoca, da tempi in cui le bestie erano mostri, i tori erano giganteschi e regnavano sulle terre andaluse, e gli uomini piccoli e timidi, ben lontani dall'idea di affrontarli.
Sembravano arrivare da un altro evo, ecco, quei sei Fidel San Roman.

Sia detto, la corrida non è stata certo storica, è stata lunga e pure ha avuto momenti di noia.
(De)merito anche dei tre toreri, che nelle due ore e mezza sono pian piano implosi, divorati dalla casta dei loro avversari, incapaci di agire e comandare, sovrastati e vinti.
I sei Fidel San Roman hanno fatto, e scusate il francesismo, quel cazzo che volevano dall'inizio alla fine.
Padroni assoluti dell'arena, nessuna concessione all'arte o alla collaborazione, nessun cedimento: le cuadrillas dei tre toreri sono andate gambe all'aria quasi subito, alla deriva per tutta la corrida.

E poi quel comportamento al cavallo, comune ai sei, e incredibile.
Entrati distratti dal toril, poco sensibili alle sirene della capa, i tori non hanno brillato certo al loro ingresso: ma visto il cavallo una cannonata, enorme, subito addosso con le corna nel fianco.
E poi via subito fuori, uscendo da soli, per ripartire poco dopo magari sul cavallo opposto.
Altra cannonata.
Proprietari della pista, decisi a spazzare via ogni intruso, inabbordabili.

Dei tre uomini, a uscirne peggio è stato Julien Lescarret: visibilmente sopraffatto dal suo primo, un manso da antologia, ha subito abdicato non riuscendo peraltro a nascondere la paura che lo ha condizionato tutta la giornata.
Diego Urdiales, il più anziano in alternativa, ha provato con un toreo sobrio e classico a risolvere le difficoltà dei suoi due: la prima faena la più meritoria, ma con la spada un tracollo, del suo secondo probabilmente si sta chiedendo ancora adesso cosa fare.
Rimaneva Mehdi Savalli, venuto a rimpiazzare Alberto Aguilar, e reduce dalla convincente prova di Arles (Victorino) e dalla molto meno positiva corsa di Alès (Dolores Aguirre).
Con il terzo del pomeriggio un disastro totale in ognuno dei tre atti: da mettersi le mani sulla faccia, per coprirsi gli occhi.
Con Violon, che chiudeva la corsa, Savalli trovava un briciolo di lucidità e di serenità: alla capa, dopo due largas cambiadas per risvegliare il pubblico, arrivavano tre veroniche ben fatte e autoritarie, chiuse da una buona media.
Violon entra violento per due volte al cavallo, il picador incapace di contenerlo, e Savalli poco dopo gli piazza tre buone paia di banderillas, questa volta precise e secche.
La faena inizia forte ed elegante, e una prima serie a destra davero buona sembra promettere.
Ma la casta viva e pericolosa di Violon, capace di punire al minimo errore, e il deficit di tecnica ed esperienza del torero portano il lavoro ad abbassarsi progressivamente di tono.
Alla fine Savalli raccoglierà un'ovazione, in ogni caso l'unica del pomeriggio.

Forse qualcuno dei tre toreri, alla fine della corrida e al sicuro sotto la doccia in albergo, avrà pensato se riprendere gli studi, perché no, o se cercarsi un altro lavoro.
O molto più probabilmente avrà dato mandato all'apoderado di non procurargli più ingaggi con i tori di Fidel San Roman.

Duri, duri, duri.

(foto Ronda - Zapito, il terzo San Roman del pomeriggio)

giovedì 4 giugno 2009

La concorso e Camarito



Che cosa grandiosa che è la corrida quando la sua essenza si fa realtà.
Quando dal nero del toril esce un toro ma un toro vero, che prende possesso dell'arena prima con lo sguardo e poi con tutta l'imponenza del suo corpo, e che risponde ai richiami di uomini vestiti di oro una, due, tre, quattro volte lanciandosi al cavallo da venti metri, facendo scattare in piedi ottomila persone venute a celebrare la commovente grandezza della bravura.

Se e quando qualcuno mi chiederà (ancora) di accompagnarlo alla sua prima corrida, mosso magari da curiosità o suggestionato perché no da queste pagine, farò di tutto perché quella sia la concorso di Vic Fezensac.
Al di là dell'esito finale, ché si sa con i tori è sempre ed inesorabilmente un grande punto interrogativo, è raro trovare in una sola corrida un tale concentrato di religiosa cura e appassionata partecipazione, di emozioni e comunione, di autentico amore per il toro e rigoroso rispetto per i canoni dell'arte.
E che strepitosa occasione per conoscere il mistero del toro bravo poterne confrontare sei di quelli seri, abituarsi a pesare e paragonare i comportamenti in pista, distrarsi a cogliere le differenze morfologiche tra l'uno e l'altro, valutare e conoscere le differenze di sangue, sorprendersi ad ammirare quel vivo fascio di muscoli e quelle corna imponenti.
Stupirsi, infine, della magia della bravura.
Pedagogia taurina.

Il mattino era iniziato bene, colazione abbondante e i dieci minuti in macchina che separavano l'albergo dalla plaza de toros trascorsi ad attraversare la grassa campagna del Gers ascoltando sull'autoradio qualche pasodoble, così per tuffarsi subito nella giusta atmosfera ed arrivare coi muscoli caldi.
Fuori dall'arena un eccitato fermento, dentro neanche un posto libero: pubblico serio e conoscitore quello della domenica mattina, come pochi altri.
La brochure distribuita a tutti i partecipanti, con la griglia per valutare ognuno dei sei animali e il regolamento del concorso, non faceva che aumentare le aspettative per l'evento.

Alla fine il premio sarà curiosamente e furbescamente attribuito ex-aequo a Camarito di Palha e Baraquero di Victorino Martin.
Diciamo subito che per quanto ci riguarda e con ogni probabilità per tutta la delegazione italiana, non avevamo esitato ad individuare nel toro portoghese, uscito per secondo, il migliore della corsa.
E' quasi come se si fossero confrontate due interpretazioni di toro bravo, quasi una coppia complementare di animali da combattimento: un Palha mastodontico dalla bravura debordante e d'altri tempi, enorme a quattro riprese nella picca, una macchina da guerra nel cavallo; e un Victorino leggero e scattante, deciso e spensierato negli assalti alla cavalleria, il corpo agile di un'anguilla e i muscoli duri come il marmo. Da un lato la bravura selvaggia, dall'altro la bravura ancora (ma per quanto ancora, bravura?) a disposizione del toreo e dello spettacolo.
Ma tra i due, pur se il Victorino (assai meno malmenato alla picca) è forse sembrato più completo in virtù di un ultimo tercio in cui è arrivato potabile, grazie alle amorevoli e interessate cure di Bolivar, è stato il Palha con la sua casta intatta e la sua orgogliosa determinazione a sorprenderci e conquistarci.
Un toro bravo, un gran toro bravo.

Gli altri quattro è come se avessero fatto da spettatori e avanspettacolo di questo grandioso confronto: e gli uomini, liberi da ogni urgenza artistica e finalmente calati nel ruolo sacerdotale di officianti, abili a lasciare la scena ai veri protagonisti della corsa.
Per primo era uscito Flamenquillo di Miura, lungo e alto. Una prima picca mediocre e le due successive progressivamente meglio, partendo da sette/otto metri per prendersi una terza mettendo le due corna, e che varrà al picador gli applausi all'uscita.
Alla muleta però Flamenquillo si pianterà quasi subito, infidamente fermandosi a metà passo e mostrando un pericolo costante a sinistra. Robleno lo spedisce con due terzi di lama dopo un pinchazo sfortunato.
In quarta posizione Asistente di Cebada Gago, corna affilate e protese al cielo, applaudito all'ingresso, una testa da far paura. Al richiamo del picador risponde senza indugi.
Con Asistente, Robleno è meno convinto e più svogliato: il Cebada Gago ha conservato una certa carica, ma il torero non riesce a trovare il terreno giusto, non si incrocia mai e chiude con una spada laterale decisamente pessima. Applausi al toro, che volentieri avremmo voluto vedere in altre mani, e silenzio per il torero.
A Robleno toccherà uccidere anche Palomito di Escolar Gil uscito, ben fatto e uscito in quinta posizione, e che invierà all'infermeria Javier Valverde (lussazione al gomito), francamente deludente con i suoi due.
Chiuderà infine Agitador di Fuente Ymbro, il toro con il trapio meno completo dei sei, e che al cavallo dimostrerà poca bravura: senza dubbio il meno interessante tra il sestetto in concorso.

A Camarito e Baraquero è toccato di fare il resto.
L'animale di Victorino, va detto, era un signor toro: ben fatto, leggero e proporzionato, caricava il cavallo con alegria in quattro riprese. Ma Bolivar, che ben conosce i victorinos, imponeva al suo picador di risparmiare Baraquero: le quattro picche erano così quattro brevi carezze, e il grigio cornuto restituiva al torero la carineria presentandosi alla muleta con motore e un assalto franco. Al torero boliviano era sufficiente cruzarse in un paio di serie per tagliare un'orecchia e finire sui giornali il giorno dopo: certo se avesse abbassato la muleta con più decisione oggi saremmo qui a parlare di un'altra faena, ma il più era fatto, Baraquero era stato conservato per la muleta e un trofeo era caduto.
Bel toro, Baraquero, completo nei tre tercios e interessante in tutto il suo passaggio sulla pista, ma la sua pur evidente classe non gli valeva la condivisione della vittoria con il toro portoghese.

Sì, perché quel giorno la corrida aveva il suo unico re, il suo unico signore in Camarito: castano, corna larghe e solide, un fisico monumentale a da solo spaventoso, quel Palha resterà nella nostra memoria per parecchio.
Se un toro può avere un'anima, Camarito ce l'aveva: lo spirito di un combattente, incapace alla resa, il morale di un esercito intero, la potenza di un uragano.
E quel tercio de varas che ci hanno regalato il toro e Angel Rivas Sanchez basterebbe da solo a conquistare milioni di nuovi adepti alla meraviglia della corrida.
Si capisce tutto subito al primo castigo: Camarito nel cavallo mette le corna, le reni, tutto il corpo e secoli di geni nel sangue, la storia intera della ganaderia.
Il profilo allungato e i muscoli che vibrano sotto la pelle tesa ed ecco il cavallo che inevitabilmente cede, indietreggia sotto la forza di quel bulldozer, fino a trovarsi con un fianco contro le assi.
Questione di qualche secondo ancora e cavallo e cavaliere sarebbero nel callejon.
L'aria si fa elettrica, tutti sanno che siamo al cospetto di un Toro e che oggi nell'arena c'è davvero un dio che combatte.
La seconda picca è ben assestata ma soprattutto enorme, un lungo minuto in cui tutte le energie dell'universo sembrano convogliarsi in quei 600 kg di carne e finire in quelle due corna che fanno rinculare il cavallo per metri e metri: la plaza esplode.
Alla terza picca Valverde mette il toro a 20 metri.
Camarito è nato nell'agosto del 2004, e per cinque anni si è preparato a questo: gratta il suolo, studia la fortezza là davanti a lui, rimane così per un buon minuto.
In questa esitazione qualcuno vede un cedimento di bravura, e magari sui manuali sarà anche scritto così: ma come negarsi il piacere di assaporare quei momenti di sospensione del tempo, durante i quali il silenzio degli ottomila presenti è squarciato solo dai richiami del picador e dagli sbuffi del toro...E soprattutto come ridurre tutta la selvaggia e grandiosa bravura di Camarito ad una questione di dettagli, di piccoli segnali, di pseudo-dogmi fissati in qualche testo qua e là.
Ma per fortuna Camarito i manuali di tauromachia non li legge, va avanti a grattare il suolo e fa bene a farlo, passa un minuto e il tempo riparte, Camarito si lancia, il pubblico libera la tensione vociando e applaudendo, il cavallo assorbe l'urto ma presto si trova incollato alle assi, sopra di lui un uomo è aggrappato al proprio bastone, che finisce dritto nella schiena del toro.
Toro e centauro uno contro l'altro, enorme, Camarito ha la potenza di un fiume in piena e come un fiume in piena non c'è niente che lo fermi.
E' questa, la corrida de toros.
Una quarta picca e Camarito ha ancora morale nel sangue e forza nei muscoli per abassare la testa e caricare, per prendere ancora una picca nella schiena già segnata, ma non importa, parte e bum.
Il presidente fa cadere il fazzoletto bianco, è ora di fare uscire il cavallo di lasciar respirare il toro: la gente è in piedi, applaude quell'animale maestoso
Il resto è un tercio de banderillas in cui il toro prende possesso della pista e una faena di muleta inevitabilmente ridotta, Camarito ha ancora forza per due o tre serie a destra e per mezza a sinistra.
Un toro così meriterebbe una morte perfetta, la morte degli dei, ma Valverde non ce la fa: pinchazo e una stoccata laterale.

Camarito di Palha, numero 507 marchiato sul fianco destro, era un gran toro, capace di restituire alla corrida, in venti minuti passati in una plaza sperduta nella campagna del sudovest francese, tutta la sua incomparabile grandezza, tutta la sua meravigliosa eccezionalità, tutta la sua sorprendente verità.
Camarito, di Palha, un toro bravo.

(foto Ronda: Camarito di Palha e la scheda della corrida concorso)

martedì 2 giugno 2009

Pentecoste




Di ritorno dalla spedizione in terra sudfrancese in occasione del ponte di Pentecoste, a partire da domani proveremo a relazionare sulle corride viste e a mettere on line un pò di foto.
Certo che il passaggio da Nimes a Vic nello stesso week-end è perlomeno bizzarro, un pò come andare al concerto di Gigi D'Alessio e la sera dopo a quello di De André.

Passiamo sulla pietosa e noiosa corrida di Zalduendo il giovedì a Nimes, con El Juli e Castella a dividersi un trionfo vuoto: il venerdì era in programma José Tomas e ci è toccato pure di vedere Javier Conde graziare un toro, il quarto di una corsa di Garcigrande sorprendente se pensiamo a cosa di solito porta in giro la casa...fortunatamente la visita alla ganaderia di Tardieu, al mattino, ci aveva ossigenato e reso pronti a qualsiasi esperienza nell'arena.

A Vic finalmente i tori, di quelli veri e forti, un Palha enorme nella corrida concorso, un Victorino di poco sotto, e una corrida de La Quinta emozionante e da ricordare.
Rafaelillo, valoroso e sincero nei quattro che si è digerito in due giorni, il meglio tra gli uomini.
E poi la serietà della plaza, del presidente e del pubblico, e l'atmosfera di vera e appassionata aficion.
Peccato solo per la festa, eccessiva e senza nessuna identità: in questo Nimes rimane la regina tra gli appuntamenti dell'anno, che sia detto.

Il tutto in mezzo a bicchieri di Tariquet bel fresco e a ricchi piatti di magret de canard o foie gras, mica bruscolini.
E poi, ovviamente, gli amici francesi a tenerci compagnia tanto a Nimes quanto a Vic con in più un caldo epilogo a Tolosa.
Gli amici italiani ad aprire e chiudere le giornate, sotto il tetto comune, la ciliegina su una torta già ricca e unica.