giovedì 29 aprile 2010

Novillada surreale




Non che fosse una riproposizione in salsa midi della corride picassiane di Malaga, quelle con Fandi o Cordobes figlio al cartel, i trajes adeguati, e l'affiche dipinta per l'occasione.

No, la novillada di Saint Martin dello scorso sabato è stata di stampo picassiano perché chi era all'arena è stato catapultato in una rappresentazione imprevista e surreale della realtà tauromachica.
Una pomeriggio irreale, per alcuni momenti grottesco, ora grande ora disorientante.

Un cartel bizzarro per cominciare: novigliada pseudoconcorso, di competizione forse, non si è capito bene, con tre allevamenti francesi - Gallon, Christophe Yonnet e Alain Tardieu - troppo diversi per origine e orizzonti.
Un mano a mano inspiegabile tra due ragazzi acerbi, spaesati dal paseillo alla sfilata finale, che pure hanno avuto del buon materiale a disposizione.
Due Gallon, i primi due, deboli e vuoti.
Al secondo si stacca uno zoccolo e Fernandez lo torea ugualmente, incitato da manager e subalterni, ma sotto gli ululati del pubblico.
Poi improvvisamente Aigue, il primo Christophe Yonnet, un signor noviglio che si prende 4 picche, carica con forza e bravura e alla muleta è affare troppo complicato e esigente per un Lechuga verde e impreparato. Il miglior toro del pomeriggio, probabilmente, sprecato malamente.
Il prode Lechuga si lascia scappare anche il primo di Alain Tardieu, tela e colori erano lì ma è mancato il pittore.
Fino a Jabanero, che prende una buona prima picca spingendo bene, e torna una seconda volta senza però impegnarsi a fondo; toro straordinario alla muleta, con una carica ordinata ed esplosiva a destra e a sinistra. Il povero Fernandez forse si starà ancora mangiando le mani, per aver sì costruito una discreta faena ma che con un toro così avrebbe potuto essere grandiosa.
Dal contropista partono le incitazioni di rito et voilà, indulto.
Sarebbe stata una vuelta meritata, è una grazia di poco sapore.

Un buon pomeriggio, a conti fatti.
Surreale.

(foto Ronda - Fernandez e Jabanero)

Alberto Aguilar




Ha più coglioni Alberto Aguilar di tutto l'archivio della Endemol.

Domenica, torerazo.


nota 1: la Endemol è la società che da dieci anni produce il Grande Fratello
nota 2: sul sito di Aguilar le sue prossime date - si notino le arene e gli allevamenti
nota 3: non è costume del blog, ma questa volta il video va visto


(foto Ronda - Aguilar domenica)

mercoledì 28 aprile 2010

Il diavolo veste colorado



Vinatero, secondo Prieto de la Cal di domenica: 570 kg, cinque anni e rotti di età, un toro magnifico.
Prada non avendo ancora inaugurato una linea di prodotti per toros bravos, Vinatero doveva accontentarsi di sfoggiare il suo manto colorado bragado, un bel castano spinto con qualche sfumatura più scura.

Un toro infernale.
Il diavolo.
Il pubblico lo accoglie con un'ovazione, Aguilar lo accoglie in ginocchio, in ginocchio al cospetto di Satana, e Vinatero ci mette poco: non gli interessa la capa, il corno punta alle tonsille del torero, la sfiora, salta ancora e punta alla gola.
Sui gradini adesso siamo uno in più: è arrivata l'angoscia.
Vinatero è un toro folle, scriteriato, inrtattabile come il più selvaggio dei selvaggi, bruto.
Panico in pista.
Entra il cavallo, il daivolo lo vede e gli punta addosso quegli occhi di fuoco, e decide che ce n'è anche per lui: lo assalta quattro volte, senza reale bravura ma con furia e brutalità, con urgenza.
Panico in pista.
Il diavolo entra una quinta, come niente fosse, come emerso dagli inferi più profondi e bui, come a resuscitare il ricordo di una tauromachia brutale e perduta.
Mette un paio di banderillas Savalli, un gran paio, Vinatero si accontenta di avvicinare il corno alla giacchetta, come a vedere se i colori si intonassero.
Non è lui che vuole, il diavolo è entrato per far fuori Aguilar, vuole Aguilar, cerca Aguilar.
Lo trova subito intanto che quello ha ancora i bastoni in mano, il corpo del torero rimane in mezzo alle corna, aggrappato alle corna, Vinatero lo spinge come un ariete che sfonda il portale di un castello, una botta enorme.
Aguilar è per terra, Lescarret accorso al quite è per terra.
Il diavolo, che veste colorado, è in mezzo alla pista, guarda Aguilar.
Lo aspetta.
Il piccolo torero prende la muleta, sui gradini si sospira, si trema, qualcuno ha freddo nonostante il sole quasi estivo.

Ecco.
La faena di Aguilar a Vinatero non passerà alla storia della tauromachia, nessuno o quasi ne parlerà più, in molto pochi se ne ricorderanno.
Ma la faena di Aguilar a Vinatero è la grandezza della tauromachia, è la verità della tauromachia, è l'essenza della tauromachia più maestosa.
E' il combattimento tra un toro selvaggio e assassino, forte e arrogante, e un uomo coraggioso e valoroso, è l'incontro tra la forza bruta della natura e l'intelligenza della ragione.
Dieci minuti di emozione elettrica, di pelle d'oca, di assurdità anacronistiche, di inspiegabili verità.
L'uomo e il diavolo si giocano la vita, e sicuramente entrambi sapevano che la propria vita passava necessariamente per la morte dell'altro.
Aguilar tira dei passi a sinistra che sono ognuno un miracolo, ed ognuno colossale.
Non mi ricordo l'ultima volta che mi erano usciti degli olé così profondi, così intensi, liberatori.
L'emozione di vedere un uomo e un toro che combattono, la gamba dell'uomo lì dove il toro mette il corno.
Vinatero avvisa Aguilar una volta.
Due.
Alla terza i cuori di tutti i presenti si fermano, il diavolo ha preso il torero, gli infila il corno sotto il costume, tra braccio e fianco, dai gradini si teme il peggio, che quel corno sia arrivato al polmone, dentro.
Aguilar è pezzi, pallido, sfinito.
Ma ritorna, e il grugno è quello di chi non vuole farsi vincere.
Ancora dei passi, poi la spada, e Vinatero torna all'inferno.

E poi c'erano gli altri cinque.
Se sono tutti così io esco, mi ha detto il mio vicino di posto.
La signora marchesa ha portato a Saint Martin una signora corrida, sei tori meravigliosi che valeva la pena pagare il biglietto solo per ammirarli correre per la pista.
Due jaboneros, due negros, un berrendo en negro e il diavolo.
Diciotto entrate al cavallo.
Tori duri, forti, pericolosi, selvaggi, vigliacchi, riservati, bravos, integri.
Bocca chiusa fino al pugnale.
Lucero, uscito per quinto, nero, tre volte nel cavallo: Gabin Rehabi, su quel cavallo, per tre volte ne conterrà la carica, tre picche perfette, sicure, tenaci, decise.
La banda suona la musica, e il picador saluta: e quando un picador sente gli ottoni, vuol dire che le cose sono state vere, che la corrida è una cosa grande, che la tauromachia non morirà.
A quel Lucero, un attimo prima che il toro mettesse a posto i tasselli del rebus, Aguilar taglierà un'orecchia.

Julien Lescarret ha trovato due tori complicati, poco propizi a concedersi al gioco, ma è pur vero che il torero che ha fatto poco per venirne a capo: un rinculo continuo, segno di paura, insicurezza, nessuna possibilità di dominio.
C'era anche Mehdi Savalli.
Ancora un passo avanti sulla strada della crescita: sobrio ed elegante alla capa, preciso e sincero alle banderillas, capace di tirare buoni passi tanto a destra quanto a sinistra ai suoi due avversari, il primo dei quali duro e malfidente e il secondo più ordinato.

Una signora corrida di Prieto de la Cal, sei tori da combattimento in un paesino sperduto nel sud della Francia, 11 mila anime, lontano dai riflettori del business taurino, dalle arene blasonate e dagli aficionados sigaro/champagne.
1200 km in due giorni, ma ne valeva la pena.

Cinque Prieto de la Cal e un diavolo.

Qua una galleria della corrida.

(foto Ronda - Vinatero, alla fine)

lunedì 26 aprile 2010

E corrida è stata

JABONERO




Prieto de la Cal ha portato a Saint Martin de Crau, ieri, una signora corrida.
Un bel pomeriggio di tori, di quelli che ce ne vorrebbero.

(foto Ronda - Mehdi Savalli e un jabonero di Prieto de la Cal, ieri)

venerdì 23 aprile 2010

Prieto de la Cal, in corrida




A Saint Martin de Crau.


(foto Bruschet per Campos y Ruedos: due tori di Prieto de la Cal nei corrales - mica male le corna del colorado, là dietro)

martedì 20 aprile 2010

Dev'essere bello




Dev'essere bello toreare.

Dev'essere bello toreare così, in una sera di fine aprile, a Siviglia.
Sotto il sole e con le mosche, con il vento tiepido della primavera e i profumi del sud.
Con un toro che sembra voler mangiarti la muleta, che non aspetta nemmeno il tuo invito per catapultare le corna in quel panno rosso, e lo segue, lo brama, lo odia, ci sbuffa dentro, e non lo prende, mai.
In una sera di fine aprile tra gli olé dell'arena più bella del mondo, quegli olé che sono di passione, di abbandono, gli olé di Siviglia sono olé erotici, sono olé di lussuria, sono gli olé di un'arena che ansima e si accoppia al torero e al suo toro, in un'orgia di corpi e umori e sangue, sulla sabbia e sui gradini.
Dev'essere bello disegnare quei passi naturali, con la sinistra insieme autoritaria e delicata, così puri, rotondi, lunghi.
Dev'essere bello aver toreato in una sera così, e sfilare lento lungo il cerchio imperfetto disegnato dalle assi, le due orecchie in mano e in mezzo all'orgasmo di tutta l'arena.

El Juli a Siviglia, questa sera.

lunedì 19 aprile 2010

Piccolo spazio pubblicità


Le condizioni ci sono tutte.

I testi sono intelligenti, divertenti, profondi o evocativi o leggeri a seconda dell'occasione e della penna.
Le foto vanno dal bello al molto bello.
Le foto dei tori al campo sono eccezionali, sul serio.
La carta è la patinata delle grandi occasioni.
E gli otto autori, gli otto di Campos y Ruedos, sono dei bravi ragazzi, dei simpatici cazzoni che quando c'è in ballo il toro si mettono a fare le cose tremendamente sul serio.

E le fanno bene.
Ci sono Camarito e Clavel Blanco, la feria di Pamplona e quella di Dax (Dax Donald's), la foto di Cesar Rincon, i Palha nel ruedo e i Charro de Llen al campo, c'è Yonnet, la bravura, José Tomas, Madrid e Ceret, Bastonito e La Venencia, e tutto quello che ci deve essere.

In sintesi, un libro da mettersi in casa.


nb: fino al 30 aprile, utilizzando questo buono d'ordine, le spese di spedizione sono a carico di CyR

sabato 17 aprile 2010

Le lacrime di Emilio




Occorrebbe essere uno scrittore per descrivere quelle lacrime.
Avere la penna ispirata per raccontare del pianto di Emilio Fernandez, subalterno de El Juli, che accompagna il giro d'onore del suo maestro con gli occhi gonfi, e le gote bagnate.
Essere suggerito da una musa generosa per commentare quell'abbraccio tra i due, un momento di intensa umanità, di sincera commozione, di autentico sentimento.

Ieri sera El Juli ha aperto la Puerta del Principe a Siviglia, undici anni dopo averla solo assaporata: quella volta uscì dalla Maestranza dalla porta dell'infermereria, pur dopo aver tagliato le tre orecchie d'obbligo, questa volta le tre orecchie gli valgono la porta buona.
Per undici anni ci aveva provato, ora il credito è riscosso.
E le meraviglie di internet ci hanno permesso proprio ieri di vedere la corrida, perlomeno a tratti, e di godere dei suoi momenti migliori: soprattutto, di ricordare ancora una volta quello che quell'abbraccio e quelle lacrime ci cantano, che la corrida è una cosa di uomini, di sangue e carne, di lacrime e sorrisi, che nella corrida la sofferenza è sofferenza vera, l'emozione è emozione vera, la solidarietà, il coraggio, il sacrificio sono lì, veri, reali, profondi.

Vale la pena essere torero solo per vivere questo, ha commentato El Juli a caldo.
A vedere quelle immagini, gli si può credere.

venerdì 16 aprile 2010

Ceret 2010


Nel frattempo l'Adac di Ceret ha reso pubblici i carteles della feria 2010.
Si preannuncia un buon pomeriggio al sabato: i tori di Coimbra con Rafaelillo, Sergio Aguilar e Morenito.

Ceret, Catalogna.

*Sabato 10 luglio (mattina)
Novillos di Javier Gallego per Sergio Flores e Mario Alcalde.
* Sabato
10 luglio
Tori di Manuel Coimbra per Rafaelillo, Sergio Aguilar e Morenito de Aranda.

* Domenica 11 luglio (mattina)
Novillos di Fidel San Román-Guardiola Domínguez per Arturo Saldívar, Paco Chaves e José María Arenas.
* Domenica 11 luglio
Tori di José Escolar Gil per Fernando Robleño, Joselillo e Alberto Aguilar.


(foto Ronda - sbirciando dentro la plaza di Ceret)

mercoledì 14 aprile 2010

Deserto

Devono aver cambiato innaffiatoio, nel giardino di Maria Luisa: o forse non c'è stata l'aria giusta, il concime non era quello buono, o anzi no, nel deserto non crescono fiori.
Il garofano rosa era spuntato, sì, e avederlo così era pure armonioso ed elegante: ma sotto ai petali non aveva più niente in comune con quell'altro suo cugino, che in settembre venne a fiorire da queste parti.
Un garofano rosa senza profumo, senza luce, senza bellezza.
Clavel Blanco rimane ancora il più grande, l'unico, il migliore.

La corrida concorso di Arles è stato un triste deserto, un sahara di poche e rare emozioni: nelle lunghe e buie sere di inverno avevamo sognato di fiumi di casta, di praterie che quei tori avrebbero bruciato correndo al cavallo, di combattimenti elettrici e in apnea.
Sotto le luci dei riflettori, con un cielo plumbeo e basso a fare da orizzonte, lo scenario è stato invece quello di una landa desolata e arida, prosciugata dalla siccità, solcata da crepe nella terra incolta, silenziosa e spopolata.

La Quinta, Prieto de la Cal, Samuel Flores, Perez de Vargas, Dolores Aguirre, Flor de Jara: a leggerla così, sembrava la formazione dei globetrotter della bravura, le all-star della corrida, la nazionale delle ganaderias.
A fine corrida quei sei sembrano invece i nomi di altrettante città fantasma, a punteggiare la cartina di una qualche regione abbandonata dagli uomini e da dio, da qualche parte tra l'Arizona e il Messico.

E pure non era iniziata male.
Botella, La Quinta di bella presentazione, al primo assalto aveva rovesciato a terra cavallo e cavaliere. Gliela faranno pagare.

Dopo di lui Limpia Botas, il magnifico jabonero sucio di Prieto de la Cal, entrava come una cannonata, un'esplosione di bravura e fierezza animale, una potenza della natura in grado di entusiasmare gli aficionados presenti che gli tributavano una lunga e roboante ovazione all'ingresso. Fatto questo sufficiente a convincere Valverde e la sua squadra a fare di tutto per sprecare e annichilire quella foga, mortificare quella carica, distruggere quelle scintille di casta e bravura.
Che pena.
Un Samuel Flores con una tendenza marcata e smaccata a ritornare al toril da buon manso querencioso, e che pure al cavallo dopo mille esitazioni dimostrerà forza e barlumi di casta, spingendo il cavallo fino alla barrera per tre volte; un Maria Luisa deprimente per mancanza di tutto quello che dovrebbe essere un toro da corrida, corna e muscoli a parte; e un Dolores Aguirre massacrato alla picca, inevitabilmente stravolto e stremato dal secondo atto in poi.

Per ultimo Matorrito di Flor de Jara, come recitava il sorteo un meraviglioso "cardeno claro coletero": probabilmente il migliore della serata anche perché capitato nelle mani meno sciagurate.
Tre entrate al cavallo con slancio e ostinazione, bene, e un corno destro affilato e preciso. Domingo Navarro, vestito d'argento, rimarrà appeso a quel corno per pochi ma interminabili secondi, e Luis Bolivar, vestito d'oro, si prenderà quel corno su una spalla, entrambi senza conseguenze.
Matorrito alle banderiglie, con ancora motore e convinzione nei propri mezzi, metterà a dura prova la cuadrilla di Bolivar, costretta a rifugiarsi in una pessima conduzione degli affari. E lo stesso Bolivar se lo terrà ben lontano con la muleta, costruendo una faena tutta a sinistra (con anche qualche bel passo, profondo e intenso) dopo essere stato colpito a destra.

Sei tori magnifici di presentazione, sei intepretazioni diverse della bellezza e maestosità del toro da corrida.
Ma alla prova del combattimento, nessuno aveva nemmeno l'ombra della classe altezzosa o della deflagrante potenza dei due protagonisti della concorso di settembre, o perlomeno è così per quanto ci è stato concesso di vedere.

Infatti non sono mancati solo i tori.
Anzi.
Gli uomini soprattutto avevano il diapason sbagliato per una corrida di questo tipo, e il solo Bolivar ha provato a tratti ad accordare gli strumenti alla partitura.
Uceda Leal si è sbarazzato presto dei suoi due opponenti, ma invero non è sembrato applicarsi molto per comprenderli.
Di Bolivar, pur se il colombiano è stato piuttosto volgare con Garceto di Samuel Flores, i migliori gesti del pomeriggio: e in particolare la messa in suerte del Prieto de la Cal alla terza entrata, finalmente una picca presa da lontano come Limpia Botas chiedeva.
Javier Valverde bocciato. Imperdonabile con il Prieto de la Cal, soffocato in tre picche prese da poca distanza, e poi depresso in una faena condotta con nessuna scienza, nessuna applicazione, nessuna sintonia.

Deserto il premio al miglior toro, deserto il premio al miglior picador nonostante Luis Maria Leiro che si era occupato di Garceto di Samuel Flores fosse uscito tra gli applausi.

Deserto.

(foto Ronda - Botella di La Quinta e Uceda Leal)

domenica 11 aprile 2010

Le foto di Arles

ARLES - ARENES



Cliccando qua si accede alla galleria delle foto prese alla Feria di Arles.


(foto Ronda - l'arena di Arles, il giorno della miurada)

sabato 10 aprile 2010

Rafaelillo. Viva.




Queste brevi e insufficienti righe, per quel poco che valgono, omaggiano un torero.
Rafaelillo da Murcia.

Omaggiano quelle tre veroniche a Chorlito, secondo Miura.
I cinque passi cinque strappati alle idee assassine di quel toro assassino.
Ognuno di quei cinque un miracolo, un monumento.

Omaggiano i passi con la capa imposti a Intruso, il quinto, ad ogni carica un brivido elettrico giù per la schiena.
Quel lavoro con la muleta, fatto di scariche nervose, di sincerità e devozione.
La gamba di uscita, quella gamba che nessuno mette, quella gamba che carga la suerte, quella gamba che messa a Intruso è un'ode al valore, al coraggio, alla disumanità dei toreri.
Il naso rotto, all'uscita di un giro a destra, il naso rotto.
Il sangue suo e quello del toro.
E quelle due serie con la sinistra.
Non belle, non artistiche, non romantiche, no, semplicemente enormi, impossibili, apocalittiche.
Eterne, per chi era domenica ad Arles, eterne.

Queste righe omaggiano quella spada e quel piccolo corpo che si tira dietro, in mezzo a quelle due corna da incubo, alla fine del mondo.

La foto di François Bruschet, qua sopra, è il momento della giornata, della feria, di tutto l'anno.
E' la grandezza della corrida.
Rafaelillo sta uccidendo Instruso, Intruso non ne può più di quella giostra e ha deciso di fermarla.
L'occhio dell'uomo mira alla cruz, l'occhio destro di Intruso punta alla carotide dell'uomo.
L'occhio di Rafaelillo segue la lama, la sua lunghezza, e là dove l'immagine si sfuoca sa che c'è la X, sa che è lì che deve affondarla, sa che o lì o la tragedia.
L'occhio destro di Intruso continua a tenere d'occhio la carotide di Rafaelillo.
La sinistra porge la muleta, e l'abbassa.
Intruso fa un passo, l'occhio destro sulla carotide.
Rafaelillo si lancia come sputato da un cannone, come se per spingere dentro quella spada ci volesse la forza di cento uomini.
Si butta in mezzo alle corna, spadino in mano, braccio destro proteso, gli occhi chiusi tanto ormai guardare è un lusso inutile.
Intruso tiene d'occhio ora il suo corno destro, perché il suo corno destro adesso è a due centimetri dalla carotide dell'uomo, ora ad uno solo, ora ci siamo.
La spada entra, il corno destro di Intruso accarezza solo la gola di Rafaelillo, non la apre, non la squarta, la gola di Rafaelillo che balza di lato, indietreggia, si porta la mano alla carotide e non sente sangue e dunque ritorna, è vivo, vive, ha vinto Intruso, che ora cade.

Rafaelillo: torero, torero, Torero.

(foto François Bruschet, per Campos y Ruedos)

giovedì 8 aprile 2010

Tomasito

Diciamo la verità, Tomasito è francamente brutto.
A vederlo girare per le strade di Arles nei giorni della feria, indugiare sulla scalinata dell'arena facendo sfuggenti cenni di saluto con il capo, passeggiare da solo (l'ho sempre incrociato da solo, per quattro giorni) tra le due piazze con le spalle sempre un pò depresse, ecco, sinceramente, il primo pensiero non è esattamente quello di aver incrociato un divo di Hollywood.
C'è qualcosa di triste nella linea degli occhi, qualcosa di triste e dimesso, una piega dello sguardo che tira verso il malinconico.
Ha la faccia di un ciclista d'altri tempi, un pò allampanato e disorientato, aduso a fatiche e ingratitudini.
Sarebbe stato bene in qualche tavola delle Triplettes de Belleville.

Non avevamo mai visto Tomasito, al secolo Thomas Joubert, in abito di luci.
Bene, tanto il cappotto grigio e le scarpe di vernice che sfoggiava, in civile nei giorni di feria, non gli si addicono e ne guastano la già mesta figura, tanto il vestito d'oro gli calza a pennello, ne trasforma il portamento, ne irrigidisce la mascella, e fa profondo e sicuro lo sguardo.

Novillada di Blohorn per Patrick Oliver, Thomas Joubert e Juan del Alamo, sabato mattina.
Nuvoloni, freddo, e poca gente sui gradini.
I novigli, fatta eccezione per un primo troppo debole, hanno fatto onore alla divisa: seri nella presentazione, di gioco ineguale ma dal carattere pronunciato ed anche aspro, il terzo e soprattutto il secondo (vuelta) i migliori del lotto.
Una buona corsa nel complesso, con un sestesso che ha portato in pista personalità ed emozione.

Ammirevole la disposizione dei tre ragazzi, che hanno brillato alla capa, non si sono risparmiati nei quites e alla muleta hanno cercato la sintesi tra fantasia ed efficacia: non del tutto convincente però l'esibizione di Del Alamo, probabilmente il più atteso dopo i successi in questa stessa arena dell'anno scorso. Il ragazzo ha una faccia da torero, gesti da torero, condotta da torero, come raramente se ne vedono. Ma non sempre è sufficiente: e con il terzo (orecchia protestata), dopo un paio di serie buone a destra e una ottima a sinistra, si è afflosciato come gli fossero mancati improvvisamente polsi e pensieri.

Ecco, poi Tomasito.
Che riceve Ono, il secondo della mattinata, con le spalle al toril.
La capa vola, si alza, si piega, diventa chicuelina, poi ritorna veronica, si avviluppa, si attorciglia, e Ono sempre dentro, dentro senza strapparne un solo lembo, e appena si trova fuori, uno scatto ed è ancora dentro.
Ha stile, Tomasito.
E con la muleta in mano è tutto quello che non è nelle stradine della sua città: dritto, verticale, piedi piantati per terra, suadente e fermo, sguardo risoluto.
Elegante.
La tristezza nello sguardo si trasforma in impressione di gracilità, ma i movimenti sono di grazia e rotondi, di grazia e plastici, di grazia e sicuri.
Elegante e fragile.
Ono è dedicato alla memoria di Francis Espejo, figura dell'aficion arlesiana che aveva fatto molto per tutti i giovani allievi della scuola taurina, e recentemente scomparsa.
E Ono è toreato tenendo insieme i crisantemi del brindis e le primule di stagione, un bouquet di drammaticità e ispirazione offerto al toro, al pubblico, al cielo.
E poi di nuovo la muleta in cui metterà le corna Dabou (lopecina per lui dopo due buoni assalti al cavallo), per un'altra faena ricercata e fiorita.

Ha stile, Tomasito.
La tenacia di un vecchio passista e il coraggio di un esuberante scalatore.
Lo stile di un annoiato e malinconico flaneur per le strade, di uno ieratico e ispirato torero nell'arena.
Che si mantenga così.

(foto Ronda - Tomasito ad Arles, il sabato mattina)

mercoledì 7 aprile 2010

Riforma del Titolo Quinta


Chiediamo ufficialmente la modifica del Titolo Quinta del regolamento taurino.
Niente larghe intese, niente percorso per le riforme, niente consultazioni incrociate.
Chiediamo e pretendiamo.
El Juli deve, per statuto-costituzione-decreto o per una qualsiasi altra forma di regola o legge o norma o quello che volete, prendersi tori che si confacciano alle sue capacità, che ahimé sono enormi.

Sia chiaro, il signor Lopez venerdì pomeriggio ad Arles (molto più sole in cielo che non in pista) non è stato apoteosico, non è stato pletorico, non è stato insomma come probabilmente hanno titolato i portali e come probabilmente hanno voluto far credere agli assenti, perché questi affollassero le arene una prossima volta.
Mancava la materia prima e dunque (quasi) tutto perde valore, così come il suo pomeriggio nel circo romano non passerà alla storia: una faena rotonda e in crescendo al primo, un lavoro da cesellatore al secondo.
El Juli venerdì si è limitato a farci vedere di quali infiniti mezzi disponga oggi quel piccolo torero madrileno, quanta scienza ci stia in quella testa, quanta forza in quelle braccia, quanta grazia in quei polsi. E' stata un'esibizione onanistica, una spocchiosa ostentazione di superiorità, uno sfoggio di dominio altezzoso, una certificazione di superiorità assoluta tanto sui tori tanto su qualsiasi compagno di giornata
Ma così non ci basta più, e nelle nostre fantasie semierotiche questo ormai non basta più nemmeno a lui.
Ti piace giocare facile, ma non vale e soprattutto non ti diverti.

El Juli che torea solo garcigrande, zalduendo e compagnia brutta, é come mettere Maradona a infilare tunnel sui campetti di terza categoria, sentire Keith Jarrett alle prese con il Canzoniere Scout per serate chitarra e falò, o vedere Rembrandt ricalcare un Topolino per farne disegnucci per i bambini.

Chi in questo decennio, vuoi per recente passione vuoi per tradizione di una vita, frequenta le arene ha una straordinaria fortuna: poter trovare, in una di quelle arene, un torero di nome El Juli.
E però quella stessa persona oltre ad essere straordinariamente fortunata è anche straordinariamente incazzata con El Juli stesso.
Che, se cominciasse a sciropparsi qualche toro degno di questo nome non solo ci farebbe infinitamente felici ma pure, ne siamo certi, si ritaglierebbe un posto importante nel pantheon dei migliori.
Siamo straordinariamente incazzati con El Juli, che ci priva di emozioni che nemmeno possiamo immaginare, che ci deruba del piacere più autentico della tauromachia, un Torero e un Toro insieme nella stessa pista, che ogni volta ci abbaglia con la facilità che ha nel fare le cose, che deprime la nobile arte della corrida, fatto reso ancor più grave dalla constatazione che di quell'arte lui potrebbe essere il più grande interprete.

Siamo realisti, non chiediamo la luna.
Dieci, (quindici? quindici, va bene) corride all'anno da scegliere tra Victorino, Escolar, Flor de Jara, Dolores Aguirre, cose così, mica dei mostri assatanati e assassini, mica i Coimbra di Ceret o la casta navarra, no, dei tori, dei tori con casta, dei tori che stanno in piedi e spingono, dei tori che attaccano e combattono.
Dei tori veri, semplicemente.
I La Quinta.

Ecco appunto, noi vogliamo la riforma del Titolo Quinta.

p.s.: il resto della corrida, poca roba.
Tori mal presentati, vuoti di forza e con il morale di un milanista dopo i due derby di quest'anno, ma sufficientemente collaborativi (ah, il terribile termine tanto amato dai cronisti prezzolati) per permettere qualche gioco.
Cartel davvero bizzarro per l'alternativa dell'arlesiano Marco Leal che, con tutto il rispetto, non meritava tanto padrino e tanto testimone.
Castella che al suo primo combina poco o niente e che al quinto del pomeriggio invece si profonde in uno sforzo ammirevole di fronte a un toro esigente, ma che a conti fatti il torero non riuscirà non solo a sottomettere ma nemmeno a comprendere davvero.
Leal dal canto suo cambierà presto l'oro con l'argento sul suo vestito, e la storia della tauromachia continuerà tranquillamente a fare il suo corso.
La spada al toro del dottorato era talmente bassa che non ha centrato il toro, in una riedizione tauromachica del Vai col liscio di gialappiana memoria: e il resto, nulla da segnalare

(foto Ronda - El Juli venerdì 2 aprile ad Arles)

martedì 6 aprile 2010

Nuvolo con qualche schiarita


La sintesi della feria di Pasqua ad Arles è un bollettino meteo, nuvolo con qualche schiarita.

Nuvole, tante nuvole: le più nere quelle del sabato pomeriggio, a riempire non solo idealmente il cielo sopra una corrida concorso deludente, vuota, fiacca.
Con un Prieto de la Cal magnifico da ammirare, strepitoso all'ingresso, prietodelacal al cavallo, capitato nelle disgraziate mani di un Valverde da prendere a bacchettate sulle nocche delle dita.
E un garofano rosa evidentemente cresciuto in un giardino meno felice.

Quelle della domenica mattina, con gli Ana Romero magnifici di presentazione, boriosi al cavallo la prima volta poi puf, a sgonfiarsi subito: cinque nuvole e un raggio di sole, al terzo toro, e un altro torero (questa volta Roman Perez) da maledire per essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Porco giuda proprio a lui dovevano sorteggiare quel Cortito, entrato con le orecchie in mano e anelando una vuelta che, maneggiato da altri, non avrebbe fatto fatica a meritarsi.
Quelle nella prova di Juan Del Alamo, nella presentazione dei Garcigrande (o Domingo Hernandez, o Garcinandez, o Domingo Grande...boh), nell'alternativa di Leal.
Nuvole insomma, più del previsto.

Certo c'è stato anche il sole, di quello buono, giallo, maturo: la visita a Yonnet, in piena Camargue, per una mattinata leggera e frizzante come l'aria di quella campagna.
La tienta a Fontvieille, pedagogia taurina e insieme gioia per il palato e rovina per il fegato.
Il valore di Rafaelillo, torero, e la sua stoccata che da sola valeva tutte le altre orecchie tagliate nei quattro giorni.
Savalli e Tomasito, i ragazzi del posto, che su due registri diversi hanno fatto vedere cose buone e soprattutto, ci è piaciuto, fatte con serietà. Bravi.
E quella capacità che ha solo El Juli, contabilità dei trionfi a parte, di capire un toro in mezzo minuto e dal primo passo con la capa prenderlo e metterselo in tasca.

Domenica pomeriggio i Miura, e qua pure Bernacca sarebbe andato in cortocircuito: corrida di sole, cielo terso, poi nuvole, poi sole, poi nuvole, copriti, un quarto d'ora di pioggia, un arcobaleno, caldo, scopriti, poi meno caldo, ancora un pò d'acqua, k-way, poi arietta, poi fresco, poi freddo.
In pista, proprio come in cielo.
Una miurada complicata, sfaccettata, che ha diviso gli aficionados all'arena e fuori dall'arena, dura in alcuni momenti e fiacca in altri, difficile da capire, difficile da toreare, difficile da raccontare, con un toro assassino che esce per secondo e un altro che rompe il naso a Rafaelilo, e uno invece vuoto e insipido, una presentazione discutibile, una miurada a tratti piatta e a tratti da cardiopalma, un diamante grezzo, molto grezzo, dalle tante facce e dalle tante iridescenze, in mezzo alle ombre degli ultimi tempi.
Una corrida a cui pensare e ripensare, una corrida da meditazione come un buon vino d'annata.

E poi naturalmente tutto il resto, che da un certo punto di vista è quello che sostanzialmente conta.
C'era caldo ad Arles, nonostante le nuvole e la pioggia e il vento e tutte le sfighe metereologiche possibili , il caldo di una feria ancora con gli amici, quelli di sempre, quelli consolidati, quelli che parlano francese, quelli di recente acquisizione, quelli che leggono il blog, quelli incontrati per caso, e tutti gli altri.
I giri di pastis, le merende, le opinioni diverse sui gradini, la salve rociera, i picnic, gli sms, gli abbracci, i baci, questa la offro io, i primi commenti sulla scalinata, gli appuntamenti riusciti e quelli mancati, le corse da una cantina all'altra, Marzia che finisce in questo di articolo e non in quello precendente, l'improbabile e strepitosa bodega balcanica, lo sguardo ai giornali davanti al caffé, gli arrivi e le partenze, la condivisione di una passione, il rebujito, la birra, la sangria, il rosso, il rosé, il bianco, l'agua de Valencia e i churros, i churros da benedire, i churros che salvano stomaco e testa, i churros che dieci mani diverse pescano dal sacchetto e sono, a conti fatti, l'essenza stessa della feria.
La fiesta de los toros, insieme: santificare l'abbiamo santificata, e la coscienza è a posto.

Nei prossimi giorni, con calma, le foto e qualche parola più precisa sulle corride.

(foto Ronda - il cielo sopra ai Miura, domenica pomeriggio)