domenica 30 maggio 2010

Ninetta mia morire di maggio...




...ci vuole tanto troppo coraggio, cantava il sommo Faber.

E ci voleva coraggio a morire nelle arene in questo maggio di corride insipido, mesto, piatto.

Poco da aggiungere a quanto scritto qualche giorno fa, le grandi aspettative che tutta l'aficion coltivava il 30 aprile, in vista di un mese straordinariamente denso di appuntamenti, si sono sgonfiate come una frittella lasciata lì a raffreddare, e si arriva a questo 31 del mese successivo con una sensazione di amara vuotezza.

Un mese di tori a Madrid, San Isidro finita: un disastro, una pena, aficionados morti di noia o sul piede di guerra.
Una corrida di Dolores Aguirre ed una di Puerto de San Lorenzo, mezza di Samuel Flores, un signor toro di Cuadri e una novillada invincibile di Moreno Silva: di centocinquanta e passa cornuti, sfilati sulla sabbia di Las Ventas, non rimane altro.
Tra gli uomini, Rafaelillo l'unico a sfiorare la porta grande, poi Curro Diaz e la sua arte, un'orecchietta per Robleno, un pomeriggio confortante del Cid, e a memoria poco poco altro.
Figuras non pervenute.
Triste e preoccupante, per quella che in teoria dovrebbe essere la più importante feria del mondo.
Interi lotti di tori sostituiti, pochi dettagli da ricordare.

A Nimes il programma era il solito, mezzi tori e superstar.
Trofei a ripetizione, i grandi toreri che trovano tappeti rossi ad attenderli, qualche faena a dire dei presenti davvero da ricordare (su tutte quella di Aparicio, che ci raccontano intensa ed ispirata), una buona corrida di Fuente Yimbro.
Ma da segnalare, fatto inedito nell'anfiteatro romano, la protesta sonora con cui il pur indulgente pubblico nimois ha contestato il trionfo di Castella: che la combinazione tori collaboratori e presidenza compiacente fosse troppo anche per l'aficion locale?

Non è stata una buona annata nemmeno a Vic Fezensac: nessun toro davvero memorabile, nessuna corrida completa, non solo nessuna di quelle eccellenze a cui la piazza ha abituato la sua aficion, ma invero una edizione modesta sotto più di un aspetto.

Poca roba anche a Bilbao, in un week-end di Pentecoste sinceramente ben costruito ma, una volta aperto il melone, con poco gusto.

Insomma un mese di maggio di quelli di penitenza, da lasciare presto alle spalle per guardare con più fiducia al sole e alle arene dell'estate.

C'è di buono che l'aficion sa scaldare anche le giornate più grigie.
Un bel pò di lettori, in queste settimane, ci ha scritto, inviato sms, telefonato, sempre spontaneamente, con calore, con affetto: con la consapevolezza di sapere di condividere una passione grande, e di volerne parlare, subito per non dimenticare l'emozione del momento, o al ritorno, con più ragione.
Così da Madrid, Nimes, Vic, Bilbao, abbiamo ricevuto foto, testi, commenti caustici o analisi competenti, sintesi efficaci e racconti appassionati, saluti, abbracci, storie.

Tutto questo è bello, semplicemente e meravigliosamente bello.
Grazie.

(foto: la scansione di un articolo sui Palha di Bilbao, che l'amico Michele - presente quel giorno - si è premurato di inviarci)

sabato 29 maggio 2010

Una foto (5)




ps: ci sono buone probabilità di riprendere a scrivere qualcosa, da domani


(foto Ronda - chez Tardieu, aprile 2010)

domenica 23 maggio 2010

Lontano, poco lontano, troppo lontano




Sono arrivate anche le zanzare.
Fine settimana padano di inizio estate, che da quando non ci sono più le mezze stagioni significa entrare improvvisamente nell'afa e nel caldone così, da un giorno all'altro.
Trenta gradi, l'aria che comincia a farsi pesante e l'asfalto che adesso scotta.
Fine maggio qua sotto le rive del Po, la prima birretta all'aperto, il giretto in bici tra i campi punteggiati di papaveri, il caffettino all'ombra del duomo.
Non che sia noioso per carità, ma son tutte cose già sapute.
Ci si metta anche che quegli altri hanno vinto la Champions porco giuda (ma c'era un rigore per il Bayern, che avrebbe cambiato la storia, e se non proprio la storia almeno il sabato sera di noi milanisti), e ne esce un quadretto poco esaltante.

Ecco, in questi occasioni uno pensa che bastava poco.
Bastava nascere seicento km più in là e le cose già erano diverse, se poi i km erano un migliaio o qualcosa in più certo non guastava.
Là, là in fondo nelle terre dei tori, là sì che il week-end è stato diverso.
Un'orgia di appuntamenti, di eventi, di emozioni tutte nello spazio di questo fine settimana, noi che siamo qui ad arrancare nel primo caldo con Mourinho sulla prima pagina della Gazzetta e le zanzare già padrone del territorio, e quelli là che hanno l'imbarazzo della scelta, che organizzano le giornate sugli orari dell'arena, che sono in mezzo a pasodobles e tori.

A Madrid venerdì Aparicio si è preso una cornata sotto il mento, il corno gli ha spaccato denti e palato ed è uscito dalla bocca: la foto di Manon, come la cornata in questione, è davvero dantesca.
Tori di JP Domecq, cornata senza conseguenze anche per El Cid che al sesto risorge dopo due anni di tenebre e taglia un'orecchia. Sembra che, in ospedale, Aparicio al risveglio dopo l'operazione si sia fatto dare foglio e biro e abbia scritto una domanda: come è uscito il mio secondo toro?
Ancora a Las Ventas questa sera corrida di Cuadri, ferro blasonato ma negli ultimi tempi in preoccupante calo di rendimento: il terzo e il quinto hanno ricevuto un'ovazione alla morte.
Bene.

A Nimes la solita ammucchiata orgiastica di turisti e figuras.
Tifosi sui gradini e superstar in pista, tori non pervenuti: ci parlano di un sestetto di José Vasquez inguardabile e scandaloso pure per Nimes, di Samuel Flores da incubo e di Miura (che combinazione...) flosci e insipidi.
Stamattina Morante ha tagliato una coda, dopo aver toreato seduto su una seggiola.

A Bilbao per il centenario del club Cocherito ieri i Palha hanno lasciato l'aficion con l'amaro in bocca, per presentazione e comportamento, e nella corrida di Nunez del Cuvillo di oggi Castella ha tagliato un'orecchia.

Infine Vic, per uno dei cicli più interessanti di tutto l'anno.
A stare alle cronache sembra che la vendemmia 2010 sia particolarmente felice: giro d'onore per un Escolar ieri e un Palha oggi, tre orecchie Alberto Aguilar e due David Mora.

Nimes, Madrid, Bilbao, Vic Fezensac.
Tutta roba non dietro l'angolo, certo, ma nemmeno dall'altra parte del mondo.
Bastava nascere poco più in là.


(foto Ronda - sulla strada tra Tolosa e Vic Fezensac, un anno fa)

venerdì 21 maggio 2010

Cuadri: il taccuino del vecchio mayoral




Domenica pomeriggio nella Plaza Monumental de Las Ventas a Madrid è prevista una corrida con tori di Cuadri.
Non sappiamo come sarà il loro comportamento, perché questo allevamento, che ha scritto pagine gloriose nell’arena della capitale spagnola, non attraversa un buon momento, ed un successo a Madrid sarebbe il segnale di una ripresa di questo ferro leggendario. Quello che sappiamo è che i tori prescelti sono stati accuratamente selezionati ed hanno un aspetto impressionante. Quando li abbiamo visti nel loro recinto nella finca di Comeuñas, a Trigueros (Huelva), il primo giorno di marzo, una mattina in cui il sole riappariva dopo settimane di pioggia, siamo rimasti a bocca aperta. Il mayoral, con il suo inseparabile sigaro in bocca, ed i nipoti del ganadero, montati sui loro cavalli, li stavano facendo correre per mantenerli in esercizio, prima di dar loro da mangiare.

Tutto un personaggio, il mayoral di Cuadri, Pepe Escobar, più di ottanta anni portati benissimo, monta a cavallo e fuma il sigaro, come abbiamo visto, e con i suoi vaqueros accudisce personalmente i tori e le quasi 300 vacche da riproduzione che formano la ganaderia.
Con sapienza antica, e con la conoscenza del toro nel campo che gli provengono da tutta una vita. E’ nato nella tenuta, dove già lavorava suo padre, e non se n’è mai allontanato se non per il servizio militare, il viaggio di nozze, e per accompagnare i tori affidati alle sue cure nelle città dove dovevano essere combattuti: Madrid, Siviglia, Saragozza, o in Francia. Non è mai andato a scuola, ma sa leggere e scrivere benissimo.
Parlando delle “famiglie” della ganaderia, e dei nomi che vengono assegnati ai tori (quello della madre) ed alle vacche (quelli della “famiglia” della madre) mi mostra il suo taccuino dove registra tutti gli animali dell’allevamento, scritto a mano con una grafia chiara ed ordinata. In realtà il taccuino è solo un promemoria, perché si ricorda perfettamente di tutti e ne ricorda le caratteristiche e le vicissitudini, uno per uno. Mi dice che un amico del ganadero che è ufficiale dell’esercito spagnolo, ha chiesto di poter battezzare con il nome dei tori più celebri della ganaderia i nuovi mezzi blindati che saranno presto assegnati alla sua unità di zappatori. E lui pensa di inaugurare una nuova famiglia con nomi che si richiamano all’argomento. C’è gia una vacca “Zappatora”, della famiglia “della ferrovia”, da cui potranno venire la vacca “Carrista”, e via dicendo. Mi parla anche, con orgoglio, del riconoscimento che l’allevamento ha appena ottenuto, la Medaglia della Junta de Andalucia, per la prima volta attribuito ad un allevamento di tori da corrida.

I tori destinati a Madrid, dopo la corsetta mattutina, mangiano con appetito, ma tra loro c’è tensione. C’è stata una lite nel branco, e si sono formate due fazioni. Uno di loro sta per conto suo. Le liti sono pericolose, anche perché le loro corna appuntite non sono incappucciate dalle fundas. Il mayoral mi dice che da Cuadri non le mettono, anche se l’impresa di Madrid voleva imporglierlo. Ma Fernando Cuadri ha detto di no, e si è assunto il rischio che la corrida non arrivi completa se capita qualche incidente.
La mattinata di duro lavoro, recinto per recinto, a distribuire fieno e mangime, a passare in rivista la truppa delle vacche con i loro vitellini, dei lotti di tori già separati per le varie corride previste, si conclude verso mezzogiorno. Pepe ed i suoi bovari si ritirano in un locale dell'aia dove arde un camino su cui preparano uno spuntino di carne alla brace e delizioso pane tostato. Dopo qualche bicchiere di vino uno dei vaqueros, Pepe Angel, intona un fandango di Huelva, lo stesso che cantava guidando il trattore. Appare una chitarra, ed in un attimo si forma una piccola festa flamenca.
Quando domenica a Madrid, alle 7 della sera, il presidente de Las Ventas sventolerà il fazzoletto bianco per ordinare l’inizio del paseillo, Pepe sarà lì, nel suo burladero, con il vestito campero e l’inseparabile sigaro in bocca, per vedere il risultato di anni di lavoro quotidiano, sperando, come tutti gli aficionados, che i tori si muovano, carichino, e che picadores e toreri li sappiano valorizzare.

- Testo e foto di Marco Coscia-

Qui le foto dei tori previsti per Madrid.
Qui una scheda dell'allevameto.

giovedì 20 maggio 2010

Ancora sulla fuga


Il giorno dopo della novillada dei toreri in fuga, sugli schermi di Las Ventas andava in onda una corrida di Puerto de San Lorenzo, che a dispetto di alcune nefaste previsioni è uscita con svariati motivi di interesse: i tre toreri, due dei quali fra le massime figuras del momento (El Cid e Castella) hanno fatto il bagno, non essendo venuti mai a capo delle complicazioni dei loro tori, che pure presentavano elementi di nobiltà e disposizione capaci, se ben sfruttati, di portare al trionfo.

Il giorno dopo, llluminanti (e definitive?) le parole di Antonio Lorca, su El Pais.

"Il torero di oggi non è preparato per affrontate delle difficoltà; il toreo artista che il pubblico moderno pretende, esige un toro perfetto: nobile, fisso nella stoffa, con una carica lunga, e soprattutto che non affanni il suo matador, che non disturbi, che permetta di stargli davanti senza angosce. E le figuras attuali trionfano di fronte a questi tori in quelle piazze minori e populiste che tanto abbonano in questo paese.

Il problema sorge quando il toro è sì nobile, ma pone qualche problema; per esempio come quelli di ieri: che se la carica non è sufficientemente lunga, se dà un colpo di testa alla fine del passo, se attacca con la testa a mezza altezza... allora il torero, la gran figura moderna, si scompone, si fa volgare, e mostra una preoccupante impreparazione.

Con quali argomenti possiamo criticare i tre novilleros di lunedì, incapaci e pavidi di fronte a una corsa difficilissima di Moreno Silva, e poi digerirci i tre presunti grandi di ieri che hanno dato uno spettacolo ridicolo tra i più vergognosi degli ultimi anni?
El Cid, Castella e Pinar avremmo voluto vederli con quei novillos, e non è difficile immaginare il naufragio cui sarebbero andati incontro."

(la foto è di Manon - non c'entra molto ma è bellissima)

martedì 18 maggio 2010

Toreri in fuga



Ieri a Madrid la novillada di Moreno Silva ha mandato per aria i tre aspiranti toreri.
Moreno Silva è la stessa ganaderia che da un paio di anni dà spettacolo a Madrid, per la casta indomita dei suoi novigli: nel 2008 anni fa la corsa fu angosciante, con due ragazzi all'infermeria e un tale Valentino Mingo rimasto da solo a stoccare cinque animali, e l'anno scorso il mayoral salutò alla fine di un'altra grande corsa.
E Moreno Silva sono pure quelli di Carcassonne 2009, con un tale Diano che uscito per ultimo in pista si prese il lusso di assaltare 7 volte il cavallo.

Bene, ieri due dei sei tori hanno condannato ai fatidici tre avvisi ai loro avversari.
Due tori non sono morti, o per vederla da un'altra angolatura due novilleros non sono riusciti a vincere uno dei loro.

Quando un toro rientra vivo negli stalli a me personalmente viene subito da pensare che perlomeno si sia difeso bene, e istintivamente ha tutta la mia ammirazione.
Sarà forse una visione superata della tauromachia, ma se in una corrida due tori su sei non si sono fatti uccidere, io ho l'idea che si sia trattato di una grande corsa.
Che il toro da combattimento sia un animale terribile e temibile, e che la corrida sia una cosa grande proprio per questo.

Poi leggo che secondo uno dei ragazzini "ganaderias come queste non dovrebbero nemmeno esistere", e mi passa tutta la poesia.

Toreri in fuga è il titolo del pezzo di Lorca oggi sul Pais.

(foto di Gorka Lejargeci, via Rosa)

domenica 16 maggio 2010

Vargas Llosa sul Corriere






E' apparso oggi sul Corriere della Sera questo articolo di Mario Vargas Llosa.
Vale la pena riportarlo per intero, per una volta che un quotidiano nazionale si briga di pubblicare uno scritto a difesa della tauromachia.

Per la libertà della corrida: le ragioni di una festa crudele

L’intento di proibire le corride di tori a Barcellona ha avuto ripercussioni in mezzo mondo e, nel mio caso, nelle ultime settimane mi ha coinvolto in polemiche in difesa della festa dei tori in tre Paesi diversi, davanti agli infuriati detrattori della tauromachia. La discussione più accesa è avvenuta nella notte di Santo Domingo — una di quelle sere stellate, di brezza soave, che danno ristoro al viaggiatore nella canicola del giorno —, nel cuore della Città Coloniale, nella terrazza di un ristorante da cui non si vedeva il mare vicino, ma lo si poteva ascoltare. Qualcuno ha lanciato la discussione e la signora a capotavola, fino a quel momento un modello di gentilezza, intelligenza e cultura, si è trasformata. Tremante d’indignazione, ha cominciato a inveire contro coloro che godono di questo indicibile spettacolo di pura barbarie, erede di atrocità come quelle che infervoravano le moltitudini nei circhi romani e nelle piazze medievali in cui si bruciavano gli eretici.

Quando io le ho assicurato che la delicata aragosta che lei stava facendo fuori in quello stesso istante e con evidente diletto era stata vittima, prima di finire sul suo piatto e tra le sue papille gustative, di un trattamento infinitamente più crudele di un toro da combattimento in un’arena, e senza la benché minima possibilità di rifarsi sferzando una stoccata al perverso cuoco, temevo che la gentildonna mi avrebbe schiaffeggiato. Ma la buona educazione ha prevalso sulla sua ira e si è limitata a chiedermi prove e spiegazioni. È rimasta ad ascoltare, con un sorriso annichilente che le serpeggiava tra le labbra, di come le aragoste in particolare, e i crostacei in generale, vengono tuffati vivi in acqua bollente, dove vengono arsi a fuoco lento perché, a quanto pare, patendo quel supplizio la loro carne diventa più saporita grazie alla paura e al dolore che provano.

E senza darle tempo di replicare, ho aggiunto che il granchio degustato da un altro dei commensali probabilmente era stato mutilato di una delle sue chele e restituito al mare, così che l’altra potesse crescergli in modo elefantiaco e placare meglio così gli appetiti degli amanti di un tale manicaretto. Giocandomi la vita — perché a quel punto gli occhi della signora in questione denunciavano intenzioni omicide — ho aggiunto qualche altro esempio dei più indescrivibili supplizi cui sono sottoposti infinità di animali terrestri, volatili, fluviali e marini per soddisfare le fantasie degli esseri umani. E ho concluso chiedendo alla signora se lei, coerente con i suoi principi, sarebbe stata disposta a votare in favore di una legge che proibisse per sempre la caccia, la pesca e ogni forma di utilizzo del regno animale che comportasse sofferenza.

La sua prevedibile risposta è stata che una cosa è uccidere animali per mangiarseli e potersi così sostentare e vivere, un diritto naturale e divino, diverso è ucciderli per puro sadismo. Le ho domandato se per caso avesse mai visto nella vita una corrida di tori. Ovviamente no e non l’avrebbe mai fatto anche per un miliardo. Le dissi che le credevo e che certamente né io né nessun patito della festa dei tori avrebbe mai obbligato né lei né nessun altro ad assistere a una corrida. E che l’unica cosa che chiedevamo era una forma di reciprocità: che lasciassero decidere a noi se andare o meno a vedere i tori, nell’esercizio della stessa libertà che lei metteva in pratica mangiandosi aragoste bruciate vive o granchi mutilati o indossando cappotti di cincillà, scarpe di coccodrillo o collane di ali di farfalla.

Le ho spiegato che la corrida, per alcuni, può rappresentare una forma di alimento spirituale ed emotivo tanto intenso e arricchente quanto un concerto di Beethoven, una commedia di Shakespeare o un poema di Vallejo. Nessuno può negare che la corrida di tori sia una festa crudele. Ma non lo è meno di altre infinite attività e azioni umane che riguardano gli animali, ed è una grande ipocrisia concentrarsi proprio sulla prima, e dimenticarsi od ostinarsi a non vedere queste ultime. Chi vuole proibire la tauromachia, in molti casi, e adesso nel caso di Barcellona, lo fa solitamente per ragioni che hanno a che fare più con l’ideologia e la politica che con l’amore verso gli animali.

Il toro da combattimento fino al momento in cui entra nell’arena è probabilmente l’animale più accudito e meglio trattato del creato, come hanno constatato tutti quelli che si sono presi la briga di visitare un allevamento di tori da corrida. Ma queste ragioni valgono poco o niente, di fronte a chi, a priori, proclama il proprio rifiuto e condanna una festa in cui scorre il sangue ed è presente la morte. Certo, è un suo diritto. Come lo è quello di muovere tutte le campagne possibili e immaginabili per convincere la gente a rinunciare ad assistere alle corride così che queste, per assenteismo, finiscano per languire fino a scomparire del tutto. Potrebbe succedere. Io credo che sarebbe un’enorme perdita per l’arte, la tradizione e la cultura nella quale sono nato; ma se deve avvenire così — nel modo più democratico, quello della libera scelta dei cittadini che votano contro la festa smettendo di andare alla corrida —bisognerebbe accettarlo.

Ciò che è intollerabile è il divieto, una cosa che mi sembra tanto illecita e tanto ipocrita come lo sarebbe proibire di mangiare aragoste o gamberetti con la motivazione che non si devono far soffrire i crostacei (ma i maiali, le oche e i tacchini invece sì). La restrizione della libertà che questo implica, l’imposizione autoritaria nell’ambito del piacere e della passione, è una cosa che mina un fondamento essenziale della vita democratica: quello della libera scelta. La festa dei tori non è un’attività eccentrica e stravagante, marginale per il grosso della società, praticata da infime minoranze. In Paesi come Spagna, Messico, Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e nel sud della Francia è una tradizione antica, profondamente radicata nella cultura, un marchio di identità che ha segnato in modo indelebile l’arte, la letteratura, gli usi, il folklore, e che non può essere estirpata con fare prepotente e demagogico, per ragioni politiche di corto orizzonte, senza ledere profondamente le conquiste della libertà, principio centrale della cultura democratica.

Vietare le corride, oltre a un oltraggio alla libertà, è anche giocare a fare finta, rifiutarsi di vedere a viso aperto quella verità che è inseparabile dalla condizione umana: che la morte ronza intorno alla vita e finisce sempre per sconfiggerla; che, nella nostra condizione, entrambe sono sempre intente in una lotta permanente e che la crudeltà — ciò che i credenti chiamano il peccato o il male— fa parte di essa, ma anche così la vita può essere bella, creativa, intensa e trascendente. Proibire i tori non attenuerà in nessun modo questa verità e, oltre a distruggere una delle manifestazioni più audaci e appariscenti della creatività umana, riorienterà la violenza ristagnata nella nostra condizione verso forme più crude e volgari, e magari verso il nostro prossimo. In effetti, perché inferocirsi contro i tori se è molto più eccitante farlo con i bipedi in carne e ossa che, per di più, strillano quando soffrono e in genere non hanno corna?

Traduzione di Francesca Buffo © El País

- grazie a Michele di Cremona per la segnalazione -


(foto Ronda)

sabato 15 maggio 2010

Manolete al cinema






Pessimo film.

venerdì 14 maggio 2010

Due tori





Con il fondamentale contributo della moglie, questa mattina l'amico Luca - aficionado compagno di svariati pomeriggi all'arena e di torride serate nelle bodegas - è diventato padre di due gemelli: a stare allo zodiaco i piccoli sono, naturalmente entrambi, del toro.

Buon segno.

(foto Ronda)

giovedì 13 maggio 2010

Il ritorno


Saltano Bilbao, Madrid due volte, Nimes e qualcos'altro: sembra deciso, dopo l'angosciante cornata di Aguasacalientes José Tomas farà il suo ritorno a Barcellona, a metà luglio.
Quasi tre mesi di stop, c'era chi pensava di vederlo già a Madrid ai primi di giugno ma a me personalmente già questi tre mesi scarsi sembrano del tutto inconcepibili, fantascienza.
Davvero forse i toreri sono fatti di un'altra pasta.
Tre mesi esatti per saltare da un toro, quello che poteva essere il definitivo, a quello dopo: quello della resurrezione.
Tre mesi per passare dal buio della morte alla luce di un nuovo paseillo illuminato dal sole spagnolo.
Suerte.

A contrastare l'assoluta drammaticità della vicenda, le parole del torero all'uscita dell'ospedale sono sembrate una perla di perduto romanticismo, leggere e profonde, vere e commoventi.
Non potrei più sentirmi più messicano di così: sulla terra del Messico ho versato il mio sangue, la gente del Messico mi ha donato il suo sangue.
Bello.

Quelli di Campos y Ruedos hanno seguito in questi anni José Tomas, l'hanno fotografato e ne hanno scritto: sul loro libro trova spazio una pagina a cura di François Bruschet, che si interroga sui limiti della tauromachia e su come JT, il 15 giugno 2008 a Madrid, quel folle e suicida 15 giugno 2008 a Madrid, avesse fatto di tutto per superarli, spazzarli via, deriderli.
"Quando Cesar Rincon si era giocato la vita con Bastonito (un toro con casta, un gran toro, e questa domenica 15 giugno sono state delle mule ad aver incrociato la strada del fenomeno, delle mule più o meno pericolose ma pur sempre delle mule), quando Cesar Rincon si era giocato la vita con Bastonito c'era un fine, un combattimento tra due immensi avversari. Cesar si era giocato la vita per vincere una battaglia, dominare un gran toro e quindi creare la sua opera, la sua faena. Che poi non abbia potuto vincere la guerra e che Bastonito sia in definitiva uscito imbattuto, questo è un altro aspetto del problema.
Domenica 15 giugno Josè Tomas si è giocato la vita, ma a quale scopo? Gli avversari che a lui si affrontavano, pericolosi, non offrivano nessuna possibilità. E si faceva davvero fatica ad immaginare che potessero autorizzare la costruzione e la realizzazione di una faena, che tutto questo potesse trasformarsi in qualcosa di compiuto. E ciononostante, José Tomas ha offerto loro il suo proprio corpo nel modo più drammatico che ci possa essere. E allo stesso tempo tutto questo sembrava gratuito, senza altra via d'uscita che non la porta dell'infermeria o peggio ancora.
E' dunque questo che in fin dei conti mi ha disturbato: il fatto che questa cosciente presa di rischio quasi suicida sembrava essere totalmente gratuita, non poteva arrivare a nulla, salvo forse a contribuire ancora un pò a scrivere la leggenda stessa di José Tomas."

Ha ragione.

(foto François Bruschet - José Tomas a Barcellona, 2008)

lunedì 10 maggio 2010

Rafaelazo




Ieri sera mentre stavamo armeggiando con justintv, lo streaming, l'account e tutto il resto delle diavolerie, e sfortunatamente con risultati tristemente scarsi che ci permettevano di andare avanti solo a singhiozzo, da Las Ventas ci è arrivato un sms: Rafaelillo è grande.

Per Antonio Lorca, sul Pais, da ieri possiamo chiamarlo Rafaelazo.


(foto da las-ventas.com)

sabato 8 maggio 2010

Ahi ahi ragazzi...


L'Ada di Parentis comunica che "Après Del Alamo , Duffau, Oliver, c’est au tour de Thomas Joubert de nous indiquer qu’il ne viendrait pas affronter la novillada de Prieto de la Cal qu’il avait pourtant accepté dans un premier temps".

I ragazzi insomma non ne vogliono sapere di mettersi di fronte ai Prieto de la Cal, e Tomasito è l'ultimo in ordine di tempo ad aver detto no, grazie: dopo aver accettato in un primo tempo di far parte della novigliada, pochi giorni fa ha comunicato l'intenzione di rifiutare il contratto.

Ora, se nemmeno possiamo guardare ai novilleros sperando di trovare lì un pò di ardore, franchezza, sincerità ed entusiasmo, le cose non vanno benissimo.
Peccato per Del Alamo e Tomasito in particolare, per i quali molti e probabilmente giustamente ipotizzano un futuro da grandi, che a questo giro però hanno perso l'occasione di fare una cosa da grandi.

(foto Ronda - Tomasito ad Arles, 2010)

venerdì 7 maggio 2010

Interpretazioni (2)






Già Loky ci aveva pensato, e ieri frugando un pò nella rete ho scoperto questa nuova tela.
La foto l'avevamo fatta alla feria di Arles nel 2007, Luis Pineda ci ha lavorato e ne ha fatto un quadro.
Non ho la più pallida idea di chi sia questo signore, ma è bello scoprire così, senza aspettarselo, che un proprio scatto ha fatto un'altra volta un giro lungo, Francia-Italia-Spagna, e si è trasformato in qualcosa d'altro.


(proprio quella tela è finita sulla locandina di una mostra di pittura taurina, qua)

mercoledì 5 maggio 2010

Gli Aficionados Con Il Taccuino





Li riconosci subito.
Prima, durante, o dopo.

Sono un sottoinsieme dell'aficion, una categoria laterale dell'appassionato.
Una declinazione tutta particolare della specie, una famiglia, un tipo umano che ci vorrebbe l'ispirazione di Stefano Benni per fissarlo per l'eternità.

Sono gli Aficionados Con Il Taccuino.

Arrivano all'arena come tutti gli altri, ma l'occhio esperto li individua con facilità: il taschino della camicia più gonfio del normale, o un librettino ben stretto nella mano che piuttosto di liberarsene si rinuncia alla birrettina pre-corrida, o ancora una penna che fa capolino da qualche parte.
Esercitatevi a scoprirli, sembrano spettatori come tutti gli altri ma in fondo non lo sono del tutto: arrivano e subito cercano il sorteggio, prezioso strumento, o già armeggiano per preparare i ferri del mestiere.
Hanno un compito, d'altronde.

Dentro all'arena il giochino è più facile.
Come trovare un pesce rosso in una vasca di anguille.
Gli Aficionados Con Il Taccuino sono le teste chinate, sono quelli che dopo tre veroniche si tuffano col viso sulle pagine del quadernino, sono quelli che mentre tutta l'arena applaude o fischia si precipitano a scrivere, annotare, registrare.
Gli Aficionados Con Il Taccuino sono quelli che stanno sempre seduti, il libretto sulle ginocchia, e quando il pubblico si alza, magari di scatto per una rumorosa ovazione in piedi, loro sono lì, accucciati, gli occhi bassi, la mano che freneticamente guida la penna.
Li vedi subito.
Finita una serie di passi naturali da antologia tutta la platea esplode, rumoreggia olé liberatori, agita le braccia, magari fotografa, magari dà un tiro nervoso al sigaro, ma loro no.
Ricurvi sulle pagine bianche: basta girarsi e abbracciare con lo sguardo gli spalti e li scorgi così, come monaci amanuensi inensibili al richiamo dell'emozione, stoicamente concentrati sulla scrittura, sulla sintesi, sulla descrizione.
Stoccata, e loro a scrivere.
Petizione di orecchia, o silenzio, o vuelta al suono della banda, e loro a scrivere.

Dopo, nei mesi o negli anni dopo, gli Aficionados Con Il Taccuino vengono allo scoperto.
Sono quelli che nelle discussioni invernali non resistono, si smascherano, si tradiscono: una rapida occhiata al quadernino, magari frugando di sottecchi tra le sue pagine, et voilà che se ne escono con le loro verità, inesorabilmente sfuggite alla memoria dei più.
Desperado era nato nel maggio del '95, portava il numero 47 e pesava 545 kg: prese tre picche, alla seconda e alla terza entrando con slancio, uscendo da solo però all'ultima di queste.
Oplà.
O ancora no, non fu un'ovazione, fu un semplice saluto in mezzo alla pista, dopo un pinchazo, una mezza spada leggermente laterale e due descabellos, e per il toro ci fu una divisione di opinioni.
Doppio oplà.

Le pagine del taccuino darebbero molto da lavorare ad un qualsiasi grafologo: le condizioni impervie della maggior parte delle arene, con seggiolini o panche o gradini sacrificati, scomodi, che costringono a trovare posture da contorsionista; la necessità di appuntare velocemente, per segnare tutto e non perdersi l'azione; e infine l'insanabile tendenza ad utilizzare codici follemente personali, sigle, abbreviazioni, neologismi.
Tutto questo rende i quadernini degli autentici enigmi che competono in imperscrutabilità con i reperti precolombiani, di impossibile decrittazione, di assurda perfezione nella loro totale ermeticità .
Una grafia impenetrabile, lettere bislunghe o spezzate, parole monche posate su righe mai parallele, neanche per sbaglio.
Opere d'arte contemporanea.

Gli Aficionados Con Il Taccuino sono gli ultimi romantici, sono quelli che non si arrendono all'inevitabile fugacità della corrida e al suo più intimo segreto, quello dell'effimero, e ne tentano un'impossibile eternizzazione, ne vogliono inquadrare per sempre ogni momento, ne esigono una riduzione sempiterna.

Gil Aficionados Con Il Taccuino, a loro modo, ci dicono che è grande, la tauromachia.

lunedì 3 maggio 2010

L'affiche di Ceret


Il programma l'avevamo già segnalato qua, e sul sito dell'Adac si trovano tutte le informazioni per biglietti ed altro.

domenica 2 maggio 2010

Il piacere del campo








E poi a un certo punto arriva quel momento in cui l'aficionado scopre che il vero piacere non è sui gradini all'arena, ma nell'immensità del campo.


Qua la galleria della visita a Gallon, domenica scorsa.



* scheda di Gallon su Terre de Toros


(foto Ronda)