giovedì 31 marzo 2011

Le andaluse


Sul sito de Les Andalouses il programma degli spettacoli in occasione della feria 2011, qua di fianco il nuovo cartellone.

lunedì 28 marzo 2011

Questo sparirà






Nel preciso istante in cui ho preso questa foto, in quell'istante in cui mi sono chiesto dove minchia fossi finito, a migliaia di chilometri da casa a fotografare i tori, in quell'istante in cui l'aria fresca del mattino mi solleticava il volto e il sole ormai alto mi costringeva a stringere gli occhi, in quell'istante in cui non c'era bisogno di dire nulla e infatti non dicevamo nulla, solo ascoltavamo le fronde frusciare e i vitellini timidamente muggire, solo ci facevamo beati dello splendore dei tori, in quell'istante in cui mi dicevo che in fondo la vita è semplice e la vita è bella, in cui mettevo l'occhio destro nel mirino e ruotando la mano armeggiavo con lo zoom e il fuoco, in quell'istante in cui prima di far scattare la macchina abbassavo di nuovo le mani e mi riempivo gli occhi ancora di quell'immagine e di quei colori, il verde dei campi il rosso degli animali il bianco della neve e l'azzurro del cielo, in quell'istante in cui tutto era perfetto tutto era senza tempo e tutto era grande, tutto era così giusto, in quel preciso istante in cui capivo di essere fortunato perché amo gli animali e amo i tori e per questo insieme amo la corrida, e che non c'è niente di più vero e di più giusto, in quel preciso istante in cui il pensiero andava a lei che non era lì e avrebbe trovato le parole adatte per dire quanto quella scena era semplicemente e eternamente bella, in quel preciso istante, in quel preciso istante in cui succedeva tutto questo.

In quel preciso istante uscì da dietro un rovo un signore non più giovane, i capelli bianchi e la coppola, un bastone per sostenere il cammino, che si avvicinò e si affiancò a noi, guardò anche lui, e ruppe il silenzio con due parole malinconiche e dure: esto desaparece.
Questo sparirà.

Tutto questo sparirà perché così lo volete voi, voi che povero toro e intanto fate girare il cricetino sulla ruotina e vestite Fido con il cappottino, perché lo volete voi che avete degli amici a quattro zampe, voi con i vostri servizi al telegiornale dove il gattino suona il pianoforte e il cagnolino ritrova la strada di casa e la capretta allatta un cucciolo di tricheco, perché lo volete voi che siete quelli delle crocchette per cani delle gabbiette per gli uccellini e degli occhiali da sole per i micini, perché lo volete voi che avete deciso che la vostra sensibilità è più giusta e sacra della mia, voi che a me piace vedere torturare un toro e intanto castrate il gattino perché sennò in appartamento poi disturba, perché lo volete voi che amate gli animali che non puzzano e non disturbano e non minacciano e non sono brutti e ve ne fregate di tutti gli altri , delle nutrie, degli orbettini e dei facoceri, voi che fate i funerali ai caprioli e non vi preoccupate del contadino che ha i campi devastati, perché lo volete voi e i vostri ministri che vogliono abolire il Palio di Siena e la caccia e fra un pò anche il gioco dell'oca, voi che la corrida è una cosa da medioevo e poi tenete al guinzaglio un pastore tedesco e lo fate pisciare dove vi garba a voi, voi e i vostri eroi catalani che vogliono impedire a me di fare ciò che amo e di cercare la passione in ciò che mi appassiona, voi e i vostri modi fascisti di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, voi che "la vera bestia è l'uomo", e voi che "speriamo che lo incorni, quel bastardo".

Questo sparirà, grazie a voi.




(foto Ronda, campo a nord di Toledo; testo - per una volta ci tengo a precisarlo - Ronda)

sabato 26 marzo 2011

C'era una volta a Cremona



(cliccare sull'immagine per leggere meglio - grazie a Michele per la segnalazione)

venerdì 25 marzo 2011

Perché andiamo a vedere la corrida




Entri nell’arena che sei curioso. Io almeno, sono stata curiosa dubbiosa morbosa.

Poi ho visto la tauromachia. Ho visto il sangue e la danza. Ho visto il dolore. L'ho anche sentito per la verità. Nel muggito dell'animale, uno due, due animali. Due su sei.

Ho visto con la pancia, ho sentito con la pelle.

Tu sei fermo e un toro corre, sei uomini corrono e uno solo danza.

Ci prova. Non a tutti riesce.

Tu fermo. Loro no.

Tu al sicuro. Loro no.

Eppure.

Non è che ti muovi con loro, ti si muovono addosso. Forse è per questo che dopo sei stanco. Ce li avevi addosso sulla pelle e nella pancia. Per forza che dopo sei stanco.

Non sono Baricco, che ha scritto meravigliosamente di Tori, non lo sarò mai. Ma la danza l'ho vista. E ho visto il dolore, dell'uomo e dell'animale. Uno che non riesce a uccidere, l'altro che non riesce a morire.

Stesso dolore. Nella mia pancia.

Ho visto il rispetto. Uccidere e morire con rispetto. Uno su sei.

Il rispetto disonorato attira i fischi. I fischi attirano silenzio. Il silenzio ti redime.

Dal sangue, dagli errori, dalla cattiva sorte.

Esci che sei pieno di sangue e sabbia, ce li hai nella pancia. Non si vedono, ti lavano da dentro.



Simona Pizzuti


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)


giovedì 24 marzo 2011

Vic Fezensac, 2011






* Sabato 11 giugno


mattino:
DOLORES AGUIRRE
/ Julien Miletto, David Mora e José Miguel Pérez 'Joselillo'

pomeriggio: PALHA /Juan José Padilla, Javier Castaño e Alberto Aguilar

* Domenica 12 giugno

mattino: CONCORSO con PARTIDO DE RESINA, CUADRI, VICTORINO MARTÍN, FUENTE YMBRO, COIMBRA e FLOR DE JARA / Domingo López Chaves, Julien Lescarret e Iván Fandiño

pomeriggio: ESCOLAR GIL / Rafael Rubio 'Rafaelillo', Fernando Robleño e Luis Bolívar.

* Lunedì 13 giugno

pomeriggio: ALCURRUCÉN / José Pedro Prados 'El Fundi', Jean-Baptiste Jalabert 'Juan Bautista' e Sergio Aguilar


(foto Ronda - Vic, 2009)


mercoledì 23 marzo 2011

Una foto (8)






(foto Ronda - una versione migliore è già qui)


lunedì 21 marzo 2011

La prima della stagione





Colmenar Viejo, due del pomeriggio.
Trenino fino a Nuevos Ministerios, poi da lì metro fino a Barajas, quindi deposito bagagli e inversione a u.
Metro di nuovo, due cambi e finalmente Ventas.
L'arena è lì, ancora lì, risplende maestosa al sole.

Aficionados seduti sotto al Yijo, turisti e curiosi ai botteghini.
Luce, caldo, primavera.
Italiani in fila: aò prendi dove er toro nun ce pija; ho letto che i tori alle corride in Spagna non li ammazzano più; che è novillos?
E' la vostra prima corrida?
Sì.
Coraggio.

Tendido alto del siete, por favor.
Bueno.

Qualche sigaro qua e là, semi di zucca e noccioline e mandorle e pistacchi, coca e rum.
Il bar del 7.
Una caña, por favor.

Las Ventas, dopo il lungo letargo invernale.
L'orchestra, gli alfieri a cavallo, ci siamo, si riprende.
Minuto di silenzio, olé Japòn.

Giapponesi, certo, ossessionati dall'esigenza di farsi delle fotografie.
Una famiglia di svedesi, probabilmente, che al secondo esce disgustata.
Dei ragazzini italiani che si augurano che muoia, quel torero figlio di puttana: la cornata arriva, l'angoscia pure, e non ne sono più così felici.

Cappe, stoffe rosse, cavalli bardati, vestiti d'oro.
Ti rendi conto che l'inverno è stato proprio lungo, e che tutto questo ti mancava sul serio.
Entra il primo.
El Rosco si alza: Facundo, ni pararlo!

Novillos dei fratelli Sanchez Herrero.
Domecq, ahi.

Patrick Oliver con in testa solo una cosa, copiare Castella. Male.
Cristian Escribano intonato, poi gli sono capitati venti centimetri di corno nel muscolo, ha ripreso in mano gli strumenti, ha continuato e ha finito. Bene.
Damiàn Castaño il terzo. Male.

Adios señor.
Adios, encantao.

Metro, cambio, cambio, Barajas.

E' iniziata la stagione.


(foto Ronda - Las Ventas, 20 marzo 2011)

giovedì 17 marzo 2011

Incroci




Su richiesta esplicita di un nostro lettore, ecco qua sopra una mappa sufficientemente chiara per cominciare ad orientarsi tra caste primigenie, incroci, encastes e cose così.

Approfittando dell'insperato ponte offertoci dalle celebrazioni del centocinquantesimo, alla faccia dei buffoni pontidiani verdevestiti e delle loro ridicole opposizioni, nei prossimi giorni saremo nella campagna spagnola, a frugare negli interstizi di quegli incroci, per andare a scovare encastes rari, o cosa resta dei tori della vedova di Ortega, e le altre meraviglie del campo.



(la mappa qua sopra è presa da Terres Taurines)

mercoledì 16 marzo 2011

Chapeau


Israel Lancho nel maggio del 2009 è andato a un passo dalla morte, a Madrid: la corrida era di Palha e all'uccidere il sesto, il toro gli piantò il corno destro nel petto, sfondando il torace.

Il torero ha fatto sapere all'impresa di Las Ventas che quest'anno vuole essere a Madrid, certo, per matare la corrida di Palha.

Questo, è un gesto torero.

(nella foto di Juan Pelegrin, Lancho quel giorno qualche minuto prima della corrida: le immagini della dantesca cornata sono qua)

lunedì 14 marzo 2011

Gene Gnocchi





(cliccare sull'immagine per leggere meglio - da Sport Week del 19 febbraio scorso)

domenica 13 marzo 2011

Perché andiamo a vedere la corrida







E' facile apprezzare l'antico o il moderno; ma solo nella capacità di apprezzare l'obsoleto si ha il trionfo del gusto autentico.

(NICOLAS GOMEZ DAVILA, In margine a un testo implicito, Bogotà 1977 - Ediz. ital. Adelphi 2001)


Perché ci vanno gli altri, non lo so, ognuno ha le sue buone ragioni.

Personalmente, dopo tanti anni, mi chiedo perché continuo ad andarci, non ostante tutto. Perché all’inizio è facile: lo spettacolo, se non sei pregiudizialmente ostile, attrae. Il toro è un animale totemico, mitico, dai primordi dell’umanità ha sempre suscitato rispetto, paura, e venerazione. Alla mia prima corrida sono andato perché ci volevo andare, avevo 16 anni, erano le mie prime vacanze in Spagna, e non potevo perdere l’occasione. Avevo letto “Fiesta” di Hemingway, e quello che sulla corrida scriveva la guida turistica sulla Spagna. Un capitoletto c’è sempre. Poi sono stato fortunato, i tori erano, o mi parvero, abbastanza forti e selvaggi, lo spettacolo brillante, i suoni, le musiche, i colori…

A posteriori, siccome ho conservato il “cartel” di quella mia prima corrida, credo di non essermi sbagliato troppo, i tori erano del Conde de la Maza, quindi più che dignitosi. I toreri, due onesti professionisti dell’epoca, più “il maestro indiscutibile del rejoneo”. All’epoca non sapevo che le corna dei tori per il “rejoneo” vengono legalmente spuntate, se no avrei ammirato con meno entusiasmo le evoluzioni del cavaliere davanti a loro.

Siamo in epoche lontane. La “plaza” di una capitale di provincia, una arena che ora è stata demolita per far posto a tristi palazzoni di appartamenti, perchè Gerona ora si chiama Girona, ed è in quella Catalogna che ora non vuole saperne di tori.

Insomma, mi piacque e volli ripetere. La seconda volta fu a Barcellona, e ricordo solo che finì con una pioggia di cuscini lanciati dal pubblico sull’ultimo torero, che aveva maldestramente finito l’ultimo toro con numerosi “pinchazos” ed ancor più numerosi “descabellos”. Trovai la cosa divertente (il lancio dei cuscini, non i “pinchazos”) perché un pubblico che partecipa, a modo suo, fa parte della Fiesta.

Poi le cose si complicano. Perché continui ad andare, ma vuoi capirne di più. Non solo come si volge la funzione, ma perché per esempio quel pomeriggio hanno dato due orecchie ad un torero, anche se ti è sembrato che, tutto sommato, i suoi tori non fossero un gran che (e ti sei pure un po’ annoiato) mentre un’altra volta hai vissuto attimi di emozione, e panico per le difficoltà dei tori, unita all’impotenza dei toreri, ed il giorno dopo leggi sulla cronaca locale che la corrida è stata disastrosa, per colpa dei tori. Poi ti rendi conto che chi ha scritto la cronaca è quell’impomatato che prendeva note le “callejon”, e la sera lo hai visto in un bar che rideva e scherzava con l’”apoderado” di un torero, davanti a un monumentale vassoio di gamberoni. Allora vuoi approfondire, leggi tutto quello che ti capita a tiro sulla materia, osservi quello che vedi nell’arena, parli con la gente, ed entri in una confusione mica male.

Ed è qui che inizia la tua rovina, perché se hai la fortuna, o sfortuna, di parlare con i vecchi “aficionados”, o di leggere i sacri testi (Paquiro, il Cossio, Corrochano, o i francesi Popelin, Juan Leal, El Tio Pepe) e poi fai il confronto con quello che vedi, ti rendi conto che fra l’essere ed il dover essere, c’è spesso un abisso, che il novanta per cento degli spettacoli taurini a cui hai assistito, e a cui assisterai, sono delle prese in giro. Se poi prendi il vizio di andare alla corrida a Madrid, magari nei “tendidos” fra il 6 e l’8, solo con ascoltare i commenti dei vicini, capisci perché ai tori non si va a divertirsi, ma per lo più si va a soffrire. O a vedere quello che capita, e poi leggere la cronaca dell’indimenticabile Joaquin Vidal, per dire, caspita, ha ragione, è stato proprio così. Mentre altre volte, leggevi altre cronache e pensavi: boh, sarà che sono stato in un’altra corrida, oppure non capisco niente.

E allora perché ci torni, se fa così schifo ? Buona domanda.

Con il tempo, intanto, cerchi di imparare qualcosa, e cominci ad evitare quegli spettacoli che a priori già sai che saranno… come saranno. Magari ti sbagli, e quel giorno il torero “eterna promessa di artista”, artista lo è per davvero, o esce un “sobrero” che poi diventa il toro della Feria. Ma sono rari i casi. E’ invece possibile che in una corrida, che tu hai deciso a tutti i costi di vedere perché i tori sono della “ganaderia” più “brava y encastada”, ed i toreri sono esperti “lidiadores”, quel giorno i tori non rispondano, o i toreri non siano in giornata. Oppure piove. E tira vento. Si mette tutto nel conto, la corrida è un rito, il rito è ripetitivo, persino in maniera maniacale, proprio per rassicurare l’uomo di fronte all’ignoto, all’incerto, al pericolo, alla natura bruta, che sono rappresentati dal toro, dal vento, dalla tormenta. L’uomo propone, il cielo dispone, ed il toro tutto scompone.

Sai, perché l’hai letto nei sacri testi, nelle cronache serie, lo hai visto nelle foto e nei documentari, spesso in bianco e nero, che la corrida può essere uno spettacolo grandioso e senza pari, rispetto a qualunque altra attività umana. Sai che muove le masse, ispira artisti, suscita ammirazione ed indignazione. Sotto il ciarpame senza pudore (l’espressione non è originale, ma rende l’idea) che normalmente viene proposto, c’è qualcosa di grande, ed ogni tanto, a saperlo vedere, viene fuori. Solo che tu, che ti sei addentrato sempre più nei meandri della conoscenza, cercando una verità che sai che è irraggiungibile, e forse non esiste (ma l’opposto della verità, la menzogna e l’inganno, esistono, rappresentati plasticamente dalla spada simulata, cioè “non vera”, con cui quello di turno sostiene la “muleta” ed incatena decine di volgari “derechazos” a un animale selezionato per essere un comodo collaboratore) ti rendi conto che sono pochi ad apprezzarlo.

E quando un “picador” come Fritero, davanti a un manso che non ne vuole sapere del cavallo, se ne sbatte della riga per terra, dietro cui normalmente sta il “picador”, e sprona il cavallo verso il centro del “ruedo” per andare a cercare il manso, scopri che mentre la massa protesta, ad applaudire siete in pochi. Tra cui, due file dietro di te, in un “tendido alto” (pagando il suo biglietto, e non nel “callejon”) il direttore di Toros, che sa che la famosa linea non è un limite invalicabile per il picador, ma è stata messa a suo tempo proprio su richiesta dei picadores, come limite a loro favore, oltre il quale non sono obbligati ad andare, perché più vanno oltre, più è pericoloso per loro.

O quando a Zaragoza vedi un toro “jabonero” di encaste Veragua partire da 40 metri per cinque volte per caricare il cavallo, e nel ”tendido 4” vecchi “aficionados” si abbracciano con le lacrime agli occhi, capisci che “el toreo es grandeza”. Quando a Cali, in Colombia, Cesar Rincon strappa tre serie di “muletazos” dei suoi, di fronte, a un manso complicatissimo e pericoloso, fra l’indifferenza quasi generale, ma l’attenzione ammirata di pochi (mentre prima gli altri hanno chiesto orecchie e coda per un torero volgare che ha fatto numeri da circo con le “banderillas”), capisci che sei perduto. Che ti sei giocato la possibilità di andare a una corrida per divertirti e fare festa, in cambio di pochi e solitari momenti in cui hai la sensazione che è qualcosa di sublime, che una buona lidia, quella che dal primo “capotazo” prepara il toro per la stoccata finale, è la materializzazione terrena, qui ed ora, del principio filosofico “ORDO AB CHAOS”.

Come la “faena” di Juan Mora a Madrid, il 2 ottobre 2010, poco più di quattro minuti di toreo puro, con la spada vera in mano, ed una stoccata da togliere il fiato. Meno male che a Madrid queste cose piacciono ancora.

Arrivi a livelli esoterici, e ti butti su sconsiderate letture, dai titoli terrificanti (e tutti rigorosamente veri) come “Il culto al Toro”, “Riti e giochi del toro”, “Analisi simbolica della tauromachia - Archetipi di una danza cosmica”, “La scuola più sobria di vita – Tauromachia come esigenza etica”, “Tauromachia e taurogogia”, “Para-taurinismo, papanatismo y para-manoletismo”. Tutto questo, dietro a un fenomeno che in fin dei conti è uno spettacolo organizzato a scopo di lucro, il primo nell’era moderna per cui si sono costruiti appositi edifici per poterlo vedere a pagamento (il circo romano era gratis, lo finanziava il governante di turno).

Ma c’è sempre il toro, il toro delle caverne preistoriche, il Minotauro, e l’uomo che lo affronta, con l’Arte e la Ragione, in una cerimonia rituale.

Quindi non è improprio parlare di sacri testi. E li leggi, per capire meglio quello che vedi. Ti viene un colpo quando apprendi che Joselito el Gallo, per la sua presentazione a Madrid come “novillero”, rifiutò i “novillos” che gli avevano preparato perché troppo piccoli, pretese ed ottenne tori di 4 anni destinati a toreri di alternativa. Proprio come ora, che quando un “novillero” ha tagliato qualche orecchia benevola in piazze benevole, se gli propongono una “novillada” con fama di dura, dice di no. Per fortuna, ci sono altri che accettano, “aficionados” che pagano per vederli. E così possiamo tornare alla corrida.

Diventi un esperto in araldica e genalogia taurina, compulsando la storia degli allevamenti. Allevamenti che poi cerchi di visitare, se ti interessano perché conservano la casta del vero “toro bravo”. E poi li vuoi vedere nell’arena. Capisci quanto lavoro e quanta dedicazione c’è dietro a un buon toro, che poi una “cuadrilla” di sicari vestiti da toreri - l’abito non fa il monaco - può polverizzare senz’arte né onore in pochi minuti. Assisti ogni anno all’estinzione di ferri mitici, alla scomparsa di “encastes” rari, emarginati in favore dei “collaboratori”, però gioisci quando leggi che hanno ammesso una “ganaderia” di casta Navarra nella Union degli allevatori. O ricevi, senza averlo chiesto, sulla tua posta elettronica, un dotto studio sulle origini della scomparsa casta Jijona, e così apprendi che esiste un’associazione che lotta per recuperarla. Da tempo hai abbandonato la lettura delle riviste taurine patinate, piene di rutilanti foto a colori, e ti sei abbonato ad una rivista con poche foto in bianco e nero, e fitta di testo, in francese. Insomma, due palle ! Già essere amanti della corrida è per definizione essere in minoranza (rispetto ai più che sono indifferenti, o antitaurini) ma essere la minoranza della minoranza...

E così per tornare a vedere qualche corrida, devi dedicarti ad una meditata ricerca (meno male che c’è internet) che quasi sempre ti porta in posti sperduti del Midi francese, in terre càtare e templari, dove si conserva nascosto da qualche parte il Santo Graal della tauromachia; o in quel che rimane della Valle del Terrore, nelle montagne che stanno fra Madrid, Avila e Toledo. O sperare che a Zaragoza, o ad Arles, l’impresa di turno, anche per pressioni dell’aficion locale, abbia la compiacenza di dedicare almeno qualche giorno di feria alla corrida di tori, e non al circo dei toreri. E che a Bilbao non cambino il presidente, che mantiene un minimo di rigore.

Si torna alla corrida, ma quanta fatica… a volte premiata, a volte no.

Ma il resto, è nulla.

Ve lo sconsiglio vivamente. Se non avete costanza, abnegazione, spirito di sacrificio, e una buona dose di pazienza, non coltivate troppo la passione per la “verità tauromachica”. Se volete solo “divertirvi”, o credere di farlo, andate a Ferragosto a Malaga, vicino ci sono delle belle spiagge,la città in festa è allegra, ed alla Malagueta le orecchie cadono facilmente, quindi “vi sarete divertiti.”

Volete darvi un tono ? Fatevi l’abbonamento in “barrera sombra” alla Maestranza di Siviglia, di tori e toreri come si deve ne vedrete pochi, soprattutto nella settimana di Farolillos, ma le “faenas” che, qualunque cosa faccia il torero, non saranno contestate dal pubblico (ahh, i silenzi della Maestranza…) vi sembreranno bellissime, come poi leggerete sulla cronaca scritta dal viscido divoratore di gamberoni. Passerete una settimana indimenticabile alla Feria, e se avete la fortuna di conoscere qualcuno del “mundillo” che vi invita alla sua “caseta”, e poi a qualche “tienta” di lusso, potrete presumere di esservi immerso in pieno nell’ambiente. Forse riuscirete ad entrare nella corte di adulatori di un torero di moda. Ci sono sempre stati, fanno parte dell’arredamento.

Volete esagerare ? Trovate il modo di andare alla Goyesca di Ronda, dove si torea con i costumi di Armani, ed in “barrera” non manca mai la Duchessa d’Alba (mi è anche simpatica, ma quando in una stessa arena dove c’è lei ci sono anche io, vuol dire che io ho sbagliato posto). A Siviglia o a Ronda potrete anche avere seduto vicino a voi uno come Briatore, quindi capite che lo spessore culturale e umano dell’ambiente è inarrivabile. Vi divertirete, come al Billionaire.

Il toro ? ha servito, grazie. La lidia ? con cosa si mangia ?

Potete anche andare a Nimes.

Ahhh, Nimes, ci andavo anch’io, non lo nego, cercando quel poco di Victorino, o Palha, che si poteva vedere, e sorbendomi i fasti delle massime figure con animali d’indegna presentazione e peggiore casta. Ricordo un povero Domecq riservato a El Juli, che uscì dal toril come in preda ad attacchi epilettici, e cadde rantolando. Gli avevano solo messo la “divisa” !

Fino a che non ho scoperto Vic Fezensac (500 kilometri più in là) e Nimes è scomparsa da tutte le carte geografiche in mio possesso.

Per ragioni professionali ho conosciuto un signore di Torino, alto funzionario di un’organizzazione internazionale, che a Nimes ci è andato anche lui, tutti gli anni, per circa 15 anni. Scendeva all’Hotel Emperador, dove gli tenevano il posto da un anno all’altro, e gli procuravano anche l’abbonamento ai tori. In prima fila. Per questo fu intervistato sul quotidiano locale, e fra le altre cose dell’articolo, si diceva che andava sempre all’arena con un fazzoletto bianco nel taschino, per poter chiedere l’orecchia. Raccontò anche che una volta gettò il suo cappello, un costoso Panama, ad un torero, nel giro d’onore, e non gli fu restituito (perché quello che si getta, è un regalo). Era una bravissima persona, ed aiutò molto un giovane “novillero” locale di origini italiane. Parlando con lui, mi accorsi del suo stupore nell’apprendere, solo in quel momento, dopo anni di “barrrera” a Nimes, che la “suerte de varas” ha anche e soprattutto il compito di mostrare la bravura del toro. Non l’aveva mai saputo. Eppure aveva le sue ragioni, per tornare ogni anno. Mi è spiaciuto moltissimo, quando mi hanno detto che, qualche anno fa, è mancato.

Sono sicuro che ora sarà lassù, in un anfiteatro bianco, fra le nuvole, dove su una sabbia bianchissima, dei toreri vestiti di bianco, con “capotes” e “muletas” bianchi, accompagnati da picadores anch’essi di bianco, montati su cavalli bianchi, con picche senza punta (sostituita con un piumino bianco), compiono evoluzioni che ricordano le “suertes” taurine e “pegan pases” a immacolati toretti “ensabanados”, le cui bianche corna con riflessi dorati si sono sviluppate ad anello, a mo’ di aureola, e quindi sono inoffensive.

Sulle gradinate, un composto pubblico di anime beate, biancovestite, agitano bianchi fazzoletti per chiedere al presidente (un vecchio con la barba bianca) trofei simbolici, perché i toretti ovviamente vengono indultati per la vita eterna. Me lo immagino così, il suo paradiso.

Essendo io un peccatore, e un pericoloso eretico, quello stesso luogo sarà per me il mio inferno.

Mi volterò, e seduto dietro di me un noto critico taurino, conosciuto nell’ambiente come “La Lirio”, mi farà l’occhiolino, rivolgendomi un sorrisetto ed un salutino con la mano, con il mignolo alzato.

Oibò ! Lo so, in vita ho peccato, ho cercato la verità (irraggiungibile, e che forse non esiste) del toreo, e l’ho cercata nel toro. Devo averla proprio fatta grossa!


Marco Coscia


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)


sabato 12 marzo 2011

Un libro riuscito male


"Non è considerata valida una carica nella quale non v'è stato un vero encuentro (o encontronazo) e pertanto la picca ha ferito il toro solo superficialmente (marronazo, marrar el toro) e di passaggio (de refilòn), senza penetrare (picotazo), ma solo infilandosi sotto la pelle (enhebrar). Il colpo deve esser dato, infatti, in una zona particolare (crocera) del garrese mentre il toro abbassa la testa (humillado) per incornare il cavallo, subito alla fine del muscolo (detto morillo) al termine del collo sopra le spalle (...)".

Il brano qua sopra è preso da Manuale di tauromachia - breve guida per un futuro "aficionado" di tale Gherardo Casaglia, titolo che avevamo scorto in internet e sulle cui tracce eravamo da un pò.
Recuperato con nostra grande sorpresa in una polverosa libreria della piccola città di provincia, nei giorni scorsi abbiamo dunque provato a leggerlo.
Ma solo provato, ché l'ossessione dell'autore per i termini in spagnolo è tale che la lettura del testo diventa pressoché impossibile: o perlomeno è fuori dalle nostre capacità umane doversi soffermare ogni quattro parole a considerare e possibilmente memorizzare un ispanismo, un termine gergale, un corsivo.
Ora, è vero che come il francese per il ciclismo lo spagnolo è la lingua ufficiale della corrida, ma qui abbiamo davvero esagerato.

Il problema è che al di là dello smisurato sfoggio che l'autore fa della sua conoscenza della lingua spagnola, al testo rimangono pochi motivi di interesse.
A dispetto del roboante titolo, questo Manuale è poco più di un libretto di istruzioni per chi decidesse andare a vedere la sua prima corrida: entrano gli alguaciles, poi i subalterni e gli uomini a cavallo ricevono il toro, poi il torero lavora con il panno e presa la spada uccide l'animale.
La corrida diventa così un fatto bidimensionale che è sufficiente spiegare attraverso qualche disegnino (nel testo ce ne sono alcuni, che illustrano passi con la capa o con la muleta), un'esperienza meccanica senza nessuna profondità o imprevedibilità: una sorta di videogame di cui il manuale illustra la dinamica, succede questo e poi quello, questo succede così e quest'altro succede in quest'altro modo, e stop.

Glissiamo sulla casa editrice, il cui catalogo se avessimo conosciuto prima evidentemente non avremmo acquistato questo manualetto.

Bocciato.

mercoledì 9 marzo 2011

Capitan e José Luis




C'è un pò di Civilon in questa storia, e chi si ricorda di Civilon sa cosa intendo, in questa che è una di quelle storie che solo la Spagna sa creare e vivere e celebrare, la Spagna che ancora resiste nella terra dei pueblos, delle feste pagane con le mille lucine, delle strade polverose, delle tapitas e delle madonne vergini.
Del toro, la Spagna del toro.

Capitan è appunto un toro, allevamento Santos Zapateria nel nord del paese, che a due anni e rotti pasce l'erba fresca dei campi e riposa negli stalli in attesa di andare a esibirsi nei paesi della zona il giorno del patrono, quando i tori vengono liberati per le strade e i giovani li sfidano sotto gli occhi delle ragazze, i giovani in calore che scartano, fintano, mimano passi con la capa, spesso scappano, tutto per conquistare la bionda che è lì ad ammirarli e emette gridolini ormonali e di eccitata paura.
José Luis Pejenaute è invece un canuto signore, abita vicino a Santos Zapateria, è aficionado e soprattutto ha una venerazione per il campo: appena può si reca in quell'allevamento, dove passa ore ed ore a studiare i tori, immaginarseli, ammirarli.
I due si incontrano lì.
L'uomo sta offrendo un giorno qualche mela a un paio di vacche e l'animale lo vede e gli molla un colpo.
José Luis cade e il sangue si gela, d'altronde ha di fronte un toro bravo, eppure non fugge: tasta con la mano per terra e trova una mela, che porge alla bestia.
Capitan la addenta, la mastica, se ne va.
I due si rivedono, spesso, sempre più spesso, e José Luis raggiunge Capitan e si ferma lì con lui, gli parla mentre si riempe gli occhi del verde del campo e le narici dei profumi del campo, di quel campo che per José Luis è paradiso.
José Luis parla a Capitan e Capitan è lì vicino a lui.

Viene la stagione delle feste di paese e Capitan parte sul camion per andare a correre dietro ai ragazzi, sfiorarli con le corna, seguirli fino alle transenne qualche volta mandandoli all'ospedale, e poi ancora e ancora.
José Luis decide un giorno di andare anche lui, di andare a vedere quel toro che gli ha fatto compagnia là nella pace della campagna.
Liberano Capitan, e le stradine del villaggio si svuotano dei pavidi e si riempiono dei coraggiosi: stuzzicano il toro, lo sfidano, gli corrono attorno sempre più vicino, poi subito si spostano, devìano, scappano. Le recinzioni tremano quando i ragazzotti arrivano di corsa e si appoggiano e le scavalcano, si riparano, si appendono ai balconi per poi uscire di nuovo a sfidare il toro. Capitan attacca, testa bassa, ogni cosa che entri nel suo raggio. Qualcuno ne fa le spese, il toro distribuisce brividi e cornate.
Una scena come se ne vedono migliaia ogni anno nei paesini della Spagna del toro.

Finché José Luis non decide di fermare Capitan.
Come se non fossero lì, dove la banda suona e le donne agitano ventagli e i bambini succhiano limonate, dove le ragazzine ammiccano e i ragazzotti sbevazzano, dove gli uomini fumano il sigaro del giorno di festa.
Come se non fossero lì ma all'ombra di una quercia, con l'erba fresca sotto ai piedi e la linea dell'orizzonte lontana, là, dove le colline toccano il cielo e il cielo scende a toccare le colline.
José Luis attraversa le transenne e arriva in mezzo con il passo lento dell'asceta, mentre attorno la gente schizza via come birilli.
Capitan, Capitan, oye Capitan. Quieto, Capitan. Venga.
E il toro sente quella voce, si ferma e va incontro all'uomo.
I due si riconoscono, il toro vicino all'uomo si placa, ma poi subito si lancia e attacca un ragazzetto che si era avvicinato, incredulo.
Venga, Capitan, quieto, Capitan.
Di nuovo quella voce e di nuovo quei muscoli e quelle corna si fermano, Capitan ricorda quei pomeriggi e quel sole caldo, là tra i recinti dell'allevamento, e José Luis lo sfiora, gli sussurra altre parole all'orecchio, lo tiene vicino a sé.
L'uomo torna dietro le protezioni, si ritira, e il toro riprende a menare fendenti, a caricare testa bassa, a inseguire chiunque entri nel suo campo visivo.

José Luis accompagna Capitan una volta ancora, e poi un'altra, e poi sempre, e ormai tutti li aspettano, per gridare prima di paura alle cariche del toro e sospirare poi di incredulità quando i due si ricongiungono.

Un giorno in un paesino sperduto chissà dove la gente che si stipava contro le recinzioni era particolarmente euforica, chissà forse l'alcool, forse il sole, forse una religiosità straripante.
La gente era tutta lì attorno e rideva, gridava, cantava, eccitata. José Luis ha parlato al toro, ma c'era troppa confusione, e José Luis si è distratto e Capitan anche, non si è ricordato o invece sì si è ricordato di tutto quello che ha nelle vene da secoli e millenni, e ha attaccato José Luis, lo ha spinto a terra e poi esploso in aria, e poi ancora e ancora.
Adesso sì che tutti si sono taciuti, lì attorno. José Luis era a terra e poi sollevato da quattro braccia amiche è stato portato di corsa in infermeria, e intanto Capitan là fuori ricordava a sé e a tutti che era lì per la sua bravura, e tutti inseguiva e costringeva a ripararsi dietro alle sbarre di ferro, e quando è stato il momento di rientrarlo, Capitan non ne voleva sapere e continuava ad attaccare tutto.
Finché José Luis si è ripreso e allora ha sentito cosa succedeva là fuori, e ha capito.
E' uscito dall'infermeria, malconcio e claudicante, e si è avvicinato al toro.
Ora non fiatava più nessuno.
Il toro era lì fermo, in mezzo alla piazzetta, gli occhi duri, i muscoli tesi.
José Luis si è avvicinato e gli ha detto, calmo, vamos a casa.
I due si sono affiancati e hanno cominciato a camminare così, l'uno accanto all'altro, sereni, e sono tornati a casa.


(questa foto fa parte della straordinaria collezione di Albert de Juan, che potete trovare a questa pagina di Flickr)

lunedì 7 marzo 2011

Tre


Tre sono i toreri, e di conseguenza tre sono le coppie di tori.
Tre paia di banderiglie e tre gli avvisi: e tre atti, naturalmente, non a caso chiamati tercios.
I subalterni sono tre, e tre sono gli officianti: matador, peone, picador.
Tre siedono alla presidenza, e la pista è divisa in tre settori: alle tavole, nel mezzo, e in centro.
Sole, sole e ombra, ombra, sono le tre categorie di posti all'arena.
I canoni del buon toreo sono, indovinate un pò, tre - parar, templar, mandar - così come tre sono gli stati del toro: levantado, parado, aplomado.
Tre sono le categorie di arene, tre sono le corse - novigliada senza cavalli, novigliada, corrida.
Tre gli strumenti per uccidere (spada, descabello, pugnale), tre i posizionamenti in suerte prima che non siano usate le banderiglie nere.

Sono sicuro che il misterioso legame del tre con la corrida non finisce qui.

Beh, certo, un paio di tre possiamo trovarne ancora.
Così come di Rafael Lazaga Julia, ad esempio sentiremo parlare molto anche di un certo 3.3 - ma ne diremo più avanti.

Soprattutto, Alle cinque della sera è qua da tre anni.
Era il febbraio del 2008.

(foto Ronda)


sabato 5 marzo 2011

Matatoro




Mi ricordo che alla sua presentazione in anteprima l'anno scorso alla Feria di Arles, una fresca sera nella bella corte della bodega Los Ayudantes, il filmettino non mi piacque.
Sono belli i colori ed è affascinante l'estetica, sui tratti di un disegno non pulito ma di effetto, romantico quasi: è che la (breve) storia mi apparve sconclusionata e anche pretenziosa, avendo voluto riempire quei pochi minuti a disposizione di troppe interpretazioni e contenuti.

Attraverso gli amici di Toro, toreo y aficion (*) ritrovo oggi Matatoro, il cortometraggio tauromachico-circense in questione.
Lo si vede, per intero, collegandosi a questa pagina.

venerdì 4 marzo 2011

Rafael Lazaga Julia


Segnatevi questo nome, Rafael Lazaga Julia.
Novillero.
Ne sentiremo parlare, molto.


(foto Ronda)

mercoledì 2 marzo 2011

Una mostra a Torino




Presso gli spazi della Galleria 44 di Torino è ospitata, fino al prossimo 2 aprile, la mostra TauromaQuia y alrededores dell'italiano Daniele Gay.

Docente presso l'Accademia Albertina di Torino, aficionado di lungo corso, l'artista piemontese ha raccolto per questa esposizione una quindicina di suoi acquerelli in cui propone e sintetizza la sua visione artistica della corrida.

I nostri corrispondenti da Torino, umili eredi del grande Paternostro da Londra, andranno presto a visionare la mostra e ci riferiranno.


(nell'immagine, uno degli acquerelli di Gay)

martedì 1 marzo 2011

Perché andiamo a vedere la corrida





Perché vado a vedere la corrida ?

Il toro nell'arena è trasparente. Ma non da subito. Bisogna che i sensi siano assuefatti. All'inizio non vedi altro che una nuvola nera. Questa enorme nuvola nera che volteggia incerta attorno a un damerino in ballerine, in attesa di ricevere un temporale di rabbia ferina.
All'inizio il toro è un paesaggio oscuro, i suoi contorni non sono definiti, non riesci a fotografarlo: ci vuole più luce. All'inizio tu sei un paesaggio monotono, senza confini, lo sguardo si perde in un orizzonte sterile e vuoto, senza ostacoli naturali: ci vuole più limite all'occhio nudo. Ma il limite lo impongono i sensi.
Quando il sole andaluso s' infrange sulla tua bocca aperta alla meraviglia, quando il fetore delle urine ti è familiare come una zaffata dell'odore di tua madre, quando la stronza malinconia di fine estate si fa viva al principio del Venerdì santo, ecco che i sensi sono pronti. Inizi a scorgere la trasparenza. Ora la nuvola gira, corre, arranca, segue, incalza, ma lo fa senza vie d'uscita. Ribolle su un percorso definito e si fa cerchio intorno al tizio in ballerine, che ora sembra un damerino vitruviano. La nuvola non è affatto incerta, è destinata e tu lo vedi. Non è più lamento del cielo.

Ora la nuvola conta i passi al tuo stupore, le distanze si fanno di cartapesta. E' qui, imponente gonfia di tuono, nero carbone di un pozzo profondo, che si manifesta per la prima volta. Ad un tratto, ci si vede attraverso. Ecco scorgere nitidamente, nella carica oscura, il demiurgo che la fomenta. Sei tu, con la tua ridicola vita in ballerine, che affanni al principio di un temporale ancora da venire. La nuvola nera di morte ti accompagna da sempre, ma solo ora ti accorgi che, il temporale che porta con sé, ti appartiene. Sei tu a destinare la danza muta del toro, sei tu a disegnare il cerchio di niente che ti misura la vita. Sei tu, oggi, a sacrificare il temporale per un giorno migliore.


Sergio Imparato



(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)