venerdì 17 giugno 2011

Torismo o torerismo, il falso dibattito


"Il mondo degli aficionados si divide sostanzialmente in due grandi blocchi: toristi e toreristi. Quelli che esaltano la bellezza del toro e quelli che esaltano invece il torero. È una divisione goffa e, come tutte le generalizzazioni, insufficiente. Tutti gli aficionados, in realtà, esaltano il toro, l’animale toro, il dio dell’arena. Ma nonostante questo, durante una corrida, c’è chi esalta i movimenti del toro – la sua natura, la sua aggressività selvaggia –, e c’è chi invece pensa più ai movimenti del torero – l’arte con cui l’uomo modifica la carica dell’animale."

(da Il toro non sbaglia mai, di Matteo Nucci)


Su Rai Uno il varietà nazionalpopolare con veline e canzonetta e lotteria, su Rai Tre un documentario con dibattito a fine proiezione e immagini di repertorio: se dovessimo illustrare il palinsesto della televisione pubblica, in estrema sintesi, a un extraterrestre capitato per caso nel nostro giardino, potremmo metterlo giù così.
Due pubblici diversi, sensibilità ed esigenze diverse: e pure per la corrida sembra essersi imposta e istituzionalizzata una divisione analoga, impacciata e di poco senso, e invero ormai oggi accettata come unico criterio di classificazione di una corsa, di un torero, di un appassionato.

Proprio cadendo a fagiolo, Nimes e Vic Fezensac si sono sovrapposte anche quest'anno, inevitabilmente: ancora una volta lo stesso week-end ha messo gli aficionados di fronte ad una scelta di campo, ché le nuances nelle rispettive programmazioni sono davvero impalbabili.
Nimes e Vic Fezensac, ovvero la polarizzazione totale del differente concetto di corrida: nell'anfiteatro romano in sei giorni hanno sfilato, qualcuna anche più volte, tutte le grandi figuras, le superstar, e attorno a loro hanno girato i tori cosiddetti commerciali. Quelli che collaborano.
A Vic Fezensac, al contrario, i tori sono invero poco propensi alla cooperazione, tendenzialmente si presentano più armati e non solo di brutti propositi, e gli uomini davanti sono assai più adusi alla sciabola che al fioretto.
Il tutto al netto delle sfumature e dei casi particolari, naturalmente, ma come semplificazione questa è più che accettabile.
A Nimes parecchia gente, con sigaro di ordinanza, si agita affannata per sventolare fazzoletti bianchi e reclamare trofei che alla fine - orecchie, code, tutto - non si conteranno; nella campagna del Gers invece la gente i sigari li mastica, generalmente brontola, e a sudare un bel set intero di camicie sono toreri e quadriglie.
Pentecosti diverse: le due idee di tauromachia al confronto diretto, in un match dai risultati spesso impietosi e decisamente chiarificatori.

Arriviamo al dunque, senza indugiare oltre: torismo e torerismo.
Torismo o torerismo.
Come se ci fossero due categorie di aficionados, due circuiti di corride, due generi di corse: da una parte chi sceglie le arene in funzione dei tori, dall'altra chi va alla plaza perché c'è José Tomas. Funzioni di religioni diverse, per gente di fede diversa.
E ancora. I toristi, che mugugnano quando tutti si esaltano e che si esaltano quando tutti mugugnano, e che hanno nel toro un totem imprescindibile; i toreristi, per i quali il toro è poco più di uno spiacevole accidente, una presenza inevitabile quantunque nei desideri ovviabile, e che invece fremono per un singolo passo di cappa, per quel preciso gesto che chiude una serie di naturales.
Gli appassionati di corrida sono racchiusi in due vasi non comunicanti, diventano due fazioni sempre più estreme e inconciliabili, e alzi la mano chi non si è mai sentito chiedere "sei torista o torerista?". Si smettono i panni degli appassionati di tori per indossare quelli assai meno confortevoli ed eleganti del tifoso se non dell'ultras.

Riduzione più stupida della dimensione aficionada non può esserci.
Come a dire che chi ama il combattimento non si strugga per una veronica di Morante, e che chi è toccato dalla celestiale dimensione artistica nel toreo non possa vibrare al cospetto di un toro di casta e bravura.
Eppure ognuno di noi è costretto a interrogarsi (sarò torista o torerista?), a fare scelte precise se non addirittura ideologiche, a parteggiare come fossimo allo stadio.
Nimes e Vic Fezensac parlano chiaro e tracciano una linea netta, negli stessi giorni e a qualche misero centinaio di km l'una dall'altra: stai di qua o stai di là.

E' che il problema in realtà non si pone, e questa dicotomia è una invenzione strumentale di chi, per interessi di bottega, vuol far credere che nella tauromachia occora scegliere: in quale circuito correre e a quali gran premi assistere.
Certo, le ragioni di questa prospettiva, di questa trappola in cui tutti gli aficionados prima o poi capitano, sono chiare: far credere che ci siano due tauromachie, quella degli artisti e quella dei gladiatori, significa convincere che ci siano anche due tori, quelli collaboratori e quelli selvaggi.
Di conseguenza, riuscire a trasmettere la convinzione che il toro possa essere alternativamente bruto o partner implica il dare dignità e cittadinanza a quest'ultimo, consentire la selezione di intere camionate di animali sensa sugo ma forieri di trionfi facili, e dunque in ultima istanza vendere. O toreare. O scriverne. E dunque vivere della fiesta e non per la fiesta.

Perché infatti, e in questo spero siamo tutti d'accordo, il toro da combattimento è per definizione un animale selvaggio, e che appunto perché bravo può essere affrontato e messo a morte.
Non si tratta qui di stabilire se nella corrida sia più giusto cercare il piacere del bello o il brivido della lotta, l'ispirazione o il coraggio.
Ognuno di noi va all'arena per trovare emozioni, e ognuno di noi trepida o si commuove per momenti e gesti diversi: ma tutti andiamo alla corrida perchè nella plaza scende e corre il toro, l'ultima e definitiva verità della corrida, e quando questi abdica dal suo ruolo di dio da combattere per precipitare a quello di spalla o partner, nessun brivido ha più possibilità di essere.
Non ci sono due tori, quello buono per lo spettacolo e quello inadatto al toreo, non credete a chi ve lo dice. Il toro manipolato, collaboratore, stupido, non è più toro: è un povero animale maltrattato in pubblico, e quando un toro smette di far paura e invece induce alla compassione, la corrida non ha più giustificazione.
Così come non ci sono due tauromachie, quella commerciale e quella dura, e non ci sono due campionati: la corrida è una e una sola, è quella funzione nel corso della quale un uomo fa del combattimento di un toro selvaggio un'arte sublime.

Dunque, quale conclusione?
Nessuna, se non il toro.
Il toro integro, con casta, di personalità. Il toro che è verità e giustificazione, e imprescindibile premessa.
Al di là di questo ognuno sia torista, torerista, morantista, troglodita, quello che vuole: ma dal toro non si prescinde. Che poi sia combattuto con il polso fermo e dominatore, o accarezzato con la seta della muleta e accompagnato a danzare, quello sta agli uomini che ha di fronte; che sia un toro forte e nobile, o un toro complicato e rude, quello sta al sangue e alle ascendenze; e sta a ognuno di noi preferire ammirare il coraggio e la scienza del torero o estasiarci per il sentimento e la bellezza, preferire l'emozione del combattimento o scegliere il visibilio dell'arte effimera.
Purché ci sia un toro.

Dal toro non si prescinde. Ma questo non significa, è bene sottolinearlo, voler imporre ed esportare il modello Ceret ad ogni latitudine: il toro di Ceret continui ad uscire a Ceret e in quelle (rare) arene che si ostinano a programmarlo, e nessuno chiede che il bel Cayetano si metta di fronte ad una corrida di Coimbra.
Pensare che le istanze dell'aficionado a los toros siano impregnate di velleitario massimalismo corrisponde alla riduzione di queste stesse istanze al rango di effimero sogno, o infantile illusione.
Significa banalizzarle e dunque ignorarle e disprezzarle.

Né toristi né toreristi dunque, solo aficionados a los toros.
Perché sono i tori che danno senso e dimensione alla corrida, alla fiesta, alla nostra passione.
Senza, tutto diventa circo grandguignolesco e tutto perde di significato: i trionfi, l'emozione, l'etica, la grandezza.


(foto Ronda - Las Ventas)

Nessun commento: