giovedì 20 settembre 2012

Cronaca ragionata di una tarde mattutina e trionfale

Se c'è una perfezione nel toreo José Tomas l'ha sfiorata, e in qualche momento magico e irripetibile addirittura raggiunta, domenica mattina a Nimes.
Antologico, straordinario, sublime: nessuno di questi aggettivi è esagerato per dire di un torero che ha inciso con caratteri d'oro una nuova pagina nel libro mastro della tauromachia.

Il diestro di Galapagar ha ribaltato un anfiteatro intero, sconvolgendolo nell'animo e elettrizzando i nervi, con una esibizione seria, completa, storica.
Un festival alla capa, con figure classiche e barocche ad alternarsi, con gesti rotondi e di dominio, seguendo l'ispirazione del momento: veroniche e gaoneras, invenzioni e classicismi, figure a una mano sola.
Non un solo quite snobbato, tori messi al cavallo con perfezione millimetrica con chicuelinas in movimento o con recortes secchi e precisi, e l'orchestra che celebrava questa poesia suonando in un paio di occasioni qualche passaggio di un pasodoble. Una meraviglia.
Nel terzo atto, con il panno rosso in mano, Tomas ha dato una lectio magistralis di toreo, ricamato e puro, sapiente e sicuro.
La faena al primo toro una delizia: i piedi uniti inchiodati a terra, José Tomas ha toreato a destra e sinistra rimanendo clamorosamente verticale, magnifico, nello spazio di un fazzoletto, la muleta lasciata libera e leggera.
Al quarto toro se possibile ancora meglio, con la stoffa ridotta ad uno straccetto: lo spadino lasciato nel callejon, il torero ha condotto e aspirato le cariche franche del suo avversario agitando un francobollo vermiglio, raggiungendo a sinistra vertici ineguagliabili di purezza e bellezza.
Una visione strategica impeccabile, passi e serie sempre misurati e adattati agli avversari: ora tocchi morbidi e invitanti, ora trincherazos secchi e autoritari, ora distanza e aria o invece prossimità e castigo.
Infine, e già questo darebbe la dimensione della straordinarietà dell'evento, un Tomas in stato di grazia ha ucciso cinque tori con cinque spade intere e centrate delle quali solo l'ultima imperfetta, sempre gettandosi in mezzo alle corna dell'avversario, incontro alla morte, totale. Il descabello è rimasto nella fodera, e non un solo avviso in una corrida intera, non uno, a testimoniare dei una perfetta gestione dei tempi della lidia.
Chissà se un giorno mai un altro torero potrà anche solo eguagliare tutta questa magnifica perfezione.

Queste cose, estremamente grandi e davvero indimenticabili, in una cornice altrettanto maestosa e per la storia.
Un anfiteatro pieno fino al suo limite, uomini e donne e bambini, gente venuta da tutto il mondo (Mexico presente! Colombia presente! Barcelona taurina presente!, scandivano questo e altro ancora voci isolate e applaudite durante la corsa), un'atmosfera indescrivibile di passione e festa e eternità.
Chi c'era porterà dentro per molto tempo le immagini di quell'arena viva e festosa.
Silenzio.
A Nimes domenica c'era un silenzio irreale e carico, che in nessun'altra arena si potrà mai sentire, anche questo sì davvero indimenticabile.
Rotto il paseillo, dopo il saluto obbligato e di rito, le porte del toril si sono aperte e come per incanto quindicimila persone si sono taciute, insieme: in quell'istante più che in altri, in quel silenzio totale e estatico più che nelle esplosioni di entusiasmo e negli applausi infiniti e roboanti, in quell'istante stava tutta la dimensione unica del momento, la pesante attesa della catarsi definitiva, la voglia di avere tutto.

Ma.
Ma uscito dal tunnel il primo dei sei (domecq di quelli rassicuranti, come tutti gli altri), nell'arena quel silenzio non svaniva, diventava invece imbarazzante e appiccicoso, e per chi scrive i brividi rimanevano, da quel momento e per tutta la mattinata, relegati all'ovazione assordante e partecipe che aveva accompagnato il paseillo.
Quel silenzio rimaneva ma cambiava di significato e diventava opprimente, perchè quel toro restava là, sulla sabbia e con le sue corne timide, senza riuscire a diffondere nel contropista, sulle tribune o sui gradini più alti quei sentimenti di paura, rispetto, ansia, tensione, che un toro da corrida deve suscitare e incutere.
Sei attori non protagonisti sono stati i tori di Nimes, sei comparse alle quali una regia poco coraggiosa aveva riservato un copione modesto e irrispettoso. Poca roba, davvero.
José Tomas ha affrontato, certo magnificamente, sei tori gentili, sei  prodotti certificati domecq, sei avversari molto educati che non hanno posto alcun problema, che hanno fatto di tutto per non rovinare la festa annunciata: sì, la festa era annunciata e questo ha tolto mistero ed emozione, tutto era perfetto, tutto era comodo, tutto era previsto.
Uscito il primo toro nell'arena, la magia elettrizzante della mattinata è piano piano svanita, trasformata in ammirazione e godimento per i vertici di arte raggiunti dai panni di José Tomas, ma svuotata di turbamento e batticuore

Tutto è andato come previsto,  proprio di fronte a questa evidenza io mi sono incagliato, i sentimenti si sono raffreddati e i brividi sono rimasti sotto la pelle.
Tutto è andato come previsto, tori facili e trionfo pieno, come se fossimo ad una rappresentazione studiata, ad uno spettacolo provato e riprovato, come se pagato (salato, in alcuni casi) il biglietto fosse lecito chiedere ed ottenere qualcosa di grande.
Si presagiva l'indulto da mesi, e l'indulto puntuale è arrivato, come se risparmiare la vita a un toro sia un trofeo aggiuntivo, sia un fatto obbligato per rendere una corrida riuscita, sia il bollino da poter esibire sulla tessera per poter dire io c'ero. Un indulto ingiustificato è un passo in più verso la decadenza finale della corrida, non è un evento da celebrare o ignorare con affettata sufficienza.
Non c'è reale grandezza nell'affrontare sei tori comodi, collaboratori, scrupolosamente buoni: nessuno di questi sei si era mai applicato sui testi di latino e greco, ma tutti avevano studiato con scrupolo il galateo delle buona maniere, con corna per una piazza di paese, educati fino al parossismo.
E l'unico toro con un briciolo di casta, il secondo (Jandilla), ha sbarrato la strada mancina al torero, che da quella parte non ha servito neanche un solo passo: e se dal palco cadono i due fazzoletti bianchi, per una faena senza un solo natural, mi si permetta di non gioirne e di non esercitarmi nei cinguettii isterici e orgasmici delle signore imbellettate per l'occasione.
Ecco, il palco. Undici orecchie, una coda, una grazia. Sono cose che vanno bene per Sanlucar de Barrameda, prima di andare a ingozzarsi di gamberetti, ma non per un'arena che si pretende la prima di Francia, d'Europa e del mondo, e non per un torero che è fra i più grandi e influenti di sempre.

Una mattinata indimenticabile (ma che cattivo gusto mettere il solo di José Tomas all'ora dell'aperitivo e dei noviglieri), una mattinata in cui il toreo ha toccato vertici di incantata bellezza, una mattinata che ha rilassato e appagato.
Dalla quale l'estensore di queste è uscito disteso, felice e pieno, ma non trepidante, non sconvolto, non segnato.
Niente brividi appunto, nessuna traccia di quella eplosiva adrenalina, di quel tremore nei nervi, di quella eccitazione elettrica che invece ci avevano attanagliato altre volte, fuori da altre arene, all'uscita da altre corride, a Bilbao, o Madrid, o Ceret o altrove ancora.

Il solitario di José Tomas è stato un evento storico, senza dubbio, ma appunto un evento: mediatico, mondano, commerciale. Artistico, sicuramente e grandemente, il capolavoro di un uomo capace di rendere eterni gesti effimeri, ma costretto ad un recital di toreo puro e perfetto, tanto bello (enormemente bello) quanto già senza sorprese.
La mattinata ha celebrato la grandezza definitiva e chissà se mai più equagliabile del toreo.
Ma appunto in questo sta il senso di questo sentimento di incompletezza: del toreo, e non della corrida.

José Tomas è un torero grande ed eccelso, peccato solo che non voglia prendersi le responsabilità che la sua statura pure gli imporrebbe: non è toreando una manciata di corride all'anno, con allevamenti di garanzia e in arene di provincia, ingrassando le tasche dei bagarini, che si difende il futuro della corrida.


(nella foto: volantino del viaggio organizzato Calahorra-Nimes-Calahorra)






10 commenti:

Anonimo ha detto...

Meglio Tomasito e il concerto di Aranjuez quando non se lo aspettava nessuno insomma.

Marzia

Marc Delon ha detto...

je ne comprends pas l'italien mais je crois avoir compris "des toros gentils bien élevés qui ne posaient pas de problèmes"
pas vraiment d'accord vous avez dû le lire ici ou là...
Tomas est très fort pour gommer des aspérités sans que cela ne se voit trop là où d'autres auraient séchés. Si cette course m'a plu c'est d'abord parce que j'ai trouvé qu'il s'était choisi des adversaires et non des collaborateurs. Celui qui a subi un longue série de doblones genou plié pourrait vous le dire...!

Anonimo ha detto...

Beh Marzia "esagurum no!". Anche se un bel concerto di Aranjuez con un Pon Pon ritrovato non sarebbe stato male. Michele

Anonimo ha detto...

Michele scherzi?
la plaza, il sole, la dedica a Pon Pon, la musica struggente, la faccia da Manolete,le botte che ha preso, come ha matato male (al solito), le orecchie che non ha preso. Quella è stata una grande emozione

altro che JT dove era tutto scritto. grande, grandissimo, ma non vedevamo altro finale per quella giornata.

Tomasito nel suo piccolo è stato grandioso. simply unexpected.

Marzia

Anonimo ha detto...

Pero jt le orecchie le ha prese anche a madrid........dove i tori non erano le vachette de nimes come ma mettiamo...........?

Anonimo ha detto...

Del tutto d'accordo sul primo capoverso. Piuttosto in disaccordo sul secondo. Opinabile e legato alla sensibilità ed esperienza personale il terzo.Ma le opinioni diverse o divergenti danno sale alla vita.

Anonimo ha detto...

Marzia può fare confronti.
Infatti c'era domenica scorsa.
Matteo

Anonimo ha detto...

io non c'ero domenica e Matteo e Michele non c'erano nel 2010.

nessuno si sogna neppure di avvicinare Tomasito a JT.

quello che volevo dire trae spunto da quello che ha scritto qualcuno (qua o in privato) che ci sono tanti fattori che ci fanno sembrare bella una cose. La corrida appunto.

Uno di questi è il pubblico, a volte sembra che tutta la plaza respiri all'unisono e questo aumenta la nostra partecipazione.
Come quella volta con Tomasito.

Il tempo: una dei ricordi + meravigliosi è una corrida ad Azpetia di mille anni fa sotto il diluvio con Cesar Jimenez (ebbene sì) assolutamente in trance, e il toro, che pure lui chissà che aveva visto quella sera...

pensate Marco che paragona JT a Joselito. L'avrà mai visto Marco Joselito dal vivo? ovviamente no.

che dramma sto JT: se ne parla seriamente e fa litigare la gente, si drammatizza e fa litigare la gente.
che la pianti e torni a giocare a calcio. lo vedrei bene con Zeman.
devo fare la faccina o si capisce che scherzavo?

Marzia

Anonimo ha detto...

Di questi tempi è pericoloso sia scherzare su Maometto, sia su Josè Tomas, gran torero di piccole corride, gran tenore che in un anno canta solo tre operette in teatri di provincia.

Bei tempi, quando toreava a Madrid, come la penultima volta (l'ultima di Madrid è stata troppo "pulp")

Ma vi ricordate quando, sempre a Madrid, si è lasciato suonare tre avvisi, ed il toro, vivo, ma non indultato ?.

Se a Nimes ha toreato da semi-dio, non posso che rallegrarmene, magari la prossima volta lo farà con un vero toro.

E senza la marchetta dell'indulto delle 12,30, un classico ormai frusto delle mattinali di Nimes, una autentica caduta di stile per un colosso della tauromachia.

Saluti.
Marco

RONDA ha detto...

Bonjour Marc, oui c'est ça, vous avex bien compris.