domenica 16 maggio 2010

Vargas Llosa sul Corriere






E' apparso oggi sul Corriere della Sera questo articolo di Mario Vargas Llosa.
Vale la pena riportarlo per intero, per una volta che un quotidiano nazionale si briga di pubblicare uno scritto a difesa della tauromachia.

Per la libertà della corrida: le ragioni di una festa crudele

L’intento di proibire le corride di tori a Barcellona ha avuto ripercussioni in mezzo mondo e, nel mio caso, nelle ultime settimane mi ha coinvolto in polemiche in difesa della festa dei tori in tre Paesi diversi, davanti agli infuriati detrattori della tauromachia. La discussione più accesa è avvenuta nella notte di Santo Domingo — una di quelle sere stellate, di brezza soave, che danno ristoro al viaggiatore nella canicola del giorno —, nel cuore della Città Coloniale, nella terrazza di un ristorante da cui non si vedeva il mare vicino, ma lo si poteva ascoltare. Qualcuno ha lanciato la discussione e la signora a capotavola, fino a quel momento un modello di gentilezza, intelligenza e cultura, si è trasformata. Tremante d’indignazione, ha cominciato a inveire contro coloro che godono di questo indicibile spettacolo di pura barbarie, erede di atrocità come quelle che infervoravano le moltitudini nei circhi romani e nelle piazze medievali in cui si bruciavano gli eretici.

Quando io le ho assicurato che la delicata aragosta che lei stava facendo fuori in quello stesso istante e con evidente diletto era stata vittima, prima di finire sul suo piatto e tra le sue papille gustative, di un trattamento infinitamente più crudele di un toro da combattimento in un’arena, e senza la benché minima possibilità di rifarsi sferzando una stoccata al perverso cuoco, temevo che la gentildonna mi avrebbe schiaffeggiato. Ma la buona educazione ha prevalso sulla sua ira e si è limitata a chiedermi prove e spiegazioni. È rimasta ad ascoltare, con un sorriso annichilente che le serpeggiava tra le labbra, di come le aragoste in particolare, e i crostacei in generale, vengono tuffati vivi in acqua bollente, dove vengono arsi a fuoco lento perché, a quanto pare, patendo quel supplizio la loro carne diventa più saporita grazie alla paura e al dolore che provano.

E senza darle tempo di replicare, ho aggiunto che il granchio degustato da un altro dei commensali probabilmente era stato mutilato di una delle sue chele e restituito al mare, così che l’altra potesse crescergli in modo elefantiaco e placare meglio così gli appetiti degli amanti di un tale manicaretto. Giocandomi la vita — perché a quel punto gli occhi della signora in questione denunciavano intenzioni omicide — ho aggiunto qualche altro esempio dei più indescrivibili supplizi cui sono sottoposti infinità di animali terrestri, volatili, fluviali e marini per soddisfare le fantasie degli esseri umani. E ho concluso chiedendo alla signora se lei, coerente con i suoi principi, sarebbe stata disposta a votare in favore di una legge che proibisse per sempre la caccia, la pesca e ogni forma di utilizzo del regno animale che comportasse sofferenza.

La sua prevedibile risposta è stata che una cosa è uccidere animali per mangiarseli e potersi così sostentare e vivere, un diritto naturale e divino, diverso è ucciderli per puro sadismo. Le ho domandato se per caso avesse mai visto nella vita una corrida di tori. Ovviamente no e non l’avrebbe mai fatto anche per un miliardo. Le dissi che le credevo e che certamente né io né nessun patito della festa dei tori avrebbe mai obbligato né lei né nessun altro ad assistere a una corrida. E che l’unica cosa che chiedevamo era una forma di reciprocità: che lasciassero decidere a noi se andare o meno a vedere i tori, nell’esercizio della stessa libertà che lei metteva in pratica mangiandosi aragoste bruciate vive o granchi mutilati o indossando cappotti di cincillà, scarpe di coccodrillo o collane di ali di farfalla.

Le ho spiegato che la corrida, per alcuni, può rappresentare una forma di alimento spirituale ed emotivo tanto intenso e arricchente quanto un concerto di Beethoven, una commedia di Shakespeare o un poema di Vallejo. Nessuno può negare che la corrida di tori sia una festa crudele. Ma non lo è meno di altre infinite attività e azioni umane che riguardano gli animali, ed è una grande ipocrisia concentrarsi proprio sulla prima, e dimenticarsi od ostinarsi a non vedere queste ultime. Chi vuole proibire la tauromachia, in molti casi, e adesso nel caso di Barcellona, lo fa solitamente per ragioni che hanno a che fare più con l’ideologia e la politica che con l’amore verso gli animali.

Il toro da combattimento fino al momento in cui entra nell’arena è probabilmente l’animale più accudito e meglio trattato del creato, come hanno constatato tutti quelli che si sono presi la briga di visitare un allevamento di tori da corrida. Ma queste ragioni valgono poco o niente, di fronte a chi, a priori, proclama il proprio rifiuto e condanna una festa in cui scorre il sangue ed è presente la morte. Certo, è un suo diritto. Come lo è quello di muovere tutte le campagne possibili e immaginabili per convincere la gente a rinunciare ad assistere alle corride così che queste, per assenteismo, finiscano per languire fino a scomparire del tutto. Potrebbe succedere. Io credo che sarebbe un’enorme perdita per l’arte, la tradizione e la cultura nella quale sono nato; ma se deve avvenire così — nel modo più democratico, quello della libera scelta dei cittadini che votano contro la festa smettendo di andare alla corrida —bisognerebbe accettarlo.

Ciò che è intollerabile è il divieto, una cosa che mi sembra tanto illecita e tanto ipocrita come lo sarebbe proibire di mangiare aragoste o gamberetti con la motivazione che non si devono far soffrire i crostacei (ma i maiali, le oche e i tacchini invece sì). La restrizione della libertà che questo implica, l’imposizione autoritaria nell’ambito del piacere e della passione, è una cosa che mina un fondamento essenziale della vita democratica: quello della libera scelta. La festa dei tori non è un’attività eccentrica e stravagante, marginale per il grosso della società, praticata da infime minoranze. In Paesi come Spagna, Messico, Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e nel sud della Francia è una tradizione antica, profondamente radicata nella cultura, un marchio di identità che ha segnato in modo indelebile l’arte, la letteratura, gli usi, il folklore, e che non può essere estirpata con fare prepotente e demagogico, per ragioni politiche di corto orizzonte, senza ledere profondamente le conquiste della libertà, principio centrale della cultura democratica.

Vietare le corride, oltre a un oltraggio alla libertà, è anche giocare a fare finta, rifiutarsi di vedere a viso aperto quella verità che è inseparabile dalla condizione umana: che la morte ronza intorno alla vita e finisce sempre per sconfiggerla; che, nella nostra condizione, entrambe sono sempre intente in una lotta permanente e che la crudeltà — ciò che i credenti chiamano il peccato o il male— fa parte di essa, ma anche così la vita può essere bella, creativa, intensa e trascendente. Proibire i tori non attenuerà in nessun modo questa verità e, oltre a distruggere una delle manifestazioni più audaci e appariscenti della creatività umana, riorienterà la violenza ristagnata nella nostra condizione verso forme più crude e volgari, e magari verso il nostro prossimo. In effetti, perché inferocirsi contro i tori se è molto più eccitante farlo con i bipedi in carne e ossa che, per di più, strillano quando soffrono e in genere non hanno corna?

Traduzione di Francesca Buffo © El País

- grazie a Michele di Cremona per la segnalazione -


(foto Ronda)

5 commenti:

Giacomo ha detto...

INATTACCABILE.

PORTOVENERE57 ha detto...

Ben scritto ma non completo. L'argomento che usa lo scrittore peruviano serve solo a smascherare l'ipocrisia di chi si scandalizza per la corrida e magari trova accettabile e normale che un bambino muoia di fame ogni 3 secondi nel mondo.
Baricco dice che la corrida
"è un orrore grottesco che alcuni toreri tramutano in spettacolo sublime". Forse è tutto qui, una miscela di orrore e bellezza che non si può spiegare o giustificare, ma solo guardare per trarne tutte le contrastanti emozioni che quella danza con la morte ti trasmette.

RONDA ha detto...

La frase di Baricco è suggestiva, ma anche quella non è altro che una versione soggettiva e quindi opinabile del pensiero sulla corrida.
Personalmente, pur conscio e non negando gli aspetti violenti di una corsa - e sapendo che questi possono anche scioccare, non credo comunque che la corrida sia un orrore grottesco.

Ma il punto è un altro.
Francis Wolff nel suo ultimo e lucido libretto, ci dice che l'unico vero argomento che si possa portare contro la corrida è quello della sensibilità: è impossibile non riconoscere che il combattimento di un toro possa turbare, disturbare, anche lasciare sgomenti.
Naturalmente però, prosegue Wolff, a questa stessa sensibilità fa da contrappunto quella opposta, che vede nella tauromachia la realizzazione di un'opera d'arte, o la sublimazioe del bello o la testimonianza del grande coraggio di cui è capace l'uomo, e tante altre cose.

Entrambe le sensibilità sono legittime e degne di essere rappresentate e difese.
Purché una non intenda prevaricare sull'altra e negare l'esistenza e soprattutto l'esercizio dell'altra.

Ha ragione Portovenere, la corrida non si può spiegare.
Ma giustificare sì, però: con argomenti etici, morali, ed ecologici tra gli altri.

Francenko ha detto...

Una cosa uccidere gli animali per mangiarseli e un'altra farlo per sadismo... già, senz'altro il solito prevedibilissimo argomento. C é differenza, perbacco, ma per chi? Per chi uccide o assiste, o per l'animale ucciso? Chissà come mai, dimenticano sempre di precisarlo (forse é un lapsus indicativo della fascistoide pretesa antitaurina di stabilire una morale valida per tutti, o forse, non é conveniente precisare).
Basta guardare un documentario qualsiasi. Una volta vidi un bufalo rimasto bloccato in un pantano: un branco di iene lo sbranò partendo dal posteriore, senza alcun caritatevole morso alla gola, un'agonia lunga e impressionante (e per la verità, visto anche l'orario, fui sorpreso della messa in onda di quelle immagini). Alla sequenza successiva, toccò ad uno gnu, stesso modus operandi. Ora, qualcuno fra gli zelanti detrattori della corrida avrebbe potuto provare a spiegare alle povere beste, davanti allo strazio delle loro carni, che in fondo era per nutrirsene, niente a che vedere con quei sadici che assistono alla corsa. Dubito che al bufalo importi tanto, sta provando dolori spaventosi e sa che sta morendo.
La verità é che questa differenza é solo per chi non vuole assistere alla corrida, nessuno lo obbliga.
La realtà é dura, più di quanto le anime belle sono disposte ad accettare. E la corrida é un comodo bersaglio per la loro delicata sensibilità.
Perfetto come sempre, Ronda.

RONDA ha detto...

Fascistoide direi che sintetizza al meglio l'atteggiamento degli abolizionisti: senza entrare nel merito, è evidente che la sensibilità di chi non ama la corrida vedendo in essa solo l'aspetto tragico della morte, o della violenza, e provando sofferenza, o disagio o disgusto, è legittimo tanto quello contrario, che invece trova nella corrida una manifestazione alta e nobile dell'umanità.
Il problema, serissimo, nasce quando partendo dalla propria sensibilità si vuole fare di essa la sola sensibilità permessa, arrivando a voler negare quella diversa: nessuno obbliga nessun altro ad assistere ad una corrida, allo stesso modo nessuno può vietare ad un aficionado l'esercizio di una sua passione.

Nel merito poi, l'articolo di Vargas Llosa o gli ultimi studi di Wolff ne dicono a sufficienza.
C'è che la disneyzzazione del mondo animale, tanto cara alla morale contemporanea (vi prego di prendervi la briga di guardare - lo so che è un sacrificio, ma fatelo - una settimana di fila Studio Aperto su Italia Uno: si sta trasformando, a colpi di servizi quotidiani, l'immagine dell'animale che hanno gli uomini, e con essa il rapporto tra uomo ed animale), la disneyzzazione del regno animale sia una perversione molto più pericolosa e subdola di quanto si possa credere.

La corrida, con la sua verità, ci ricorda che non tutti gli animali hanno gli occhioni dolci come nei cartoni animati e che non tutti gli animali dobbiamo umanizzarli, mettendo loro un cappottino, leggendo loro delle favole (visto su Studio Aperto), negando soprattutto la loro inevitabile e preziosa animalità.