mercoledì 21 luglio 2010

Elogio della sintesi


Non sopporto più i lavori con la muleta che, per un qualche immaginario decreto ministeriale, devono incatenare per forza almeno 150 passi, altrimenti l'aficionado non va a casa contento.
Non sopporto più le serie infinite, infinite, infinite a prescindere da tutto: dal toro, dall'arena, dalle strategie, dalle esigenze della lidia, dalle picche, dal pubblico, da tutto.
Non sopporto più che la soglia dei due avvisi sia ormai il criterio per fare di una faena una grande faena: hai visto, Ponce ha ascoltato i due avvisi, ha fatto una faena luuuuuuuuuunga, lui sì che è il più grande.

Ecco, ora finalmente posso dirlo: se la corrida è questa, io mi rompo i coglioni.
Mi annoio, mi annoio a morte, vorrei scappare, e mi dico con tutte le cose che potevo fare oggi pomeriggio proprio qui all'arena a smaronarmi dovevo venire.
Domenica a Barcellona è stato massacrante, una noia mortale fino al sesto toro.
Cioè, al di là che gli elementi erano pessimi, i tori brutti e impresentabili, senza forze e senza morale, le picche una parodia, El Fundi in orbita e gli altri due sempre di profilo, e ce ne sarebbe già abbastanza...ecco, al di là di tutto questo io mi annoio, mi an-no-io.
Peggio che con un film del fratelli Dardenne.


Però, però.
C'è ancora qualche torero che non si arrende, qualche toro che lo impedisce ed anzi pretende tutt'altro, qualche arena che non ci sta.
Ceret, per esempio.

La faena di Alberto Aguilar a Cuidoso di Escolar Gil - un signor toro - domenica 11 luglio 2010, l'elogio della sintesi.
Una meraviglia, un trattato di tauromachia, un piacere questo sì infinito per l'aficionado.
Sei serie di quattro passi l'una, spada e vuelta.
Due giri di pista, per la precisione.
Quattro serie con la destra, due con la sinistra.
In posizione ben incrociata, gamba di uscita al suo posto, muleta davanti, toque.
Un passo, due passi, tre passi, e poi l'ultimo.
Profondi, essenziali, perfetti.
Un passo col petto, rotondo, avviluppato, di dominio.
E poi di nuovo il tocco.
Così per sei volte.
Quattro passi e il pecho.
Non una cosa di più, non una cosa di troppo.
Nessuna fioritura inutile, nessuna concessione al superfluo, nessuna mossettina per ingraziarsi le gradinate.
La grandezza della semplicità, l'eternità dell'essenziale.
Toreare.
Un toro grande, che alla seconda picca ribalta il cavallo e la quarta la prende dal centro: e poi arriva alla muleta con una carica da sogno, testa bassa, muscoli tesi, esplosiva.
Che pretende.
E un torero, un Torero, che lo chiama da quindici metri e poi lo aspira nel suo panno.
Il primo passo lo seduce, il secondo lo asseconda, col terzo lo comanda, col quarto sancisce il suo potere.
E il pase de pecho a chiudere.
Sei serie così, quattro grandi a destra, due grandi a sinistra.
In mezzo, gamba fuori, muleta piatta.

La faena di Alberto Aguilar a Cuidoso di Escolar Gil, domenica 11 luglio a Ceret, l'elogio della sintesi, la grandezza della corrida.



(foto François Bruschet per Campos y Ruedos)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Quest'inverno, in un reportage di Telemadrid su El Juli, con intervista nella sua finca, alla domanda sul perchè ora sia meno prodigo con il capote di quando era agli inizi, il Sig. Julian Lopez ha candidamente risposto: "perchè così i tori mi durano di più nella muleta".

E noi ci annoiamo.

Saluti.

Marco