venerdì 23 luglio 2010

Ceret, e chi se ne dimentica?




Mi rendo conto che si rischi di diventare noiosi e monotematici, ma se a due settimane di distanza ancora prepotentemente riaffiorano i ricordi, ancora si sente il bisogno di sfogliare il taccuino, ancora si provano gli stessi brividi nel rivedere quelle immagini, beh vuol dire che si è stati testimoni di qualcosa di grande.
Sarà difficile per gli aficionados presenti dimenticare l'edizione 2010 di Ceret de Toros, due giorni di profonda emozione, di scosse elettriche, di piacere, di piacere nel star seduti su quei gradini, a cospetto di quei tori e di quegli uomini.

Ci sono corride di cui nemmeno uno si ricorda quando le ha viste, dove le ha viste, chi c'era al cartel: Zalduendo a Nimes, Parladé a Siviglia, Garcigrande qui e là, Los Bayones chissà più dove, Perera-Ponce-Castella su una sabbia qualunque.
E poi ci sono le corride di quest'anno a Ceret, che non si dimenticano, che non si dimenticheranno.

La novillada di Javier Gallego, pura sorgente veragua, che ha portato in pista forza, emozione, tensione. Delle sessioni alla picca vibranti. E i due ragazzi che hanno tirato fuori tanti attributi che tutto il plotone dei famosi, messo insieme, pagherebbe. Sergio Flores e Mario Alcalde non hanno abdicato, se la sono giocata, a loro modo sono stati grandi.

La corrida di Coimbra, potente e selvaggia: i primi due protagonisti di un ripetuto assalto al cavallo da elettroshock. Tori meravigliosi, coriacei, il sesto un manso perdido di quelli duri, sensazioni d'altri tempi, quattro picche per Espiao, ovazione per il picador di Lord.
E Rafaelillo che è un torero maiuscolo, ora e per sempre.

Oye Mucho la domenica mattina, e già se ne è detto.

Quei picadores costretti a salutare, che trottano piano all'uscita, sotto un'ovazione fragorosa.

Alberto Aguilar che perde le due orecchie perché ha preferito la verità della spada alla scorciatoia del descabello.
La corrida di Escolar che, vedrete, a fine anno sarà tra le migliori della stagione intera.
Una signora corrida.
Cavalli per aria, cavalli spinti contro le assi, cavalli a terra.
Robleno e il suo toreo sincero, coraggioso, giusto.
Gli Escolar forti, un terremoto in pista, potenti come un carrarmato e agili come una pantera.
Sulla testa tanta legna da scaldare una casa per l'intero inverno.
Le corna nella muleta, la vogliono mangiare, non vogliono altro che quella muleta, vivono per strappare quella muleta.
Le tre vueltas di Alberto Aguilar.
Un pomeriggio di tori magnifico.

E poi quel paio di banderiglie.
Il paio di banderillas, quello definitivo.
Sanchez Valverde a Matajacas, il terzo della tarde.
Tutto il pubblico immediatamente in piedi, improvvisamente in piedi, inevitabilmente in piedi, a spellarsi le mani.
Uno scatto rabbioso dei presenti, l'adrenalina che si libera nelle nostre vene e ci catapulta in piedi, ci fa saltare, meccanici, per omaggiare quel grande uomo e quel gesto sublime.
Matajacas è un'anguilla tanto sguscia, scatta, vola sulla sabbia.
E' veloce, selvaggio, imprendibile.
Sanchez Valverde lo chiama, inizia la corsa, Matajacas lo vede e inizia la sua, di corsa.
Le due gambe dell'uomo e i quattro propulsori del toro disegnano una traiettoria uguale e contraria, Valverde non vede altro che il toro, Matajacas ha un obiettivo chiaro.
C'è una X per terra, oddio, non c'è ma tutti la vedono, si incrocieranno là.
L'uomo passa il punto di non ritorno, te ne rendi conto, è questione di una frazione di secondo, ma sai che non può più fermarsi, non può più deviare, non può più tornare indietro, può solo continuare, incrociare il toro e sperare di uscirne.
E poi è un istante, un istante perfetto ed enorme, le banderillas messe lì in mezzo alle corna, il corpo di Valverde in mezzo alle corna, le due sciabole di Matacajas che lo abbracciano, lo racchiudono, lo avvolgono.
Bum.
Poi l'uscita, l'uomo da una parte il toro dall'altra.
Duemila cuori che riprendono a battere, quattromila mani che suonano la musica più bella.
Un paio di banderillas mostruoso.

Ceret de Toros 2010, chi non c'era potrà solo farselo raccontare.
Chi c'era lo racconterà, impossibile dimenticarsene.


(foto di Marc Gerise, le banderillas di Valverde; qua la sua galleria di Ceret)

1 commento:

Anonimo ha detto...

La foto è quanto si possa vedere di più simile allo storico "par de Pamplona" di Rodolfo Gaona, immortalato in uno sbiadito dagherrotipo ed in un monumento nella Plaza Mexico. Nella "cuna de los pitones", e non a toro passato, senza saltelli ridicoli, come fanno ora gli acclamati banderiglieri alla Fandi.

Chi ha detto che il toreo è solo faena de muleta ?

Saluti
Marco