mercoledì 20 gennaio 2010

Costoletta e gli altri

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Costoletta.
Mica filetto o scamone, costoletta.
Anzi Costoletta, maiuscolo.
Joaquin Rodriguez, nato a Siviglia nel 1729 e al quale dobbiamo la primogenitura della veronica, l'intuizione del volapié e qualcos'altro ancora, era figlio di uno scorticatore del matattoio della città andalusa.
Divenuto torero, Joaquin Rodriguez decise di assumere come nome d'arte Costillares.
Costoletta, appunto.

Ora, naturalmente non basterebbe un saggio intero per scandagliare il tema dell'apodo, del nome d'arte in tauromachia, dello pseudonimo torero.
Le ragioni, le origini, le declinazioni.
Rimandiamo quelle riflessioni o quegli studi ad un altro tempo, ad altri momenti: ma c'è che Jacques Durand nell'antologia di suoi pezzi Chroniques du sable (ed. Atlantica) ha dedicato un paio di pagine all'argomento, tra aneddoti gustosi e ricerca rigorosa.
Due pagine irresistibili, pazzescamente romantiche, roba d'altri mondi e d'altri tempi.

Si scopre che insomma, oltre alle veroniche e al volapié, Costoletta ci ha lasciato anche la tradizione del soprannome, l'altro io attraverso il quale l'uomo si fa torero, il nome che è ora definizione, ora prospettiva, ora individuazione di quell'altro mitico sé.
Il nome del torero, il nome da torero, che popola l'immaginario mondiale della tauromachia, che dà quel tocco di esotismo supplementare e definitivo, che rende magica e ogni volta ricca di mistero la lettura del cartellone.
Oggi ne girano pochi, ne girano meno: El Juli, El Cid, qualche Morenito, e poco di più
El Fundi dice che del suo nome d'arte non ne sa nulla, e consiglia di rivolgersi al nonno per le spiegazioni.
Altri tempi, nuovi tempi.

Però aveva iniziato Costoletta.
E dopo di lui, il diluvio.
Nessun dominio umano ha avuto la possibilità di sottrarsi al saccheggio.

La geografia e la toponimia ci hanno lasciato un Niňo del Biafra (!), uno Smilzo di Cordoba (Finito), o degli Zingarelli di Triana.
Il mondo delle professioni ha visto sfilare Il Tassista, L'Esattore, Francisco Gonzales Patatero, o anche Il Sarto.
La zoologia di suo ha regalato alla tauromachia dei Galletti, dei Coniglietti (Conejito), dei Lupi, la Lumaca, un Puma, uno Scarafaggio.
La meteorologia poi ha scaricato nelle arene Il Sole (Carlos Malaga El Sol), Il Tuono (Antonio de Andres El Trueno), Il Tormenta e Il Fulmine.
Tutti toreri.
E siamo solo all'inizio.

La religione, prevedibilmente, non si è fatta scappare l'occasione: abbiamo avuto un Chierichetto, un Vescovo (El Obispo, grande), un Bimbo delle Monache, una manciata di Frati e anche Manuel Reyes El Catolico.
Avanti.
C'è stato un Nerone delle Cinque della Sera (enorme), un paio di Napoleone e pure quello Spartaco che deve il soprannome al manager El Pipo, che un giorno gli profetizzò: tu sarai il miglior gladiatore della tauromachia, come Spartaco lo fu a Roma.
A questo punto e' lecito pensare, mi viene da dire, che pure El Pipo fosse un soprannome non casuale.

Ma non è ancora il momento di fermarsi.
L'orticoltura ha prodotto Insalata, Melone, Limone e soprattutto l'ineffabile L'Ortolano.
Ancora, tutti toreri.
Sembra che L'Emozionante (il cordobese Rafael Munoz) non lo sia stato un granché e che Manuel Casado El Desconocido, Lo Sconosciuto, tale sia rimasto; un cancro al pancreas avrà ragione del messicano L'Impossibile e un novillo ucciderà nel 1944 Tomas Azcarraga L'Improvvisato.

Tutti toreri scesi nell'arena.

Desperdicios, Scarti, si fece enucleare l'occhio destro da Barabbas, toro di Concha y Sierra, nel 1857 al Puerto de Santa Maria: preso un fazzoletto in mano, recupera l'occhio dicendo appunto sono solo scarti.
Morirà a Siviglia una trentina d'anni dopo, e al funerale la bara sarà portata in spalle dalla crème dei toreri dell'epoca: Il Grassoccio, Testona, Il Marinaio, Checco.

In quel periodo tra l'altro il destino ci va pesante con quegli audaci che a pseudonimo eleggono Pepete.
Il cordobese José Rodriguez Pepete (il numero 1, via) si fa uccidere da Cocinero di Miura a Madrid, il 20 aprile 1862.
Natìo di Siviglia, José Rodriguez Pepete 2 finirà di respirare incornato da Cantinero di Zalduendo, in un angolo della Navarra nel 1899.
A Pepete 3, quel José Gallego che aveva la tessera numero 13 del monte di pietà dei toreri, non andrà meglio: la luce si spegne a Murcia, il 7 settembre 1920, sotto i colpi di Estudiante.
Ci penserà Pepete 4, José Carvajal, a voltare pagina: morirà nel suo letto.

Il Chierichetto, Il Tassista, Il Marinaio...chi sceglie più, oggi, pseudonimi così romantici e assoluti?
Certo i tempi sono cambiati e blablabla, certo avere una pagina web con indirizzo www.ortolanoiltorero.com farebbe soffocare di risate il mondo intero...però è un peccato.
Si perde un pezzo di tutta la faccenda.
Ma se si affaccerà sulla scena un nuovo Nerone delle Cinque della Sera io, e questa è una dichiarazione ufficiale, sarò disposto a fare migliaia di chilometri in un solo giorno per sedermi all'arena.
Sarebbe il minimo.


(foto Ronda - Istres 2009)

7 commenti:

Angelo ha detto...

Ho poca memoria, ma è non dimenticherò il torero El Bala
(=Pallottola?) che 40 anni fa salì agli onori della cronica per una ferita in una tempporada di 40 anni fa...

Anonimo ha detto...

E come dimenticare "El Pana", così chiamato per il suo originario lavoro di garzone di panettiere (panadero) ?

Saluti.

Marco

RONDA ha detto...

Per il Pana ci vorrebbe un blog intero: un giorno dovremo farlo.

El Pana ha detto...

Pronto a collaborare...

Anonimo ha detto...

Le ultime notizie lo davano in preda a un coma etilico in una piazza messicana, prima di fare un paseillo, per cui non ha potuto toreare ed i suoi tori se li è dovuti sciroppare un collega. Meno male che aveva detto che si era disintossicato.....

Saluti.
Marco

El Pana ha detto...

Sicuro che fosse in una piazza messicana?
Per me era in un ristorante nicese...

El Pana ha detto...

Sicuro che fosse in una piazza messicana?
Per me era in un ristorante nicese...