mercoledì 23 febbraio 2011

In un bar a Cuneo


A Ruggero piacciono il vino buono e i tori, e per questo Ruggero è un mio amico.
Oddìo, il personaggio ha tante altre qualità mirabili tra cui una spontanea e affettuosa gentilezza, ma direi che l'amore per il prodotto delle viti e per il prodotto del campo mi avvicina a lui in un modo inevitabile e particolare.

Ruggero un paio di settimane fa va a Cuneo, per lavoro: ci vuole un caffettino, avrà pensato, per iniziare bene la giornata.
Entra in un bar, uno di quei bar anonimi che popolano le città di provincia - vetrinetta dei tramezzini , espositore di patatine e spina della Pepsi, televisione appesa al muro e bottiglie di Averna e Montenegro sul mobile di vetro dietro al bancone, appliques alle pareti per dare la luce - e che qua Ruggero individua alla base di un condiminio, sotto un porticato anni settanta che il baretto condivide con un'agenzia immobiliare, una toeletta per cani e una tabaccheria.

Ruggero prende la sua tazzina e getta uno sguardo al locale per cercare Tuttosport, e con ogni probabilità lo troverà sopra al frigo dei gelati.
Ma oplà, si accorge che davanti a sé sul muro campeggia, tronfio, un cartel taurino.
Ruggero si stropiccia gli occhi, mette a fuoco meglio, ma l'immagine non lascia dubbi: c'è un signore vestito di luci, che con un panno rosso guida la carica di un immenso toro nero, il tutto sovrastato da scritte tronitruanti.

Ruggero dimentica il caffé sul bancone e si avvicina.
E' l'affiche della feria del Riso di Arles, 1978.
10 settembre del 1978, per essere precisi.
Cristo, sul poster c'è proprio tutto: i tori e gli uomini.
Sei cornuti di Marcos Nunez, per Paquirri, El Viti e Manzanares.

La tazzina è ancora lì, Ruggero si deve essere incantato, il manifesto gli ha evocato i ricordi di tanti pomeriggi all'arena, il clamore della festa, la sofferenza sui gradini, le bevute liberatorie a fine pomeriggio.
Si guarda intorno, come per verificare di essere davvero a Cuneo, in un bar di Cuneo, e di non aver allucinazioni da astinenza.
"Ma voi lo sapete chi è Paquirri?".
A Ruggero queste parole escono da sole, ascolta le sua voce mentre snocciola la domanda e si chiede se quella sia proprio la sua di voce, ma la risposta la conosce, sì, è lui che sta parlando, é lui e chi altro, è lui che parla e non sa bene nemmeno a chi.
Il barista, indaffarato ad allestire alla meno peggio il bauletto dei cornetti, alza gli occhi, passa con lo sguardo da quel cliente a quel manifesto, e ancora da quel cliente a quel manifesto.
"Non ne ho mai viste di corride, io, ma mio papà mi parlava sempre di Arles, era lui che ci andava".
Ruggero si volta verso quel ragazzo, e senza dubbio prosegue.
"Paquirri era un torero spagnolo, uno dei più grandi della sua epoca, è morto nell'arena a metà degli anni ottanta".
Gli altri avventori del bar si avvicinano ai due, chi appoggiandosi al bancone, chi rimanendo lì in piedi con le mani dietro la schiena, chi portando la seggiola più vicino: sono otto o nove signori di Cuneo, ormai non più giovani, per usare un eufemismo.
Capelli bianchi, giacche di fustagno dal taglio fuori moda sulle quali hanno la meglio i toni del grigio o del marrone, qualcuno ha gli occhiali e qualcun altro il bastone.
Una piccola migrazione silenziosa e discreta, ma ora quei signori accerchiano il bancone, Ruggero e il manifesto.

Il nostro a questo punto è in trance.
Non è più a Cuneo.
E' a Pozoblanco in una sera di settembre e racconta di quel toro di nome Avispado, di quella tragica cornata alla coscia destra, di quel giro d'onore che la bara fece nell'arena di Siviglia.
E' a Madrid e con le sue parole si aprono per sei volte i battenti della Porta Grande di Las Ventas, le sei volte che Paquirri trionfò su quella sabbia.
Ruggero non è più a Cuneo.
E' alla sontuosa Maestranza sivigliana e poi nella ruspante piazzetta di Tafalla, è nel museo taurino di Bilbao e nelle immensità del campo, dove i tori, lo sapete?, vivono quattro anni nella libertà più assoluta, accuditi ed amati.
E poi arriva ad Arles, certo, e non ci sono più caffé e brioches sul bancone, solo una lunga teoria di bicchieri di pastis, il loro profumo seducente ed ipnotico, lì in fila pronti ad essere giustiziati e subito risorgere.
Ruggero non è più a Cuneo, ora è ad Arles come Paquirri, El Viti e Manzanares in quel settembre del 78, e racconta di quel circo romano, di quella festa per le strade e nelle cantine, dei piatti di riso e toro, dei brindisi infiniti, delle novigliade al mattino e delle corride al pomeriggio, delle migliaia e migliaia di chilometri fatti in tanti anni, Ruggero racconta di Arles e si appassiona, è là, le bande suonano gli ottoni, i ragazzi inseguono e assaltano i torelli sul boulevard, toreri escono in trionfo sulle scalinate dell'arena e toreri escono a piedi, con lo sguardo torvo e basso, ci sono la luce magica della Provenza e i tramonti che infiammano i tetti, la birra nervosa prima di entrare e la birra dolce all'uscita, i saluti, gli abbracci, i picadores che arrivano a cavallo, la messa flamenca della domenica mattina e i tori, dappertutto.
Il manifesto al muro di quel bar quasi si anima, sembra di vedere quella muleta svolazzare, di sentire lo sbuffo del toro, sembra che quel torero sia vivo, sembra di sentire i suoi eh, toro, eh!

Silenzio.
Il barista ha ancora in mano un cornetto, ce l'ha da quando Paquirri ha smesso di vivere, a Pozoblanco.
Quei signori sono lì, ciascuno nella stessa posizione di quaranta minuti prima, solo che qualcuno ora ha la bocca aperta, o il collo allungato per sentire meglio, o le soppracciglie inarcate in un'espressione di curiosità e meraviglia.
C'è silenzio ora, ma sembra si sentire l'eco di un pasodoble, che arriva dalla strada.

Ruggero ora si ricorda di due cose.
Uno, deve ancora bere il caffé: prende la tazzina, la avvicina alle labra, e il liquido nero scende freddo giù per la bocca. Normale, pensa.
Due, a Cuneo ci è venuto per lavoro e non per una conferenza taurina.
Cazzo, è tardissimo.
Raccoglie le sue due cose, si infila alla buona il giaccone e sudato e preoccupato si tasta nei pantaloni per cercare un euro, nel mentre che articola un confuso quant'è?
"Il caffé è pagato!" rispondono in coro i signori. Offriamo noi, vada e non faccia tardi.

Ruggero misura a lunghi balzi la distanza dal bancone alla porta, scappa fuori, è tardi, poi sul marciapiede si ricorda di non aver nemmeno salutato.
Si volta indietro, mette la testa dentro e trova ancora tutti nella stessa posizione, tutti.
E sente uno di quei signori: "...d'altronde Arles è solo a tre ore da qua, neh!"

(uno dei cartel più famosi di tutti, preso da Torocartel)


2 commenti:

matteo nucci ha detto...

Grande Rug!
Grande Ronda!
Abrazos.

Anonimo ha detto...

Bello, mi sembra proprio di vederlo Rouge lì in mezzo.
Bravi.
Elisa.