giovedì 13 novembre 2008

La corrida in Italia (3)





Dopo le prime date, la tournée italiana di spettacoli taurini dell'anno 1923 tocca anche Torino: ne avevamo riferito qua ma curiosamente, come segnalato dall'amico Marco, il pur documentato e scrupoloso autore de La tradition tauromachique en Italie (ed. UBTF, 1997) omette di farne cenno.

Nella primavera di quell'anno, comunque, il circo itinerante di tori e toreri (una trentina di persone in tutto) prosegue dopo le prime sortite romane e bolognesi, e i giornali dedicano tanto alle cronache quanto alle analisi uno spazio crescente sulle proprie colonne.
Così è L'Arena di Verona, città che già negli ultimi anni del secolo precedente aveva dimostrato un buon feeling con la tauromachia, che aumenta la curiosità popolare con una serie di articoli che nei giorni antecedenti la prima corrida fanno salire l'eccitazione e l'interesse dei cittadini: in essi si trovano aggiornamenti sullo stato dei lavori per l'approntamento dell'arena in plaza de toros, interviste all'impresario, al ganadero o ai toreri, e note esplicative di approfondimento per preparare gli spettatori a quest'insolita rappresentazione.
Certo per chi oggi frequenta le ferias di Nimes o Arles non è difficile immaginare l'Arena di Verona con burladeros, toril e fazzoletti bianchi sugli spalti, e l'evocarlo è esercizio forse ozioso ma certo suggestivo.

A testimoniare di questo buon rapporto della città con la corrida spagnola, ecco le affiches annunciare che cinque tori saranno combattuti, "gli ultimi due saranno messi a morte".
La stampa registra il grande successo che incassa la corrida del 10 giugno: numerosi gli spettatori venuti da città vicine con i primi treni del mattino o in automobile, sui gradini "impressionarono, per il loro incredibile sangue freddo e la loro dsinvoltura, i capeadores che provocano il toro, avvicinandosi ad esso e smarcandosi sempre con delle pronte finte, camminando all'indietro, degli scarti fulminei per evitare l'incornata al pelo".
Meno fortunato fu il momento della verità: "Il quinto toro è destinato al sacrificio, e sembra averne il presentimento perché tra un esercizio e l'altro dei capeadores e dei banderilleros si attarda con nostalgia vicino alla porta del torillo (sic). Il caso designa Parejito per l'uccisione. L'estrema mobilità difficile gli rende lo sforzo difficile (...). Il colpo non riesce che solo dopo quattro tentativi tanto che la folla, alla vista del sangue e dell'agonia del toro, è percorsa da un brivido che non riesce a controllare."
La cronaca si termina con una previsione sulla scarsa presa che avrà la corrida sugli italiani, i cui gusti e la cui sensibilità mal si adattano a rappresentazioni che, pur informate di coraggio e arte, sono incompatibili per la troppa crudeltà.

La tournée sbarca a Milano, e le due ezibizioni previste sono anticipate dalle ormai inevitabili polemiche.
Il quotidiano La Giustizia nell'edizione del 23 giugno è lapidario: "Le persone di buon senso resteranno a casa loro" e, pur concedendo che questo genere di spettacoli può essere compreso e spiegato se collocato nella tradizione spagnola, " per il gusto italiano è una crudele pagliacciata (...)".
Arrivando fino al parossismo del "più noi pensiamo alla morte del toro, più siamo convinti che nel regno zoologico l'uomo è veramente il solo animale che non ha il diritto...di restare al mondo".

Dalle colonne de L'Ambrosiano del 26 giugno Augusto de Angelis riferisce con penna ironica e tagliente della corrida del giorno prima al Vigorelli.
Al termine di una dettagliata e acuta descrizione di quella che è la cornice della corrida, dalle belle signore sui gradini che avendo già visitato la Spagna si sentono autorizzate a scherzare ad alta voce alla elegante e mesta parata del paseillo, fino all'assenza dei picadores a "denicotinizzare" lo spettacolo, de Angelis si addentra nella cronaca dell'evento: "Il primo toro è piccolo, nero. Piuttosto grazioso, calmo. Ma i capeadores, i monosavios (sic), i banderilleros volteggiano attorno, rapidi, eleganti, lesti ma con dei volti così inquieti e concentrati che certo questo toro deve essere pericoloso!"
La morte di questo primo toro è solo simulata, è una coccarda posta al centro della schiena che sostuisce la stoccata letale.
Il giornalista prosegue: "Quanti credevano che la sensibilità italiana si sarebbe ribellata davanti ad una corrida formale con cornate importanti, i toreri in pericolo e una lotta serrata e piena di rischi, hanno avuto torto. Oggi il pubblico si indigna quando s'accorge che le cosas de Espana di questa plaza de toros milanese si svolgono in modo differente rispetto a quello che si vede a Siviglia, Cordoba o in Andalusia."

E si arriva alla morte del toro: "E' un torero celebre che, sembra, lo ucciderà: Parejito. Un piccolo biondo grazioso che saluta il pubblico con una certa qual arroganza spagnola (...). Il toro muore. Parejito gli ha infilato la spada nel collo, e il toro si accovaccia, si piega, si stende. Ha compiuto il suo dovere e se ne va, ora, trainato dai grossi cavalli infiocchettati (...). Perché solo lui, povero piccolo toro, tra tutti gli altri che hanno combattuto e che, almeno, sono usciti poi dalla pista con tutt'al più qualche puntura lasciata dalle banderillas? Cosas de Espana...davvero è solo da noi, nelle corride umanizzate, che la morte sceglie. Al meno là muoiono tutti. E hanno le corna affilate e vendono cara la pelle. E la corrida è un rischio, non un gioco."

"Diecimila spettatori circa. Duecentomila lire di incasso".

Si concludono qui le notizie reperibili nel testo su quella ricca e a tratti fortunata tournée del 1923.
Ponticelli segnala quindi che il successo di questo primo tour fà decidere per una ripetizione l'anno successivo con toreri di alternativa.
Una prima corrida a Cagliari pe ril primo maggio con protagonista un matador basco, Pedro Basauri Paguaga Pedrucho, presente anche in due successivi spettacoli a Roma nei quali ad esibirsi era insieme a Rafael Rubio Rodalito, della Mancia.
Nella capitale furono date quattro corride, il 22 il 24 e il 29 giugno e quindi il 6 luglio, sulle affiche delle quali oltre ai nomi già citati comparivano anche quelli di Millanito e Boltanes, un rejoneador.
Tori del marchese di Albaserrata, del Cullar e di José Bueno.

(foto tratta dal testo citato, ritratto dei toreri e delle cuadrillas al Velodromo di Milano)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

L'ignaro cronista antitaurino dell'epoca sconosceva, come sconoscono molti ancora oggi, che il toro toreato, anche se non viene ucciso in pubblico, viene comunque sacrificato nei corrales una volta finito lo spettacolo, perchè non è possibile utilizzarlo un'altra volta, quindi non c'è stata discriminazione in questo senso a danni dei tori, solo si è privato il pubblico di una parte essenziale dello spettacolo.

Complimenti per il servizio e saluti

Marco

Anonimo ha detto...

una storia della tauromachia poco conosciuta e davvero interessante. roberto.

Llama Pequeña ha detto...

Sono la nipote di Rafael Rubio Rodalito, della corrida allo stadio Torino ne ho sempre sentito parlare da mio nonno quando era in vita e da mia madre ancora oggi... ma non ne conosco poi molto, se qualcuno mi sa dare più notizie riempirebbe dei vuoti della mia personale storia di vita. Grazie Fiammetta Grasselli Rubio

Salvatore ha detto...

Sono in possesso di una foto autografata da tuo nonno in data 22/08/1973 ricevuta da lui quando era ricoverato al Policlinico Gemelli. Se vuoi te la posso inviare.
Ciao infermiera Nina

Llama Pequeña ha detto...

Infermiera Nina o Salvatore, mi farebbe un piacere enorme ricevere anche una copia della foto autografata da mio nonno, vi lascio il mio inidirzzo email, contattateni! Grazieee
fiammetta.grasselli@gmail.com