Nonostante le intemperie e le tonnellate d'acqua cadute sull'Andalusia proprio in queste ultime settimane, il coraggioso Marco Coscia non ha esitato e ha preso l'aereo direzione Siviglia, in valigia impermeabile e stivali: la visita alla mitica ganaderia di Prieto de la Cal è cosa da non depennare dall'agenda per nessuna ragione.
Ecco il suo racconto
PRIETO DE LA CAL: ECOLOGIA DELLA FIESTA
Piove su La Ruiza, la tenuta della provincia di Huelva dove pascolano i veragua di Prieto de la Cal.
Dall’inizio dell’anno piove quasi tutti i giorni, in tutta l’Andalusia, come non succedeva da anni. Molti terreni della finca posti fra il Rio Tinto ed un altro torrente, quando il temporale imperversa, si inondano. Da gennaio sono morti due tori annegati, ed una ventina di vitelli appena nati. Le madri più giovani ed inesperte, quando l’acqua sommerge i campi, li abbandonano appena partoriti.
Quando il ganadero e i vaqueros li trovano ancora vivi, li rianimano, li portano al coperto a scaldarsi e li rifocillano con il biberon. Se si riprendono, una volta rimessi nel campo accanto alla madre muoiono ugualmente di fame perché la vacca non riconosce il figlio che non ha succhiato il suo primo latte.
Gennaio e febbraio sono epoca di parto in questo allevamento ed il problema si fa serio.
Inoltre, i vari gruppi di animali non possono stare nei terreni abituali, a rischio di inondazione, e sono stati spostati in zone più sicure, ma che gli animali non riconoscono come loro.
Cercano di tornare alla loro querencia sono nervosi e di mal umore. L’umidità del terreno non gli piace, non trovano gradevole accovacciarsi su un suolo fangoso, ed anche loro patiscono i reumatismi.
La vita del campo è dura, soprattutto in questi momenti, ma Tomas Prieto de la Cal non perde l’ottimismo. Prima o poi il maltempo passerà, e La Ruiza tornerà ad essere quel paradiso incontaminato dove si allevano gli ultimi discendenti in Spagna dei mitici tori del Duca di Veragua.
Tomas ha superato altri brutti momenti, come l’incendio che due anni fa ha devastato parte della tenuta, o una tremenda cornata che gli ha inflitto una delle sue vacche, ma non per questo deflette dai suoi principi, e per esempio le femmine dell’allevamento continuano ad ostentare le loro lunghe corna intatte, e non vengono mutilate come in altri allevamenti.
Delle controverse fundas per i tori non vuole nemmeno sentirne parlare.
Per lui sono una manipolazione fraudolenta del toro bravo, che nessuna ragione economica può giustificare, i tori si sono sempre allevati così, con il minimo contatto con l’uomo, e le perdite sono fisiologiche ed inevitabili.
A La Ruiza si respira tradizione ed orgoglio di ganadero antico.
Tutto si fa secondo le antiche usanze, per conservare gelosamente le caratteristiche di un encaste unico, ultimo rappresentante della mitica Casta Vazqueña.
Tomas ha dovuto farsi carico in età giovanissima del legato paterno.
Nel 1975, quando l’attuale ganadero aveva solo 9 anni, suo padre, che aveva fondato la ganaderia (ed era riuscito ad acquistare gli ultimi esemplari di Veragua di cui si era disfatta la famiglia Domecq per dedicarsi a fabbricare i cosidetti tori artisti) morì prematuramente, lasciandola al figlio sotto la saggia e ferrea reggenza della madre, D.ña Mercedes, conosciutissima nel mondo taurino come la Marchesa.
Ancora adesso la Marchesa segue il figlio nella conduzione dell’impresa familiare, e lo accompagna dovunque per vedere combattere i tori della casa.
Ma lei dice sempre: il ganadero è lui, come per schernirsi, anche se il figlio, con un po’ di ironia, la chiama Jefa (Capa).
La prima tienta ( la prova della vacche per selezionare le future madri) per il ganadero-bambino la fece nientemeno che il Maestro Antonio Bienvenida.
Quando si dice un buon inizio.
Ed alla Ruiza le vacche si provano quando hanno tre anni, così sono più forti e possono dimostrare meglio la bravura al cavallo.
Tomas ci racconta orgoglioso che il maggiore dei suoi vari figli, che ora ha 9 anni e si chiama anche lui Tomas, già lo accompagna nelle tientas e prende correttamente nota del comportamento degli animali. Con buon criterio: quando una vacca prende sei picche scrive "promossa", quando ne prende solo quattro scrive "bocciata".
Questo dà l’idea del metodo di selezione che si pratica in questa ganaderia, e che ha prodotto meraviglie come Farolero, vincitore della corrida concorso di Zaragoza, che andò al cavallo 6 volte partendo dagli antipodi della plaza, o Aguardentero che ad Arles, sempre nella concorso, caricò il cavallo sempre da lontano, con violenza ed anche con più classe, per 4 volte, facendo ruzzolare a terra l’unità equestre per due volte, e se non ci andò di più non fu per colpa sua, ma del presidente della corrida che volle cambiare il tercio.
Una dura selezione al cavallo, dunque, esattamente il contrario di quello che fanno gli allevatori del mezzo-toro commerciale, perché è lì che si vede la bravura.
Inoltre, avendo solo 187 vacche di un encaste unico, e non potendo ricorrere ad apporti esterni per rinfrescare il sangue occorre praticare una studiata ed accorta rotazione dei maschi per evitare problemi di consanguineità che portano a degenerazioni e tare ereditarie.
Infatti, sebbene abitualmente ogni anni formi quattro lotti di meno di 50 vacche (quest’anno, per i problemi di spazio legati alle inondazioni, ne ha fatti solo tre) e pertanto i maschi riproduttori che lavorano (diciamo così...) sono solo 3 o 4 per stagione, ha a disposizione comunque ben 11 riproduttori.
Nessuno di essi è un toro graziato.
Tempo fa ce n’era uno, ci dice Tomas, ma durò poco, perché non si era mai completamente ripreso dalle ferite del combattimento, non ostante le costose cure. E come risultati, non fu né meglio né peggio degli altri.
Il ganadero ci fa capire che non crede alle virtù miracolose dell’indulto come viene attualmente praticato, più per motivi propagandistici che per reale merito. E poi i suoi tori normalmente vanno in piazze esigenti, dove l’indultite non è di casa, e raramente consentono ai toreri un atteggiamento facilmente trionfalista che propizia questo tipo di manifestazioni.
Insomma, serietà e buone pratiche, conservando e non degenerando quell’importante pezzo di storia della tauromachia che sono i tori di Veragua.
Un altro segreto dell'allevamento dei magnifici jaboneros ( tori color sapone di marsiglia, ma non mancano i neri, i pezzati, i color pesca) è l’alimentazione, al cento per cento naturale e sanissima. In tutta La Ruiza non vedrete nemmeno un sacco di mangime industriale, che ormai è normale trovare in tutti, e dico tutti, gli allevamenti di tori da corrida. I tori di Prieto de la Cal mangiano l’erba del campo, ed i mangimi naturali preparati in casa, nel mulino della finca dallo stesso ganadero con i prodotti della sua tenuta, principalmente fave ed avena, oltre l’erba. La dieta è integrata dai rami d’olivo carichi di foglie e drupe, potati e lasciati sul terreno, di cui i tori sono ghiotti. Il tronco degli olivi, dalla base fino ad una altezza di un metro e mezzo circa , mostra una corteccia curiosamente lucida e levigata: i tori li leccano per mangiare i germogli. Un regime alimentare naturale, equilibrato e sano, per cui gli animali raggiungono uno sviluppo armonico, non hanno eccessi di peso, ma hanno trapio, non cadono e non aprono la bocca dopo pochi minuti di combattimento. Per il ganadero un toro che apre la bocca durante il combattimento è un peccato mortale.
Il giro di visita fra i vari recinti è condizionato dallo stato del terreno, non si può andare ovunque si vuole perché l’acqua ed il fango non consentono nemmeno al fuoristrada di avventurarsi in certi tratti. Comunque, riusciamo a vedere da vicino ed apprezzare il toro previsto per la corrida concordo di Arles, il n. 12 Limpia Botas, nonché la corrida selezionata per S. Martin de Crau, nella quale c’è un toro nero per il quale Tomas nutre grandi aspettative.
Ci sono poi le novilladas teoricamente previste per Saragoza e Madrid, ma con l’incognita della mancanza di serietà nel rispetto della parola data da parte dell’impresa Taurodelta, che gestisce entrambe le piazze. Insomma fino all’ultimo, non si sa se andranno, e non ci sono accordi precisi in merito. Vediamo anche la novillada che come ogni anno manderà in Agosto nel vicino paese di Valverde del Camino, dove si celebra credo l’unica Feria torista di tutta l'Andalusia e dove Prieto de la Cal e Cuadri sempre fanno bella figura.
E poi vediamo i lotti della vacche, molte delle quali, e malgrado la strage degli innocenti di questi ultimi piovosi mesi, hanno a fianco il vitellino, e lo sorvegliano da vicino mentre gioca con i coetanei. Impressiona la varietà di colori: vitellino bianco e madre nera, che gioca con un altro vitellino pezzato figlio di un’altra nera, e con un nero figlio di una jabonera.
Chi lo direbbe che fra quattro anni questi piccoli e teneri batuffoli saranno dei temibili tori di mezza tonnellata capaci di seminare il panico nelle cuadrillas?
Sarannno tori generalmente duri e complicati da toreare, che daranno molto nel tercio de varas e richiederanno una lidia con molta tecnica, con molta intelligenza e con molto valore.
Questo il motivo per cui gli attuali big, che tali solo per i loro interessati propagandisti e per un pubblico mal informato (tra cui alcuni che credono pure di essere aficionados) raramente , per non dire mai, accettano di affrontarli.
Eppure, i tori di Veragua sono stati il massimo a cui potevano ambire i grandi toreri, nelle epoche d’oro della tauromachia.
Ancora negli anni ’10 del secolo XX, una corrida di Pasqua a Siviglia era “Joselito e Belmonte con Tori di Veragua” ( il paragone con i carteles attuali di mezzi tori per mezzi toreri, è desolante).
Terminata la visita al campo, ed alle antiche scuderie, entriamo nella antica casa del cortijo dove vive la famiglia, e che è uno stupendo museo taurino, con cimeli, foto ingiallite, ricordi, premi ottenuti, e sulle pareti le teste imbalsamate dei tori celebri nella storia della ganaderia.
Ultimo arrivato, ed al posto d’onore, Farolero, mentre già si sta cercando lo spazio per la testa di Aguardentero, che è ancora in lavorazione dal tassidermista.
La Marchesa madre ci mostra con orgoglio carteles incorniciati, risalenti agli anni ’50, in cui con i suoi tori si annunciavano Dominguin ed Ordoñez, che evidentemente facevano onore alla loro condizione di grandi toreri, affrontando animali di ogni ganaderia prestigiosa e di ogni encaste. Uno dei cartelloni con i due cognati della saga narrata da Hemingway ci racconta dell’unica corrida di Prieto de la Cal che passò l’Atlantico (con un lungo viaggio in nave) per essere combattuta da Luis Miguel ed Antonio nientemeno che nella secolare Plaza di Acho, in Lima, capitale del Perù. Era il 1952.
Una foto più recente, ma ancora in bianco e nero, testimonia che un giovane Ponce, agli inizi della sua carriera, ebbe l’onore di affrontare novillos usciti da La Ruiza.
Ma non volle ripetere mai più l’esperienza.
I tempi sono quelli che sono, e Tomas Prieto de la Cal ha da tempo preso atto del divorzio fra il toreo moderno ed il toro bravo, non per questo ha pensato di adattarsi ad un modo di concepire la Fiesta che non condivide. Non ha modificato i criteri di selezione dei suoi tori per compiacere alle nuove mode.
Non permette che siano gli osservatori dei toreri a scegliere i tori per una corrida.
Non usa le fundas né altri metodi ignobili di manipolazione delle aste.
Sa che comunque restano sparsi per il mondo, tra Francia e Spagna, nuclei di aficion autentica, arene che comprano i suoi tori, e toreri valorosi, anche se non famosi, che accettano di combatterli.
Come allevatore di tori di un encaste che ha fatto la Storia della Tauromachia, apporta meritoriamente il suo contributo per una Fiesta autentica, integra e giusta.
Per una ecologia della tauromachia.
Testo e foto di Marco Coscia: a questa pagina è possibile vedere un montaggio delle immagini scattate il giorno della visita a La Ruiza
* Qua la scheda su Terres de Toros.
* Prieto de la Cal ad Arles per la concorso e a Saint Martin de Crau in corrida
mercoledì 10 marzo 2010
Visita a Prieto de la Cal
Categoria
Ganaderia,
Prieto de la Cal,
Toro
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2 commenti:
Grande Maestro, che peccato non averti accompagnato! Speriamo in Arles e nella Crau per vedere queti tori meravigliosi.
Grazie del racconto
Marzia
La Crau diventa tappa obbligata del tour stagionale, a questo punto.
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